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Gruppo Canicola

Come nasce la rivista?

Giacomo Monti: la rivista nasce dall'iniziativa di Edo Chieregato e Andrea Bruno. Credo volessero dare vita ad un progetto che potesse dare spazio ad una realtà in un certo senso alternativa del fumetto italiano.

Alessandro Tota: Volevano creare una realtà che unisse una serie di autori che a loro avviso erano legati da un modo di intendere il fumetto fuori dagli schemi della realtà editoriale italiana. Autori che stavano conducendo ricerche particolari, difficilmente inseribili in contesti già esistenti. Si è pensato che creando un gruppo si determinasse una identità. La questione è di raccontare storie confrontandosi direttamente con le tematiche esistenziali, anziché confrontarsi coi generi narrativi catalogati. Quindi tenere il dialogo aperto con molteplici forme di espressione e soprattutto con la propria esperienza del mondo. Questo non esclude il confronto con convenzioni e tecniche narrative preesistenti nel fumetto, il nostro obiettivo non è fuggire la tradizione.
La nostra principale preoccupazione è trasmettere in maniera chiara e forte il nostro sentire.
Crediamo che solo confrontandoci con la realtà ed analizzando le nostre sensazioni possiamo creare storie sincere che stabiliscano un ponte tra noi e gli altri.

Cosa vi ha spinto?

Monti: la volontà di dare visibilità a questo modo di intendere il fumetto.

Michelangelo Setola: Era il 2003, Edo e Andrea mi parlarono una sera ad un aperitivo, di un progetto al quale le loro due teste stavano pensando da tempo.
Svelarono di avermi reso partecipe della cosa e mi dissero che io, proprio io, sarei stato uno dei membri di quel progetto avveniristico. Mi chiesero se sarei stato dei loro e mi fecero alcuni nomi di persone secondo loro adatte per affinità ad entrare nel progetto. Le persone selezionate per fare parte del progetto aumentarono di mese in mese, fino a raggiungere il numero di 9 alla fatidica prima riunione, che fu più che altro un monologo di Edo Chieregato la mente del gruppo, Bruno era il braccio, il sinistro per l'esattezza, un sinistro che su tavoli da disegno e anche su quelli da biliardino, non perdona! Ci spiegarono o meglio ci ribadirono le loro intenzioni, creare una rivista che non fosse un raccoglitore di storie già esistenti ma una rivista che sarebbe rinata ad ogni numero, e che avrebbe avuto un nucleo di autori fisso che sarebbe stato la rivista stessa, noi saremmo stati "la rivista" numero dopo numero nuovamente, e poiché pensavamo di avere un modo di intendere, disegnare e fare fumetto affine, eravamo sicuri che l'identità di Canicola sarebbe stata forte e immediatamente recepita.

Ecco, Tota dice: "La questione è di raccontare storie confrontandosi direttamente con le tematiche esistenziali, anziché confrontarsi coi generi narrativi catalogati." Quindi la vostra ricerca verte più sul (l'assenza di) genere che sul linguaggio. Il contenuto, insomma, più che la forma?

Tota: Non mi esprimerei in questi termini. Le due cose procedono di pari passo.

