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Jungle Town


JUNGLE TOWN (Buena Vista Lab, brossurato, 84 pagine a colori, € 6,90) Testi di Tito Faraci, disegni di Giorgio Cavazzano

Non è sempre vero che il lettore medio di fumetti cerca in un’opera l’originalità del soggetto. Anche quando si ricorre a vecchie trame o le si infarcisce di topoi e archetipi, alla fine è soprattutto la sceneggiatura che deve convincere e coinvolgere. L’originalità è una dote non da poco in una narrazione per immagini ma risulta secondaria dinanzi a una buona costruzione della storia. Specie nel caso di un fumetto come Jungle Town, dove non si chiede altro che trenta minuti di puro e piacevole intrattenimento. Poco importa, dunque, se certe soluzioni ci riportano alla mente Blacksad (di Díaz Canales e Guarnido) o se l’idea di “specismo” delle razze e la consapevolezza della propria “animalità” erano già trattati (tra l’altro in maniera molto efficace) nel Robin Hood targato Walt Disney, tanto per citare un titolo. Quel che conta è come questi “luoghi comuni” possano creare soluzioni nuove e intriganti, capaci di tenere desta l’attenzione del lettore dall’inizio alla fine. Facciamo allora tabula rasa e concentriamoci unicamente su Jungle Town.

La storia scritta da Tito Faraci (autore, per chi non lo sapesse, di un altro esperimento sui “luoghi comuni” il fantascientifico Brad Barron della Bonelli) si discosta ben presto dal semplice poliziesco, grazie ad una parzialmente riuscita analisi della città e a una forte componente soap-operistica nell’interazione dei personaggi. Il pretesto narrativo, dato dal ritrovamento di un cadavere (un topo per la precisione) che rischierebbe di far esplodere uno scandalo a Jungle Town viste le sue implicazioni sociali, funge da collante per diverse sottotrame. Adam e Rollo non sono i soliti poliziotti da narrativa noir senza una vita sociale, anzi: durante il racconto facciamo la conoscenza della famiglia di Adam, e la descrizione delle sue liti coniugali, dell’insoddisfazione della moglie e, grazie ai figli adolescenti, di aspri conflitti inter-generazionali arricchiscono l’impianto principale di nuovi e interessanti spunti.

Dal punto di vista stilistico è possibile considerare l’albo come un fumetto Disney rivolto ad un pubblico maturo, data “l’evoluzione” ben evidente che si ha della topolinizzazione. Nei fumetti Disney non ci sono differenze sociali, né morti ammazzati, né riferimenti più o meno velati al sesso. Qui invece si gioca ironicamente con l’illusione di leggere una storia di Topolino per over 14, e i disegni di Giorgio Cavazzano confermano questa sensazione.

Inizialmente l’ingranaggio sembra funzionare. L’albo si fa leggere e risulta interessante: characters azzeccati, sottotrame che lasciano ben sperare, dialoghi ben calibrati e un “caso” che pagina dopo pagina incuriosisce il lettore. Peccato che le buone impressioni iniziali si perdano nel corso della lettura. Le ultime sei pagine chiudono bruscamente una situazione che avrebbe meritato maggiore approfondimento. Privilegiare l’analisi sociale non significa trascurare la trama portante in maniera così vistosa. Sarebbe stata una scelta giustificabile nel caso del pilot di una lunga serie ma, in una storia che vuole essere auto-conclusiva, risulta soltanto inefficace e dà luogo a una buona prova con un pessimo finale.

La parte grafica mostra un Cavazzano in grande forma, che esprime una carica espressiva notevole. I protagonisti – nonostante qualche debito con gli animali creati dallo stesso artista per la Eldorado - richiamano lo stile Disney senza rinunciare ad una loro personalità. Tuttavia, la scelta di una colorazione molto “cool” e moderna in certi casi mal si sposa con i disegni di Cavazzano, gravandoli di un fastidioso senso di immobilità.
Un ultimo appunto sulla parte redazionale: 16 pagine che tolgono appena qualche curiosità al lettore, scavando appena in superficie il mondo di Jungle Town. Un mondo che avrebbe bisogno di ulteriori racconti, per acquisire maggiore credibilità e consistenza.


Gennaro Costanzo



Carlo Del Grande
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