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Paolo Pantalone

Paolo Pantalone

Il grande Belzoni

Il Grande Belzoni, nono romanzo a fumetti Bonelli scritto e disegnato da Walter Venturi, racconta la storia di Giovanni Battista Belzoni, avventuriero italiano vissuto nella prima meta dell’Ottocento.

Il protagonista è un ingegnere italiano emigrato a Londra in cerca di fortuna ma animato anche da un forte spirito di avventura che la capitale inglese non sembra poter soddisfare. È proprio il suo forte desiderio di nuove esperienze che lo porterà ad abbandonare Londra per recarsi insieme alla moglie verso un Egitto che, fresco di colonizzazione Napoleonica, rappresenta un terreno più fertile per la scoperta di antichi reperti archeologici ancora sconosciuti all’umanità.
Dapprima, Giovanni Belzoni proverà a implementare nuove soluzioni tecnologiche per l’irrigazione dei campi con il finanziamento del pascià locale Muhammad Alì; fallito questo tentativo, troverà soddisfazione nel ridare alla luce le meraviglie sepolte della civiltà egiziana come il tempio di Abu Simbel, completamente coperto di sabbia e da lui liberato, la tomba di Sethi e l’entrata della piramide di Chefren.
Le difficoltà di Belzoni nell’attività archeologica, caratterizzata da profondi contrasti con gli altri avventurieri stranieri presenti in Egitto, ed il progressivo allontanamento dalla moglie renderanno la sua passione sempre più una vera e propria ossessione che finirà per prevalere sulla purezza del suo spirito iniziale.

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Giovanni Belzoni è un uomo particolare: è alto più di due metri (come specificato nella lunga prefazione) e fa della sua forza fisica uno dei suoi principali vantaggi rispetto agli altri esploratori in quanto questa gli consente ritmi e sforzi non alla portata di tutti. Al tempo stesso il suo personaggio è fatto da insicurezze, frutto di molti fallimenti e da un contesto che lo penalizza più di quanto non meritino le sue capacità. Nella migliore tradizione ottocentesca, il suo ruolo di avventuriero impone dentro di sé quella scintilla che porta i grandi esploratori alla ricerca ossessiva di un traguardo che per alcuni non sarà mai raggiunto, mentre per altri rappresenterà il mezzo per lasciare la propria impronta sulla storia dell’umanità.
Del resto l’ottocento è forse il secolo che più si presta ad un personaggio di questo tipo: l’uomo non ha ancora ancora esplorato a fondo la sua storia e il territorio in cui vive, ma inizia a sviluppare i mezzi tecnici per poterlo fare. Il desiderio ardente di nuove scoperte abbinato alla possibilità concreta per i più bravi di riuscirci non può che accendere lo spirito degli animi avventurosi, come quello di Belzoni. Allo stesso tempo, come per tutte le passioni, il rischio è quello di trasformare questi sentimenti in un tormento profondo che va a distruggere tutto quello che circonda il soggetto in questione. È il caso del protagonista che, logorato dai suoi contrasti e dai suoi sogni, è destinato a perdere del tutto di vista la realtà esterna, trasformando prima la sua storia d’amore in un matrimonio conflittuale, e finendo poi per non capire i propri limiti e imbattersi in un’impresa non alla sua portata.

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Il Grande Belzoni è un ottimo romanzo di avventura; ha una solida storia alle spalle e la capacità da parte dell’autore di raccontarla in maniera ottimale.
Uno dei suoi pilastri fondamentali, oltre ovviamente all’ingombrante figura del protagonista, è costituito dall’ambientazione della storia, frutto sia di eccellenti disegni in grado di definire in maniera ottimale il contesto in cui si svolge la narrazione che di una modalità narrativa capace di sapere mantenere il ritmo sempre a livelli buoni, senza concedere momenti meno brillanti di alti.
Il fascino dei luoghi raccontati e disegnati da Venturi, infatti, rappresentano senza dubbio un elemento fondamentale per quest’opera in quanto impreziosiscono la narrazione trasferendo nel lettore proprio quel desiderio di avventura che è alla base della figura principale.
Sotto questo profilo dunque, la prova dell’autore è molto positiva; i disegni riescono a districarsi in maniera perfetta in tutte le ambientazioni proposte: raffinati nella parte di Londra, suggestivi quando mostrano le bellezze dell’Egitto e opportunamente dinamici nelle tavole più di azione.

