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Vimanarama

Vimanarama (Magic Press, brossurato, 104 pagine a colori, 8,5 €) Testi di Grant Morrison, disegni di Philip Bond

Un Vimana è uno strano marchingegno volante posseduto tradizionalmente dagli dei della religione indiana: il significato letterale della parola è pressappoco Uccello artificiale abitato. Navi spaziali ante-litteram, insomma: quel genere di bizzarria con cui Grant Morrison ama infarcire i suoi fumetti. Non che questi oggetti volanti siano uno snodo centrale di Vimanarama, anzi: sono più che altro una spezia, un condimento (curry, giusto per rimanere in tema orientale?) per insaporire una commedia sentimentale post-adolescenziale di facile e veloce lettura, ma assolutamente significativa sotto certi punti di vista, tutti da analizzare. Ma andiamo per ordine.
Ali è un diciottenne anglo-pakistano, proveniente da una famiglia tradizionalista che ha le proprie attività economiche nella cittadina di Bradford. Tutto inizia con una strana richiesta di aiuto da parte del fratello: Omar è rimasto intrappolato sotto una cassa di cioccolato all’interno della drogheria a gestione familiare, e ad Ali spetta il compito di recuperarlo.
Ma Ali ha altro per la testa: quel giorno dovrà conoscere Sofia, la sua promessa sposa, e prega Dio che non sia una racchia. Nel caso Sofia fosse brutta, Ali è convinto, non ci sarebbe altra via che il suicidio. La situazione precipita quando sotto il pavimento ceduto del negozio si scopre l’entrata verso uno strano tempio, in cui il piccolo nipotino Imran si è fiondato. Ad Ali (e Sofia) il compito di ritrovarlo, e di scatenare la fine del mondo…
Abbandonati gli eccessi cinici e nichilisti di The Filth, Morrison imbastisce una leggerissima storiella inter-culturale con qualche spruzzata di mitologia sci-fi, applicando in maniera “spuria” i dettami (da lui stesso compiutamente teorizzati insieme a Frank Quitely in We3) del “western (o MTV) manga”: bando alle sceneggiature decompresse di cui si fa largo utilizzo attualmente negli States, e spazio a una condensazione della storia in (relativamente) poche pagine, rese veloci e frenetiche da un certo taglio della narrazione e da un gusto particolare per i dialoghi. Un’esplorazione del mezzo non pervasiva e totalizzante come il parente We3 (e forse per questo un po’ insapore) resa possibile grazie alle plastiche matite di Philip Bond, capacissime, queste, di catturare lo spirito del meltin’ pot britannico. La storia prosegue senza particolari scossoni verso un finale catartico/ottimistico, di facilissima comprensione (come quasi mai è con le opere Morrisoniane): In definitiva, Vimanarama non rimarrà nella storia del fumetto (e forse non avrà un posto di primo piano neanche nella bibliografia dei suoi autori), ma sicuramente verrà registrato come uno dei pochi tentativi, a tutt’oggi, di studiare e ri-applicare uno stile comunicativo vincente (quello dei manga, appunto), senza scimmiottarlo pedissequamente.



Giovanni Agozzino

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