MARVELIT presenta:

M U T I E S

 

#1 e ½ - Non è formaggio

di Xel aka Joji

 

Tengo gli occhi fissati sulla casa del vicino.
Sono seduto alla scrivania della mia stanza, con la finestra spalancata di fronte, e la mia curiosità mi dice di andare a vedere.
La mia coscienza si oppone dicendo che non è giusto.
Coscienza e curiosità competono per un po' e alla fine vince la curiosità (come sempre).
Spengo la luce della mia stanza, tendo le orecchie per assicurarmi che mamma e papà stiano dormendo, poi esco cercando di fare il meno rumore possibile.

"Un mutante?"
"Si, il vecchio Rogers è un mutie... l'ho sentito dire a dei ragazzi dell'ultimo anno..."
La notizia mi aveva lasciato un po' traumatizzato, l'avevo ricevuta il giorno prima, sulla strada del ritorno da scuola, che percorrevo ogni giorno coi miei compagni.
"Sembra che un boy scout abbia bussato alla sua porta per vendere dei biscotti e, non ricevendo risposta, abbia spiato dalla finestra e l'abbia visto fare una di quelle cose schifose da Muties! E' scappato via subito..."
"L'ha detto ai suoi genitori?"
"No, ma l'ha raccontato al suo migliore amico... e la notizia ha fatto il giro della scuola..."
Ascoltavo la conversazione senza commentare: eravamo tre quattordicenni di buona famiglia e i nostri genitori avevano cercato di crescerci tenendoci all'oscuro di tutte quelle cose che avevano ritenuto poter compromettere la nostra educazione.
Non dovevamo sapere se c'era una guerra, cos'era la droga, cos'era il sesso, dell'esistenza dei Gay e dei Mutanti.
Ogni volta che il Tg dava qualche notizia sull'argomento, papà spostava rapidamente canale...
Ovviamente noi sapevamo tutto...
A scuola, durante l'intervallo o le ore di educazione fisica, tiravamo fuori delle riviste che per i nostri genitori erano proibite, il che riguardava sia i rotocalchi che le riviste porno.
E per noi era eccitante allo stesso modo sia guardare la modella di turno che si dava da fare a gambe aperte, sia leggere delle ultime manifestazione dell'orgoglio gay o degli esiti dei conflitti armati.
Mi piaceva poter sapere di più su quelle cose di cui non si poteva chiedere niente a casa, a volte trovavamo parole un po' complicate, ma afferravamo il succo degli articoli...
Restava però il fatto, che in quel paesino di campagna in cui vivevamo, gli argomenti di quegli articoli sembravano qualcosa di lontano e distante, un mondo irreale in cui non eravamo in alcun modo coinvolti...

Scendo per le scale, facendo attenzione a non poggiare il piede sul terzo gradino, quello che scricchiola sempre, e mi dirigo verso la cucina.
Prendo la chiave dal tavolo e la infilo nella toppa della porta che dà sul retro.
La faccio girare e lo scatto della serratura sembra risuonare, nel silenzio della casa, come lo scroscio di una pila di piatti che va in pezzi.
Mi fermo, mordendomi le labbra, convinto che da lì a poco sarebbe sceso dalle scale mio padre, furente per essere stato svegliato nel cuore della notte.
Invece tutto tace.
Spingo la porta e scivolo nella fessura che si allarga.
Giungo nel giardino e mi avvicino alla staccionata che separa la nostra casa da quella del signor Rogers.
Papà si ripromette di ripararla da mesi, ma so bene che le assi non verranno saldate ancora per molto tempo.
Le sposto, aprendo un spiraglio, e passo nel giardino del nostro vicino.
La sua casa è tetra, sembra uscita da un film horror.
Mi avvicino a una finestra e butto un occhiata dentro per cercare di capire se c'è qualcuno, ma è troppo buio per vedere qualcosa.
Mentre allungo il collo, un'ombra si allunga dietro di me.
Mi volto deglutendo e mi trovo faccia a faccia con il signor Rogers.
E' un uomo sui quarant'anni, con la mascella squadrata e folte sopracciglia nere, la sua barba sembra incolta da giorni e i capelli neri sono chiazzati di grigio.
"Cosa ci fai qui?" la sua voce è severa e profonda.
"Io.. stavo... portando in giro il cane." È la prima scusa che viene in mente, mi rendo subito conto che non è molto credibile sia per l'orario che per il fatto che non ho un cane.
"Fuori dalla mia proprietà." Si limita a rispondermi e si volta.
"Per favore... aspetti." Sento il cuore sussultare "Ho bisogno... di una mano.."
Lui si volta.
Io arrossisco, afferro con le mani la maglietta e la sollevo fin sul petto...

