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DC Comics Essential reading


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Abbiamo selezionato e recensito per voi quelle che a nostro parere sono le storie che non possono mancare nella libreria di un vero appassionato DC.

Batman: Arkham Asylum
Batman: Mad Love
Batman: The killing joke
Batman: The long Halloween
Batman: Year One
Catwoman: Selina's big score
DC: The new frontier
Flash: A cavallo dei fulmini
Green Arrow TP 4
Green Lantern: Legacy
Green Lantern Showcase
Identity Crisis
Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora
Il ritorno del Cavaliere Oscuro
Justice League of America: Il chiodo
Justice League of America: Libertà e Giustizia
Kingdom Come (Venga il tuo regno)
Superman: Che cosa è successo all'Uomo del Domani?
Superman for all seasons
Superman: Per l’uomo che aveva tutto...
Superman: Secret Identity
Wonder Woman: Achtung, Baby!


BATMAN: ARKHAM ASYLUM (Play Press, cartonato, 216 pagine a colori, € 24.90) Testi di Grant Morrison, disegni di Dave McKean

Il nome di Morrison, insieme a quello di Moore e Gaiman, è indubbiamente legato a quella ricchissima fase di de-costruzione (e conseguente, ri-costruzione) di un genere, quello dei supereroi, avvenuta negli USA nella seconda metà degli anni '80.
Di questa fase, Arkham Asylum rappresenta una delle più compiute testimonianze: una storia di Batman dalla trama apparentemente semplice, in cui i variopinti nemici dell'Uomo Pipistrello si ribellano e prendono il controllo del manicomio dove sono rinchiusi, l'Arkham Asylum. Batman entra e cerca di risolvere la situazione, mentre in parallelo viene narrata la storia del fondatore dell’ospedale.
La trama in effetti può esser così semplificata, ma in realtà diventa l’occasione per un itinerario delirante, tra echi junghiani e suggestioni simboliste, nei recessi della psiche umana, in cui ogni “nemesi”, più o meno mascherata, diventa la rappresentazione di un abisso e di un’alterità assoluta.
Persino Batman non sfugge all’analisi e da testimone iniziale della follia, diventa quasi sovrapponibile ai tanti ospiti del manicomio, con la sua personalissima ossessione di giustizia e di vendetta. Possibile che Batman non sia altro che una delle facce che la pazzia umana assume? A questa domanda sembra rispondere uno dei dialoghi centrali del fumetto, allorché Batman si rivolge al Cappellaio Matto chiedendogli “Sono impazzito?” e la risposta è “Devi esserlo, altrimenti perché saresti qua?".
Questa prospettiva “malata” del personaggio Batman viene ripresa anche nelle didascalie finali, dove con mezza pagina di testo vengono ripresentati tutti i personaggi, con espedienti grafici che ne richiamano le caratteristiche peculiari. In queste didascalie, Bruce Wayne si chiede “diventerò mai un pipistrello?”: quesito abbastanza inusuale per una persona equilibrata, no?
Morrison non ha paura di osare e questa graphic novel gli permette di accennare caratterizzazioni estreme che non sarebbero permesse nelle storie “normali”: il Joker, ad esempio, richiama esplicitamente in un dialogo suggestioni omoerotiche nel rapporto tra Batman e Robin, caratteristica sottotraccia presente in alcune analisi del personaggio (in effetti chi, sano di mente, permetterebbe a un ragazzino minorenne di vestire un costume sgargiante e di accompagnarlo nelle proprie scorribande anticrimine?), ma mai esplicitamente (ovviamente) affrontata nella “continuity” classica di Batman.
La ricchezza di questo fumetto non si esaurisce però nella ispirata e lisergica prosa di Morrison, ma vive anzi della sua perfetta simbiosi con lo sperimentalismo grafico di Dave McKean. Il disegnatore, infatti, riesce a camminare in equilibrio perfetto sul filo sospeso che oscilla tra storytelling solido e sperimentazione grafica radicale, regalando pagine e pagine di assoluta meraviglia in una vertigine espressionista che ha trovato in seguito pochi pari.
Si segnala, nella recente edizione Play Press, la ricchezza di contenuti speciali (sceneggiatura completa, layouts), nonché la splendida confezione, fedele all'edizione originale del volume celebrativo dei quindici anni dell'opera.

