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Intervista ad Alex Crippa

Intervista a cura di Stefano Perullo.

dp_36_250Ciao Alex, benvenuto su Comicus! A primo acchito si potrebbe dire di te che sei uno dei nomi nuovi del fumetto italiano… uno dei tanti giovani autori che hanno iniziato a “sciacquare i panni nella Senna” per poi approdare sul mercato nostrano con prodotti di enorme interesse… Leggendo il tuo curriculum, invece, si scopre che hai un percorso professionale fatto di tanta gavetta, a dimostrazione del fatto che il lavoro premia… Ma prima di entrare nel vivo della nostra chiacchierata, che ne diresti di presentarti ai nostri lettori?

Ciao lettori! Sono Alex e faccio lo sceneggiatore di fumetti da una decina d’anni, professione che in passato ho alternato ad altre: ho aperto “Bloodbuster”, videoteca horror di Milano ormai diventata di culto, sceneggiato videogames per la Kinder Ferrero, fatto il commesso al Decathlon e altri lavori innominabili… Da qualche anno invece faccio il fumettista a tempo pieno, pubblicando volumi per vari editori francesi: la trilogia horror 100Anime (Delcourt), la serie polar Nero (Casterman), il one-shot COMEunCANE (KSTR), la serie giallo-cristiana Le Missionnaire (Bamboo Editions). Altri sono in lavorazione e usciranno l’anno prossimo. In Italia sono tutti pubblicati, o in via di pubblicazione, da Edizioni BD. Per le Edizioni Scuola del Fumetto di Milano ho appena pubblicato un fumetto didattico per ragazzi, Detective Primo. Periodicamente tengo dei corsi di sceneggiatura in scuole statali o in occasione di eventi legati al fumetto. E, periodicamente, sceneggio anche cartoons.

Come dicevo, prima di lavorare su un progetto di enorme rilievo come 100Anime, hai fatto tantissima gavetta. Per uno scrittore quanto è importante cimentarsi nelle più varie e disparate forme di scrittura?

Importantissimo. È come prepararsi per una gara di ciclismo: più l’allenamento è vario, più possibilità hai di affrontare con successo pianure, salite, discese, qualunque tipo di percorso. Insomma, come si dice “Hai voluto la bicicletta? Pedala!” si dice anche “Vuoi fare lo sceneggiatore? Scrivi!”

Accidenti! Se parli di ciclismo la domanda sorge spontanea… Quale ciclista preferisci tra Bartali e Coppi? E in ogni caso come, paragonandola a questi due fuoriclasse della pedalata, senti che la tua scrittura possa essere potente e sanguigna come Bartali o raffinata e sofisticata come Coppi?

Beh, Coppi! Al di là delle prestazioni fisiche al limite del soprannaturale, la sua vita è stata un’autentica leggenda, da romanzo: basti pensare alla sua ingloriosa morte prematura per malaria dopo la sua ultima battuta di caccia in Africa (un errore dei medici italiani che non hanno riconosciuto subito il virus) o alla sua storia “segreta” con la Dama Bianca, che è stato il primo gossip sportivo nel giornalismo italiano, dp_05_250in un periodo in cui il ciclismo era lo sport nazionale. Ora si parla di vallette minorenni e calciatori cocainomani… ridateci la Dama Bianca!
Riguardo la mia scrittura, che dire… Da ciclista amatore fissato con le salite, mi sono sempre metaforicamente figurato questa professione come un mix di grande sbattimento e fatica all’inizio per ottenere i contratti (la salita) e poi di euforica adrenalina quando effettivamente inizi a sceneggiare la storia che vedrai pubblicata (la discesa)… Quindi vince ancora Coppi, il più grande scalatore della storia del ciclismo!

C’è una cosa che mi ha colpito: per un paio di anni hai lavorato come sceneggiatore alla Ediperiodici, casa editrice famosa per la produzione di “pornazzi”… Capisco che la mia domanda potrà sembrare tendenziosa, ma credimi sono animato da sincera curiosità… Come si scrive per questo genere di fumetti? C’è un pubblico di riferimento? Indicazioni dell’editore? Come si lavora alle trame?