 

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La storia in sé, invece, risulta essere buona ma non altrettanto incisiva. 
Il tema degli avventurieri archeologi non è innovativo ed è quindi davvero difficile proporre delle chiavi di lettura interessanti; inoltre, il fatto che la vicenda sia  ispirata da personaggi  realmente esistiti e avvenimenti realmente accaduti può in taluni casi rappresentare un limite in quanto diventa più arduo arricchire la storia con elementi più suggestivi. Utilizzando uno scontato riferimento a Indiana Jones, cosa sarebbe stato del suo personaggio se fosse esistito realmente e anziché occuparsi dell’Arca dell’Alleanza e del Sacro Graal si fosse occupato di ritrovamenti più “alla portata” di tutti?
Ovviamente questa non è una critica alla figura di Belzoni, perché comunque si sta parlando di un personaggio a suo modo avvincente, ma il paragone con personaggi o opere di fantasia dello stesso genere rischia di far passare come abbastanza semplici le vicende narrate dall’albo.

In conclusione, Il Grande Belzoni è un albo che riesce ad essere a suo modo avvincente: si lascia leggere molto agevolmente e non offre mai momenti morti, nonostante la lunghezza considerevole dei romanzi Bonelli.
Volendo essere particolarmente critici e trovare un possibile punto debole dell’albo, questo si può identificare nello spazio limitato dato alla parte finale del racconto che, pur non avendo le stesse tematiche avventurose del resto del romanzo, rappresenta uno dei momenti di maggior pathos dell’intero albo e come tale, forse, andava sviscerato in maniera più dettagliata.

Drakka

Durante l’edizione 2013 di Lucca Comics & Games è stata presentata da ReNoir la versione italiana di Drakka, graphic novel francese scritto da Frédéric Brrémaud e disegnato da Lorenzo De Felici.
Il volume racchiude in unico albo i due episodi che compongono la storia originale.

Il protagonista della storia, Drakka, è un mezzosangue figlio dal lato del padre del più importante boss della malavita newyorkese e dal lato della madre di una vampira. Sarà proprio la morte del padre a costituire l’incipit della storia: il boss ha infatti due figli, la Iena, che è l’erede designato dell’impero malavitoso anche in virtù di un carattere tipicamente malvagio, e Drakka, figlio che invece è stato tenuto nascosto perché nato da un rapporto segreto. Contrariamente a quanto considerato scontato da tutti, il boss in punto di morte rivela l’esistenza del secondo figlio e decide di lasciare in eredità i suoi affari solo al discendente in grado di uccidere il fratellastro.
Da qui nascerà un tremendo conflitto tra i due che, seppur in momenti e situazioni diverse, di fatto coinvolgerà quasi tutto il racconto.
Il contesto in cui la storia si svolge è del tutto particolare: Drakka infatti è ambientato in una sorta di scenario post atomico dove si incontrano personaggi e contesti strani sia all’interno del quadro più civilizzato di New York, dove risiedono il padre dei protagonisti e La Iena, sia a Balach, la città di Drakka distrutta in un tempo passato da un incidente atomico e dalle conseguenti attività radioattive.