Rico Barsacchi




BATMAN: THE KILLING JOKE (su I Classici del fumetto di Repubblica I serie n° 24) Testi di Alan Moore, disegni di Brian Bolland


“Ci sono questi due tizi in un manicomio...”
Comincia così “The Killing Joke”, la graphic novel di Batman (o forse sarebbe meglio dire del Joker), pietra miliare tra le storie del Cavaliere Oscuro e punto di partenza (o di arrivo a seconda dei punti di vista) del rapporto tra l'eroe e la sua più grande nemesi.
Il tutto scritto e sceneggiato in maniera praticamente perfetta dal sommo Alan Moore, che riesce ad accompagnarci per mano nella storia unendo in maniera impeccabile ogni stacco temporale tramite vignette che si richiamano, e disegnato magistralmente da un Brian Bolland in stato di grazia, che grazie al suo stile realistico e vivo riesce a donarci forse la migliore interpretazione grafica del Joker, in chiave non troppo grottesca.
Certo, questo fumetto non è Watchmen, non è neanche V for Vendetta e di norma viene attribuita a quest'opera una povertà e surrealtà in fase di soggetto che secondo chi scrive non è meritata.
Chiariamo il punto: in un fumetto il soggetto è parte integrante della cosmesi generale ma in questo particolare caso i dialoghi e gli spunti emotivi che scaturiscono dalla lettura riescono a portare in secondo piano situazioni innegabilmente strane come il Batman che vuole assolutamente parlare con il Joker e non combatterci o la risata liberatoria al termine del volume.
E' senza dubbio un fumetto legato e vincolato alla pazzia che quindi può non essere perfettamente coerente con la normalità e la quotidianità di tutti i giorni, di fatto le persone che hanno turbe psichiche vivono in maniera differente quello che a noi “sembra” corretto e giusto (nel caso volessimo attribuire dei problemi di natura psicologica a Batman e ovviamente al Joker).
Analizzando l'evolversi della vicenda ci vengono mostrati vari gradi di pazzia, di ossessioni e soprattutto le cause che le hanno scaturite, tutte attribuibili ad un “brutto giorno”.
Un brutto giorno per il piccolo Bruce Wayne, un futuro travestito contro il crimine.
Un brutto giorno per un comico fallito, un conscio e lucido pagliaccio incatturabile.
Due personaggi che si scontrano, che si assomigliano e che si attraggono in un rapporto quasi karmico separato solo dal fine che giustifica la loro diversità, e in mezzo a questo, il povero commissario Gordon, l'uomo medio vittima di un gioco, vittima di una dimostrazione.
Gordon diventa il personaggio chiave nel mostrarci la reazione della persona normale (anche se pur affetta da una piccola ossessione quale la catalogazione di ogni articolo riferito alle imprese di batman) a situazioni sopra le parti come il ferimento della figlia e la discesa in un vortice di paure e tormenti.
Dinanzi al delirio del Joker in cui lo stesso spiega cosa lo abbia trasformato in quello che è, alla fine rimane solo una possibilità: come dice Batman, quello che resta è la scelta.
La scelta di essere. Di cambiare. La scelta di fare le cose secondo le regole o di soverchiarle.
In ultima analisi se una risata non vi seppellirà probabilmente vi farà diventare pazzi.

Dicevamo: “Ci sono questi due tizi in un manicomio...”

