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Uomo Ragno  #49.

 

 

FAILTE DO'N GHALDHEALTACHD.

 

 

Di Yuri N. A. Lucia

 

 

 

All'inizio fu un po' come se un gruppetto di lucciole si levasse timidamente da terra per alzarsi verso l'azzurro cielo.

Poi la luce del sole venne oscurata da alcune nubi, che prima lentamente e poco numerose, poi sempre più rapidamente e sempre in maggior numero, si frapponevano tra esso e la madre Terra.

Cominciarono a danzare, seguendo un moto spiraliforme, mentre le piccole luci assumevano una colorazione che variava dallo smeraldino al dorato, e ormai a milioni formavano una colonna che sembrava volesse squarciare quel vello.

Lei lo aveva avvertito: nei laghetti, nei fiumiciattoli, nel bisbiglio del vento tra i vecchi alberi, nel canto degli uccelli.

I sogni le avevano preannunciato quell'arrivo e le avevano detto che ancora una volta il suo aiuto sarebbe stato richiesto, mentre i segni le avevano indicato dove attendere.

Aveva visto il volto dell'amico di quelle terre, che tempo addietro venne per salvarli tutti dalla distruzione, quando il Cuore di Cristallo era stato avvelenato dalla stoltezza di uno.

Il miracolo stava avvenendo sotto i suoi occhi, grazie ad una momentaneamente rinnovata magia, e sentiva che le Forze le chiedevano di partecipare, di aiutare Colui il Quale era stato il Campione.

Alzò le braccia al cielo, evocando il Potere, nel nome delle pietre, delle foglie d'autunno, dei sospiri e dei giuramenti.

Pronunciò i vecchi nomi dimenticati da tempo: Bel Belenos,Cernuntes, Manawydyr, Goffanon; invocò il loro aiuto, e l'aiuto tutto di coloro i quali ora vivevano al di là del tenebroso Crouchan, sotto i meli sempre in fiore dell'Annwynn.

Da ogni granello di polvere, da ogni sasso sotto i suoi piedi, e da dimenticate zone in profondità arrivò il sostegno che stava supplicando. Poi furono i vicini boschetti, dove un tempo si celebravano i riti e si componevano i cerchi, a dare il loro contributo, e toccò anche alle acque e all'aria. L'avvertì come una scossa, perché era sempre così all'inizio, che quasi la spezzò, tanta ne era la potenza e tanto era il tempo da cui non tentava più un impresa così grande.

Un vero druido sarebbe servito, e non una vecchia avvizzita; questo era quella che pensava.

Ma non avrebbe smesso per nulla al mondo, specie se era per Lui.

La scossa divenne un fuoco che gonfiò le carni molli, rinvigorendo muscoli e arterie mentre il sangue scorreva veloce, pulsando ritmicamente. Gli occhi crepitavano di luce viva e dalla bocca spalancata uscivano gli spiriti del Piccolo Popolo che avevano scelto, tempo addietro, di abitare in lei pur di non lasciare quel mondo, sollevandola in alto, sempre di più.

Direzionò forze più grandi di lei, usando tutta la sapienza che le era stata infusa, tutta l'esperienza che aveva maturato nel corso di lunghi anni vissuti.

Fu una lotta dura, perché le barriere che erano state ripristinate, erano forti, più di quanto ricordasse, ma alla fine trionfò. Si lasciò cadere seduta in terra, dopo essere stata riadagiata giù, sulla morbida erba, respirando affannosamente;

La sagoma spuntò tra l'ultima luminescenza che come nebbia, veniva riassorbita dalle pietre da cui era stata generata.

Camminava con passo sicuro, verso di lei, e anche se i guanciali ruotabili su cui erano incise rune protettive coprivano il volto, dandogli la spettrale aria di uno spirito tornato nel mondo dei vivi, era sicura che le stesse sorridendo. La testa di morto ora era vicina, il costume sotto le protezioni ridotto a brandelli, il mantello sporco di polvere e fango, e le parlò, con voce gentile e riconoscente:

"Grazie Mairi. Se non fosse stato per te non sarei mai tornato."

"Sono al tuo servizio, e lo sai: hai salvato il mio mondo e né io, né esso, ce ne siamo dimenticati o ce ne dimenticheremo mai, Uomo dei Ragni."

Peter Parker la abbracciò con affetto e calore, tenendola stretta a sé.

 

 

 

New York - Vicino l'Hudson. Venerdì, ore 7.00 a.m.

 

 

 

Rucker osservava attentamente la scena del crimine, anche se termine mattatoio forse sarebbe stato più adatto.

Sembrava il grottesco scenario di quelle assurde commedie nere che piacevano tanto a sua moglie quando erano giovani, quando andavano di moda fare gli intellettuali di sinistra e anticonformisti: non che lui ci fosse mai cascato o si fosse mai sentito tentato di cedere alle lusinghe del trend;  la differenza era che non si trovava di fronte ad una rappresentazione ma ad un vero eccidio, con 14 morti, tutti realmente defunti e in modo piuttosto brutto.

Sul posto c'erano tre sue vecchie conoscenze: Peter Suschitziky, Willem Roper e Cassio Afleby della scientifica, intenti a fotografare e raccogliere prove.

"Ciao Pete, è un po' che non ci si vedeva."

"Incredibile, eh tenente? Con tutto il sangue che è stato versato ultimamente è strano non esserci mai incontrati."

"Già, e come se non ne fosse sgorgato già abbastanza, ora pure questo. Comunque dobbiamo smetterla di incontrarci in queste occasioni e magari organizzare una cosa al bar."

"Ho idea che sarà molto difficile farlo a breve, almeno se ti affideranno il caso."

"Roba grossa, vero?"

"Puoi dirlo forte."

"Avete trovato qualcosa di interessante?"

"Bossoli di vario tipo: 380 e 45 ACP, 38 special, 22 long rifle...; e questo è solo l'antipasto."

"Abbiamo a che fare con un piccolo commando, oppure con un armeria ambulante."

"Cosa ti fa pensare ad un solo uomo?"

"La disposizione dei corpi: direi che hanno cercato di prendere qualcuno, magari circondarlo; ma potrei anche sbagliarmi."

"Non lo so, Rucker, potresti aver fatto centro invece. Purtroppo non ne sappiamo ancora abbastanza. Temi che sia stato un killer, o un vigilante?"

"E chi può dirlo? Dopo tutto quello che è successo."

"Hai visto il pezzo forte?"

Pete Suschitziky gli fece un cenno con il capo, indicando vicino a una colonna di sostegno.

