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Durasagra


DURASAGRA - VENEZIA UBER ALLES (Black Velvet, brossurato, 96 pagine in b/n, € 16) Testi e disegni di Paolo Bacilieri


È difficile descrivere la complessità di un autore come Paolo Bacilieri. Ci avevamo già provato inutilmente in Barokko, di cui questo Durasagra (pubblicato per la prima volta nel 1994 e recentemente ristampato per i tipi di Black Velvet) costituisce in qualche modo un’evoluzione. È difficile, soprattutto, rendere conto a parole della accumulazione di forme e di stili, della concitazione del suo narrare, dell’infinita varietà di elementi (linguistici e tematici) con cui Bacilieri infarcisce le sue storie migliori.

Durasagra è un doppio racconto. Innanzitutto, è la cronaca della deriva di un gruppo di giovani disadattati tra le calli e i canali di una città in declino, erosa dalle acque e invasa dalle scorie di una civiltà decadente. In questo spazio costipato (di corpi, edifici, turisti) tre ragazzi chiamati Piero, Cristiano e Zeno partecipano a un tentativo di orgia che si risolve in un nulla di fatto. Quindi entrano allo stadio dove è in corso la partita di calcio Venezia-Pisa e scatenano una rissa con i tifosi avversari. Infine, si ritrovano sulla barca di Leone, ex bagnino e poeta fallito, per giocare l’ennesima partita a carte e riempirsi lo stomaco di alcolici a sbafo.

Intanto, tra i fumi delle fabbriche e il puzzo della spazzatura, la nave da crociera “Beautiful” è appena attraccata in porto, con il suo carico di personaggi affascinanti e amori da soap opera. Un carico destinato ad affondare sotto il peso dei suoi stessi pregiudizi, sopraffatto da una realtà che non ammette alcuna esclusione rassicurante. La Venezia “città da sogno”, visione da cartolina, passaggio obbligato di turisti in cerca di un fondale romantico su cui proiettare le proprie fantasticherie, si rivela anzitutto uno spazio immobile, tanto riempito (di significati) quanto vuoto di eventi e di valori, teatro di piccoli episodi di meschinità familiare, di teppismo gratuito e di indicibile disperazione. Come recita il poeta Leone, citando Einaudi, Venezia è una città nuda e stuprata, una vecchia prostituta che in gioventù ha ceduto il proprio corpo alle lusinghe del progresso, delle fabbriche e del turismo, e che nel corso degli anni si è illusa di essere ancora giovane, bella e illibata, mentre le fabbriche chiudevano e i sogni si tramutavano in scorie. Non a caso – in una pynchoniana rappresentazione della società post-industriale (cfr. Thomas Pynchon, V., e L’arcobaleno della gravità, Rizzoli) – la vicenda si chiude con una tavola invasa dai rifiuti: scatole scarpe tazze bottiglie fumetti sanitari lattine copertoni tubature palloni lavatrici, etc.

A fare da cornice a questo primo racconto c’è l’auto-rappresentazione di Bacilieri, sopra tutto Bacilieri. “Cieco come una talpa” all’inizio della storia, l’Artista sceglie proprio Venezia come il luogo di una personale illuminazione. La sua corsa affannosa tra i turisti e i barboni, tra l’antico e il moderno, tra modelli classici-manieristici e caricaturali di rappresentazione si conclude infine in una ideale “corte sconta” separata dal tempo e dallo spazio, al cospetto di una (colorata) musa ispiratrice, protettrice dei sognatori e dei fumettisti, a cui rivolgere un’accorata preghiera:

Signorina, a nome di tutti i completamente “tagliati fuori”,
vorrei una vita basata su di un canone di bellezza.


L’assenza di un canone riconoscibile in Bacilieri (in cui si mischiano e rielaborano influenze da Crumb a Pazienza, da Pratt a Corben, persino al Tamburini fotocopiato di Snake Agent) è uno dei caratteri che rendono le sue storie tanto difficili da descrivere. Ma, allo stesso tempo, è proprio quest’inafferrabilità stilistica, così sofferta ma lucidamente efficace, a donare ai suoi racconti una segreta, inquietante bellezza.





Davide Scagni
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