Andrea Gadaldi




BATMAN: YEAR ONE (Play Press, brossurato, 96 pagine a colori, € 9) Testi di Frank Miller, disegni di David Mazzucchelli


Sospeso com’è tra fumetto mainstream e poetica hard boiled, Batman: Year One può essere considerato l’anello di congiunzione tra il Miller degli esordi (l’autore di seminali saghe supereroistiche come Born Again e Dark Knight) e quello di opere personali e sperimentali come 300 e Sin City. Balzato da pochissimo agli onori delle cronache grazie a Dark Knight Returns, il Miller di quegli anni è un autore che può permettersi di sperimentare soluzioni narrative ardite e impreviste. Decide così di raccontare le “origini” di Batman con uno stile crudo e realistico, che in nessun momento cede alla retorica. Ma questa è soprattutto la storia del tenente James Gordon, e del suo primo anno da poliziotto a Gotham City. E non è la storia di un’ascesa trionfale, bensì quella di un uomo che cerca disperatamente di venire a patti con sé stesso, di trovare la sua strada in un mondo ostile e caotico, in una città - Gotham City - cupa, marcia e disperata, dove criminalità e potere costituito sono indistinguibili. Bruce Wayne e James Gordon sono due uomini impotenti di fronte a forze molto più grandi di loro, e dovranno lottare con le unghie e con i denti per raggiungere lo status di eroi, giocandosi tutto e a volte anche perdendo. Sono due figure positive, pur con tutto il loro carico di paure e incertezze.
Ai testi e ai disegni di questo coraggioso fumetto ci sono due autori in stato di grazia.
Frank Miller, come già detto, viveva il suo momento d’oro, sia artisticamente che commercialmente. Batman: Year One è caratterizzato da un continuo alternarsi del punto di vista (da Bruce a Gordon e viceversa), da secchi monologhi interiori, da personaggi e situazioni “al limite”, e, come da tradizione Milleriana, da inattesi momenti sarcastici e grotteschi.
Ai disegni troviamo un Mazzucchelli ancora lontano dalle sperimentazioni degli anni ’90, ma già ispiratissimo. I suoi disegni sono incredibilmente espressivi, le linee sono morbide ed essenziali, lo stile tende al pop.
In definitiva, un must per tutti gli amanti del bel fumetto.

Giulio Capriglione




CATWOMAN: SELINA'S BIG SCORE (Play Press, cartonato, 96 pagine a colori, € 13) Testi e disegni di Darwyn Cooke


Cosa rende un fumetto degno di nota?
Se ci fermassimo ad una semplice analisi del fumetto: una sceneggiatura ben fatta, delle idee originale e dei bei disegni; ma cosa può rendere un albo davvero memorabile?
Secondo il sottoscritto, sicuramente quando chi lo crea riesce a colpire al cuore il lettore con forti emozioni. E' il caso di Selina's big score, graphic novel realizzata interamente da Darwin Cooke, uno dei talenti più interessanti emersi nel mondo dei comics in questi anni.
La storia è semplice e complessa allo stesso tempo: Selina Kyle deve commettere un nuovo furto per sopravvivere e nel farlo "inciampa" in una serie di personaggi che vorranno aiutarla, ognuno per i propri scopi. Come in un buon film, Cooke mette in gioco vari soggetti in una vicenda ad ampio respiro che ci porterà da Gotham a Miami, da Las Vegas a New York.
Cooke fa emergere gli aspetti più interessanti di Selina Kyle, attraverso il racconto narrato da lei in prima persona, ma anche grazie alla galleria di personaggi di cui facciamo la conoscenza: da Swifty a Stark, passando per Chantel e Slam Bradley; ognuno è caratterizzato divinamente ed ognuno aggiunge la propria tessera in quel puzzle complesso che è Selina.
Tutto è giocato sul filo delle emozioni, dei ricordi, dei desideri dei protagonisti che sembrano arrivare a realizzare i loro obiettivi per poi vedere il tutto crollare sotto la dura e fredda realtà.
Darwyn Cooke, oltre ad essere un fine narratore, ci regala momenti assolutamente unici a livello grafico, con il suo stile a metà fra Kirby e i cartoon; ogni tavola è ricca di dettagli, ma assolutamente non barocchi. Tutto è finalizzato alla fluidità della narrazione: lo storytelling è perfetto, in un mood narrativo che trascina il lettore in un atmosfera da film anni '50.
A completare il tutto ci sono gli ottimi colori di Matt Hollingsworth che rende perfettamente le atmosfere di ogni momento di questo albo.
Emozioni, bei disegni, una storia che vi tiene incollati fino all'ultima pagina... cosa potete chiedere di più ad un fumetto per poterlo considerare un piccolo gioiello?