"Buon Dio..." Riuscì a mormorare Terenzio Oliver Rucker.

"A certe cose non ci si abitua mai, eh?"

Una serie di forti colpi di tosse attirò la loro attenzione, spingendoli a voltarsi. Vicino all'entrata c'era un giovane agente che non aveva retto e stava dando di stomaco. Si appoggiò alla porta di metallo, lasciandosi scivolare lentamente verso il pavimento. Un paio di colleghi andarono a sincerarsi che stesse bene.

"A certe cose non ci si abitua mai, hai proprio ragione Pete. Sembrerebbe una specie di rituale."

Riprese il discorso Rucker.

"Non so che dirti. Non sarebbe la prima volta che ho a che fare con una cosa del genere. Qui a New York, il satanismo è di moda e c'è stato anche un certo numero di casi in cui si potrebbe parlare di omicidio rituale. In questo caso però non riesco a riconoscere il rito. Potrebbe essere l'adepto di qualche nuova setta."

"Dovremmo fare un piccolo lavoro di ricerca nell'ambiente."

"Quando dici dovremmo, intendi dovreste."

"Non preoccuparti, farò la mia parte, mi occuperò di verificare se  nell'ambiente della mala qualcuno ha assoldato un killer per far fuori questi signori. In fondo erano dei delinquenti, appartenenti a due bande molto in vista qui in zona."

"Secondo me, tu punti sul vigilante."

"In via confidenziale: ho un certo timore. Al momento so che probabilmente non potrò passare del tempo con mio figlio, che era passato a trovarmi."

"Mi dispiace. La vita di noi sbirri è dura, che cosa ci vuoi fare?"

"Niente. Comunque almeno noi una vita l'abbiamo, questi disgraziati neanche quella. Non erano certo dei santi, ma essere trucidati così."

I due uomini si scambiarono un occhiata di mutua intese e tornarono ad osservare il terrificante spettacolo.

 

 

 

Un istallazione segreta, da qualche parte nel New Jersey. Venerdì, ore 10.00.

 

 

Toninev attraversò il ponte metallico che si estendeva sopra un graticcio attraverso il quale si intravedeva un intrico di cavi, al cui interno sapeva scorrere diversi fili di rame, tungsteno e acciaio; entrò in un corridoio con il soffitto a volta e le pareti di uno sterile color grigio chiaro, camminando sulla gomma con cui era stato ricoperto il pavimento.

L'illuminazione veniva da alcuni neon disposti lateralmente. Fece il suo ingresso nella sala A -1, accompagnato da quei secondi di gelo che si verificavano immancabilmente si creavano quando arrivava.

Prese posto davanti alla sua consolle, dove gli schermi 2 e 3 - D, mostravano una lunga serie di dati e grafici multi colore.

"Signor Faunt." Chiamò con la sua voce profonda e con il suo solito tono freddo come il metallo" C'è qualcosa di nuovo?"

Edmond Faunt si schiarì la gola, cercando di vincere il reverenziale timore che provava sempre al cospetto di quel mostro sacro della scienza che era Toninev, ed espose i fatti così come aveva fatto altre volte:

"Di veramente nuovo, nulla. Abbiamo la conferma che ci troviamo di fronte a due elementi transuranici, non c'è dubbio."

"Ipotesi?"

"Al momento solo una potrebbe essere accettabile da un punto di vista razionale: non si sono formati sulla superficie terrestre; potrebbero venire dalle zone sottostanti, dal nucleo stesso; oppure dallo spazio, portati da un meteorite.

La teoria matematica da lei sviluppata sulla teoria della dinamica dei mesoni presuppone l'esistenza di tre elementi transuranici: l'Iperium, l'Eterium e l'Ultranium; tali elementi, una volta formati, sarebbero divenuto stabili grazie a una distorsione nella curva massa transuranica contro energia coibente. Solo grazie a due condizioni si potrebbero ottenere:

Il punto di detonazione di una bomba nucleonica  o il collasso di una supernova che si trasformi in stella neutronica; ora dobbiamo per forza di cose escludere l'ipotesi dell'esplosione di un ordigno nucleonico, visto che solo noi al momento ne possediamo uno. Del resto le reazioni nel nucleo terrestre non sono sufficienti a giustificarne la creazione, perciò rimane più probabile l'ipotesi del meteorite."

"Non sia così frettoloso Faunt. Non possiamo e non dobbiamo escludere niente. Comunque per ora abbiamo trovato l'Iperium e L'Eterium, manca l'Ultranium. I nostri finanziatori sono impazienti, vogliono dei risultati, e noi siamo obbligati a dargliene. Continuate il lavoro e ricordate: non voglio preconcetti, seguite tutte le piste, anche quelle apparentemente meno logiche e più assurde. Signori, buon lavoro."

Erano rimasti tutti meravigliati. Sapevano che quell'uscita poteva significare solo una cosa: Toninev era al settimo cielo e in stato di grazia; del resto quella scoperta avrebbe potuto far progredire il loro lavoro di anni in poche settimane.

L'arcigno direttore uscì, fischiettando un vecchio motivo di operetta che amava molto.

Presto avrebbe occupato nella storia lo stesso posto che avevano Einstein, Fermi, Marconi e Maimn.

 

 

 

Chinatown - New York City, Dojo Figli della Tigre.

 

 

Abe girò intorno ad Hobie cambiando più volte il senso di rotazione, in modo da intontirlo ma quello non si fece cogliere impreparato quando scattò con uno dei suoi famosi calci rovesciati. Si ritrovò a dover scansare un colpo di taglio diretto alla mascella che evitò per un pelo, cosa che non riuscì a fare con la spazzata. Cercò di atterrare in modo da assorbire gran parte dell'impatto e sfruttarlo per rimettersi in piedi. L'impresa riuscì solo a metà e venne placcato dal fratello che cominciò a colpirlo più volte ai fianchi. Fu costretto a colpirlo con una ginocchiata al mento, e solo allora riuscì a staccarsene. Hobie sputò il paradenti e si slacciò il casco. Aveva metà del viso ancora tumefatto e notò che la benda che aveva in testa si era di nuovo arrossata.

"Ok, mr! Ora basta, questo scontro è andato..."

Non riuscì a terminare la frase. Hobie eseguì il passo della tigre, che terminò con un colpo in stomp alla coscia destra. Se lo avesse preso al ginocchio glielo avrebbe ridotto piuttosto male. Fu costretto a trascinarsi dietro, ma il fratello continuò l'attacco, finché non riuscì ad infiltrarsi con uno snatch tra le sue difese e gli mise la mano sul viso.

