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New 52: il lato oscuro della DC

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Tra i tanti cambiamenti interessati dal reboot DC c'è l'assorbimento nella linea principale di parte degli universi editoriali paralleli. Se così ora gruppi come Stormwatch e personaggi come Grifter e Voodoo sono in continuity e coesistono con gli altri eroi DC, lo stesso si può dire per alcuni personaggi celebri della linea Vertigo.
Il risultato è un discrimine non più editoriale ma narrativo, che definisce alcune serie per una predisposizione maggiore a storie cupe e orrorifiche; si tratta di quella che DC ha definito come la linea dark del nuovo corso editoriale, che comprende serie come Swamp Thing, Animal Man, Frankenstein, Demon Knight, Resurrection Man, I, VampireJustice League Dark e DC Comics Presents: Deadman. Oltre a riposizionare in questo nuovo corso alcuni personaggi che hanno fatto la storia della linea Vertigo (Swamp Thing e John Constantine tra tutti), intrecciandoli con personaggi più tradizionali della casa editrice. Questa fetta oscura delle nuove trame vanta anche novità totali rispetto al passato, come la serie I, Vampire, che colloca un intero sottobosco vampirico in continuity con il DC Universe.

Fin dai primi vagiti del nuovo universo DC abbiamo visto apparire sugli scaffali due delle testate portanti di questo dark side, l'attesa e dibattuta Swamp Thing di Scott Snyder e Yanick Paquette e la serie campione d'incassi Animal Man, di Jeff Lemire e Travel Foreman.

Swamp Thing #1

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Swamp Thing è stata accolta dal popolo del fumetto con un acceso dibattito: si sarebbe rifatto a The Saga of Swamp Thing reso celebre da Alan Moore? Ne avrebbe fatto piazza pulita? Avrebbe tenuto conto degli eventi di Brightest Day o no?
Tante domande che ovviamente non possono trovare risposta con il primo numero, sulle cui pagine lo scrittore di American Vampire svolge davvero un ottimo lavoro.

Se la cover tradisce la possibilità che ci si trovi davanti a una delle trame originarie, con uno Swamp Thing più eroico in cerca di vendetta e lotta con il sovrannaturale, il primo numero si concentra interamente su Alec Holland. Snyder mantiene inalterato il background di Alec, brillante botanico e scopritore di un composto in grado di far crescere vegetazione anche nelle regioni più aride del pianeta; poi l'esplosione, da cui lo scienziato si è risvegliato conscio di essere morto e con la testa affollata dei ricordi di sé come un grosso mostro verde e dell'ingiustificato amore per una ragazza dai capelli bianchi di cui non conosce nemmeno il nome.
Snyder gioca con le incarnazioni editoriali di Swamp Thing, in una storia dal colpo di scena finale, che procede sui binari del monologo interiore di Alec Holland, mentre nel mondo, per cause misteriose, gli animali muoiono e una malvagia entità prende vita.
Ma Alec Holland è un uomo comune - seppur tornato dalla morte - e non ha alcuna intenzione di immischiarsi con eventi sovrannaturali o con i suoi vecchi studi, preferendo una vita dimessa nei panni di operaio costruttore.

Yanick Paquette fa un buon lavoro, sia alle matite che alle chine; il Paquette che si inchiostra da sè ha una resa molto migliore di quella ottenuta solo pochi anni fa per mano d'altri. Le figure ottengono così una maggiore nitidezza, risultando potenziate nella profondità e nell'espressività; l'unica eccezione riguarda Superman, che l'autore ritrae (volutamente, viene da pensare) mono-espressivo. Risulta piacevole, infine, il modo in cui il disegnatore scelga di spezzare la monotonia delle closure dando loro, a seconda della situazione, la forma di rami, sciami o ghirlande floreali.
In ventuno pagine Snyder e Paquette costruiscono una storia horror che attinge dalla materia fine anni Settanta e anni Ottanta, instillando il dubbio e aprendo a nuovi misteri sull'Alec che era, quello che è stato e quello che è, sul Verde, Swamp Thing, e la creatura misteriosa che si aggira mietendo morte.