Monti: Mi sembra che nelle nostre storie forma e contenuto siano due componenti strettamente intrecciate, la forma è coerente con il contenuto e viceversa. Anche se poi ciascuno di noi lavora questi elementi in maniera diversa e personale.
Setola: Non credo sia possibile dare una risposta unica, perché come avete ben notato ognuno di noi si muove su piani diversi e affronta in maniera diversa il proprio lavoro. In generale penso ci sia un'attitudine da parte dei membri del gruppo ad avere un modo intimo proprio di osservare e riproporre le cose. Penso che in generale questo si rispecchi di conseguenza sul lavoro di ognuno di noi. E’ una cosa che va al di là dei temi affrontati. A mio modo di vedere ci discosteremmo dal modo più usuale di intendere genericamente il fumetto in Italia, anche se affrontassimo i vari "generi" fumettistici. Semplicemente non lo facciamo, perché non ci interessano in modo particolare e non Abbiamo bisogno di farlo per commercio. La ricerca è quindi di insieme sul linguaggio, sulla forma, e sui contenuti, e si sviluppa maggiormente in un verso rispetto ad un altro, a seconda di ogni autore e del suo filtro. a parer mio in Canicola anche la forma è contenuto. Per questo una volta deciso di cosa parlare, e penso sia una cosa talvolta istintiva, si parla di ciò che ci piace, di quello di cui abbiamo voglia di disegnare, di raccontare, o qualcosa che abbiamo letto o visto che ci ha colpito senza censure di sorta (non abbiamo un lettore tipo da soddisfare), la ricerca sta nel come esprimerlo, cercare nelle immagini nella struttura nei testi un modo nuovo e più evocativo per dire cose anche banali, per esprimere una certa situazione, sbalzi temporali, mormorii, schegge di violenza, imbarazzi abituali, la durezza del vissuto, inventare un modo nuovo per stimolare il meccanismo visione-sensazione nuovi modi per suggerire sensazioni e situazioni comuni, cercare nuove chiavi di scrittura non per una rivoluzione fine a se stessa ma per arrivare più vicino a ciò che si vorrebbe esprimere.

Una rivista come la vostra ci fa venire in mente le esperienze del fumetto anni '70: attorno a titoli come "Cannibale", "Frigidaire", "Valvoline", etc. si riunivano tanti giovani autori in cerca di visibilità e di sperimentazione. Il senso di una rivista come la vostra oggi è lo stesso di allora? Cos'è cambiato, secondo voi (se è cambiato qualcosa)?

Giacomo Nanni: E' cambiato tutto. Basta pensare al fatto che Frigidaire e Alter Alter uscivano in edicola con tirature da decine di migliaia di copie una volta al mese sempre con una qualità altissima dei contenuti. Cannibale forse era un'altra cosa ancora, erano altri tempi. Per esempio il numero di Cannibale dedicato al fumetto underground americano, dove si vede l'unico fumetto di Kim Deitch mai tradotto in italiano, era piratato, tutto il numero era stampato senza il permesso degli autori da quello che so. E' una cosa che sarebbe improponibile attualmente. E' la scena internazionale che è cambiata moltissimo in 30 anni. Molti di noi hanno già partecipato a diverse antologie internazionali. Se volessimo pubblicare un fumetto di Anders Nilsen, per esempio, non esiteremmo a chiederglielo di persona. Anche il senso della sperimentazione nel frattempo è cambiato, visto che i punti di riferimento di allora erano completamente diversi, penso a Corben ad esempio. Non so quanti di noi abbiano mai letto un fumetto di Corben. Oltre tutto la sperimentazione è un punto di arrivo, non di partenza. Per molti di noi i punti di riferimento artistici vanno trovati al di fuori del fumetto, nella musica e nella letteratura.


Tota: Sono onorato da questa associazione, state parlando di alcune delle esperienze piu' rivoluzionarie del fumetto italiano. Posso dire che molti di noi sono cresciuti studiando Mattotti, Pazienza, Scozzari, e si sono nutriti di quello spirito. Ma attualmente ci poniamo problemi diversi
dai loro, e il nostro gusto non ha molto in comune con gli eccessi grafici degli anni ottanta.