Solo allora si fermò, tornando indietro.

"Scusami Abe... ma in un combattimento reale l'avversario non sarebbe stato tanto generoso come te da interrompere per via delle mie ferite."

"Se tu avessi affrontato un combattimento vero ridotto così, saresti un vero pazzo! Non avrei dovuto acconsentire a questo allenamento! Sono stanco dei tuoi silenzi e sotterfugi: Mindy ed io siamo preoccupati!"

"Davvero? E Mork che ne pensa?"

"Ti prego! Evita le battute cretine, c'è poco da scherzare."

"Cretina? A me sembrava carina. Sei tu che non capisci il mio senso dell'umorismo. Non l'hai mai fatto."

"Hobie.. ho ti decidi a parlare, oppure io..."

"Oppure tu cosa? Mi pesti?"

Abe osservò con impotente rabbia il viso del fratello che invece era freddo e rilassato, grottescamente in contrasto con le ferite ben visibili.

"Lascia almeno che ti cambi la medicazione."

Rimasero un po' in silenzio, mentre Abe sostituiva al fratello minore il bendaggio e il tampone sulla testa.

"Mi sa che rimarrà il segno, vero?"

"Mi sa che la prossima volta ci rimani tu! Ma da quando in qua sei così spiritoso?"

"Sai, a furia di frequentare l'Uomo Ragno, ho preso il vizio di fare battute."

"Almeno le sue sono divertenti."

"Che ci vuoi fare, lui è l'umorista del duo."

"E da quando in qua, tu e lui siete un duo?"

"Mai sentito parlare della termodinamica coppia?"

"Ma senti che battutone! Ora ti prego... dimmi che ti è successo veramente. E risparmiami la versione dell'incidente al magazzino."

"Sono stato ridotto così da un tipo che è conosciuto come il Demone."

"Il Demone? Mai sentito. E' uno dei cattivi?"

"Non lo so."

"Da come ti ha ridotto..."

"Da come parlava era convinto di essere lui uno dei buoni."

"Non sembrerebbe. Ed è per questo che sei così arrabbiato? Vuoi vendicarti?"

"No. All'inizio, subito dopo essere stato malmenato, ammetto che è stato il mio chiodo fisso per circa... beh diciamo che ci ho pensato. Ma poi ho capito qual'è la cosa più importante: Abe, quel tipo è un pericoloso psicopatico assassino; si è divertito a giocare con me, come il gatto con il topo. Ho preso un po' di informazioni e ti assicuro che la lista delle persone che ha fatto fuori è piuttosto nutrita. Non posso lasciarlo in libertà... non si fermerà, né si lascerà fermare con tanta facilità. Ho il dovere morale di fare qualcosa."

"Si, hai detto bene. Ma non hai il dovere di farti massacrare nel tentativo di prenderlo. Sei ancora troppo arrabbiato... e troppo spaventato. Non negarlo, ti ha terrorizzato, vero? Succede prima o poi a tutti quanti, di incontrare qualcuno che riesce a spaventarci a morte. Il problema è che in questo modo, lui avrà un potere su di te e questo significa che perderai di nuovo. Devi calmarti, riflettere, organizzarti, prepararti. Se posso dire la mia, non devi affrontarlo da solo: se è così pericoloso, chiedi l'aiuto di qualcuno; non farne una questione personale, perché non lo è. C'è di mezzo la vita di molte persone."

Hobie sorrise al fratello.

"Hai ragione Abe, non posso farlo da solo. Ho intenzione di chiedere l'aiuto di qualcuno, speravo nel ragnetto, visto che ci conosciamo da un po'. Non voglio lasciarci le cuoia, credimi, non ora che sto per diventare padre."

"Ne sono veramente felice." Concluse Abe, se pur ancora molto preoccupato.

 

 

Scozia. Un piccolo paesino nei pressi del  Bealach na Bà- ore 12.00 a.m.

 

 

Peter mangiò con avidità lo stufato di porri e cardi che le aveva preparato Mairi, prendendone diverse generose cucchiaiate e deglutendo un po' del succo di more che si era versato dalla caraffa di coccio nel bicchiere.

La vecchia guardava con grande piacere il giovane consumare volentieri il pasto, e gli sorrise amichevolmente.

"Davvero Mairi, grazie, grazie ancora di cuore..." Bofonchiò tra un boccone e l'altro.

"E' un mio dovere portarti aiuto, uomo delle città, quando e dove mi sia possibile farlo. Io e questa terra abbiamo un debito con te e nessuno dei due ha la memoria corta, credimi."

"Ma... comunque non vorrei disturbare..."

"Di quale disturbo parli? Non ricordi? Sei nel croft della tua famiglia."

"Beh, a dire il vero, sarebbe il croft della zia di Mary Jane..."

"Che lei ha ereditato alla morte della sua congiunta, e su cui tu, in quanto amato consorte, hai eguali diritti. Questa è a tutti gli effetti casa a te, e alla tua famiglia. Dunque ricordati che sei tu l'ospite di questa casa, e non certo io."

"Eppure hai fatto tanto durante la nostra assenza."

"Solo rassettare, e preoccuparmi che fossero eseguiti i necessari lavori di restauro. E' un privilegio per me potermene occupare, e poi, non è stato difficile con l'aiuto del Barone McCullogh."

"Chi sarebbe? Non ho mai sentito questo nome."

"E' un cugino del defunto Laird. Ora è il tutore legale del giovane Laird e di lui si occuperà fino all'età della ragione. E' una persona di grande caratura morale, onesta e integerrima, e intimamente legata a queste terre, in un modo molto speciale. Ha saputo che tu è tua moglie avete aiutato il suo pupillo nel momento del bisogno. No, stai tranquillo, lui non sa dell'Uomo dei Ragni, e a dire il vero persino le memorie degli abitanti di questo villaggio sono coperte da un velo che copre la sua figura."

Peter la guardò con curiosità e divertimento.

"E tu non centri nulla?"

Chiese strizzandole l'occhio.

"Io? Una povere ed indifesa vecchia?"

Rispose lei ricambiando il cenno con aria sbarazzina.

"Comunque," proseguì Mairi" lui sa solo che tu e Mary Jane avete prestato soccorso al ragazzo mentre era svenuto e lo avete ospitato per un breve periodo. Questo è stato più che sufficiente perché mi mettesse a disposizione i mezzi per occuparmi della casa."

"E come mai io non ne sapevo nulla?"