Animal Man #1

Animal-Man_Full_1Nel giorno in cui il Verde ha messo piede nel nuovo DC Universe anche il Rosso fa la sua comparsa, come il primo numero di Animal Man conferma fin dalla copertina.
Quello che si trova nelle pagine d'esordio della nuova testata dedicata a Buddy Baker è emblematico, ovviamente, di quanto leggeremo nei numeri a venire: una storia che corre sul doppio binario della vita quotidiana di Buddy, fatta di cinema indipendente, attivismo animalista e, soprattutto, della quotidianità tra le mura domestiche, e quella percentuale sempre minore di avventura in costume, che porta Animal Man a liberare un intero piano d'ospedale pieno di bambini malati dalla disperazione deformante di un uomo distrutto dalla morte della figlia. Entrambe le situazioni vedono la presenza del Rosso e dei suoi agenti, i misteriosi e inquietanti animali deformi che passano sotto il nome di "hunters three", ponendo le premesse di una serie dalle enormi potenzialità.

Quello di Buddy Baker è un personaggio solo in parte modificato dal reboot, dal momento che Jeff Lemire ne mantiene invariati alcuni aspetti, come il passato di stuntman, i legami famigliari e il progressivo allontanamento dal costume e dalla vita supereroistica, come tracciato da Grant Morrison; si perde, almeno per il momento, il suo status di avatar del Rosso (creato da Jamie Delano), l'entità che unisce tutte le forme di vita animale del pianeta.
Lemire scrive un primo numero fortemente introspettivo e mette a nudo Buddy sia dal monologo che guida la storia attraverso le didascalie, sia dall'intervista che la apre, sulle pagine della rivista The Believer. Ne emerge un uomo che lavorativamente (passa da stuntman a supereroe ad attivista e infine ad attore) e biologicamente è continuamente soggetto al cambiamento, alla diversità, al nuovo, ma che allo stesso tempo è fortemente ancorato alla famiglia e al senso di quotidiano e normale che questa gli regala.

Lo stile narrativo dell'autore è in linea con quello utilizzato negli altri lavori, così come le tematiche messe in gioco: lo spaccato della vita famigliare, il rapporto tra genitori e figli, l'educazione dei più piccoli (cui Lemire aveva fatto menzione tempo fa e che, presumibilmente, avrà un ruolo importante nell'economia narrativa a partire dal prossimo numero), l'ansia dell'inatteso, veri e propri pilastri di Jeff Lemire nelle sue opere fondamentali, Essex County e Sweet Tooth.
Tutto questo si innesta poi su una struttura solo in minima parte supereroistica, fortemente sbilanciata verso atmosfere cupe, orrorifiche, misteriose e surreali. Fondamentale è, in questo senso, il lavoro di Travel Foreman, che, affiancato alle chine da Dan Green e coadiuvato ai colori da Lovern Kindzierski, passa dall'incarnare alla perfezione la quiete quasi routinaria della vita domestica di Buddy, all'angoscia dell'incubo che lo tormenta la notte. Immaginifico e dal grande potenziale visionario, lo stile di Foreman - anche per il modo in cui la trama accelera gradualmente il ritmo e appesantisce i toni e le atmosfere - parte con un'impostazione molto sintetica per poi esplodere al momento dello scontro e toccare il culmine con il l'ossessivo surrealismo dell'incubo e dell'ultima tavola.
Una serie che parte rivelando grandi potenzialità, subito sostenuta dal grande successo di pubblico del primo numero, e che ha tutti i numeri per diventare una delle serie di punta di questo rilancio, pur concentrandosi su un personaggio minore.