Ti ringrazio della domanda, ci tengo molto al mio passato a luci rosse… In realtà alla Ediperiodici mi toccava fare di tutto: supervisore, articolista, facchino, stura-cesso… e sì, a volte anche “sceneggiatore” di pornazzi. Ho messo le virgolette perché spesso si trattava in realtà di riadattare/riscrivere storie già edite in passato, riciclando più tavole possibili (un saluto al mio ex-boss, tanto non mi leggerà mai!). In sostanza, quello che serve per scrivere una buona sceneggiatura per un fumetto porno è: un’unica situazione semplice e chiara per trama; un doppio senso in ogni dialogo prima del sesso, senso esplicito durante il sesso; 10% di scene senza sesso, 90% con sesso; non impazzire a inventarsi pose o feticismi assurdi perché alla fine, come diceva il mio ex-boss, “se non mi diventa duro, non funziona”.

Beh… perdonami se indugio un po’ su questo aspetto della tua carriera, ma ti confesso che nutro moltissima curiosità. Ho sempre avuto un enorme interesse per gli articoli e i dialoghi dei fumetti Ediperiodici che mi è capitato di leggere… Articoli geniali per non-sense e totale mancanza di doppio senso. In che clima si scrivono quei pezzi e quei dialoghi? Che tipo di concentrazione, di preparazione serve per raggiungere un pubblico così eterogeneo, al tempo stesso distratto ma esigente, come quello dei “pornazzi”?

E un’intervista direttamente a Cavedon della Ediperiodici? Così ti procura tutte le annate di “Corna Vissute” che vuoi! …… Ecco, questo tipo di battuta sarebbe fin troppo intellettuale per quelle pubblicazioni. Non lo dico con disprezzo, ma con ragionata professionalità. Mi chiedi che tipo di concentrazione serva? Io ci ho lavorato troppo poco per averne fatto un metodo e come ti dicevo avevo varie altre mansioni… Posso dirti solo questo: l’unica esigenza di quel tipo di pubblico è farsi le seghe, quindi fondamentalmente guardano le figure e non leggono i testi… e meno testo c’è, meglio è! Sarebbe comunque bello fare un esperimento socio/culturale e riempire tutti i balloon di un “Vizi Privati” qualsiasi con parole a caso o brani tratti da Leopardi per vedere se qualcuno nota la differenza…

Poco fa accennavo a 100Anime. Com’è nato questo progetto? È stato studiato appositamente per il mercato francese?

No, all’inizio fu pensato come fumetto interattivo per il portale del Corriere della Sera, che già pubblicava on-line Armadel, di cui io ero sceneggiatore. Poi però mi ritrovai coinvolto nello “studio Settemondi”, un gruppo di disegnatori e sceneggiatori capitanati da Giovanni Guardoni, che decise di prendere d’assedio il celebre Festival di Angoulême nel 2003 per proporre svariati progetti a svariati editori francesi. Così io e Alfio Buscaglia (mio disegnatore storico) decidemmo di cambiare formato e stile di 100Anime che, da horror goliardico scandito in brevi episodi da una ventina di tavole, divenne un thriller soprannaturale d’atmosfera e dai contenuti un po’ più profondi (ma non troppo!), diviso in tre volumi cartonati da 46 tavole in formato 4 strisce. Secondo noi ci ha guadagnato…

Parlami della Francia… Per molti autori italiani la Francia è considerata la terra promessa del fumetto. L’unica nazione nella un autore emergente ha, almeno in apparenza, la possibilità di emergere e di affermarsi. È una leggenda metropolitana o emergere in Francia è davvero più facile?