Andava avanti da una settimana.
Quando, dopo aver fatto il bagno, mi stavo asciugando i capelli davanti allo specchio.
Fu allora che notai la linea di peli che era comparsa dal mio ombelico fin nel mezzo del petto.
"Finalmente." Pensai tra me e me: il fatto di aver il corpo completamente glabro un po' mi frustava, anche se io avrei preferito che mi iniziasse a spuntare un po' di barba.
Non ci prestai più attenzione finché, qualche giorno dopo, non mi svegliai nel cuore della notte, per un intenso dolore e trovai, con gran stupore, che quelli che fino a poco prima erano solo una manciata di peli, era cresciuti, riempendo tutta la pancia e il petto, ma la cosa peggiore erano che si erano induriti e drizzati, come dei piccoli aculei.
Provai a tagliarli, ma non ottenni altro risultati che incrinare un paio di forbici.
Passai la notte insonne, chiedendomi cosa fare e la mattina dopo dissi a mia madre che mi sentivo poco bene e non andai a scuola.
Il resto della settimana agii ponderando ogni mia mossa, indossando solo larghe felpe e non mostrandomi mai a petto nudo, neanche negli spogliatoi.
Non lo dissi a nessuno, avevo paura della reazione che avrebbero potuto avere i miei amici, i miei genitori, i professori...
Tenni tutto per me, fin quando non venni a sapere del signor Rogers.

"E allora?"
La sua reazione mi lascia contraddetto.
Mi sarei aspettato, non so, un "ooooh" di stupore oppure che si avvicinasse incuriosito, o anche che mi facesse mille domande.
"E allora?" si limita a ripetere una seconda volta visto che rimango in silenzio.
Mi decido a parlare "Beh, speravo... lei mi potesse aiutare..."
"C'è un centro estetico alla fine della strada e fa cerette integrale a ottimi prezzi. Non vedo cosa centro io."
Trattengo una risatina "Lei centra perché è un Mutante, no?"
Non pensavo che il suo sguardo potesse farsi più torvo, invece le sue sopracciglia di aggrottano così tanto che temo che da un momento all'altro gli saltino gli occhi fuori dalle orbite.
"Vieni con me." Mi prende per un braccio e mi trascina dentro.

