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David Lloyd: Kickback

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Intervista a cura di Fabio Maglione.

Come e quando è nata l’idea di Kickback?

Kickback nasce con l’idea di un uomo su un corridoio assiale all’interno di un pallone aerostatico. Lui sta camminando in una direzione, ma il mezzo va dalla parte opposta. In pratica, un uomo che crede di essere nel giusto, ma non lo è.
Ho scritto la sceneggiatura nel 1999 durante uno di quei rari periodi in cui non mi trovavo a lavorare su testi di altri scrittori. Questi periodi sono pochi e distanti l’uno dall’altro, quando hai la fortuna di essere un disegnatore popolare in questo campo. Sfortunatamente, non mi è stato possibile proporre ad un editore quello che avevo scritto fino al 2003, quando finalmente ho avuto a disposizione del tempo libero per terminare il lavoro.
L’idea iniziale mi era venuta semplicemente dall’immagine che ho menzionato. Avevo visto un documentario in televisione sui velivoli; si parlava di una cosa chiamata “corridoio assiale”. Si tratta della piattaforma centrale di un pallone aerostatico usata per la sua manutenzione. Mi venne in mente che, se ti trovi in un posto così, non hai la possibilità di vedere in che direzione stai andando, o se si tratti di quella giusta. Anche in un aereo a 10.000 piedi di altezza, senza la possibilità di vedere fuori dal finestrino, non sai se stai andando avanti o indietro. Così avevo questa immagine di qualcuno che viene trasportato da qualche parte da qualcosa, ed è perso dentro di esso senza sapere nulla. È una metafora della situazione di Joe Canelli, il detective corrotto di Kickback. Inoltre ho sempre avuto la voglia di creare un graphic novel che somigliasse nello stile e nelle atmosfere a tutti quei film noir che amo.

Com’è stato scrivere personalmente una sceneggiatura, dopo aver lavorato per tutta la carriera solo al lato grafico dei fumetti?

Bello! In precedenza avevo avuto la possibilità di lavorare solo a short stories, che è piacevole, ma è come farsi uno spuntino invece di banchettare. Non mi è mancato lavorare con uno scrittore. La libertà di dire esattamente quello che vuoi nei tuoi disegni, la completa espressione di sé, sono senza prezzo per chiunque abbia la voglia e la capacità di usarle.

Il libro è stato pubblicato per la prima volta per il mercato francese, dalla Carabas Editions, in due grandi volumi cartonati. Si tratta di una scelta insolita per un autore inglese che, di solito, punta al mercato statunitense.

Quando iniziai a scriverlo, il mercato dei fumetti noir non era molto forte in USA. C’era Sin City, Stray Bullets era quasi ignorato, e poi poco altro. Da sempre desideravo fare un lavoro per il mercato europeo, e le storie noir erano tra le più apprezzate nel mercato francese, così pensai di provare prima in Francia, per poi venderlo altrove. E così ho fatto.

Come hai impostato il lavoro? Hai lavorato alla Marvel Way, iniziando con un semplice canovaccio e scrivendo la storia mentre disegnavi le pagine, o hai finito la sceneggiatura prima di metterti al tavolo da disegno?

La prima stesura è stata una sceneggiatura completa, ma molto essenziale, poiché non sapevo quando il telefono avrebbe suonato di nuovo, e volevo fare il più possibile nel mio tempo libero e terminare la storia. Ma solo con gli schizzi preparatori la storia ha raggiunto la sua completezza. Inoltre, molte volte ho fatto dei cambiamenti in corso, dato che la libertà del completo controllo su quello che fai ti permette di sfruttare a tuo vantaggio le idee del momento. È un po’ come pitturare un quadro: inizi con un’idea base, ma ti riservi la possibilità di alterare la prospettiva se ti rendi conto che verrebbe meglio in un altro modo.

Ti sei interessato personalmente agli aspetti della colorazione e del lettering? Se sì, che tipo di strumenti hai usato?

Il lettering nell’edizione inglese era fatto con una font creata da me. Si può comprarla da Comicraft, si chiama Kickback! Volevo farlo da me, ma non feci in tempo. La font usata nelle varie edizione straniere, compresa quella italiana, è stata scelta dagli editori. Anche la colorazione è stata mia. È stata fatta usando matite colorate su copie in b/n delle tavole originali in b/n. Le copie sono state scansionate con Photoshop e modificate per produrre le pagine finite.

Parlando della storia: uno dei personaggi centrali è senza dubbio il nonno del protagonista. Nel crearlo, hai usato elementi autobiografici o è un personaggio completamente inventato?

