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Riavviare i supereroi

Com’è più che noto, la pellicola di Spider-Man nei cinema in questi giorni è un rilancio del personaggio, in gergo un reboot (letteralmente, un riavvio). Il fatto che la Sony-Columbia Pictures abbia ritenuto di riavviare il personaggio a una distanza di tempo relativamente breve dalla trilogia targata Sam Raimi ha sollevato più di un dubbio, sia presso la comunità degli appassionati che tra il pubblico più generico. D’altra parte, il reboot cinematografico dei supereroi è una pratica tutt’altro che nuova: senza neanche considerare i (poveri) film Marvel anni ’70, ’80 e ’90, un caso evidentissimo è quello di Batman, che dopo i fasti di Tim Burton e il progressivo declino di Joel Schumacher è tornato alla gloria (e che gloria) grazie all’attuale trilogia di Christopher Nolan. Destino un po’ diverso ha conosciuto l’altro grande supereroe DC: la quadrilogia di Superman partita nel 1978 sotto il patrocinio di Richard Donner (primo vero grande film sui supereroi) aveva visto di pellicola in pellicola una fortuna sempre minore; tuttavia, quando nel 2006 fu Bryan Singer a raccogliere le sorti del personaggio, si decise di non segnare una rottura con i vecchi film, riprendendo però la storia solo dalla fine di Superman II; infine, vista la poca fortuna del pur gradevole Superman Returns, l’anno prossimo vedremo il vero e proprio reboot per mano di Zack Snyder. Altri casi importanti sono poi quelli di Hulk e del Punitore, nonché i venturi Daredevil e Fantastici 4 (pare).

In tutti questi casi si intravede una dinamica comune. Gli ultimi film di Batman e Superman avevano deluso sotto il profilo qualitativo, o quanto meno degli incassi (Superman Returns). Gli incassi avevano deluso anche nel caso dell’Hulk di Ang Lee, che non aveva incontrato i favori del pubblico nonostante i pregi della pellicola. Daredevil non aveva fatto malaccio al botteghino, ma la qualità imbarazzante del film aveva soffocato ogni sua aspirazione futura, mentre il Punitore si era mostrato (a dire il vero, tutte le volte) un bell’osso duro da trasporre in celluloide. I Fantasci 4, infine, nonostante le due pellicole loro dedicate, non avevano convinto fin dall’inizio, facendo a loro volta segnare un brusco arresto.
Il caso di Spider-Man invece sembra mostrare qualche differenza. I primi due film erano andati estremamente bene sia come incassi, sia come gradimento di pubblico; il terzo, invece, aveva mostrato delle falle sotto il profilo qualitativo (pur mantenendosi su buoni livelli al botteghino). Tuttavia, questo inciampo sembrava poter essere recuperabile, tanto più che uno Spider-Man 4 sembrava non essere fuori dal possibile. Ma si decise diversamente.

A un primo sguardo, sembra che i dubbi riguardanti questa operazione di rilancio riguardino semplicemente l’eccessiva vicinanza dall’ultimo film: 5 anni, poco più della distanza tra un episodio e l’altro della vecchia trilogia. Eppure non è un caso isolato: anche tra i due Hulk passò lo stesso lasso di tempo (2003-2008), e per il Punitore ancora meno (2004-2008). A guardar meglio, allora, si scorge qualche altra ragione.
Nei due casi citati, va considerato che si veniva da film non particolarmente amati dal pubblico. Lo Spider-Man di Raimi, invece, era stato fortemente amato dal pubblico, segnando nuova fortuna a livello globale per il personaggio, una vera e propria mania. Di più, lo Spider-Man di Raimi ha costituito un momento topico per il genere supereroistico al cinema, una vera svolta: con lui tornavano davvero i supereroi al cinema, la mania di Spider-Man diventava davvero mania dei supereroi, si stabiliva una nuova asticella sotto la quale non era lecito scendere e si ridefinivano i canoni del genere. Gli X-Men avevano lasciato intravedere questa opportunità. Spider-Man la realizzò. Per le ultime generazioni, inoltre, quelle che non avevano conosciuto il Superman di Donner e il Batman di Burton, questo era il primo supereroe al cinema, dunque quello per eccellenza, come per i fratelli maggiori e i padri erano stati gli altri due. Infine, tutto ciò si dispiegava non in un unico film, ma in una trilogia, che dunque cementava e rafforzava quel particolare immaginario nel corso degli anni.