"Questo devi chiederlo a tua moglie. Forse le sarà passato di mente. O forse, come tutte le donne, ha i suoi piccoli segreti."

"Come te del resto."

"Ne ho meno di quanti tu ne possa credere."

"Ne dubito. Comunque, quando avrò finito, dovrò assolutamente chiamare mia moglie per dirle che sto bene. Cielo, ho una voglia di sentire mia figlia... che stupido! Mi viene in mente solo ora che tu non l'hai mai vista! Sai, sarebbe bello portarla qui, questo è davvero un posto meraviglioso."

"Portala quando vuoi. Nel suo sangue non c'è solo la magia degli Spiriti Ancestrali, ma anche un po' di quella delle Fate che hanno abitato qui."

"Che intendi dire per Spiriti Ancestrali?"

"Tu lo sai bene, Uomo dei Ragni. Di recente uno di essi, per la precisione quello a cui sei legato, ti ha fatto visita, portandoti soccorso in un momento di urgente bisogno."

Peter socchiuse un attimo gli occhi. Sentì il calore della zuppa che attraverso la leggera trapunta si spandeva sulle sue cosce, salendo lentamente in alto. Inalò un po' il buon profumo della pietanza, poi cercò di concentrarsi sugli avvenimenti degli ultimi giorni, o delle ultime settimane, visto che il tempo scorreva in modo diverso in Faeer.

Li riaprì di scatto, realizzando che si stava riferendo a quanto accaduto dopo la lotta con lo Scorpione, e si ricordò quanto gli avevano detto Darion e lo Stregone dei  Ragni.

"Avevo scordato quell'evento, anche perché sul momento l'avevo vissuto come una specie di sogno. Adesso mi pare di ricordare tutto: la voce, il turbinio che prendeva una forma sempre più netta, la sensazione di selvaggia euforia; cos'è successo veramente? Cosa mi ha fatto quell'essere? E che cosa è?"

Mairi sospirò, e si mise a contemplare il nodoso bastone con cui da tempo accompagnava i suoi passi sempre meno sicuri e spediti.

"Tu l'hai capito. Ultimamente ti sei sentito come estraniato da te stesso, quasi incapace di pensare, e in preda ad istinti che non credevi possedere. Lui ti ha riportato indietro dall'abisso, solo perché poteva intervenire in quello specifico caso: ti eri battuto contro l'estensione di un suo diretto rivale, e in te permaneva ancora la volontà di tornare al mondo dei vivi; ma c'è stato un prezzo da pagare, ed è stato l'aver alterato il tuo equilibrio. Se, e quando tornerà normale, questo non lo so dire."

"Ma... mentre ero... ero dall'altra parte è successo che..."

"Uno degli altri tre ha fatto sentire il suo richiamo."

"Come fai a sapere di..."

"I nomi per me non hanno importanza. Io sono in questa terra e questa terra è in me, praticamente da quando sono nata o quanto meno da quando ho memoria della mia vita. Essa parla, mi avverte, mi canta canzoni che  narrano di eventi passati e, qualche volta e sempre più di rado, di quelli futuri. Non può raccontarmi tutto, ma solo le cose che la riguardano direttamente e nell'immediato futuro. A dire la verità lo fa con tutti, ma io so ascoltare, sono stata allenata dal mio bisnonno a farlo."

"Anche lui aveva i tuoi poteri?"

"Lui era un Druido."

"Un druido? Come quello di Asterix? Oh, scusa Mairi, io non volevo offenderti! E' il mio dannato vizio di cercare di sdrammatizzare ogni cosa con delle battute."

"Non preoccuparti, il tuo modo di scherzare mi diverte. Era un Druido vero, fatto e finito, e uno degli ultimi e più grandi di tutti i tempi. E' stato lui ad iniziarmi."

"Iniziarti? Allora sei un druido anche tu? Scusa, ma i druidi non erano solo uomini?"

"Nessuna legge a mai vietato alle donne di diventare druido."

"Ottima osservazione. Ma non ho ancora chiaro quello che è successo, né che cosa siano questi Spiriti Ancestrali, hai anche detto che quello che mi avrebbe salvato, è legato a me. Hai anche detto che lo Scorpione era l’estensione di un suo rivale. Che intendevi?"

"Hai molte domande, e devo confessarti che non ho tutte le risposte. Sugli Spiriti Ancestrali posso dirti che essi esistono da tempo immemore, e che risiedono per lo più nei territori conosciuti anche come Dorodo o Golgonda."

"Aspetta! Anche Darion me ne aveva parlato! Lui mi chiamava l'eletto dai gogonati, il prescelto di Shitra."

"Essi sono chiamati con molti nomi, che variano da terra a terra, ma sono sempre loro. Non ti so dire molto, se non che le loro azioni sono spesso imperscrutabili per i mortali e che sfuggono alla comune definizione di bene e male."

"Lo Stregone dei Ragni mi disse che avrei dovuto scegliere quando il tempo sarebbe venuto ed io fossi stato chiamato..."

"Anche su questo non so esserti molto d'aiuto."

Peter si sentiva di nuovo frustrato, perché non riusciva a mettere insieme un quadro soddisfacente di quanto gli stava accadendo. Gli eventi si erano succeduti con tale rapidità che non aveva avuto il tempo di rendersi davvero conto dei suoi strani comportamenti. Solo quanto accaduto su Faeer gli aveva fatto aprire gli occhi e prendere coscienza.

 

 

Broodway, Cirra theater. Ore 12.00 a.m.

 

 

"Eeeee…stop! Bravi, bravi tutti! Molto bene! Mary Jane, tu sei stata semplicemente divina! Non riesco a crederci! Ogni volta che reciti la tua parte mi fai impazzire come la prima, e dire che questa poi è solo una prova! Non oso pensare cosa mi combinerai tra un paio di sere, quando si farà sul serio rossa!"

Mortimer Beaton, il nuovo regista di Moulen Rouge si era espresso con la sua solita esuberanza, e per rendere ancora più teatrale il tutto, le aveva fatto il gesto di disegnare un grosso cuore nell'aria e glielo aveva spedito con un bacio.

M.J. si mise a ridere, perché trovava quell'uomo molto divertente e simpatico, e da subito si era stabilito un bel feeling tra di loro. Dopo l'incidente con la famiglia Gambino, lo spettacolo aveva perso colpi a causa di una specie di psicosi da scontro tra gangster che si era venuto a creare, e la storia dello Scorpione aveva peggiorato le cose. Il vecchio regista aveva gettato la spugna, convinto  che lo spettacolo fosse destinato a colora a picco, ma Savery, il produttore, aveva puntato su quel giovane regista emergente, desideroso di farsi un nome e ben felice di lavorare con un astro nascente come lei.