È un mix di personaggi che ho visto e sentito. Sono felice che tu abbia apprezzato il personaggio. Non ho mai avuto un nonno. Entrambi erano da tempo scomparsi prima che potessi conoscerli. La relazione fra un nonno e un nipote è molto interessante. I nonni si possono permettere di essere più severi o più tolleranti con i loro nipoti di quanto possano esserlo i padri.

Il registro narrativo che usi per raccontare la storia è un misto fra il noir classico e il thriller psicologico. Dato che non ti eri mai misurato con questi generi, la domanda sorge spontanea: perché il noir? E quali sono le influenze letterarie e cinematografiche che ti hanno portato a creare quelle atmosfere nella storia?

Ho parlato di queste influenze sul mio sito web, ma ne manca una che dovrebbe essere la prima: Alfred Hitchcock. Sono un grande fan del suo cinema. I suoi thriller si basavano su storie comuni avvolte da un alone criminale. Gli elementi essenziali erano le persone coinvolte, non le sparatorie, gli incidenti stradali o le esplosioni. Lo spettacolo del crimine faceva da sfondo all’interazione fra i personaggi. Sono da sempre un fan di questo genere di storie, per questo ho concepito Kickback in quel modo.

Le varie scene che compongono la storia sono intervallate da frammenti onirici. Si tratta di una scelta fatta per incrementare l’impatto drammatico degli eventi o per instillare nel lettore dei dubbi sulla figura ambigua del protagonista?

In un certo modo è casuale, perché, come ho detto poco fa, l’immagine del “corridoio assiale” è la chiave di tutto. Sembrava logico usarla come un’immagine onirica e la chiave dei turbamenti interiori di Joe. Si sviluppa e cambia mentre lo fa anche Joe. E ci porta nella sua testa. Un’ottima maniera per attirare l’interesse e la simpatia verso un personaggio sotto pressione. Come ha fatto Hitchcock.

Facciamo un passo indietro. La tua carriera inizia, come spesso capita agli autori inglesi, sulle pagine di Doctor Who Magazine e con alcuni lavori per la Marvel UK, con Steve Parkhouse, Jamie Delano e Alan Moore. Cosa ricordi di quelle esperienze e quanto, ad oggi, si sono rivelate utili alla tua crescita artistica?

Beh, ho lavorato con alcuni buoni autori che sapevano fare il proprio lavoro e pure bene. Mi dispiace, ma non ho storie illuminanti da raccontare su tutti. Potrei parlarti di come ho lavorato con ognuno di loro, ma ci vorrebbe troppo tempo. Posso dire che ho sempre dato il massimo per dar vita alle loro storie, e, per la maggior parte, penso di esserci riuscito.

Successivamente, hai avuto l’opportunità di lavorare con alcuni dei più grandi autori inglesi di comics, come Jamie Delano su The Horrorist e sulla miniserie The Territory. Che tipo di tecniche hai usato su questi lavori e che tipo di sceneggiatura Delano ti ha dato?

Tutto quello che ho fatto con Jamie era nella Marvel Way, ossia ho fatto gli schizzi pagina per pagina, dai quali poi lo scrittore tirava fuori la sceneggiatura finale. Ho sempre pensato che questo modo di lavorare (nato durante i primi anni della Marvel dal bisogno degli artisti di lavorare a qualcosa invece di stare seduti ad aspettare la sceneggiatura completa) dia all’artista più opportunità di liberare la propria ispirazione visiva. Una volta ho suggerito a Garth Ennis di lavorare a qualcosa insieme in questo modo, ma lui ha reagito urlando, sconvolto dall’idea! Uno scrittore sacrifica molto del suo controllo se lavora nella Marvel Way, ed alcuni scrittori non lo accettano di buon grado. The Territory e Night Raven sono state create da me e Jamie fin dalle basi, mentre Horrorist era una storia ideata totalmente da Jamie.

Un altro famoso autore con cui hai lavorato è stato Grant Morrison, in una disturbante storia in due parti su Hellblazer. Come ti sei trovato a lavorare con lui? Il suo stile ermetico ha richiesto uno sforzo nell’interpretazione della pagina?

La sceneggiatura di Grant era molto semplice e non ebbi problemi. Non so cosa tu intenda con ermetico. Non notai quella qualità nella sua sceneggiatura. Sperimentai molto in quelle pagine. Lavorai direttamente sulla tavola finita solo con i pennelli. Penso di avergli dato una strana, folle energia, adatta alla storia.