Insomma, lo Spider-Man di Sam Raimi e Tobey Maguire è stata un’esperienza potente, ha in qualche modo “colonizzato” l’immaginario supereroistico-cinematografico, e vederlo adesso sostituire da “un altro” Spider-Man può risultare strano, quando non indigesto per qualcuno. Ma in fondo, questo reboot va poi così tanto “contro natura”?
Il punto è che il reboot è qualcosa in un certo senso inscritto nel DNA dei supereroi. Il supereroe ha una potenza iconica che costituisce la sua caratteristica principale e più immediata. Questa potenza iconica si compone dell’aspetto (o meglio: di alcuni elementi riconoscibile nel suo aspetto), di alcune circostanze ricorrenti nella sua storia, dei suoi poteri e delle sue motivazioni (etiche, filosofiche, ecc.). Le avventure in cui viene coinvolto, cioè la trama o la sceneggiatura, sono secondarie, finché il personaggio rimane riconoscibile e fedele alla propria anima. Pensiamo allo stesso Spider-Man: quante versioni conosciamo di lui nei fumetti, nel cinema, nella televisione e in ogni altro medium? Eppure ogni volta che lo vediamo in una di queste diversissime declinazioni, non facciamo fatica a riconoscerlo, perché gli elementi di base ci sono tutti. Si Potrebbe riprendere un paragone ormai abusato (e in parte anche improprio, ma forse non in questo caso): se si pensa alle mitologie antiche, si applica lo stesso principio nel momento in cui di uno stesso mito esistono versioni anche molto diverse; eppure tutti gli elementi di riconoscibilità sono lì, la dimensione “vera” del racconto non cambia. Insomma, la narrazione alla base del personaggio, in altre parole il suo mito, rimangono lì. Il reboot diventa allora un modo per rideclinare quel fulcro secondo nuove sensibilità: cos’altro è, nei fumetti, l’Universo Ultimate? Cosa sono le crisi DC (al di là del piano commerciale)?

Delle criticità sorgono quando il meccanismo del reboot incontra quello della continuity. Quando un forte concatenamento di eventi, personaggi e mondo narrativo coerente è longevo e radicato, riavviare il personaggio diventa un problema, anche mantenendone le caratteristiche fondamentali. Nei fumetti, in questi casi si arriva alla necessità di riavviare l’intero mondo narrativo, e non solo il personaggio: in altre parole, è necessario riavviare l’intera continuity (ecco perché il New 52 DC con Batman e Lanterna Verde “a statuto speciale” è qualcosa che lascia straniati; così come è stata assurda, se non stupida, l’operazione mascherata di reboot parziale e selettivo di Spider-Man in “One More Day”-“Brand New Day”).
Quando interviene la continuity bisogna considerare l’effetto domino: se riavvii una cosa, devi riavviare tutto. Ormai in un caso particolare è così anche al cinema. Il reboot di Hulk è stato possibile la prima volta, ma ora che il personaggio è parte integrante della nuova continuity cinematografica Marvel, è impensabile ripartire da zero con lui in un film a sé: semplicemente, ormai fa parte di quel mondo, non può esserne espunto. E lo stesso vale per tutti gli altri Vendicatori appena visti in The Avengers e per tutti i personaggi che in futuro entreranno a far parte dell’universo dei Marvel Studios. Possono cambiare sceneggiatori, registi e attori come nei fumetti cambiano scrittori e disegnatori, ma la linea narrativa è quella, e il personaggio ci vive.

Ma nel mondo dei supereroi, la continuity è l’unico meccanismo che (parzialmente) pone dei limiti. Altrimenti, il reboot come si diceva è una caratteristica innata di questi personaggi: risiede nelle loro potenzialità, li aiuta a crescere ed aggiornarsi, a ritrovare una freschezza quando iniziano a logorarsi, li lascia respirare aria nuova pur rimanendo se stessi. Riuscire a raggiungere questi obiettivi rimanendo entro i limiti della continuity è indice di bravura, capacità di progettare, visione d’insieme e valorizzazione della storia: per questo motivo, quando nei fumetti interviene il reboot, soprattutto se con eccessiva frequenza, può essere sintomo di un fallimento.
Nel cinema la questione è parzialmente diversa per via della peculiarità del processo produttivo. Se il fumetto è una narrazione pressoché ininterrotta e che comporta costi relativamente contenuti, il cinema procede invece con macrofasi di stop-and-go, e ogni singolo film costituisce un’unità narrativa molto più isolata rispetto agli archi narrativi a fumetti; inoltre, produrre ogni singolo capitolo ha dei costi elevati: un eventuale passo falso non si può correggere mese dopo mese con il rischio di peggiorare la situazione, dunque è facile dover ripensare da capo l’insieme. Stesso discorso se un franchise inizia ad accusare stanchezza. Da questo punto di vista, la continuity introdotta dai Marvel Studios rappresenta anzi un rischio ulteriore, in quanti inibisce la possibilità “naturale” di questi personaggi di essere riavviati (se non tutti insieme) nel caso si voglia imprimere un forte cambio di rotta. Ma il reboot cinematografico, già di per sé esercizio usuale, con i supereroi diventa qualcosa di estremamente facile, praticabile e produttivo: di sicuro ne vedremo ancora a non finire.

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