Danilo Guarino




IL CAVALIERE OSCURO COLPISCE ANCORA vol. 1-2-3 (Play Press, brossurati, 80 pagine a colori, € 9.00 cad.) Testi e disegni di Frank Miller, colori di Lynn Varley


Frank Miller è indissolubilmente legato a Batman.
Da quando negli anni ‘80 rivoluziona il modo di descrivere il personaggio, con capolavori del calibro de “Il ritorno del Cavaliere Oscuro” e “Batman: Anno Uno”, non c’è stato verso per alcun scrittore di svincolarsi dalla caratterizzazione gotica e sociopatica da lui impostata per l’eroe-pipistrello.
Nel 2001, dopo molte insistenze da parte dei fan, ma soprattutto grazie a un fortuito incontro con il supervisore delle Bat-testate, Bob Shreck, Miller realizza un seguito de Il ritorno: Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora (the Dark Knight Strikes Again).
Questa volta il risultato è ben più controverso e foriero di discussioni, che non nel passato.
Il Miller che leggiamo qua sopra è inevitabilmente un reduce dall’esperienza di Sin City, che ha modificato il suo modo di narrare in maniera radicale. Chiunque ricerchi in quest’opera una somiglianza o una qualunque filosofica attinenza con la precedente ne resterà deluso.
Frank qua è cinico, satirico, nichilista. Non gli interessa più la rivoluzione, non ha più voglia di dare speranze, o di far risorgere gli eroi dalle ceneri, l’unico scopo è distruggere.
Gli eroi stessi, a partire da Batman, sono immagini grottesche e bidimensionali di ciò che sono stati. Il loro utilizzo è vincolato solo alla trasposizione del disagio dello scrittore, e non riescono assolutamente a vivere al di fuori della narrazione. Le ambientazioni non sono più gotiche, ma psichedeliche al punto di stordire il lettore; questo, invero, per merito dei colori a dir poco sperimentali della signora Lynn Varley.
Quello che interessa ora allo scrittore, è esporre le aberrazioni e l’ipocrisia dei nostri tempi utilizzando gli eroi dell’universo DC come mezzo, e per questo DKSA risulta un’opera senz’altro più corale rispetto al precedente capitolo, coinvolgendo sostanzialmente tutti i membri storici della Justice League of America.
Superman è ancora una volta la vittima preferita di Miller. Il più potente degli eroi è qui contemporaneamente il più fragile quando viene minacciato negli affetti. Incapace di reagire, di prendere coscienza della propria invincibilità, egli è vittima spaventata delle macchinazioni dei suoi nemici di sempre: Braniac e Lex Luthor.
Essi posseggono, in maniera neanche troppo occulta, il potere politico negli U.S.A., una nazione narcotizzata dai mass media, caratterizzata da nude “veline” presentatrici di TG, animata da feroci scontri tra “opinionisti” da talk show (sinceramente patetica la figura di Jimmy Olsen) e guidata da un presidente-fantoccio, che è palesemente un pupazzo virtuale prodotto da un software di pessima qualità.
Superman, così come parte della JLA, è il braccio armato degli States. Il protettore del popolo, che nulla può fare però, per salvarlo concretamente dalla tirannia a cui è sottoposto.
Come al solito ci penseranno Batman, e un manipolo di “outsiders” da lui addestrati, a svegliare gli eroi e il mondo dal torpore a cui sono sottoposti. E come sempre Clark Kent sarà costretto dagli eventi ad ammettere la propria inferiorità al cospetto di Bruce Wayne.
In tutto questo il merito di Miller non risiede nella costruzione di una trama, tutto sommato scontata, o nella realizzazione di tavole memorabili (il tratto è anzi spesso scarno, essenziale), ma nel messaggio chiaro e potente che comunica al lettore: egli, cioè, riesce a mettere chiaramente a nudo l’ipocrisia di fondo che caratterizza i racconti di superuomini: nonostante siano ritratti come dei, sono impotenti di fronte alle ingiustizie del mondo. Sono di fatto asserviti al potere, e incapaci di fare realmente la differenza; non è un caso, ad esempio, che difficilmente si sia letto un racconto con Superman che risolva la questione mediorientale.