"Ohhh M.B.! Tu riesci sempre a mettermi in imbarazzo! Sono diventata così rossa che tra un po' faranno fatica a distinguere il viso dai miei capelli! Sei proprio un ragazzaccio!" Ribatté finta civettuola, assecondando il suo gioco.

"E tu sei una ragazzaccia! Ma reciti come una dea! O.K. gente, siccome anche voi siete stati impeccabili, direi che ci possiamo concedere una bella mezz'ora di pausa. Mangiate, coltivate le relazioni sociali, telefonate a casa, fate quello che volete ma tra mezz'ora vi rivoglio qui, belli riposati e pronti a darmi ancora lacrime e sudore, intesi? Bene, rompete pure le righe e filate via che per un po' non voglio vedere i vostri brutti musi, è da stamattina alle 08.00 che me li devo sorbire. Un bacio a tutti e a te, M.J.,uno doppio."

 

Mary Jane entrò nel suo camerino, e si lasciò scivolare sulla comoda poltroncina che avevano gentilmente pensato di regalarle e, a dire il vero, era stato un regalo più che gradito. Prese il telefono e compose il numero di casa, dove rispose Gayle.

"Allora, come si sta comportando la mia diavoletta? Sta facendo la brava? Bene, spero che non ti dia troppo da fare. Sei stata un vero tesoro a volerti occupare di lei. Oggi zia andava a sottoporsi a quella visita di controllo periodica e non sapevo a chi affidarla. May sta molto volentieri con te e i ragazzi. Me la passeresti un attimo? Grazie. Un bacio Gayle, ci vediamo dopo.

Ehi! Allora, cosa sta facendo la piccolina di casa? Non è che fai la discola? Ah, bene, ne sono molto contenta. Mi raccomando, fai la brava e quando torno giochiamo insieme, d’accordo? Un bacione anche a te. Ciao piccolina."

Quando riattaccò udì una serie di colpetti alla porta.

"Avanti, chi è?"

"Ciao M.J."

Salutò con calore Martin Savery mentre faceva il suo ingresso nel camerino. Le fece cenno di stare comoda quando lei tentò di alzarsi, e si allungò verso di levi per salutarsi con un bacetto sulla guancia.

"E' da molto che bussavi? Scusami Martin, ma sai, ero al telefono con mia figlia e quando c'è di mezzo lei, mi scordo di tutto il mondo."

"Ehi, non dirlo neanche per scherzo. Ti capisco benissimo, sai? Anche io quando sento Hugh, perdo la cognizione del tempo. Come sta May? E sopratutto quand'è che ti decidi a presentarmi lei, e tuo marito."

"Pensavo che avessi già conosciuto Peter."

"Certo. Se stringersi la mano di corsa durante l'assalto di fan e giornalisti me lo chiami conoscersi. Mi piacerebbe organizzare una bella cena, così potremmo ritrovarci tutti quanti assieme e fare quattro chiacchiere in libertà."

"Mi piacerebbe molto, ma... Peter è momentaneamente via per lavoro."

"Ah, che peccato." Disse con tono di autentica delusione" Beh, si può sempre recuperare quando torna. Vi farò provare l'ebbrezza della cucina etiope, e ti assicuro che dopo aver assaggiato i piatti che io preparo, gli stessi etiopiani se ne sono commossi per la bontà."

"O forse erano lacrime di scontentezza." Lo punzecchiò scherzosa M.J.

"E chi può dirlo? Magari hai ragione tu. Comunque, oltre che a farti i complimenti per le prove, volevo anche portarti un paio di buone notizie. La prima è che abbiamo già il sold out per i prossimi due spettacoli."

"Cielo! Questa si che è una super notizia!"

"E non è tutto! Mi sono aggiudicato i diritti per portare sulle scene Chicago."

"Cooosa?! E come ci sei riuscito?!"

"I proprietari dei diritti hanno ceduto solo quando gli ho assicurato che ci avresti lavorato tu. Sai che mi hanno detto: Potrebbe fare qualsiasi parte, anche quella di Richard Gere se solo lo volesse!"

Risero tutti e due.

"Martin, mi sembra un sogno che diventa realtà!"

"Direi. Hai lavorato duro per arrivare dove sei, è tutto merito tuo."

"E anche tuo e di tutto il team."

"Amo pensare di aver svolto bene la mia modesta parte. Comunque, domani sera c'è un party dai Johns, e sarebbe bene che tu ci venissi. So quanto odi queste occasioni mondane, ma è tutta pubblicità gratuita che fa bene a te e allo spettacolo, perciò di chiedo, in qualità di produttore, e spero anche di amico, di parteciparvi!"

"Non posso resistere ad una richiesta fatta in modo tanto galante e impeccabile."

Lui le prese le mani e le strinse con caloroso affetto.

"Sei una grande m.! La tua stella brillerà con tanta di quella luce nel firmamento da offuscarne parecchie altre, credimi."

"Spero solo di non tramontare prima del tempo."

Martin la salutò e si congedò da lei.

 

 

Chesterville -Inghilterra - Una delle basi segrete di Crown. Ore 12.00

 

 

Gunther passeggiava nervosamente fuori dal laboratorio analisi, attendendo che Doc. finisse di visitare Flare. Erano passati alcuni giorni dallo scontro che per poco non le era costato la vita e da allora, anche se all'apparenza sembrava essersi ripresa, aveva continuato ad accusare tutta una serie di problemi alla quale non si riusciva a trovare spiegazione.

"Eccolo il nostro Lupus in Fabula!"

L'esclamazione in un inglese pronunciato con un pesante accento russo era venuta dalla massiccia figura di Performer che stava avanzato con a fianco Leone Rosso. Quest'ultimo fece un gesto che inequivocabilmente lo invitava a mantenere la calma e si rivolse con il solito tono freddo e distaccato al tedesco:

"Allora, non credevo di essermi spiegato tanto male. Dovevi addestrarti con la squadra B. e poi occuparti della manutenzione armi, oggi era il tuo turno."

"Si da il caso che le armi le abbia già controllate" ribatté stizzito " e che la squadra B. abbia rifiutato di allenarsi con il sottoscritto."

"Non trovo difficile crederlo, vista la tua insopportabile boria! Razza di Crauti di merda, sarebbe ora che qualcuno..."