Sarò sincero: diventa sempre più una leggenda. Parere personale e frutto della mia esperienza, quindi assolutamente opinabile e di parte. Più che emergere, c’è la possibilità concreta di pubblicare ed essere pagati dignitosamente per una proposta tua (storia e personaggi tuoi, e non una serie già avviata su cui non hai diritti). Questa è la fondamentale differenza con l’Italia, dove o pubblichi per Bonelli e Disney o ti auto-produci. Emergere&Affermarsi… Beh, quello è tutto un altro discorso: io ho appena firmato il mio decimo contratto con la Francia in 4 anni, significa che l’anno prossimo avrò pubblicato 10 volumi cartonati di varie serie con vari disegnatori. Un successo, da un lato, ma dall’altro non significa nulla: finché non sfondi anche solo con un titolo, cioè non superi almeno le 20.000 copie vendute, non sei nessuno, non sei un nome, ti perdi nel marasma della sovrapproduzione che ora più che mai sta diventando un problema serio. Io non riesco a schiodarmi dalle mie 5-6.000 copie di vendita quindi, in sostanza, ogni volta che propongo un progetto nuovo a un editore devo ricominciare tutto da capo come se fossi un esordiente e convincere a pubblicarmi ESCLUSIVAMENTE per la qualità della storia e dei disegni. Cosa che teoricamente è buona e giusta, ma non basta perché è sempre più difficile pubblicare anche con una certa gavetta. Non impossibile ma difficile, ok? Poi come si fa a sfondare le 20.000 copie e farsi un nome, non lo so ancora… Qualità? Serie giusta al momento giusto? Attaccarsi a uno sceneggiatore/disegnatore già noto? Prendere la cittadinanza francese? Chiedimelo fra 5 anni, forse saprò risponderti!

cuc_cover_250Hai in dirittura d’arrivo due libri secondo me di enorme importanza. Cominciamo a parlare di Come Un Cane, realizzato in coppia con Alberto Ponticelli. Mi racconti la genesi di questo progetto?

Tengo molto a questo progetto, primo perché dopo tot volumi seriali in formato francese mi sono cimentato in un one-shot formato comic-book da 120 tavole (l’editore è sempre un francese, KSTR, ma è l’ala “estremista” di Casterman), secondo perché finalmente sono riuscito a lavorare con Ponticelli, il mio kickboxer preferito. Ex-campione di arti marziali, ancora praticante alle soglie dei 40 anni, 29 ossa rotte e innumerevoli distorsioni, non potevo assoldare Alberto Ponticelli se non proponendogli una storia nel mondo dei combattimenti clandestini. Io sono appassionato di film di boxe e derivati, mentre Alberto di qualunque cosa abbia a che fare con pugni e calci, quindi il sodalizio è stato abbastanza rapido. Inoltre io avevo voglia di scrivere qualcosa di diverso, lontano dai generi consolidati cui ero abituato (horror, thriller, giallo) e Alberto ha potuto “sperimentare” un ottimo compromesso tra lo stile grottesco e muscolare che l’ha reso famoso e un tratto realistico, duro, concreto. I colori digitali di Oscar Celestini hanno poi conferito la giusta atmosfera drammatica, mai troppo carica e mai troppo piatta. Sul ring siamo saliti e abbiamo lottato, ora aspettiamo la sentenza dell’arbitro… i lettori!

cuc_66_250Beh, dopo questa presentazione non vorrei avere alcun tipo di diverbio con Ponticelli… Scherzi a parte, puoi raccontarmi la trama di CuC?

Ambientata nelle favelas brasiliane tra miseria e criminalità, è la storia di Paulinho, un ragazzo che ha perso la mano destra da piccolo e da allora viene chiamato “il monco”. Paulinho non accetta la sua diversità e diventa sempre più violento e aggressivo. Poi incontra Horacio, ex-campione di free-fight, e trova riscatto nel “vale-tudo”, una forma di lotta estrema brasiliana che coinvolge ogni parte del corpo. Ma anche sul ring Paulinho diventa famoso come “il monco”, imbattibile e spietato combattente senza mano. Il vero riscatto lo dovrà trovare fuori dal ring.

La trama di Come un Cane richiama alla memoria un filone cinematografico molto amato dal pubblico, fatto di “vinti”, eroi sconfitti dalla vita e capaci di trovare il riscatto solo grazie al ring… Un filone narrativo che tu stesso hai dichiarato di amare e che in passato ha avuto alcuni epigoni fumettistici, tipo Mojado di Robin Wood (recentemente ristampato dall’Eura), ma anche il recente manga Shamo (edito da Planet Manga). Quali sono stati i tuoi punti di riferimento per la trama di come un cane e che tipo di aiuto ha rappresentato l’esperienza di Ponticelli?