Fausto Ruffolo




IL RITORNO DEL CAVALIERE OSCURO (Play Press, cartonato, 228 pagine a colori, € 22.50; su I Classici del fumetto di Repubblica serie Oro n° 23) Testi di Frank Miller e disegni di Frank Miller e Klaus Janson


Nei primi anni ’80, il fumetto americano supereroistico subì dei grossi cambiamenti causati da diversi fattori: uno di essi fu sicuramente la scoperta del fumetto europeo, anche grazie all’invasione di autori britannici come Alan Moore e soci, un altro è rintracciabile nella voglia del pubblico di situazioni più forti e realistiche. Questi cambiamenti vennero “ufficializzati” a cavallo tra il 1985 e il 1986 con due opere di induscutibile valore artistico, oltre che storico, il Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller (con l’indispensabile aiuto di Klaus Janson alle rifiniture e di Lynn Varley ai colori). Dopo essere stato lanciato dalla Marvel, Miller passò infatti alla DC per rilanciare il personaggio di Batman. Quello che fece però andò oltre gli schemi consolidati, come già in parte aveva fatto con il personaggio di Devil alla Casa delle Idee. In una maniera decisamente molto atipica infatti… distrusse il mito dell’Uomo Pipistrello! Proiettando in uno sporco futuro il Cavaliere Oscuro (finalmente ritornato alle origini, cioè al personaggio di Bob Kane e Bill Finger), attraverso l’alter ego di Bruce Wayne, Miller ha dato vita a un’operazione di decostruzione del ruolo del supereroe classico. Da allora e per molti anni a venire, Miller ha trasformato l’eroe in un vigilante dai metodi duri e decisi e lo ha discrostato da quell’aura di invincibilità e nobiltà che lo aveva sempre rivestito. Carica di un forte simbolismo (alcuni giochi narrativi sono diventati poi dei luoghi narrativi dell’universo di Batman, come le perle della madre di Bruce per rappresentare l’omicidio dei genitori) questa miniserie ruppe molti schemi, non solo narrativi ma anche grafici. A partire dalle prime magnifiche pagine, in cui la griglia delle tavole entra a far parte della storia, proiettandosi come un’ombra sui personaggi per poi venire letteralmente distrutta dall’improvvisa intrusione di un pipistrello. Per questo e per altri motivi Il Ritorno del Cavaliere Oscuro è stata osannata da più parti. È un opera dunque imprescindibile per chiunque (anche per chi di solito non apprezza i temi supereroistici, sebbene possa sembrare un luogo comune) e da leggere, sebbene le varie edizioni della Play Press (compresa quella più recente) non siano propriamente all’altezza di questo capolavoro del fumetto, a causa di errori e imprecisioni in fase di editing.

Andrea Antonazzo




JUSTICE LEAGUE OF AMERICA: IL CHIODO in Play Magazine 33/35 (Play Press, spillati, 72 pagine a colori, € 1.96 cad.) di Alan Davis e Mark Farmer