"Basta così!" Ammonì Leone Rosso con grande severità" Non ricordo di averti ordinato di parlare Performer. Qui l'unico responsabile delle azioni degli uomini al momento sono io, perciò un'altra minaccia del genere ad un membro di Crown e sarò costretto a prendere provvedimenti disciplinari. Per quanto riguarda te, Gunther, so che sei estremamente zelante nello svolgere i tuoi compiti, ma dubito che anche con la tua abilità tu possa esserti occupato in modo efficiente delle armi in soli quindici minuti. Ti consiglio caldamente ti tornare in armeria, e ricominciare tutto d'daccapo o quanto detto per Performer varrà per te."

"Ah si? E se non ci volessi andare? Chi mi costringerà ad andarmene in cella di punizione? Se permetti sono più interessato a quello che quell'alcolista stava dicendomi! Non permetto ad un avanzo di feccia comunista come quello di..."

Ci fu un ringhio selvaggio, animalesco, di rabbia repressa per giorni interi che finalmente aveva avuto la sua occasione di venire fuori e Performer si avventò contro l'oggetto del suo odio. Un attimo prima di toccarlo si trovò bloccato a mezz'aria e venne mandato a sbattere contro il soffitto.

"Ahahaha! E questo era il meglio che sapevi fare compagn..."

Prima che Gunther potesse terminare la frase, fu spinto da un eguale forza verso il pavimento.

"Per rispondere alle tue domande: se non volessi andare in cella di isolamento, ti ci porterei io, facendoti camminare a quattro zampe come il cane arrabbiato che sei; non so perché ti sia tanto difficile seguire gli ordini, visto che ti vanti di essere così ben disciplinato..."

"... lurido... mezzo negro... io non ubbidisco ai... cooof"

"... e francamente sono stanco dei tuoi atteggiamenti super ottimistici, e di quella tua aria di sufficienza. Se sei qui, è perché i nostri capi hanno deciso di scongelarti, decisione che per inciso non approvo minimamente, e darti una chance di cambiare vita ed integrarti al mondo del ventunesimo secolo. Sei sotto l'autorità di questo gruppo e abbiamo la responsabilità per le tue azioni, azioni che quasi sono costate la vita del nostro leader, non credere che lo abbia dimenticato... gahff..."

Il volto di Leone Rosso si contrasse in una smorfia di dolore, e sentì il sangue colargli dal naso fino alla bocca, mentre cercava di contrastare la forza di Gunther, che non voleva saperne di rimare giù.

"Come un cane eh?... Negro di merda... come un cane dovrei portartici io in giro... te e tutta la tua stirpe maledetta dagli dei! Mhhh... Cosa pensi di fare? Tenermi giù con i tuoi trucchetti? Maledizione! Io sono la Führertruppe Ubermensch #66, e non mi faccio trattar..."

Ancora una volta un ondata di dolore lo costrinse a piegare di nuovo il ginocchio. Era stato un aumento improvviso della temperatura alle sue spalle, preceduto da un lampo di luce cremisi.

Leone Rosso sorrise:

"Salve capo!"

"Ma bene. Vi lascio soli, giusto il tempo di una visita di controllo, e voi che cosa fate? Vi cominciate a scannare a vicenda! Quant'è che ci avete messo stavolta? Un paio d'ore? Signore Onnipotente, creatore del cielo e della terra, dimmi che cosa devo fare con questi qui?"

Performer, che nel frattempo era ricaduto sul pavimento, si rialzò, massaggiandosi la schiena che era leggermente indolenzita.

"Beozemoi! E' un piacere rivederti perfettamente in forma, capo."

Gunther, libero dalla morsa telecinetica, si rimise in piedi, e voltatosi verso di lei cercò di trovare le parole adatte ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Flare riprese a parlare, in tono severo e guardandolo con disapprovazione:

"Cosa volevi fare? Spiegamelo un po'. Volevi assalire un tuo superiore e un tuo compagno? Spero che troverai una giustificazione credibile per tutto questo, del tipo che eri posseduto da un malefico simbionte alieno affamato di cervelli umani.

Ascoltami bene, te lo ripeterò una sola ed ultima volta, poi non sarai così fortunato: questa non è la tua Divisione Walhalla, la Germania nazista oggi è una repubblica democratica, ed Adolf Hitler, il tuo amato capo, si ammazzato in un sudicio bunker mezzo secolo e passa fa; non voglio più sentirti farneticare cose tipo nazismo per mille anni, oppure, potere ariano, né sentirti pronunciare parole come sporco negro, comunista di merda, o parassita giudaico. Sei nazista nell'animo? Sta bene, ma tienitelo strettamente per te, altrimenti ti rimando in quella cripta criogenica in cui ti avevano messo i tuoi amichetti con la croce uncinata che, detto tra di noi, ti hanno trattato come un oggetto inutile, buono al più per farci sopra degli esperimenti. Qui a comandare sono io, e quando non ci sono io, c'è Leone Rosso, e se non c'è lui, qualcun altro nominato da uno dei due, e tu devi obbedirgli, senza discuterne gli ordini, chiaro! Non dovrebbe esserti difficile, vista la tua educazione militare. Ti era stato chiesto che cosa ne volevi fare del tuo futuro, e se volevi entrare a far parte di questo programma speciale, e siccome hai accettato, ora sei roba nostra bello. Sgarra, e dovrai preoccuparti di affrontare un destino peggiore della cella di isolamento, chiaro?"

Gunther sembrava essersi congelato, l'espressione dietro la maschera del tutto indecifrabile, passarono alcuni istanti carichi di tensione, mentre Leone Russo e Performer si preparano mentalmente ad agire nel caso di un nuovo colpo di testa del tedesco che invece, si limitò ad abbassare il capo e rispondere:

"Ho capito. In futuro non si ripeterà più, mein Komandant"

Flare aveva atteso con le braccia conserte, l'aria paziente.

"Molto bene. Per stavolta l'incidente sarà dimenticato, ovviamente solo a patto che tu porga le tue scuse ai tuoi compagni."

Gunther, a malincuore, si voltò verso di loro e, non senza esitazione e con una profonda nota di risentimento:

"Chiedo scusa per il mio comportamento. Spero vorrete considerare l'incidente chiuso."

"Incidente un corno..."

Leone bloccò ancora una volta l'amico Performer, rivolgendogli un occhiata di disapprovazione, poi tornò di nuovo a fissare Gunther.