Frankenstein Agent of S.H.A.D.E #1

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Jeff Lemire torna a lavorare su Frankenstein, questa volta con una serie regolare, dopo la breve miniserie legata a Flashpoint. Con il nuovo rilancio DC dà fiducia a un personaggio che ha fatto la storia della narrativa gotica e del fantastico; importato nell'universo DC nel 1948, in una storia di Batman su Detective Comics, dopo alcune apparizioni Frankenstein cade nell'oblio fino a che non viene recuperato nel 2005 da Grant Morrison per la sua personale reincarnazione dei Seven Soldiers. Poi di nuovo nulla fino a Flashpoint.

Se in Frankenstein and the Creatures of the Unknown Lemire aveva restituito al lettore una sorta di "Hellboy incontra Conan", quello che mette in atto sulle pagine di Frankenstein Agent of S.H.A.D.E è addirittura oltre. Calando il tutto in un'atmosfera sci-fi, Lemire sviluppa una storia di stampo sword & sorcery, dove però alla stregoneria si sostituiscono scienza e tecnica.
Il primo numero introduce i vari membri dell'organizzazione, che sono poi i tre personaggi visti nella miniserie (l'anfibia Nina Mazursky, il licantropo Warren Griffith e il vampiro Vincent Velcoro), cui si aggiungono la mummia medico Khalis e la moglie di Frankenstein, attualmente dispersa in missione.
Come anticipa il titolo, War of the monsters vede scontrarsi Frankenstein e la Division M dello S.H.A.D.E (acronimo beffardo che sta per Super Human Advanced Defense Executive) e un esercito di mostri venuti da chissà dove.

Buona la prova di Alberto Ponticelli, che dimostra grande potenziale nel creare architetture fantascientifiche e da il meglio di sé nelle sequenze che descrivono l'infuriare della battaglia tra lo S.H.A.D.E e i mostri, con inquadrature di grande effetto. Notevole anche il modo in cui l'autore dà vita ai suoi mostri, che se da un lato possono apparire di aspetto grossolano, dall'altro è proprio il loro essere ammassi di materia dalle forme appena accennate a conferire loro una grande potenza visiva, che ha il suo punto di forza in una indefinitezza che sembra voler richiamare gli archetipi dell'orrore mostruoso.

Un primo numero sicuramente positivo per setting, personaggi (imperdibile la nuova versione di Father Time e le motivazioni che il grande capo dello S.H.A.D.E. adduce al suo cambiamento) e disegni, ma che lascia un po' dubbiosi sul fronte narrativo: Lemire ha dato il meglio di sé alle prese con storie differenti, dal cast più sobrio e dagli sviluppi meno chiassosi, e rispetto allo stesso primo numero di Animal Man, Frankenstein - Agent of S.H.A.D.E è qualcosa di diametralmente opposto per toni e approcci. L'autore si prende il suo tempo per dare avvio agli eventi e introdurre i personaggi per poi passare direttamente a sequenze concitate di battaglia, affidate a splash page singole e doppie, o a tavole dalla scansione molto ritmata e coinvolgente.
Dovendo gestire una materia sostanzialmente nuova, quindi, lo scrittore opta per un avvio forse troppo sbilanciato dalla parte della presentazione; non una scelta veramente grave, ma che frena un po' l'avvio della serie, che acquista il giusto ritmo solo nelle battute finali.

Demon Knigts #1

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Partenza lenta anche per il Demon Knigts di Paul Cornell e Diogenes Neves, serie regolare abbastanza atipica per gli standard DC, che proietta il lettore negli anni più cupi di un medioevo fantastico.
La trama del primo numero si riassume brevemente con pochi dettagli in più rispetto a quanto dichiarato da Cornell ai tempi dei primi indizi sul rilancio: dopo un'introduzione ambientata durante la caduta di Camelot, in cui assistiamo alla fusione di Etrigan e Jason of Norwich (in seguito John O' Th' Blood) per mano di Merlino, e la fuga verso Avalon di un ferito re Artù e alcune donne (tra cui Xanadu), la scena si sposta quattrocento anni dopo. Jason e Xanadu si trovano di passaggio a una locanda di Alba Sarum con alcuni di quelli che certamente diverranno i comprimari della serie, Vandal Savage, Sir Ystin, Al Jabar ed Extoristos. Appena il tempo di introdurre i nuovi arrivati che un'orda di barbari al servizio del misterioso Mordru invade la locanda, dando il via all'azione.