In un DC universe alternativo a quello che conosciamo, Lex Luthor è diventato sindaco di Metropolis. La Justice League è in disgrazia: dopo i fasti della Justice Society, che riuscì a conquistarsi il favore degli americani e del mondo grazie all’eroico contributo prestato nel corso della Seconda Guerra Mondiale, gli attuali metaumani sono guardati con diffidenza e sospetto. Hawkman è morto combattendo contro l’androide Amazo, che ha anche ridotto Green Arrow ad uno storpio. Batman è sempre più cupo e isolato, e Aquaman sta per voltare le spalle al mondo della terraferma, il tutto mentre una misteriosa cospirazione trama nell’ombra contro gli eroi. E Superman? Superman non esiste: nel mondo immaginato da Davis, un chiodo ha forato le gomme della macchina dei Kent proprio nel fatale giorno in cui il razzo con Kal-El atterrò sul nostro pianeta: il piccolo kryptoniano non è mai diventato l’eroe più rappresentativo ed iconico del mondo.
Il Chiodo, che nostalgia. Riparlarne a un decennio di distanza quasi mi commuove: fu uno dei primissimi titoli incentrati su un supergruppo (e non su un singolo personaggio) che lessi in vita mia, e sicuramente molto del mio interesse per il DC universe è stato stimolato da storie come questa, che attingono praticamente a tutte le ere creative del mondo di Superman e c.: un albo letteralmente STRAPIENO di citazioni, camei di personaggi noti ed ignoti, riferimenti, rimandi e in-jokes. Certo, all’epoca, di questi elementi, non sapevo proprio nulla, dunque è quasi naturale che esercitassero su di me un fascino così immediato. E in effetti c’è da chiedersi: che cosa è rimasto de Il chiodo dopo tutti questi anni?
Sgombriamo il campo dai dubbi e diciamo subito che, dal punto di vista puramente visivo, Il chiodo è un autentico capolavoro. Davis è sempre stato un grande disegnatore, ma questa è sicuramente una delle sue opere più riuscite ed affascinanti: epico, espressivo, con disegni pieni di forza e contemporaneamente morbidi, non sgraziati. Il tutto reso con uno storytelling semplicemente perfetto: una di quelle storie che potrebbe insegnare parecchie cose anche a disegnatori moderni,più giovani di Davis, che a lui si sono ispirati per il tratto, ma senza riuscire a replicarne la meticolosa padronanza. E la storia? Purtroppo, se graficamente Il chiodo è a livelli sublimi, la sceneggiatura mostra i suoi anni. Molte trovate che all’epoca mi erano sembrate quasi rivoluzionarie, come l’uso che viene fatto del personaggio del Joker, sono state molto ridimensionate dal passare del tempo: la distopia che Davis fu costretto ad ambientare in un mondo alternativo –per forza di cose, visto che l’universo regolare era considerato “intoccabile”- è stata ampiamente superata in pessimismo e capacità di osare da altre storie, assai più estreme, che si sono succedute da quando Davis scrisse Il chiodo, in linea con l’evoluzione del modo di concepire gli eroi dagli anni ’90 ad oggi (senza contare opere ancora più radicali, come Watchmen, uscite prima della "storia immaginaria" di Davis e alle quali l'autore de Il chiodo si è sicuramente ispirato). Un decennio fa deve essere sembrata una mezza rivoluzione rendere Luthor sindaco di Metropolis; ma se si pensa che nel DC universe regolare è diventato addirittura Presidente degli Stati Uniti…
Al di là di questo, comunque, il vero problema de Il chiodo, presente anche quando venne pubblicato per la prima volta, è che Davis non riesce a sviluppare pienamente i presupposti della sua “storia immaginaria”. L’idea di un universo supereroistico di cui viene a mancare il rappresentante più nobile, con tutta una serie di conseguenze negative sulla comunità degli eroi, eticamente abbandonati a se stessi e privi di un vero faro che dia loro una direzione morale, è davvero interessante e ricca di spunti; ma al tempo stesso non viene resa da Davis in maniera convincente, né l’autore riesce a sviluppare degnamente la sua trovata. La maggior parte delle azioni distruttive o drammatiche che compiono o subiscono gli eroi, più che all’assenza di Superman, è dovuta a una “normale” cospirazione ai loro danni, che avrebbe potuto tranquillamente avere luogo anche nel DC universe “regolare”: inoltre, la suspence che Davis riesce abilmente a costruire per due albi cade miseramente nel finale, con lo smascheramento –davvero sottotono- del misterioso burattinaio, il quale per di più viene sconfitto con uno stratagemma che, oltre a generare un clamoroso anticlimax, tradisce anche molti dei presupposti di fondo della miniserie.
Certo, messa così sembrerebbe che Il chiodo sia una schifezza, ma non è vero: le caratterizzazioni sono tutte buone, talvolta ottime, i dialoghi riusciti e la storia possiede ancora un suo fascino che le ha permesso di sopravvivere, in parte, agli anni. È sicuramente un prodotto godibile (soprattutto grazie ai disegni), e ampiamente al di sopra della media degli Elseworlds - la collana DC destinata alle “storie immaginarie”, generalmente piuttosto mediocri - ma ciò non toglie che, ora come ora, appaia come una tipica avventura anni ’90, fortemente influenzata nelle atmosfere da storie come Watchmen e Il ritorno del cavaliere oscuro, ma anche dalle opere dei numerosi (e narrativamente scarsi) epigoni di Miller e Moore, come Morte in famiglia (la storia della morte del secondo Robin, esplicitamente citata da Davis).
Qualche anno fa uscì per la DC, a firma di John Arcudi (testi) e Tom Mandrake (disegni) una miniserie elseworlds intitolata JLA: Destiny, basata su un presupposto molto simile a quello de Il chiodo: ossia, un mondo in cui non esistono né Batman né Superman. Benché Destiny sia generalmente un lavoro poco apprezzato (i più la liquidano, sottovalutandola, come un mediocre clone dell’elseworlds di Davis), tuttavia è assai più riuscita nel rendere le atmosfere lugubri e disperate di un universo supereroistico diretto verso la rovina, ed è impreziosita da un finale cupissimo che lascia assai poco spazio alla speranza. Ecco, se Davis, anziché riempire le pagine di citazioni filologiche del DC universe, fosse riuscito a sviluppare fino alla fine le idee di fondo della sua distopia, oggi Il chiodo potrebbe essere annoverata fra i migliori elseworlds di sempre, e una pietra miliare del genere supereroistico: invece, non è niente di più che una storia apprezzabile.