Setola: Noi non siamo in cerca di sperimentazione nel senso stretto della parola non ci o mi interessa rivoluzionare qualcosa, ma cercare una via personale di fare fumetto, e questo non vuol dire rinnegare niente, anzi avvalersi di ciò che già è stato fatto e che si apprezza, farne uso. Anche gli anni in cui si opera sono diversi, negli anni settanta si era in pieno fermento culturale, politico: i giovani sentivano questo ribollire e lo rispecchiavano in tutte le loro manifestazioni. L'aria che si respirava era diversa, era elettrica come in autunno prima dei temporali, ti mette addosso una sensazione di smania di fermento che devi sprigionare in vario modo, ora è diverso: c'è un mormorio sotterraneo meno espanso meno ossigenato, esplicito, le forze sono disgregate non è una cosa così compatta che si avverte a livello nazionale o continentale, non si sente, intorno a noi quel bisogno di forzare un sistema in generale attaccando tutto con i mezzi che si hanno a disposizione, per questo non credo che ci siano paragoni d'intenti fra noi e le riviste che citavi o più che altro la forza che le muove e le ha mosse, ha una natura diversa. Il senso di una rivista per un progetto piccolo come il nostro è la sua esistenza stessa, il fatto di produrre un oggetto che ci piaccia che rispecchi ciò che ci sarebbe piaciuto leggere e sfogliare, il senso era fare una rivista di fumetti con storie nuove non viste altrove, il senso di canicola è che la facciamo noi, molte persone editano riviste, lo fanno per svariati motivi, per informare, per svagare, alcune sono specializzate insegnano a fare a maglia altre a cucinare ma in genere hanno uno target si rivolgono ad un bacino di utenza specifico mirato, la nostra rivista è principalmente fatta per noi e questo probabilmente spiega in parte quell'assenza di genere di cui ci chiedevi sopra, non dobbiamo accontentare nessuno. Dentro Canicola ci sono i fumetti. E’ la rivista che avremmo voluto comprare e che non c'era. Non ci sono ideali specifici, se non quello di fare un oggetto e farlo a modo.

Per altri versi, per certe "provocazioni", vi potremmo accostare (con i dovuti distinguo) a certe cose de "l'Association" (o meglio degli autori che vi gravitano attorno). Pensiamo soprattutto ai fumetti di Davide Catania (sinceramente: li abbiamo studiati e ristudiati, ma sono l'oggetto misterioso della rivista...), o ai racconti di Monti. Che dite al riguardo?

Tota: Con L'Association ci possono essere delle cose in comune, e sono caratteri tipici della scena del fumetto contemporaneo: una certa semplicità nel disegno, una certa attenzione alla sfera intima e al sogno. Ma non abbiamo intenti "provocatori", non siamo animati da una volontà di questo tipo.

Monti: Faccio una premessa per non sembrare presuntuoso od irriverente nei confronti di qualcuno. Io sono arrivato al fumetto un po' per caso. I miei studi e i miei interessi personali mi hanno avvicinato più ad altre forme d'arte (letteratura, pittura, cinema); non ho mai letto molti fumetti e non sono un gran esperto in materia. Conosco "l'Association" di nome ma non conosco gli autori che ne fanno parte (ad eccezione di David B. che mi piace moltissimo). Di conseguenza a faccio fatica a fare paragoni.

Davide Catania: ho letto davvero poco di quanto prodotto da l'Association, giusto qualcosa di David B., quindi non so bene a cosa ti riferisci quando fai questo accostamento. Fraintendendo un po' la tua domanda posso dire che indubbiamente gioco col mistero. la trama spesso solo accennata, i vari sospesi sono a tutti gli effetti elementi misteriosi, solo che non sono le soluzioni quelle che m'interessano, ma il semplice racconto.

Setola: L'Association ha introdotto un nuovo modo di intendere il fumetto in Francia, ha proposto e poi inserito il fumetto indipendente come realtà, in un mondo del fumetto come è quello francese enorme che ha un giro di affari inimmaginabile in Italia, penso che sia presto per parlare di paragoni con un progetto importante culturalmente come lo è stato l'Association, ma allo stesso tempo credo che Canicola abbia la possibilità di fare qualcosa di buono in Italia per il fumetto in generale, questo ovviamente a mio personalissimo modo di vedere. Per quanto riguarda Davide Catania non c'è più niente da studiare, è così e basta. Non ci sono segreti nascosti, almeno credo, se si coglie bene altrimenti, amen, come direbbe lui.

Una doverosa puntualizzazione: il paragone con L’Association scaturiva dalla “simile” deriva intimistica di alcuni racconti di Canicola, e da alcune sperimentazioni grafiche (le vignette fotocopiate di Trondheim, un po’ come il tratto frenetico e al limite della provocazione di Catania).