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La storia di Drakka offre diversi spunti interessanti, pur presentandosi leggera nel suo modo di essere raccontata e nella bizzarria dei suoi personaggi.
In primis, uno dei punti di forza è costituito dai suoi personaggi. La vicenda vive del contrasto tra i due fratelli che sono diametralmente opposti dal punto di vista caratteriale; la Iena è il tipico duro pronto ad affrontare sul campo quello che considera come unico ostacolo all’ambita eredità paterna e l’accentuazione fino all’inverosimile delle sue peculiarità lo porta ad essere una figura interessante all’interno del racconto.
Il personaggio di Drakka invece è ancora più particolare: vive in un contesto molto complesso (come si vedrà in seguito) e, pur apparendo nelle fasi inziali come una figura molto leggera, acquisisce complessità man mano che il racconto va avanti e viene spigato il suo legame con la madre e con il gruppo di vampiri di cui fa parte.
Il rapporto tra i due fratelli, fra l’altro, viene raccontato in maniera diversa nelle diverse fasi della vicenda, evolvendosi soprattutto nel passaggio dalla prima parte del volume al secondo, con la presa di coscienza da parte di Drakka della necessità di dover combattere il fratello.
Un altro punto di forza di Drakka è costituito dalle sue ambientazioni. In particolare, la descrizione della città di Balach, per quanto stereotipata nel suo genere, riesce ad essere particolarmente suggestiva; inoltre risulta essere riuscita anche la rappresentazione del luogo dove vive Drakka, il sottosuolo di Balach, e del gruppo di vampiri che di fatto costituiscono la sua famiglia.
A questo buon risultato contribuiscono due aspetti: dal punto di vista narrativo la presenza di tanti personaggi secondari, che con le loro particolarità arricchiscono il contesto, e il racconto da ghost town di Balach con i suoi cittadini costretti a sopperire alla mancanza di cibo e a contendersi i resti dei palazzi crollati con gang di motociclisti; dal punto di vista illustrativo, invece, la capacità da parte di De Felici di arricchire ottimi disegni, sia nelle tavole più statiche che in quelle più di combattimento, con un eccellente lavoro di colorazione. Infatti, un po’ come apprezzato di recente nel primo numero di Orfani, De Felici riesce a rendere i colori protagonisti della storia, dando valore aggiunto a tutte le atmosfere da evocare di volta in volta per ciascuna scena. Un Drakka senza colore sarebbe in questo senso una storia monca, perché priva di un elemento fondamentale capace di dare al lettore una sensazione in più su quello che sta succedendo.

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La pecca che rende Drakka un lavoro non del tutto compiuto sta nel suo voler essere ibrido; la sua bizzarria e la sua stranezza fanno si che l’opera non sia seriosa del tutto, ma al contempo queste trovate non sono così divertenti da trasformare la storia in una vicenda ironica. Viceversa, allo stesso tempo la tematiche di fondo sono proprie di un racconto ben più drammatico del tono che viene utilizzato in Drakka.
Il personaggio stesso di Drakka è scritto e disegnato in maniera caricaturale, ma al contempo risulta avere anche una storia alle spalle e un profilo molto più seri.
Nonostante questa distonia, Drakka risulta essere comunque una storia varia e ben sviluppata sia per quanto riguarda il suo soggetto, sottolineando anche un finale a sorpresa sconvolgente, che per quanto riguarda la parte illustrativa..

Le Storie 13 – Il moschettiere di ferro

Nel variegato mondo della collana Le Storie mancava ancora un racconto in stile cappa e spada; questo vuoto è stato colmato dall’albo di ottobre, Il moschettiere di ferro, scritto da Giovanni Gualdoni e disegnato da Giorgio Pontrelli.

La storia prende spunto dalle vicende raccontate da Alexandre Dumas ne I Tre Moschettieri e Vent’anni dopo, ponendosi temporalmente proprio tra i due racconti dello scrittore francese.
Luigi II di Borbone, cugino del re di Francia Luigi XIII, viene convocato da alcune persone vicino al re per cercare di porre fine alla crescente egemonia del cardinale Richelieu che, attraverso la sua influenza sul sovrano, ha acquisito sempre più potere nel regno. Tra le conseguenze principali di questo dominio c’è l’eliminazione dell’ordine dei moschettieri, sostituiti formalmente nel loro compito di protezione del re dalle guardie personali di Richelieu stesso.
Proprio mentre il protagonista si approccia a questo sconcertante scenario, entra in scena un misterioso moschettiere dalla corazza di ferro, che si scoprirà presto essere un automa costruito da un “giocattolaio progettista di automi” su commissione del cardinale; tuttavia, qualcosa sfugge dalle mani del progettista, in quanto questo primo esemplare costruito sembra avere una coscienza personale che contrasta con gli ordini che gli vengono impartiti. Infatti, proprio per questo motivo, risparmia la vita al cugino del re e inizia a schierarsi dalla parte dei ribelli.
L’albo si sviluppa raccontando il tentativo di Luigi di Borbone di fare chiarezza sulle trame orchestrate da Richelieu affrontando anche l’avversità di D’Artagnan, il cui ruolo viene ribaltato rispetto a quello dei romanzi di Dumas vista la sua vicinanza al cardinale.