Davide Giurlando




SUPERMAN: CHE COSA E' SUCCESSO ALL'UOMO DEL DOMANI? (su I Classici del fumetto di Repubblica I serie n° 14) Testi di Alan Moore, disegni di Curt Swan e George Pérez


“Era come camminare tra i rottami di una leggenda”

E’ questa la frase che più caratterizza il lavoro fatto da Moore su Superman, in una storia che fu allo stesso tempo un tributo e un atto d'amore per la figura dell'uomo d'acciaio Golden Age.
Nato per essere un personaggio privo di ambiguità morali, il Superman classico raramente ha affrontato criminali assolutamente spietati o situazioni che lo potessero condurre oltre quel comandamento generalmente associato agli eroi positivi : non uccidere.
Ma cosa accade se il mondo cambia, se i criminali diventano davvero spietati e non semplici macchiette tutti trappole mortali, rapine in banca e raggi della morte ?
Nessuno dei nemici storici dell'ultimo figlio di Krypton sfugge al cambio di prospettiva e davanti all'autentica ferocia dell'essere umano Superman cede, crolla… è costretto a fuggire incapace di affrontare eventi che ancora non comprende ma che lo stanno portando oltre un confine che non deve superare.
I rapporti mai conclusi, le amicizie e le mancanze vengono tutte risolte nel corso di una terribile notte all'interno della fortezza della solitudine, dove tutto ciò che i protagonisti possono fare è aspettare la prossima fase di un assedio terribile e dove “il lupo fuori dalla porta” ha il volto e la voce dei peggiori nemici dell'eroe che deve proteggerli.
Mai prima della storia di Moore si era visto un Superman così impotente davanti agli eventi e così tormentato.
La grandezza di questa storia è soprattutto nella centralità che viene data ai rapporti umani e alla sfera emotiva e morale del personaggio di Siegel e Shuster.
I vari personaggi dell'universo di Superman abbandonano il loro ruolo di “spalle” e comprimari, e diventano artefici del proprio destino, capaci di prendere decisioni e di agire per il bene di chi amano e di chi li ha sempre protetti affrontando le conseguenze dei loro gesti con il coraggio nato da anni di avventure e battaglie fianco a fianco con Kal-El.
La scoperta del misterioso artefice della caduta dell'eroe è una piccola gemma e serve a rendere ancora più concreto e, forse, più terribile il senso di perdita dell'innocenza che permea le pagine di questo racconto.
“Credeva che il mondo non potesse andare avanti senza di lui”.
Forse è così… ma forse no, e il destino della terra è ancora nelle mani capaci di trasformare in diamante un pezzo di carbone.

