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X-Men: Conflitto finale: recensione

Dopo gli eventi dei due precedenti episodi in cui, in un futuro molto vicino, l’umanità affronta con crescente preoccupazione il fenomeno dell’evoluzione mutante (cioè della nascita di persone -i mutanti- che sviluppano capacità superumane), tornano sul grande schermo gli X-Men.

Gli eroi mutanti arrivati al cinema dal mondo dei fumetti, che perseguono il sogno di pacifica convivenza con gli esseri umani, devono affrontare un’ultima volta il terrorista Magneto, signore del magnetismo e loro acerrimo nemico. Il motivo scatenante stavolta è che il governo americano, attraverso il lavoro svolto dai laboratori della multinazionale Worthington, annuncia la scoperta di una cura per la mutazione, cosa che scatena la reazione positiva e negativa sia dell'intera comunità mutante (c’è chi si vuol curare e chi invece ribadisce la propria diversità) sia di Magneto, il quale raduna un esercito di mutanti e si prepara ad una guerra. A lui si unisce anche la rinata Jean Grey (morta alla fine del precedente episodio) che, “corrotta” dai suoi stessi enormi poteri, ritorna come una feroce e inarrestabile Fenice...

Arriva finalmente nelle sale l'atteso "X-Men: Conflitto Finale", ultimo atto della trilogia inaugurata nel 2000 da Bryan Singer che, in seguito l’abbandono del regista e dopo una travagliata vicenda produttiva, vede stavolta alla regia Brett Ratner ("Red Dragon").

E alla fine il prezzo più alto di una realizzazione non facile lo paga proprio questo terzo capitolo, perché quello di Ratner potrà anche essere un buon film di intrattenimento, il tipico blockbuster estivo da vedere gustandosi i popcorn, ma non coinvolge pienamente e soprattutto fa sentire (e rimpiangere) fortemente il cambio di regia.

Singer, infatti, aveva saputo descrivere compiutamente nei primi due film l'atmosfera e i personaggi del fumetto, riflettendo un mondo di intolleranza dove degli esseri reietti nati con poteri speciali facevano percepire il loro dolore e la loro condizione di emarginati, metafora anche del mondo reale dove spesso le differenze tra gli uomini sono dettate da colore della pelle o dal credo religioso.
L'errore maggiore commesso in questa pellicola è la mancanza di una solida sinossi ala base della storia, che provoca anche carenza di percezione e di un minimo di coinvolgimento da parte dello spettatore, presente solo in alcune sequenze del film (come il flashback iniziale con il mutante Angelo, l'addio di Rogue a Wolverine e la scena di questi con Jean nel laboratorio dell'Istituto), ma assente in molte altre anche per colpa di una sceneggiatura a opera di Simon Kinberg e Zak Penn (quest'ultimo già autore del soggetto di “X2”) che non approfondisce adeguatamente un tema come quello della cura per la mutazione (completamente ignorato nel finale), accorciando i dialoghi e, dopo un promettente inizio, svuotando di significato non solo i personaggi, ma anche l'aura di profondità che aveva finora circondato il franchise degli X-Men curato da Singer. Se il regista de “I Soliti Sospetti” aveva caratterizzato i suoi film con una grande attenzione per i particolari, per i personaggi e per le loro stesse dinamiche conflittuali e relazionali, tutto questo è praticamente assente in questo terzo capitolo. Non aiuta inoltre la sua durata, eccessivamente corta per presentare assieme non solo due filoni narrativi, ma anche alcuni personaggi come Angelo, Colosso (praticamente invisibile) e Kitty Pryde che risultano inutili ai fini della storia, con una mancanza di caratterizzazione che risulta in molti casi irritante.
A questo si accompagna l’ulteriore colpa di sprecare e liquidare in quattro e quattr’otto characters importanti come Ciclope, Rogue e Mystica, per non parlare dell'ingresso di altri mutanti che non vengono adeguatamente curati. La sceneggiatura, orfana della supervisione attenta e sensibile di Singer, si rivela così raffazzonata e superficiale e mette in campo molti elementi narrativi lievemente accennati e senza la benché minima introspezione.

Dal punto di vista recitativo, gli attori principali si impegnano come sempre: Jackman è un Wolverine affascinante e funzionale, con una sensibilità che viene fuori nei momenti più drammatici; McKellen è sempre un ottimo Magneto, Famke Janssen stupisce per la sua versatilità di buona/cattiva (avesse avuto più spazio a disposizione...) mentre la Berry risulta nei panni di Tempesta stavolta più combattiva e decisa; purtroppo l’arte degli attori vene svilita dai dialoghi spesso banali e neanche lo sforzo di accentuarne il significato può essere d'aiuto.

Ottimi gli effetti speciali, senza guizzi la fotografia di Dante Spinotti (un peccato) e anonima, tranne che in pochissime sequenze, la regia di Ratner, estremamente ripetitiva per inquadrature e movimenti di cinepresa.

In conclusione "X-Men: Conflitto Finale" resta un film di intrattenimento nei limiti ma senza però la qualità che contraddistingueva i precedenti capitoli. Si poteva fare di più? Certo, bastava fare scelte più coraggiose, ma a Ratner sono mancati sia la creatività di “interpretare” meglio il materiale narrativo a propria disposizione sia il coraggio e l’audacia di imporre una visione personale alla storia.



Carlo Coratelli
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