Altro fumetto, altro scrittore. Per la Vertigo hai disegnato un altro numero di Hellblazer, intitolato “The Diary of Danny Drake”, e, anni dopo, due one-shot di War Story, sempre con Garth Ennis. Cosa ricordi di quelle collaborazioni? C’erano delle differenze nel lavorare con le sue sceneggiature?

Come ho detto, Garth non è un fan della Marvel Way. Lui fa sceneggiature complete, dando grande importanza ai personaggi e al dialogo. Ho adorato lavorare con lui, ma le sue Storie di Guerra erano molto impegnative per tutto il lavoro di ricerca delle fonti che dovetti fare. Lavorai su una storia ambientata a bordo di un Destroyer e a una su un bombardiere Lancaster. Erano storie realistiche e serie, e dovevano essere disegnate con accuratezza. Il risultato furono dei gran bei disegni di cui sono fiero, ma di cui non ho un ricordo felice. Kickback nasce proprio dopo la realizzazione di queste storie e dalla voglia di avere quel piacere puro e semplice di disegnare per sé in piena libertà creativa.

Non posso esimermi dal farti una domanda su V for Vendetta. Hai qualche aneddoto da raccontarci sulla lavorazione del film e sulla turbolenta realizzazione del fumetto?

Non ci furono problemi durante la creazione del fumetto. Fu realizzato senza intoppi, ad eccezione dei due anni in cui rimase incompleto per la chiusura della rivista su cui era pubblicato. E non sono stato coinvolto nella realizzazione del film, quindi non ho storie a riguardo. Posso dire solo una cosa: rimasi stupito dalla reazione di Alan alla sceneggiatura del film, soprattutto riguardo una cosa che lui ha odiato, ossia una particolare descrizione di una colazione. C’è un momento, in V, in cui Gordon porta Evey a mangiare un uovo alla cock. Nella sceneggiatura del film, questo è sostituito con qualcosa di maggiormente riconoscibile per il pubblico americano: un uovo chiamato “eggie in the basket”, una specie di uovo in carrozza. Questo è un uovo fritto messo su una fetta di pane fritto, con un buco nel mezzo per tenere fermo l’uovo. Quindi, questa aggiunta alla sceneggiatura non era grave. Infatti, io mi immagino la gente in Inghilterra che all’uscita dal cinema dice: “Hmm, sembrava buono, me lo preparo domani mattina…”. Per Alan, tuttavia, questa era una inutile ed irritante “americanizzazione”.
Comunque… nel primo giorno in cui mi trovavo a San Diego per la convention del 2005, dopo un weekend di promozione del film di V, andai a fare colazione da Hyatt. E cosa vedo nel menu? “Breakfast in the Basket”. In onore di Alan, ho pensato di mangiarlo. La cameriera viene a prendere l’ordinazione e mi chiede come voglio le mie uova. “Sunny side up”, rispondo. Se ne va e inizio ad avere l’acquolina in bocca all’idea di mangiare del pane fritto con delle uova fritte al centro. Proprio quello di cui avevo bisogno, vista la giornata che mi aspettava.
Dopo un po’ arriva la colazione. Nascondo la mia sorpresa e delusione. Le uova fritte sono impossibili da mangiare in un sandwich senza lasciarne la metà sul piatto, o sul fondo del “basket”. Un’amara delusione. Il giorno dopo ho ordinato bacon e uova.

Sei stato molte volte in Italia, durante la passata Napoli Comicon ed il recente Kickback Tour. Come hai trovato la scena fumettistica italiana? Cosa hai apprezzato di più e di meno di queste esperienze?

Avete grandi artisti e grandi fumetti, così sono sorpreso del fatto che non abbiate un grande mercato per i prodotti nazionali. Visto che Italia, Spagna e Portogallo sono molto all’avanguardia, al pari della Francia, riguardo l’arte in generale, pensavo che i loro mercati fossero simili anche per i fumetti. Ma l’Italia è comunque più in salute dell’Inghilterra. Dylan Dog vende molto, ad esempio. Ed avete ancora Diabolik. Molto bello, un fumetto davvero interessante, peccato che non lo abbiano ancora pubblicato in Inghilterra, così non mi posso annoverare fra i veri fan. Ho anche comprato un orologio di Diabolik alla fiera di Napoli.

Concludo chiedendoti notizie sui tuoi progetti presenti e futuri: attualmente stai lavorando a qualcosa?

Beh, sto lavorando ad una storia di 6 pagine per un’antologia francese di storie per bambini che sono stati separati dai loro genitori durante la guerra. Sono opere biografiche, per lo più. Si intitola Words of Stars. Farò un paio di short stories dopo questa, e poi un graphic novel il prossimo anno.

www.lforlloyd.com


Fabio Maglione
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