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Rebetiko

Da poche settimane è uscito “Rebetiko gymnastas”, ultimo lavoro di Vinicio Capossela. L’album rappresenta, apparentemente, una deviazione vistosa dal percorso artistico che il cantautore aveva tracciato con i suoi ultimi dischi: la scaletta comprende infatti la riproposizione di alcuni brani della sua prima produzione (fino a “Canzoni a manovella”), affiancati da tre cover e un inedito originale. Ad accomunare tutte queste reinterpretazioni è proprio la chiave musicale con cui l’artista è tornato ad “aprirle”, vale a dire il rebetiko che figura nel titolo. Si tratta di un particolare tipo di musica popolare, sgorgata dall’incontro dei migranti turchi ortodossi con le periferie greche, tra fine ‘800 e inizio ‘900. Più che esprimere un parere sul disco in sé, è interessante capire perché Capossela abbia impresso una svolta così improvvisa al flusso della sua discografia. Inaspettatamente, una possibilità di comprensione del senso complessivo di questo lavoro ci è data dalla sua parte più evidente: la copertina, costituita da un’illustrazione di David Prudhomme. Il nesso è rappresentato da uno degli ultimi lavori del fumettista francese, intitolato appunto Rebetiko e incentrato proprio sul genere musicale frequentato anche dal cantautore. Così, in maniera curiosa quanto appropriata, si ha l’occasione di interpretare il lavoro di Capossela giocando su quell’universo simbolico interconnesso che lo stesso artista abita da sempre nella sua opera (basti come esempio il piccolo capolavoro dello scorso anno, “Marinai, profeti e balene”).

Il libro di Prudhomme risale al 2009 ed è stato pubblicato un paio d’anni fa, in Italia, da Coconino. Non è certo il primo caso di romanzo grafico che ha per tema la musica, o un particolare genere, ma in un mezzo espressivo insonoro come il fumetto un’operazione simile non è mai semplice. Soprattutto, non è semplice se, come fa Prudhomme, la narrazione è impostata con approccio cinematografico, fatto di vignette tanto regolari da apparire fotogrammi di una pellicola, senza distorsioni della gabbia; anche all’interno delle singole vignette non si devia mai dal tono realistico, non ci sono neanche digressioni narrative, flashback o altri escamotage che possano allontanare da una sensazione di “presa diretta”; l’estetica stessa (estremamente piacevole) è improntata al realismo, con poca o nulla stilizzazione e un uso dei colori che non cerca alcun espressionismo, puntando anzi sulla naturalezza, con cromaticità fortemente mediterranee nella raffigurazione di scene e ambienti. Nessun “trucco” tipicamente fumettistico, insomma, viene utilizzato per comunicare la sensazione sonora del rebetiko, a parte forse alcune scene di ballo. Ma d’altra parte, oggi, non mancano di certo fonti e risorse tecnologiche per farsi un’idea acustica del genere. E infatti il libro svolge un’operazione altra da questa, puntando lo sguardo alla vera e propria anima del rebetiko, al suo ruolo culturale e alla sua filosofia.

Non a caso, i fatti narrati si svolgono nella Grecia del 1936, all’alba della dittatura di Ioannis Metaxas, che del rebetiko e delle comunità rebetes fece un simbolo di nemico interno, provando a reprimerne la cultura. È in questo contesto che si assiste alla giornata di un gruppo di amici rebetes (solo ispirati a figure storiche realmente vissute): da una vita “stravaccata” sotto il sole ateniese, a un’altra furiosa e senza riposo durante la notte, tra musica e malefatte avvolte dai fumi dell’hashish. Viene così raffigurato il rebetiko come la linfa della vita di questi uomini, un bisogno di buttar fuori il veleno anche attraverso la pura improvvisazione. Lo strumento musicale diventa per loro un’estensione organica, l’unico mezzo per rispondere alla vita e in qualche modo darle forma propria, attraverso il suono e la rimodulazione simbolica della parola. Non a caso, il rebetiko è spesso posto in analogia, certo non sonora, con generi come il tango o il blues. È, come si diceva, musica di un’anima e di una cultura (meticcia). E per questo non può essere ingabbiata, registrata, chiusa in categorie prevedibili e pronte ad essere riconosciute da un sistema, ad esempio come oggetto di consumo; deve invece vivere della propria autonomia e natura, traendo linfa dalla realtà quotidiana magari non bella, ma comunque sempre vera e in mutamento: deve, in altre parole, essere autentica e selvatica, come il canto di uccelli liberi da qualunque voliera.

Se questo è il rebetiko, allora, diventa possibile immaginare una motivazione, forse anche inconscia, alla base dell’esercizio atletico-musicale (“gymnastés”) di Capossela. E questa motivazione non pare disgiunta dal momento storico dell’Europa in crisi, che vede fatalmente nella Grecia – sua culla ma anche punto d’incontro con l’altro e l’oriente – uno degli snodi più significativi. In questo senso, il discorso non riguarderebbe le coordinate economiche della crisi, che hanno certo radici precise e concrete; riguarda, invece, un problema identitario più generale, che sulla crisi ha ricadute persino maggiori, poiché condiziona direttamente il modo di gestirla, anche nel suo senso di opportunità e cambiamento (di cui si parla sempre, ma che non si pratica mai). L’uso del rebetiko diventa allora, nel contesto odierno, la riaffermazione di un essere altro, di un modo diverso di concepire se stessi come comunità/società, e dunque di introdurre una prospettiva non di ritorno al passato, ma di novità sulle fondamenta della memoria. Memoria che parla di una cultura della vita.

Dati del volume

  • Editore: Coconino Press/Fandango
  • Autori: testi e disegni di David Prudhomme
  • Formato: brossurato, 104 pagine a colori
  • Prezzo: € 17,00
  • Voto della redazione: 8
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