La cosa più insolita di tutto l'albo è Etrigan che non parla in rima. La cosa migliore, invece, sono forse i disegni di Neves, la cui attenzione al dettaglio è ottima per la resa delle atmosfere medievaleggianti e fantasy di cui è intrisa la serie; molto efficace e d'impatto, inoltre, la sequenza che introduce Etrigan e presenta al lettore il momento della sua fusione con Jason.
Dal canto suo Cornell prepara il lettore a quello che verrà, caratterizzando con semplici tocchi i personaggi principali: grazie anche all'apporto di Neves, il modo di parlare, la fisicità, la postura, e lo sguardo lavorano in modo abbastanza immediato a costruire un'idea immediata degli avventurieri.

Demon Knights, tuttavia, vede il suo avvio con un primo numero la cui narrazione è piuttosto diluita ed è più un trampolino di lancio per una storia che entrerà nel vivo solo con i numeri successivi.


Resurrection man #1

resurrection-man-1Nelle mani di Dan Abnett e Andy Lanning, che ne curano nuovamente i testi a quattro mani, il nuovo Mitch Shelley sorprende e stupisce. Resurrected man riporta in auge un personaggio DC creato dal duo negli anni Novanta, in una nuova veste sia grafica che contenutistica, basato su un concetto molto semplice: morte e resurrezione. Mitch Shelley muore e risorge, e ogni volta che torna in vita (a differenza della sua controparte nell'universo DC che fu) ha un nuovo potere che lo accompagna.

Partono in medias res Abnett e Lanning, rivelando fin dall'inizio che Mitch è al corrente di questa sua capacità, tanto da aver istituito una personale griglia di valutazione di alcuni elementi e sensazioni collaterali dei propri ritorni alla vita.
In fuga dopo l'ennesimo ritorno, Mitch prende un aereo per Portland che lo metterà di fronte al motivo dei suoi problemi a venire: la sua anima ha rimandato per troppo l'accoglienza dell'aldilà e pare che diverse forze stiano facendo di tutto per portarcela.
Il lavoro di scrittura di Abnett e Lanning è lodevole: la storia intriga e l'idea di un potere differente a ogni rinascita aggiunge freschezza e varietà alla sequenza di morti e resurrezioni a cui, con molta certezza, si assisterà di qui in poi su queste pagine.

Fernando Dagnino sfodera uno stile piuttosto elegante e fortemente appoggiato al tratteggio, che ricorda le serie dark della DC degli anni Ottanta, i vari Swamp Thing ed Hellblazer, giusto per fare due titoli facili, che confluirono poi in Vertigo. Adeguata anche la colorazione di Santi Arcas, sobria e a campiture uniformi, che non asfissia gli intrecci dell'artista, pur eccedendo con gli effetti di luce.
Cavalcando l'onda lunga del fenomeno zombie, il trio Abnett-Lanning-Dagnino (ri)propone un'interessante variazione sul tema, facendo risorgere l'uomo dalle infinite resurrezioni; il risultato è una storia che, fin dall'inizio, riesce a dosare con sapienza azione, mistero, introspezione e creazione di aspettative nel lettore.



I, Vampire #1

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La prima impressione di I, Vampire quando venne annunciata a grandi linee la trama su The Source, poteva essere quella di una serie sciatta su un amore tra vampiri dai diversi ideali.
Non è così. O meglio, non in questi termini inutili e patetici. Il primo numero di I, Vampire, anzi, è piacevole e interessante, oltre che graficamente sorprendente.
Bisogna ammettere che l'intreccio è un po' complesso, poiché costruito su due piani temporali di cui non è immediato notare gli stacchi, cosa che richiede una seconda lettura che, ad albo ultimato, aiuti a collocare correttamente i momenti presentati uno rispetto all'altro.