Il moschettiere di ferro non manca di diverse trovate interessanti, riuscendo a reinterpretare in maniera accattivante vicende e contesti storici su cui si sprecano i precedenti.
Tra tutti spicca la figura di D’Artagnan che, come detto, in questo albo appartiene alla schiera dei “cattivi”; il suo personaggio, al di là dell’interessante ribaltamento di prospettive, offre degli spunti notevoli soprattutto quando viene accentuato il paragone con i tre moschettieri, suoi compagni nel precedente romanzo. L’abolizione dell’ordine ha costretto i quattro a trovare un nuovo scopo nella vita, ma il protagonista del racconto di Dumas è schiavo del suo ruolo e pur di preservarlo è disposto a tradire quegli ideali per i quali ha già combattuto in passato.
Ovviamente anche lo steampunk rappresentato dal moschettiere di ferro offre diversi spunti di riflessione sia parlando del personaggio stesso sia, come si vedrà in seguito, considerando l’ambientazione complessiva: come sottolineato anche nella storia, il moschettiere non ha un nome perché è la sua natura stessa, quella di essere coperto da corazza, che non rende possibile per definizione una sua umanizzazione. Tuttavia, in contrasto a ciò, l’elemento che più spicca della sua figura è proprio il suo lato umanizzato e il rapporto con il padre, che richiama il "Pinocchio" di Collodi nelle tematiche di relazione fra il creatore e la sua creazione, nonché nell’ambizione della creatura nata artificialmente di guadagnarsi una sua dignità al pari di qualsiasi altro essere umano. Sotto questo punto di vista è un peccato che a livello illustrativo il suo personaggio risulta essere quello delineato peggio, a fronte invece di una caratterizzazione molto incisiva su tanti personaggi secondari di importanza e spessore minore.
Di fronte a figure così forti, alle quali si aggiunge anche un eccellente cardinale Richelieu, è la caratterizzazione del protagonista che esce ridimensionata in quanto troppo stereotipata; al di là del suo ruolo nella trama, il suo valore aggiunto al racconto è praticamente nullo e durante lo svolgersi della vicenda non viene offerto nessuno spunto che possa caratterizzarlo rispetto a un tipico eroe di qualsivoglia racconto. Luigi di Borbone è il personaggio dell’eroe che affronta il nemico combattendo, sacrificandosi per i più deboli e tutte le altre caratteristiche tipo del caso. Così facendo però, non riesce appunto ad avere alcun tratto distintivo che possa apportare qualcosa alla storia.

L’ambientazione dell’albo, come detto, parte inequivocabilmente dal cappa e spada, ma è altrettanto chiaro che vi siano molte contaminazioni provenienti dai generi più diversi. Il già citato Pinocchio, per quanto riguarda la figura principale del moschettiere, un tocco di esoterismo legato alle figure del cardinale Richelieu e del rabbino Wegener e un forte richiamo in generale a un genere di romanzo più legato a contesti di avventura ottocenteschi; si pensi per esempio a temi quali la discesa nel sottosuolo o alle macchine come mezzo per la conquista del mondo, con riferimenti abbastanza forti al mondo di Jules Verne, a La Lega degli straordinari Gentleman o, per rimanere in ambito Bonelli, al Greystorm di Serra.
Questo tipo di ambientazione è anche favorito dai disegni di Pontrelli che, soprattutto verso le tavole finali che più si avvicinano al contesto appena descritto, riesce ad esprimere al meglio la giusta atmosfera gestendo bene  il passaggio di genere, anche se appare chiaro il divario rispetto alle tavole iniziali che risultano essere meno suggestive
Questo mix di per sé potrebbe anche funzionare ma è evidente che, se un lettore cerca una storia in stile Dumas, ne rimarrà indubbiamente deluso.