Le mie influenze sono spesso e soprattutto cinematografiche, più che fumettistiche. Nel caso di Come un Cane cito, in ordine sparso: “City of God”, violentissimo gangster-movie ambientato proprio nelle favelas brasiliane e ispirato a due veri giovani super-criminali; “Toro Scatenato” di Martin Scorsese, un capolavoro di estetica da ring; “Undisputed” di Walter Hill, ispirato alle vicende giudiziarie di Tyson e tutto ambientato in un carcere; “The Snatch” di Guy Ritchie, per le poche ma fighissime scene di combattimenti clandestini; e l’immancabile primo “Rocky”, che mi ha inculcato la passione per la cinematografia boxereccia.
cuc_16_250Ponticelli mi ha dato le dritte giuste per i termini tecnici e riportato coi piedi per terra quando esageravo su alcuni dettagli di combattimento poco credibili. Utilissimo, direi!

A cosa è dovuta la scelta di un formato così “estremo” e differente dal solito formato francese?

Al marasma da sovrapproduzione di cui sopra. Devi sapere che da qualche anno in Francia hanno sdoganato i manga… Cioè, mentre da noi negli anni ottanta iniziava l’invasione, là erano banditi! Orgoglio nazionale, patriottismo, protezione del made in France, chiamalo come vuoi… ma di fatto ha creato, secondo me, un mostro a due facce. Quella buona: autori e serie europee hanno prosperato liberi e spensierati; quella cattiva: ora i lettori vogliono disperatamente i manga, il frutto proibito per tanti anni! Quindi adesso il mercato francese cerca di difendersi proponendo formati e storie diverse dal loro classico cartonato gigante e costoso. Che ha il suo fascino, sono il primo a dirlo (ci lavoro…), ma la concorrenza, soprattutto dei prezzi degli albi, è sempre più spietata. Cheppalle, mi sembra di parlare di rape e zucchine vendute al kilo…

Ho notato che in Francia negli ultimi tempi c’è una enorme voglia di sperimentare nuove formule narrative e nuovi formati. Dal “Manga Francofono” varato dagli Umanoidi al comic book di Come Un Cane, si tratta di una testimonianza del fermento del mercato d’oltralpe o il tentativo di trovare nuovi formati per attirare nuovi lettori in un mercato che inizia a conoscere una fase di decrescita?

Ti ho già risposto. Sì, sono davvero convinto che sia una scelta di strategia economica più che di curiosa sperimentazione artistica… E comunque, un kilo di zucchine fanno 4 euro: lascio?

Il tuo altro libro in arrivo è Detective Primo… mi sembra si tratti di un progetto “didattico” alla McCloud. Quali sono le sue finalità?

dp_cover_250Non posso e non voglio paragonarmi al maestro Scott McCloud, un autentico genio della comunicazione cartacea… Diciamo solo che da tempo volevo realizzare una “guida”, un ABC sulla realizzazione di un fumetto e ho trovato nel fumetto stesso la miglior forma. L’idea è nata l’anno scorso durante i miei laboratori di fumetto nelle scuole medie della mia zona (vivo e lavoro a Lecco) insieme a Marco Galli, il disegnatore. Volevo rivolgermi ai ragazzi evitando il classico manuale pesantemente didattico, ma allo stesso tempo non volevo fare una brutta copia di “Capire il Fumetto”… Così ho pensato: perché non scrivere una storia a fumetti che si legga a prescindere dalla didattica, ma attraverso la quale raccontare/svelare i “segreti” della sua realizzazione? Il genere migliore era il giallo, che ha una struttura rigida e consolidata e quindi facilmente “spiegabile”, e il protagonista migliore doveva essere un detective, curioso e analitico per antonomasia e quindi il maestro perfetto per i miei scopi. Detective Primo deve ritrovare un misterioso fumetto scomparso a un collezionista di rarità, e attraverso la sua avventura viene mostrato come nasce e si struttura una storia, dall’idea alle tavole definitive. A volte il detective si rivolge direttamente al lettore spiegando esplicitamente, come in McCloud, ma il tutto è comunque finalizzato alla soluzione del giallo, e quindi alla storia. Insomma, più che insegnare ho cercato di “raccontare” come si fa un fumetto.