La trama ruota attorno a due vampiri, Andrew e Mary, innamorati l'uno dell'altra ma divisi da una diversa concezione del rapporto tra vampiri e umani: se per Andrew i vampiri dovrebbero, sostanzialmente, vivere ai margini della società umana, Mary li considera esclusivamente cibo, e pianifica la totale sottomissione del pianeta.
Su questa semplice divergenza, Joshua Hale Fialkov costruisce un primo numero che si articola su due diversi piani temporali l'uno consecutivo all'altro ma presentati secondo un intreccio alternato che dà molto da pensare al lettore; uno in cui Andrew e Mary si incontrano per l'ultima volta, uno in cui la guerra dei vampiri contro gli umani è già iniziata e Andrew scende in strada per contrastare l'orda di vampiri che miete morte per le strade della città.
Fialkov si rivela molto attento ai dialoghi, specialmente a quello dell'ultimo incontro tra il protagonista e la Regina di Sangue (The Blood Queen), carica con cui Mary si autoproclama a capo dei vampiri. Ottimo è il modo in cui l'autore riesce ad introdurre i lettori in una nuova fetta di DC Universe senza dover spiegare le cose troppo apertamente, lasciando che i dettagli emergano pian piano dai dialoghi e dalle interazioni tra i personaggi.

Di grande impatto è il lavoro di Andrea Sorrentino alle matite e chine; l'autore nostrano realizza tavole assolutamente cupe e orrorifiche, vivide e potenziate da un uso dei neri denso di presagi di sventura. Ottimo, in questo senso, anche l'uso del colore di Marcelo Maiolo, che calano il tutto in un'atmosfera polverosa e nebbiosa, in cui le luci non sono che pallidi riverberi che si sposano alla perfezione con il frequente uso di ombreggiature e silhouettes di Sorrentino.


DC Comics Presents: Deadman #1

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Dopo l'infelice trattamento finale ricevuto sulle pagine di Brightest Day, Boston Brand torna rebootato nell'universo DC, con un primo numero che poco indugia sulle origini (Paul Jenkins, da sceneggiatore esperto, se le gioca in una sola pagina).
Deadman ritorna per un istante al suo successo nel pericoloso mondo dell'intrattenimento acrobatico per poi venirne sottratto in malo modo per mano di un cecchino. Diversamente dalla sua vecchia versione, Deadman non è qui riportato in vita per dare la caccia al suo assassino, ma Rama lo congela tra la vita e la morte e lo incarica di aiutare diverse persone (un militare gambizzato da un attacco missilistico, una spia, un agente sotto copertura, un giocatore d'azzardo, un impiegato di banca, uno scienziato, uno stuntman, un prete, un medico, un innocente condannato a morte, una spogliarellista, un malato, un artista), atto che gli permetterà di aiutare se stesso a diventare l'uomo migliore che è destinato a diventare.

Dopo questa breve introduzione i lettori assistono quindi alla reazione di Boston al suo nuovo ruolo di spirito guida, il cui compito sarà di rispondere alla loro più impellente necessità, il cui mistero si fa pian piano strada nella mente del lettore, per rivelarsi (in modo più o meno shockante) nell'ultima pagina.
Una storia di divinità, missioni e vite spezzate, che riesce con questo primo numero a sollevare una buona dose di mistero, creando la giusta atmosfera e catturando il lettore quanto basta.

Bernard Chang da vita alla storia con un design accattivante, che migliora nell'impatto con l'ingrandirsi della vignetta e delle figure in essa contenute. Nelle sue mani (e in quelle di Blond, che si occupa dei colori) il riluttante protagonista si carica di profonda tristezza, grazie alle cupe ombreggiature con cui l'artista riempie le pieghe del suo volto.

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