La casa dentro è tenebrosa come appare da fuori.
Vi sono un sacco di enormi mobili di legno, divani in pelle, animali impagliati e soprattutto tanti, tantissimi libri, forse più che nella biblioteca della scuola.
Il signor Rogers mi fa accomodare su una poltroncina (anche se sarebbe più esatto dire che mi ci spinge sopra) e va ad accendere una lampada.
"Come lo sai?" mi chiede.
"E' una voce che gira..." faccio il vago "Ma non lo dirò a nessuno, se mi aiuta..."
"Non capisco in che senso..."
"Con questo..." sfioro con il palmo della mano i peli, dritti come aghi "Forse è per colpa sua... forse perché viviamo vicini... mi ha in qualche modo contagiato, influenzato, ma deve sapere come posso..."
Scoppia in una risata fragorosa: non pensavo che uno con quella faccia sapesse ridere.
"E' questo che credi?" chiede soffocando il riso "Pensi che come il formaggio lasciato in frigo dà il suo odore a tutto quello che c'è dentro, i mutanti contagiano mutazioni a chi hanno vicino?"
Rimango in silenzio: non l'avrei detto con quelle parole, ma più o meno...
"Ragazzo mio..." si siede nella poltrona davanti a me "Tu SEI un mutante..."
"No..." non è quello che voglio, non voglio esserlo.
"Si, invece... ne ho visti abbastanza nella mia vita per riconoscerne uno quando ce l'ho davanti." sorride, e nell'oscurità il suo sorriso risplende di sadicità.
"non voglio... non voglio questi peli schifosi e duri sulla pancia..."
"Quelli saranno i primi... probabilmente ti spunteranno da tutte le parti..."
Mi iniziano a lacrimare gli occhi, mi guardo le mani e vedo che d'un tratto i peli cominciano a cresce anche sui palmi, drizzandosi a indurendosi.
"Non voglio..." più mi ripeto che non voglio, più rapidamente mi ricoprono il corpo e il volto.
"Non voglio..." Mi inginocchio a terra, chiudendo gli occhi e stringendo le braccia al petto: i peli sono così acuminati che mi ferisco da solo.
Lo sguardo del Signor Rogers diventa preoccupato, si china al mio fianco "Hei, calmati ragazzino..."
"Non voglio! Voglio essere normale... non potrò più uscire di casa così!" il pensiero mi fa disperare, senti i peli, diventati ormai come aculei acuminati, lacerare il mio pigiama.
Sento la mano del signor Rogers che mi si poggia sulla spalla.
"Calmati." Mi sussurra all'orecchio "Rilassati e tutto si risolverà... Scaccia tutti i pensieri dalla mente... svuotala... Concentrati su una sola cosa, qualcosa che ti faccia piacere..."
Ci provo: cerco qualcosa a cui pensare e mi viene in mente il gioco a cui sto giocando ultimamente con la mia console, quello dello scoiattolo che dice un sacco di parolacce, certo che se lo vedesse la mamma me lo farebbe buttare via subito, ma è troppo divertente, sono bloccato contro quell'enorme balla di fieno, mi chiedo come si faccia a sconfiggerla...
Una pacca sulla spalla mi strappa ai miei pensieri.
Apro gli occhi e vedo che il mio corpo è tornato normale: sono spariti anche i peli che avevo prima sul petto.
"E' normale perdere un po' il controllo quando la mutazione comincia a svilupparsi..." il signor Rogers si alza ed esce per qualche secondo dalla stanza; quando rientra ha con se una bottiglia e due bicchieri.
"E' capito anche a lei?" gli chiedo, mentre riempie i due bicchieri, poggiandoli sul tavolo alle mie spalle.
"Qual è il suo potere?" d'improvviso non mi sembra più torvo come prima.
Lui non risponde, si limita a prendere un bicchiere in mano e il suo braccio si estende, fino ad arrivare davanti a me.
"Che... figata..." prendo il bicchiere e mando giù una sorsata di succo d'ananas.
"Non tutti la pensano così." Ritira il braccio e si viene a sedere davanti a me "Come ti chiami ragazzo."
"Joey, signor Rogers..." un altro sorso e il succo è finito.
"Chiamami Bob. Si è fatto tardi Joey, è meglio che torni a casa..."
Guardo l'orologio... in effetti è quasi l'una, se mamma si sveglia, da un occhio alla stanza e non mi trova, le viene un infarto.
"Già. Grazie per l'aiuto e per il succo, sign.. ehm Bob." Mi alzo e l'occhio mi cade sulla copertina di un libro poggiato sul tavolino "Uh, Romeo e Giulietta... Shakespeare!"
"Conosci?" mi sembra di vedere un guizzo di curiosità negli occhi del signor Roberts.
"Si... lo stiamo studiando a scuola... una noia!"
Il guizzo è diventato di disappunto "Shakespeare... noioso?"
"Si, non riesco andare oltre le prime pagine, parlano in modo così strano... e a fine trimestre avremo il compito di Letteratura Inglese... non lo passerò mai!"
"Se hai tempo, puoi venire a trovarmi e ti darò una mano a studiare... non c'è mio alunno che non si sia appassionato a Shakespeare."
"Lei insegna?" la cosa mi stupisce.
"Insegnavo..."
Forse ho toccato un tasto dolente "Se mi da una mano a passare l'esame, vengo più che volentieri!"
Ci mettiamo d'accordo su quando vederci e poi mi accompagna alla porta.
Percorro la strada fatta all'andata al contrario, stando ben attento a non fare rumore.
Quando mi butto a letto, cado subito in un sonno profondo, mi sento stremato, ma al tempo stesso leggero.