Cosa ti piacerebbe che pensassero i lettori di Detective Primo? Che tipo di riscontro ti piacerebbe avere?

dp_02_250Guarda, dopo l’esperienza dei miei laboratori nelle scuole elementari e medie ho scoperto che i bambini non sono deficienti, anzi! Sono curiosi, adrenalinici e molto creativi, altro che noi vecchiacci veterani vissuti! Per cui, anche se suona sdolcinato e poco coerente per un autore horror e sanguinario come me, mi piacerebbe che un giovane lettore mi guardasse coi suoi occhioni innocenti e pieni di speranza e mi dicesse “Da grande voglio fare il fumettista!” Ne sarei commosso prima, poi cercherei di dissuaderlo in ogni modo…

Anagraficamente a che tipo di pubblico è diretto Detective Primo?

Soprattutto ai ragazzi delle medie, direi tra i 10 e i 15 anni: per linguaggio, semplicità e, spero, chiarezza. Può leggerlo chiunque, è anche divertente come storia, ma il target è proprio quello di chi ha bisogno di un ABC del fumetto per capire se potrebbe cimentarsi o no in questa professione.

Chi pubblicherà questo libro?

Appena pubblicato da “I Libri Scuola del Fumetto”, la ex- EssEffe. Insomma la Scuola del Fumetto di Milano. È in libreria e fumetteria.

Ma la tua attività non si limita a questi due prodotti. In Italia è stato da poco pubblicato il secondo tomo di Nero (noir in salsa bresciana realizzato con Andrea Mutti e Angelo Bussacchini), mentre sull’ultimo numero di “XL” di Repubblica è stato pubblicato il grandguignolesco episodio pilota di Jacob… Come si evolveranno questi progetti e cos’altro bolle in pentola?

L’anno prossimo uscirà Nero 3, che abbiamo quasi finito (manca solo il colore), e anche Le Missionnaire di cui parlavo all’inizio: il primo tomo è uscito in Francia a maggio ’07, il secondo uscirà credo a febbraio ’08, mentre in Italia verranno pubblicati insieme in un unico volume, a ‘sto punto credo a primavera ’08.
“Jacob” è nato 5 anni fa come film d’animazione e quello è l’obiettivo finale a cui stiamo ancora puntando. I brevi episodi a fumetti su XL dovrebbero portarci un po’ di pubblicità: finora l’accoglienza a Lucca è stata calorosa, qualche contatto è saltato fuori… Incrociamo dita, tocchiamo ferro e strizziamo palle! Comunque pare che sia piaciuta la versione fumettosa, soprattutto ai ggiovani con due “g”, per cui credo che un episodio 3 si farà, sempre su XL… o magari un volume a sé, perché no? Se ne sta parlando, non mi dispiacerebbe.
Sempre nel campo dell’animazione quest’anno ho lavorato su "Le Fiabe Animate", una serie spassosissima coi miei spassosissimi amici dello studio Effigie che prima o poi andrà in onda su qualche rete Rai.

Da poco più di un mesetto sei convolato a nozze. Come credi che il menage matrimoniale cambierà le tue abitudini lavorative? Attualmente quanto tempo dedichi alla scrittura?

dp_schizzi_250In realtà convivevamo già da due anni, per cui a livello pratico non mi cambia nulla! Tra l’altro pure Sarah fa un lavoro creativo e pieno di suspence come il mio (canta e insegna canto) per cui ci integriamo/capiamo/litighiamo in perfetta sintonia. Quanto tempo dedico alla scrittura? Tutto il tempo, tranne quando dormo… non contano i sogni, no? Nel senso: ci penso sempre, non necessariamente soltanto quando sono fisicamente davanti al pc (circa 8 ore al giorno). Non ne sono esattamente orgoglioso, preferirei riuscire a staccare più facilmente, ma non puoi farci nulla: quando scrivi per mestiere vedi la realtà sempre in ottica creativa, qualunque cosa, situazione, esperienza, vacanza, film/libro/fumetto che vedi/leggi, viaggio in treno, viaggio in auto, viaggio in metrò, dialogo dal panettiere, rapimento alieno… tutto quello che vivi cerchi di metterlo inconsciamente in ciò che scrivi.



Stefano Perullo
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