Carmine Console




SUPERMAN: PER L'UOMO CHE AVEVA TUTTO... (su I Classici del fumetto di Repubblica I serie n° 14) Testi di Alan Moore, disegni di Dave Gibbons


Apparsa per la prima volta nel 1985 in occasione dell’undicesimo Annual di Superman, questa storia pre-Crisis è a ragione ritenuta una delle più significative mai scritte in onore dell’Uomo d’Acciaio.
E il motivo è presto detto. Gli autori di questo piccolo gioiello sono infatti Alan Moore e Dave Gibbons, coppia che solamente un anno dopo avrebbe dato alla luce Watchmen. La storia che sta alla base di Per l’uomo che ha tutto... è naturalmente solo un pretesto utilizzato da Moore per scavare a fondo nella psicologia del personaggio-icona: Wonder Woman, Batman e Robin (Jason Todd) si recano presso la Fortezza della Solitudine per festeggiare il compleanno di Superman (che, ironicamente, cade il 29 Febbraio). Con loro grande stupore, trovano l’amico in uno stato catatonico causato da una pianta aliena simbiotica inviatagli a tradimento da Mongul, abietto e perverso despota galattico apparso fino a quel momento solo in una manciata di avventure. Caratteristica delle pianta è quella di nutrirsi della bio-aurea della propria vittima, facendogli vivere in cambio il più grande e recondito sogno della loro esistenza.
Inutile dire che Moore approfitta della situazione, catapultando Kal-El in un mondo immaginario, dove Krypton non si è mai disintegrato, e dove la sua vita dovrebbe scorrere lieta sul pianeta natìo tra facezie familiari e un lavoro tranquillo. Diciamo dovrebbe, perchè in realtà Krypton non è più quel luogo quasi perfetto e imperturbabile che i lettori avevano conosciuto fino a quel momento. Dopo venti anni dalla mancata profezia di un amareggiato e incattivito Jor-El, malamente estromesso dal Consiglio della Scienza, il pianeta è ormai travolto dai tanti assilli che Moore mutua dal mondo che lo circonda: abuso delle droghe, problemi razziali, conflitti generazionali e scontri religiosi (temi, purtroppo, ancora tristemente attuali).
Tutto questo permette a Moore di dissezionare a fondo il mito e la psicologia “supermaniana”, mettendone in luce tutti i conflitti interiori e il perenne equilibrio forzato tra quello che è e quello che sarebbe potuto essere. Con la solita maestria, Moore riesce ad alternare momenti assolutamente intensi e drammatici (memorabile la sequenza in cui Kal-El è costretto a separarsi dal figlio immaginario) ad altri più riflessivi e leggeri che ben stemperano la disperazione e il dolore dell’Uomo d’Acciaio. Da notare anche come sia ben delineato il tema dell’amicizia, dove l’abnegazione e la volontà dei tre compari impegnati nel tentativo di salvare Superman sono assolutamente prorompenti.
A tanto materiale narrativo, fanno da degna cornice le splendide matite di un Dave Gibbons in piena maturità artistica, la cui assoluta maestria nell’interpretare visivamente il dramma interiore di Kar-El è qui evidente. Letteralmente da brividi la sequenza del combattimento finale tra Superman e Mongul, con una costruzione a pannelli alternati che mostrano con tutta la loro forza la rabbia e il dolore del nostro eroe nei confronti del tiranno che ha saputo opprimerlo fin nel profondo dell’anima.
In conclusione, una storia che ha fatto epoca e che non deve sicuramente mancare nella biblioteca di ogni fan dell’Azzurrone, e che per ovvi motivi è anche consigliata a chi desidera recuperare gli indimenticabili esordi americani dell’eccentrico bardo inglese.

Alessandro Maio






Carlo Del Grande
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