Nel mio piano originale, pensavo di andare dal signor Rogers una volta a settimana.
Finii per trovarmi a passare quasi tutti i pomeriggi a casa sua.
Scoprii che i libri che aveva nella sua biblioteca erano più interessanti di quanto immaginassi.
Grazie a lui, mi avvicinai al teatro di Shakespeare sotto una prospettiva nuova, mi fece entrare nella mentalità dell'autore, raccontandomi della sua vita e del periodo storico in cui viveva, leggemmo assieme le opere principali e mi fece affezionare ad ogni personaggio.
Ovviamente non dissi niente ai miei genitori, mascherando le mie continue uscite con inesistenti partite di baseball o film che non avrei mai visto: non sapevano che il signor Rogers fosse un mutante, tuttavia non avevano di lui un'alta opinione.
Invece scoprii che era un insegnante eccezionale.

"Come mai hai lasciato l'insegnamento Bob?" lo interrompo a bruciapelo mentre mi sta parlando del monologo dell'Amleto.
Lui resta in silenzio, poi sospira e sorride malinconicamente "Non sono molti i genitori felici di sapere che il loro figlio viene cresciuto da un mutante... Per questo non l'ho mai detto a nessuno... Un giorno, nella scuola dove insegnavo, un ragazzo tentò il suicidio, gettandosi dal tetto. Usai i miei poteri per salvarlo, rivelandomi davanti a tutti. Ci fu uno scandalo, i genitori non mandavano più i figli a scuola e io fui costretto a dare le dimissioni... "
La cosa mi sembra assurda "Ma... gli hai salvato la vita!"
Mi mette una mano tra i capelli scompigliandomeli "Joey, nella società in cui viviamo, ciò che un uomo è, risulta spesso più importante di ciò che un uomo fa!"
"Bob sei il miglior insegnante che abbia mai avuto!" lo dico con tutto il cuore.
Mi guarda un attimo stupito, poi sorride dolcemente: la persona che ho di fronte mi sembrava lontana anni luce dal volto grave e severo del nostro primo incontro.

Quando rientro a casa, trovo tutte le luce spente.
"Joey, puoi venire un attimo." la voce di mio papà giunge dal soggiorno.
Entro e lo trovo seduto sulla poltrona, ha le braccia incrociate e guarda a terra.
"Dove sei stato?" mi chiede.
"Te l'ho detto stamattina.. al cinema... con Ralph."
Si alza di scatto e mi molla un ceffone: è la prima volta che mi picchia "Ralph ha chiamato questo pomeriggio, mi ha detto che non vi siete visti! E un attimo fa ti ho visto uscire dalla casa di Robert Rogers."
Non posso vedermi in volto, ma sono sicuro che a sentire quella frase sono sbiancato.
Mi afferra per le spalle e comincia a scuotermi "Cosa sei andato a fare lì? Quell'uomo ti ha fatto qualcosa? Dimmi se ti ha fatto qualcosa!"
"Papà... mi fai male..." inizio a piangere, non tanto per il dolore, quanto per quelle illazioni senza senso che sto sentendo.
"Non uscirai più di casa, la mamma ti accompagnerà quando andrai a scuola e poi ti tornerà a prendere. Non voglio che ti avvicini più a quella casa! Quell'uomo è pericoloso, c'è in giro la voce che sia un mutante"

Non riuscii più a parlare, lasciai che mi padre scuotesse il mio corpo, come preda della corrente del fiume.
Dopo poco arrivò mia madre, aveva il volto scavato e mi abbracciò piangendo.
Mi portò in camera mia, dicendomi che il giorno dopo non sarei andato a scuola.
Mi sdraiai sul letto, con un dolore che mi faceva scoppiare la testa, e senza la piena coscienza di quello che era successo.
Mi addormentai tra le lacrime e la mattina dopo mi svegliai a mezzogiorno con la febbre alta.
La mamma mi imbottì di medicine e passai i successi tre giorni completamente stordito.
Nella mia testa si accavallavano le voci e le immagini, sentivo mio padre parlare concitatamente al telefono dal piano di sotto, i pianti di mia madre e una sera mi parve di vedere le luci della polizia riflettersi attraverso la finestra della mia stanza.
Quando finalmente la febbre passò, mi affacciai al balcone della mia stanza e trovai, poggiati alla ringhiera, alcuni libri che avevo visto a casa di Bob.
Nella mia testa vidi chiaramente l'immagine di lui, che, durante la notte, si tendeva dalla sua casa fino alla mia per lasciarli.
Volevo piangere, ma me ne mancava la forza.