"Sta bene. Torna in armeria, e fai quello che ti ho detto. Parlerò di persona con i ragazzi della squadra B., e vedrai che non si rifiuteranno più di allenarsi con te, e tu ovviamente, eviterai di trattarli come pezze da piedi o di andarci con la mano pesante durante le esercitazioni. Ora puoi andare."

Gunther si mise sugli attenti, salutandolo marzialmente, fece altrettanto con Flare, e poi percorse il corridoio dalle piastrelle color avana, dirigendosi verso l'ascensore che portava ai piani inferiori, l'ampio mantello azzurro che svolazzava.

Performer, che aveva capito il desiderio di Leone e Flare di conferire da soli, si limitò a salutarli con un cenno della mano e andò in cucina per farsi un panino.

"Che cosa ha detto il Dottore?"

"Nulla di nuovo: le anomalie nei miei poteri probabilmente sono state provocate da quella spada, ma per il momento sembrerebbero essere passate. Notizie del Ragno?"

"Sembri molto preoccupata per lui."

"Mi ha salvato la vita e ci aiutato: mi sembra il minimo."

"C'è dell'altro, vero?"

"Il P.H.A.D.E. Non mi piace, non ne sappiamo molto, e ho trovato incredibile che uno come lui lavorasse per gente così senza scrupoli. Spero che non abbia problemi con loro."

"Lo spero anche io. Comunque non abbiamo notizie di lui. Negli U.S.A. sembrerebbe essere stato avvistato qualcuno identificabile con U.R. ma è difficile pensare che sia lui: le date coincidono in parte con quelle della sua presenza qui in Europa; forse l'ipotesi che ci sia un suo emulo in giro non è del tutto sballata. Se sapremo qualcosa di più, ti passerò le notizie in tempo reale, contaci."

"Ci conto. Cosa ne pensi di Gunther? Ho fatto bene a parlargli così?"

"Decisamente si. Tra l'altro sei l'unica che sembra avere una qualche autorità su di lui. Anche se non lo ammetterebbe mai, penso si sia preso una cotta per te... e che ti rispetti veramente con leader, anche se sei una donna."

Le rivolse un sorriso tra il malizioso e il divertito che lei ricambiò con un certo fastidio.

"Non so proprio che fare. Non ero d’accordo con la sua entrata in squadra e non lo sono tutt'ora: non si è mai integrato ed è troppo imprevedibile; a Glenshine ha dimostrato tutti i suoi limiti e poteva costarci parecchio."

"Ci è costato parecchio... stavamo per perderti."

"Il Direttorio non avrebbe mai dovuto affidarcelo."

"Che vuoi fare?"

"Normalmente chiederei un udienza, ma c'è qualcosa che non mi convince. Ultimamente ci hanno dato ordini molto strani, non ultimo questa cosa folle di coprire un’ipotetica implicazione di Destino nei traffici di Quest. Come se a quel disgustoso dittatore, potesse interessare qualcosa dei favori che gli facciamo. Inoltre, con il pericolo che rappresenta Quest, com'è che non ci hanno mai ordinato di tentare di catturarlo? Dopo Glenshine volevano mandarci tutti sotto corte marziale per esserci imbarcati in una missione non autorizzata, e non è detto che nei prossimi giorni non prendano qualche provvedimento. Ci sono troppi elementi che mi sfuggono, e al momento credo che dovremo risolvere inter nos questa storia di Gunther... e poi potrebbero servirci tutti gli elementi disponibili nei prossimi giorni... non so perché, ma ho questa sensazione."

"Io penso che sia anche perché è stato ad aspettarti come un cagnolino fedele davanti a quella porta per tutto il tempo che sei stata la dentro. Non credo tu sia completamente insensibile a questo tipo di cose."

"Un'altra parola e in cella di isolamento ci mando te."

"Che ne dici di mangiare un boccone insieme?"

"Dico che è una buona idea."

 

 

New York - Zona del Porto. Sabato ore 11.00 p.m.

 

 

"Cavoli! A quest'ora tutti i ragazzi normali dello Stato di New York sono in qualche locale a divertirsi, o insieme alla propria ragazza... a divertirsi. Io invece è un ora che sono appostato qui, e l'umidità comincia a filtrare in questo costume! Avrei dovuto isolarlo meglio, ma non ne ho avuto il tempo ed era l'unico disponibile al momento!"

Eugene era stanco di starsene rannicchiato dietro quelle casse, ed era sul punto di alzarsi e tornarsene a casa.

Sentì un vociare provenire da dietro il magazzino e tese l'orecchio per ascoltare meglio.

Era una serata calda ed afosa, non un solo alito di vento che portasse un po' di refrigerio, il mare increspato da saltuarie e solitarie onde su cui si riflettevano le luci di quel mostro d'acciaio e cemento che considerava casa sua.

E come un buon padrone di casa, Eugene Paul Patillo non desiderava che dentro vi avvenissero cose brutte o contrarie alla sua morale, come lo smercio di droga. Un soffione l'aveva informato, in cambio di un paio di favori che gli aveva fatto in passato, di quella consegna di roba e aveva deciso di fare il grande salto di qualità, e invece di affrontare i soliti psicopatici in costume si sarebbe occupato di pericolosi spacciatori. Pensò che un po' era assurdo, visto che anche lui poteva tranquillamente passare per uno psicopatico in costume, del resto se ne stava lì a sudare in un costume da rana che ormai era divenuto un bagno turco.

"Meglio! Perderò qualche chilo di troppo."

Cercò di consolarsi guardando come al solito al lato migliore delle cose, ma non riuscì a trovarne uno quando sarebbe rientrato a casa e suo padre lo avrebbe redarguito per non avergli detto niente di quell'idea: sicuramente lui l'avrebbe considerata troppo pericolosa e si sarebbe opposto.

Lo spettacolo del porto aveva un che di deprimente, forse per l'aria di decadenza che lo circondava: in quella zona gli edifici erano in pessime condizioni, la vernice divorata dall'aria di mare, le tavole delle banchine marce, e tutto era permeato da un odore di muffa e stantio. Udì lo stridere di alcuni gabbiani che si abbassavano in cerca di cibo e alla fine vide spuntare le sue prede: cinque uomini vestiti con jeans e camice, apparentemente intenti in attività innocue, ma sapeva benissimo che era solo l'apparenza e l'apparenza spesso ingannava; fece una mossa, per poterli vedere meglio ma il legno sotto le sue pinne scricchiolò. Eugene sentì il cuore sobbalzargli nel petto e si ritrasse velocemente, sperando che quelli non l'avessero sentito, altrimenti... altrimenti cosa? Si chiese nell'intimità della propria mente. Altrimenti l'avrebbero accoppato. La risposta che si era dato non gli piaceva affatto e per quanto si sforzava di trovare prospettive decisamente migliori, tutte gli apparivano poco verosimili ed altamente improbabili.

