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La banale bidimensionalità del 3D

“Thor”, “Captain America: The First Avenger”, “Green Lantern”, “Conan”, “The Amazing Spider-Man”, “The Avengers”. Tutti questi film hanno tre cose in comune: sono tratti da (o hanno a che fare con) i fumetti; usciranno nei prossimi due anni; li vedremo in 3D. Dei numerosi film fumetto del prossimo biennio, solo “X-Men: First Class”, “The Dark Knight Rises” e “The Man Of Steel” non vanno inclusi nella lista del 3D (anche se per Superman non è ancora detta l’ultima). È quindi evidente che il discorso sul 3D diventa interessante anche per l’orizzonte limitato delle nostre pagine, e ci spinge ad alcune riflessioni.

Se, come dicono, il 3D è l’avanguardia cinematografica, il “nuovo che avanza”, siamo di fronte a un’ulteriore (per quanto superflua) riprova di come i film fumettistici siano un prodotto su cui Hollywood sta ampiamente scommettendo: il 3D in questo momento è applicato alle pellicole da cui ci si attende incassi più alti, dunque la sua presenza può essere un indicatore della fortuna (attesa) di un determinato film. E in questo caso indica, visto il “dato aggregato”, la fortuna di un determinato genere.
Già in queste veloci osservazioni preliminari, tuttavia, balzano all’attenzione due elementi che sarebbe bene approfondire.

In primo luogo è innegabile come negli ultimi anni l’affermazione del 3D abbia avuto un’origine di tipo più che altro economico. Questa tecnica non è certo una novità: film in 3D sono stati realizzati a partire dagli anni ’50, e poi a ondate nei decenni successivi sono tornati al cinema, senza mai riuscire a imporsi come invece pare stia accadendo adesso. Perché? Può il motivo risiedere nel fatto che ora il 3D offra allo spettatore una visione più realistica rispetto agli ultimi sessant’anni? Per escludere una spiegazione del genere basta muoversi sul piano della semplice logica: se così fosse, non si spiegherebbe perché ogni altra tecnica cinematografica (dal montaggio al sonoro, dall’alta definizione alla CGI) sia stata introdotta subito e abbia poi, gradualmente e in itinere, seguito un processo di miglioramento, invece di essere applicata solo una volta raggiunto un livello di resa soddisfacente.
La ragione potrebbe allora essere cercata, magari, dal lato della domanda. Vale a dire: oggi il pubblico vuole il 3D, mentre ieri non lo voleva. Tesi un po’ difficile da sostenere, se non altro per la mancanza di una qualsivoglia evidenza in suo supporto. All’opposto, alcuni segnali provenienti dal mercato (come la vendita in scala tutt’altro che esaltante di apparecchi TV con 3D integrato) testimoniano un entusiasmo piuttosto scarso da parte dei consumatori/spettatori rispetto alla proiezione o trasmissione stereoscopica.
Se non è la qualità della tridimensione né la domanda del mercato, non rimane che guardare all’offerta: c’è una ragione evidente per cui le major cinematografiche dovrebbero spingere il 3D, fino a farlo dilagare come è avvenuto negli ultimi anni? La ragione c’è, e come anticipavamo è di tipo fondamentalmente economico: allo stato attuale, il 3D consente margini di guadagno che non consentiva negli anni ’50, né nei decenni successivi. E la causa di questo non sta nel prezzo più alto del biglietto che ci troviamo a pagare al cinema: questo casomai è un effetto. Il vero motivo è invece dal lato dei costi di produzione, che negli ultimi anni si sono sensibilmente abbassati: non per gli sviluppi della tecnologia 3D in sé, quanto piuttosto per l’introduzione di una tecnologia complementare, ovvero i metodi di ripresa digitale. Per certi versi, allora, il discorso si rovescia e il 3D diventa esso un grimaldello, uno strumento usato dalle major per incentivare l’uso dei metodi di ripresa digitale, e non viceversa.