Le trovate narrative interessanti e una buona caratterizzazione dei personaggi si scontrano purtroppo con uno svolgimento degli eventi che non si mantiene sempre sullo stesso livello. Si parte con l’arrivo del duca Borbone a Parigi molto lento; in seguito, la comparsa dell’automa e il racconto della sua genesi riescono a vivacizzare notevolmente la storia che, tuttavia, viene nuovamente rallentata da una parte centrale che risulta nettamente di transizione verso il finale, pur essendo essa funzionale allo svolgimento della vicenda. La parte conclusiva appare un tantino frettolosa nel suo ruolo di momento di regolamento di conti anche se non manca di conferire il giusto pathos questi frangenti.
In generale, la trama appare piena di spunti che potenzialmente potrebbero essere davvero impattanti, ma nessuno di questo viene portato avanti in maniera convincente. L’autore, in questo modo, si trova a dover gestire troppe sottotrame che inevitabilmente lo portano a trascurare la chiusura di ognuna di queste dando troppa poca importanza e risalto a quelle principali, che meriterebbero viceversa maggiore attenzione.
Da segnalare, come già espresso, la buona prova ai disegni di Pontrelli caratterizzata da eccellenti primi piani (soprattutto per i personaggi femminili) e spunti suggestivi nelle vignette più ampie, in particolare nella parte finale del racconto.

In conclusione, Il moschettiere di ferro è una storia che riesce a combinare bene delle idee di fondo anche complesse e innovative con uno svolgimento invece piuttosto semplice (non che questo sia un difetto). Ovviamente chi ha letto Dumas è avvantaggiato nel capire i richiami che Gualdoni inserisce nel racconto, ma proprio la semplicità della storia riesce comunque a rendere abbastanza immediata la fruizione per tutti.
Tuttavia tutte gli elementi che vengono inseriti in questo racconto alla fine appaiono anche un po’ fini a se stessi, dando un risultato finale abbastanza inconcludente. La storia ha il pregio di essere leggera e lasciarsi leggere piacevolmente, ma alla fine alcune scelte narrative, tra cui soprattutto una parte centrale di transizione troppo lunga e insignificante, finiscono per penalizzarne la valutazione complessiva.

La Dottrina integrale rimandata

  • Pubblicato in News

dottrinaÈ sorto un piccolo caso attorno alla riproposta in versione integrale de La Dottrina, miniserie in 4 parti ad opera di Alessandro Bilotta e Carmine Di Giandomenico, ad opera della Magic Press.

Dalla propria pagina Facebook, Bilotta annuncia che la ristampa sarebbe stata improvvisamente cancellata. Nel suo post, l'autore romano si è scagliato contro Di Giandomenico e Andrea Ciccarelli , rispettivamente co-autore ed editore, che avrebbero bloccato la stampa dell'albo a soli due giorni dalla prevista data di pubblicazione.
È lo stesso Ciccarelli a replicare in risposta a Billotta che in realtà l'uscita del volume era lontana dall'essere pronta per la stampa.

La casa editrice ha fatto chiarezza e ha diffuso un comunicato che riportiamo qui di seguito:

"SOSPESA PER LUCCA COMICS 2013 LA PRESENTAZIONE DE "LA DOTTRINA: L'INTEGRALE"
Vi comunichiamo che il volume "La dottrina: L'integrale" non sarà disponibile durante l'imminente edizione di Lucca Comics & Games 2013 per decisione della casa editrice.
Questa decisione non è quindi da ascriversi alla volontà degli autori, Alessandro Bilotta e Carmine Di Giandomenico, con i quali ci scusiamo.
Ci riserviamo di comunicare una nuova data di pubblicazione il prima possibile".

Intanto, Di Giandomenico è intervenuto sul nostro forum per dire la sua. Riportiamo parte del suo post che trovate integralmente qui:

"(...)Passo solo a chiedervi scusa. Come giusto che sia per uno spettacolo indecente e menzoniero che si è scatenato nei miei confronti. Dove forse ero l'unico protagonista della vicenda a voler realizzare una lavorazione trasparente, lineare, e nel rispetto di tutte le figure coinvolte nel progetto Dottrina, dove ho solo richiesto una protezione contrattuale di tutte le parti coinvolte.
(...)Ho apprezato ed accettato le scuse pubbliche della Magic Press.
Dopo ciò a voi lettori do la triste notizia che non vi sarà alcuna ristampa della dottrina fino a quando non si avrà una rettifica pubblica delle menzogne di cui sono stato volgarmente accusato.
(...)Perchè in questa storia a rimetterci è la possibilità di poter dare alla luce un bel volume. e Voi lettori. Ai quali chiedo scusa."

Vi terremo aggiornati sugli sviluppi della vicenda.

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