"Rogers era un mutie veramente!"
Sono a scuola, che ripasso per il compito di letteratura inglese della prossima ora.
"si, ho sentito..." non alzo neanche lo sguardo dal libro.
"L'hanno portato alla polizia per degli accertamenti, non ho capito bene cosa... è saltato fuori il fatto che è mutie... ora mai lo sanno tutti in città! Mio padre ha detto che nel nostro negozio non gli farà comprare neanche una lattina di birra! Cavolo Joey, hai vissuto tutto questo tempo accanto a un mutie! Chissà se ti ha attaccato qualcosa!"
"Non è come il formaggio..." gli rispondo.
"Che cosa?"
"Niente..." prendo il libro ed esco a studiare in corridoio.

Sono passate due settimane dalla scenata che ha fatto papà.
Non ho visto Bob da allora.
Ho continuato a studiare da solo e qualche giorno fa ho fatto il compito.
Oggi abbiamo avuto i risultati, ho avuto una A...
Cammino per strada con gli occhi fissi sul foglio: mi sembra quasi impossibile.
Papà e Mamma si sono calmati e mi permettono di andare e tornare da scuola da solo, ma adesso vogliono sapere ogni posto dove vado e chiedo ragione di ogni ritardo.
Quando arrivo davanti casa, vedo un camion di una ditta di traslochi fermo davanti casa di Bob.
"Il signor Rogers... sta traslocando?" chiedo ad un uomo che sta caricando un divano.
L'uomo finisce di spingere il divano nel camion e si asciuga il sudore "Il signor Rogers si è già trasferito a New york..."
New York.
E' così lontana.
L'uomo torna al lavoro, mentre io osservo i mobili accatastati giardino.
E' andato via, senza che lo potessi salutare, senza poterlo ringraziare per quello che ha fatto per me.
Vi avvicino alla poltroncina su cui mi ero seduto il giorno del nostro primo incontro.
Piego il foglio del compito e lo infilo tra i cuscini.
Ritorno sui miei passi ed entro in casa.
Non c'è nessuno, lascio le mie cose nell'ingresso, vado in cucina e prendo una mela.
Faccio per addentarla, quando mi accorgo che fuori dalla finestra la casa di Bob mi osserva.
Sento una sterminata tristezza avvolgermi il cuore.
Lascio cadere la mela e mi stringo le mani al petto.
I peli cominciano a crescere in tutto il mio corpo, li sento indurire, diventare aculei e lacerare i miei vestiti.
Cerco di concentrarmi, come mi ha insegnato Bob, per ritirarli, ma non ci riesco.
Cerco pensieri piacevoli con la mente, ma non li trovo.
Penso solo che non rivedrò più Bob.
D'un tratto mi tornano alla mente i giorni passati a studiare assieme, il suo sguardo accondiscendente davanti ai miei errori, i suoi sorrisi davanti alle mie affermazioni, quell'ambiente caldo e confortevole, in cui un adulto mi trattava da suo pari...
Suona il telefono e mi ridesta dai pensieri: sono sdraiato per terra seminudo, gli aculei sono spariti.
Rispondo e sento la voce di Ralph dall'altro capo.
Mi chiede se voglio andare al cinema.
Gli dico di si, scegliamo il film e ci mettiamo d'accordo sull'ora dell'appuntamento.
Salgo in camera mia a cambiarmi.
Indossati dei vestiti puliti e gettati nella pattumiera i resti degli altri, mi accorgo del disordine sulla scrivania.
Metto da parte i miei quaderni, poi prendo i libri e li infilo uno per uno nella libreria.
Scrivo in un foglietto un messaggio per i miei genitori, in cui li avverto che sono al cinema con Ralph.
Lo lascio attaccato al frigo ed esco.

 

FINE

 

 

Un mezzo di troppo:
Cosa vuol dire il numero frazionario? Il numero frazionario è un numero in più, in cui raccontare altre storie di Mutie: potrà essere un racconto breve, una storia in più parti, o un approfondimento sui personaggi della serie regolare.
Questa è la parte di Muties aperta ad ogni collaborazione: se avete un'idea fatevi avanti senza paura, ci sarà sempre spazio per voi sui numeri frazionari di Muties.
Questo primo racconto, altro non è che un "pilota" della serie regolare. Il protagonista di Muties inizialmente doveva essere molto simile a Joey, sia per l'età, che per i poteri, che per il contesto... poi lentamente è cambiato, ma ho condensato le idee in questa storia, sperando che il risultato vi sia piaciuto!