3d_avatarQuesto ci porta a toccare il secondo punto: in che senso il 3D è l’avanguardia del futuro cinematografico? Stiamo parlando di un’innovazione che introduce un maggiore spessore artistico, o solo di una masturbazione sensoriale da infilare in qualunque film purché sia? Come già accaduto per le due grandi innovazioni precedenti, ossia sonoro e colore, tutto dipende da come la tecnica viene applicata. Certo, a guardare il film portabandiera del 3D, “Avatar”, l’impressione è piuttosto mediocre, la tecnica è usata per rendere il film “bombastico” senza nulla aggiungere in termini espressivi o artistici (aspetti per altro già carenti nel film, e forse in questo senso il 3D serve da distrazione rispetto alla nullità). In altre parole, raramente la tridimensionalità è stata usata con intelligenza artistica, convertendosi invece in un semplice strumento che con tutto il suo fulgore, non dice niente: un sintomo è la (quasi) totale assenza del 3D in film che non siano d'azione, a indicare, per pura esclusione, l'unica funzione con cui l'industria sta guardando a questa tecnica. Una funzione non certo espressiva.
Sotto questo profilo si impone per altro un ragionamento più sottile. Non va sottovalutato il fatto che l’uso del 3D imponga anche precise limitazioni tecniche in altri aspetti del processo di realizzazione di un film. Il principale è senza dubbio la necessità di utilizzare una tavolozza di colori brillanti, evitare tonalità scure, ecc., pena una riuscita non ottimale dell’effetto tridimensionale. Ma limitarsi in queste direzioni incaponendosi a voler utilizzare il 3D può presentare notevoli svantaggi proprio rispetto al piano artistico, espressivo e autoriale della pellicola. Si pensi solo a cosa può voler dire per la fotografia non poter utilizzare un determinato range di tonalità. Per esempio, questa è stata la ragione per la quale Christopher Nolan si è nettamente rifiutato di girare il prossimo Batman in 3D, come gli era stato richiesto dallo studio: ciò avrebbe comportato l’impossibilità a usare una fotografia cupa, scura, arrivando in un certo senso a snaturare il personaggio stesso e il suo mood. La scelta di Nolan, anzi, va nella direzione opposta di esaltare il dettaglio scommettendo sulla ripresa IMAX per l’alta definizione, muovendosi per certi versi controcorrente rispetto alle spinte delle case cinematografiche (per altro i costi di produzione in IMAX sono nettamente superiori).
In questo caso si è privilegiato un ragionamento attento alla qualità, in tante altre occasioni ciò non è accaduto. Anzi, ad oggi risultano tantissimi casi di film nati per il 3D, e nessun caso di 3D usato per un film: in altre parole il 3D non è mai stato usato come strumento per aggiungere davvero qualcosa all’esperienza cinematografica (al di là di un po’ di adrenalina); non è mai stato applicato per servire la narrazione di un film. Alcuni film invece sono stati realizzati per servire il 3D, rivelando poi la loro povertà sostanziale.

Infine, va considerato un piccolo effetto perverso nella spinta che le case di produzione stanno imprimendo al 3D, e proprio a dimostrazione che la sua fortuna poco ha a che fare con la domanda che viene dal pubblico. Come in molti avranno notato, e con sempre maggior frequenza (soprattutto fuori dalle grandi città), quando al cinema viene presentato un film in 3D quasi mai è data la possibilità allo spettatore di scegliere di vedere lo stesso film in 2D. E appunto, stiamo parlando di film nei quali la tridimensionalità non è certo coessenziale al godimento della storia, mentre gli ampi incassi permetterebbero in tutta tranquillità di dedicar loro una seconda sala in bidimensione. Ma l’aspetto divertente di questa corsa forsennata è che probabilmente le major e gli esercenti non si rendono conto che così facendo rischiano di perdere fette di pubblico: gli “antipatizzanti” del 3D sono una nutrita schiera, e non è raro sentire qualcuno vagamente interessato a un film che però rinunci a vederlo perché costretto a inforcare l’occhiale stereoscopico. Certo non parliamo di dati statistici, ma basta tendere l’orecchio per farsi un’idea.

L’auspicio (da appassionati), allora, è in primo luogo che torni un’attenzione alla qualità del prodotto: che non significa una tensione e una ricerca continua del capolavoro assoluto, quanto piuttosto uno sforzo a produrre prodotti divertenti e appassionanti per il pubblico. Se per uno spettatore ciò significa immergersi in una visione 3D, è giusto che possa farlo; ma se per un secondo spettatore ciò significa vedere quello stesso film senza la “distrazione” di un tridimensionale a suo giudizio superfluo, anche questo deve avere la possibilità di scegliere. Tenendo sempre presente l'importanza, comunque, di non affidarsi solo alla spettacolarità del 3D.
Il che ci porta anche a un auspicio, ovvero che il 3D possa davvero maturare, una volta passata la sbornia: che possa cioè rientrare a pieno titolo tra le innumerevoli tecniche cinematografiche che è possibile scegliere e usare (o non usare) a seconda di ciò che si vuole comunicare e di come lo si vuole comunicare. Cosa che attualmente non è. Un 3D maturo, insomma, non è più un banale adesivo da appiccicare sul prodotto per renderlo più accattivante: rispetto a questo, non c’è niente di più bidimensionale.

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