Tota: Ripeto: c’è qualcosina in comune, ma non starei a fare gran confronti; piu’ che altro vorrei chiarire questa faccenda della provocazione. Noi vogliamo provocare delle reazioni emotive nei lettori, in questo senso siamo provocatori, ma se intendi accostarci a delle pratiche di “infastidimento” del gusto del pubblico, allora non è il nostro campo. Noi non vogliamo provocare nessuno, anche perché in Italia non c’é nessuno da provocare. Per fare provocazione con un mezzo come il fumetto, (quindi con la stampa, perché il fumetto non esiste senza la stampa e la sua diffusione), devi avere un pubblico vasto, eterogeneo. Noi chi dovremmo voler provocare? Meglio cercare di fare storie che parlino al cuore dei lettori, questa è la nostra sola preoccupazione.

Tota, hai appena detto “Il fumetto non esiste senza la stampa”. Ci viene in mente un’informazione di Chieregato sul numero due di Canicola, che definisce il disegno un prolungamento della mano, dello sguardo e del corpo di chi lo fa. Secondo voi la dimensione materiale e narrativa del fumetto sono una cosa sola?

Tota: Quando dico "il fumetto non esiste senza la stampa" non voglio negare che altri spazi possano contenere il fumetto (internet, le gallerie d'arte…), la mia é senz'altro una visione parziale, me ne rendo conto. Per me il fumetto é una cosa stampata, che posso aprire e rileggere cento volte, portare con me se mi sposto. Sono molto legato all'essere "oggetto" dei libri. Non credo che Maus, tanto per fare un titolo, avrebbe la stessa potenza, al di fuori dalla sua connotazione di libro/oggetto/porta su un altra dimensione. In questo senso forse posso collegare la dimensione materiale con quella narrativa.

Sappiamo che avete anche un sito-blog molto interessante: come concepite allora lo spazio "non cartaceo" della Rete?

Tota: Il bello della rete é il contatto diretto con chi ti legge. La simultaneità della risposta dei lettori attraverso la possibilità di scriversi o lasciare commenti. La nostra concezione é molto giocosa, soprattutto per quello che riguarda il blog. Il sito é un biglietto da visita dove ci si può fare in poco tempo un'idea di chi siamo e cosa facciamo. Il blog é un modo piu' diretto e scanzonato di comunicare coi lettori.

E i web-comics? Come li vedete?

Nanni: Abbastanza bene. Sono un bel mezzo per fare conoscere i fumetti. L'unico aspetto negativo forse è che in genere la fruizione della maggior parte delle cose in rete è abbastanza veloce, nel senso che si naviga per lo più mentre si stanno facendo altre cose o magari si è al lavoro, quindi è difficile che si abbia la concentrazione necessaria per affrontare letture troppo impegnative.

Bene, cambiamo argomento. Poco sopra, Nanni parlava di punti di riferimento anche estranei al fumetto, provenienti da cinema e letteratura. Quali sono?

Tota: Vinicio Capossela, Picasso, David Hockney, Goya, Martin Scorsese, Dostoevskji, Gogol, Carver, il Bukowski della vecchiaia, Carmelo Bene, Max Beckmann, Stephen Crane…

Monti: Per quanto mi riguarda non ho particolari punti di riferimento. Se penso alla letteratura o alla pittura non ho uno scrittore o un pittore preferito; non cerco di rientrare in un determinato “genere” narrativo e non utilizzo (relativamente alla componente visiva) soluzioni stilistiche “particolari”. Cerco di studiare il lavoro dei pittori che preferisco e di leggere molto (romanzi e racconti). Si tratta però di studi e di letture caotiche, prive di un filo conduttore comune. Questa però è una scelta voluta. Credo che in questo modo le influenze emergano in maniera meno esplicita e che di conseguenza ci siano maggiori possibilità di dare vita a qualcosa di originale. Comunque provo a fare i primi nomi che mi vengono in mente; tra i pittori, De Pisis, Ligabue, Balthus, Hockney, tra gli scrittori Pynchon, Moravia, Matheson, Selby jr.

Setola: I punti di riferimento sono innumerevoli e non solo nel cinema e nella letteratura, inoltre variano, col tempo si affievoliscono e si riaccendono ne nascono di nuovi, a volte alcuni si spengono per sempre li abbandoniamo, anche personaggi stessi di film romanzi fumetti talvolta possono essere così forti da diventare punti di riferimento, si potrebbe fare un elenco di nomi che potrebbe non risultare molto sensato, ma lo farò ugualmente: Stephen Shore, Will Olhdam, Helge Reumann, Tsuge, Dostojevskij, Mano, Carver, Tarkovskij Andrej e Arsenij, Maradona, Agota Kristof, GodSpeed You Black Emperor!, William Eggleston, Aki Kaurismaki, Bohm Pizzaroni Scheppe, Marko Turunen, Jim Jarmush, I soliti ignoti, Roman Matuseck (acquisito), Charles Burnes, Hanoi Baby Jane, Wong Kar-Wai, Gericault, Francisco Goya y Lucientes, William kentridge, Paul Celan etc etc etc. A ciascuno il suo valore la sua forza, alcuni ci sforziamo che lo siano, punti di riferimento, e costruiamo su questi un'immagine forte da seguire, altri invece che abbiamo analizzato o approfondito maggiormente, dei quali conosciamo il lavoro minuziosamente, ci forniscono materiale reale su cui lavorare e riflettere, ma penso siano importanti entrambe le categorie, in maniera diversa...
Nel suo Blog, lo studioso di fumetto e semiologo Daniele Barbieri ha speso buone parole nei vostri confronti, esprimendo però un dubbio: "Tutta questa tristezza, è realmente necessaria?" Vi sentite di commentare qui quest'affermazione? Setola: Probabilmente è proprio necessaria, dal momento che non credo sia calcolata, evidentemente è necessaria.

Monti: A me non sembra che in Canicola ci sia tutta questa tristezza. Ad ogni modo anche se fosse non credo sia frutto di una precisa volontà da parte degli autori. Penso che ciascuno di noi in questo momento racconti le storie e gli stati d’animo che “sente” e questo è il risultato. Non credo ci sia da parte di nessuno l’intenzione di caratterizzare la rivista attraverso l’uso calcolato di particolari temi o situazioni.

Nel numero tre ospitate un racconto autobiografico di Gipi. Volevamo sapere come è nata questa collaborazione e se c'è l'intenzione di continuarla. Pensate di presentare altri nomi in futuro?

Tota: La collaborazione nasce dall'amore e la stima che abbiamo per Gianni e per il suo lavoro. All'amicizia é seguita la voglia di fare qualcosa insieme, forse capiterà ancora di collaborare, ma per adesso non é in programma. In futuro ospiteremo altri artisti, molti dei quali ancora inediti in Italia. Soprattutto disegnatori della generazione dai 20 ai 30 anni: molti europei, ma anche qualche americano ed estremo-orientale. Di talenti in giro ce ne sono tantissimi, ma trovare la sintonia per una collaborazione, quello é un altro discorso.

Di recente è uscito il libro "Campo di babà" di Amanda Vahamaki, una storia onirica e angosciosa raccontata con stile lineare e naif. Volevamo chiedere all'autrice un commento su questa storia e da dove trae ispirazione per il suo immaginario così inquieto e originale.

Amanda Vähämäki: Mi piace camminare. "Campo di babà" è la storia di un vagabondaggio nella periferia in tempo reale. Nella base delle altre storie piu' corti ci sono spesso i sogni, modificati a funzionare come dei piccoli racconti o, se si puo dire, poesie. Non e' il caso di Campo di baba', piuttosto si tratta di un racconto dove ho cercato l'andamento di un sogno. Si potrebbe dire che mi sono ispirata alla realtà che mi circonda.


Intervista a cura di Davide Scagni con la collaborazione di Giovanni Agozzino



Giovanni Agozzino
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