Quando tornò a guardare tra la fenditura tra le due casse dietro le quali era riparato vide che gli uomini erano spariti e si chiese dove fossero finiti.

"Prova a guardare qui."

Sentì un brivido salirgli lungo la schiena e deglutì a fatica: la voce aveva parlato in tono divertito e crudele e quando si voltò, si ritrovo puntata contro la canna di una Steyr M40 che luccicava sinistramente nel buio; due occhi cattivi lo fissavano mentre sul volto abbronzato si era dipinto un sorriso sardonico che non prometteva nulla di buono.

"L'hai trovato Keith?"

"Si Justin, l'amico era acquattato qua dietro, svelto, tu e gli altri ragazzi dovete venire a vederlo."

Sbucarono altre figure che lo osservavano scoppiando in risolini a malapena soffocati.

"Oh Gesù! Questa la devo proprio raccontare! Ne avevo visti di fessi in calzamaglia, ma mai uno così scemo da vestirsi da rana!"

Il cuore prese a battergli sempre più forte e sentì la bocca seccarsi.

"Calma Eugene! Calma!" si disse tra sé e sé" Almeno adesso sai dove sono tutti quanti. La situazione è critica ma non è detto che tu non ne esca. Ti sei sottoposto ad un duro allenamento proprio per questo genere di cose, quindi non perdere la testa e concentrati sull'obiettivo: rimanere vivo ed arrestare questi fessi."

"Allora amico, ci vuoi dire chi sei?"

Aveva chiesto con fare arrogante uno degli uomini.

"Chiedetevi piuttosto chi sono io!"

La voce si era levata dall'aria stessa e quando i trafficanti si furono distratti, si materializzarono come due pugni d'argento, che colpirono ripetutamente l'uomo che teneva sotto tiro l'Uomo Rana; questo cadde dalla cassa sulla quale era salito e finì tra le spire di una fune di canapa. Gli altri aprirono il fuoco in direzione delle mani ma queste erano già sparite.

Il rumore delle armi da fuoco fece sobbalzare Eugene che però riuscì a recuperare il proprio controllo e a mettere in atto il piano che velocemente si era delineato nella sua mente: estrasse dalla sacca che aveva sul fianco la speciale Rana Robot che aveva costruito dopo 4 mesi di duro lavoro e la lanciò contro uno dei malviventi; questa spiccò diversi balzi e si attaccò sulla gamba destra, colpendolo con una scossa non letale che lo mise K.O.

Un altro stava per sparargli ma stavolta comparve un ampio mantello che coprì la sua visuale, permettendo all'Uomo Rana di rimettersi in piedi con un balzo e di usare i suoi stivaletti a molle pneumatiche per volare alle spalle del suo assalitore e colpirlo con un calcio nel fondo schiena. Questi finì a faccia in avanti, mentre il mantello compì un movimento che ricordava quello fatto dai toreri durante le corride, e si ritrovò a sbattere la mascella contro una pedana rialzata. Diversi denti gli si spaccarono in bocca, e ne fuoriuscì parecchio sangue, cosa che impressionò Eugene.

"Non c'è tempo per guardare! Stai attento alle spalle!"

La voce gli aveva ancora una volta salvato la vita: l’Uomo Rana ruotò rapidamente su sé stesso, e si lanciò contro i rimanenti due ma prima che riuscisse a raggiungerli due mani gli avevano afferrato le teste, facendole sbattere l'una contro l'altra.

"Wow! Non ci posso credere! Non mi era mai capitato di vedere sgominare una gang del genere a tempo di record! Ovviamente tranne quando c'era di mezzo l'Uomo Ragno."

"Tu conosci l'Uomo Ragno?"

Chiese la voce un po' sorpresa e vivamente interessata.

"Certo! E' il mio super eroe preferito! Sai, mi ha dato alcune dritte in passato su come fare al meglio questo lavoro e poi... a proposito! Ora che ci penso ti devo la vita! Ma dove sei? Non riesco a vederti!"

"Così va meglio?"

Vide emergere dall'aria stessa una figura esile e minuta, interamente vestita con un’aderente tuta argentata, e il volto coperto da una maschera dall'identico colore e dai grandi occhi a lente a specchio, il mantello che scendeva dalle spalle fino all'altezza delle ginocchia.

"Ehi! Niente male, ma quella maschera ricorda un po' troppo quella di U.R. Non è certo il tipo da farti causa, però non mi sembra carino approfittarsene in questa maniera."

"Veramente non era assolutamente mia intenzione farlo!" Si giustificò timidamente il ragazzo, dalla cui voce e dai cui modi era sparita tutta la sicurezza ostentata poco prima." E' solo che sono un suo grande ammiratore anche io e quando ho cucito questo costume... beh, credo di essermi fatto un poco influenzare."

"Ma dai! Non mi dire che quel costume che indossi lo hai fatto tu, tutto da solo!"

"Io mi ci diverto a cucire costumi! Questo è l'ultimo di una lunga serie."

"Comunque devo farti i miei complimenti! Accidenti, quelli stavano per farmi la pelle, e se non fosse stato per te... scusa, tu sei?"

"Oh! Aiutarti è stato un vero piacere! In fondo stiamo dalla stessa parte e noi giovani eroi dobbiamo sempre aiutarci. Comunque puoi chiamarmi Rider... Phantom Rider."

"Che nome ganzo!"

Eugene porse la mano all'altro che la strinse molto volentieri.

 

 

 

 

Roma - Palzzo Falconieri. Sabato ore 10.00 a.m.

 

 

La luce del sole tentava di irrompere con prepotenza attraverso le persiane, mentre da fuori i rumori gli ricordavano che la città si era ridestata da tempo ed era ormai in febbrile attività.

Udì le imprecazioni di un automobilista che per poco non aveva messo sotto un imprudente motociclista e sorrise per tutta la colorita gamma di espressioni che aveva usato per apostrofarlo. Solo i romani e pochi altri erano capaci di simili prodezze verbali.

Se avesse chiuso i vetri insonorizzanti avrebbero potuto riposare in silenzio ma non voleva privarsi di quel prezioso e piacevole contatto con la realtà, specie con quella realtà.

Lei si agitò un po', e subito le carezzò dolcemente il capo, dandole un bacio sulla fronte per calmarla. La strinse forte a sé, desiderando ancora di poterla prendere e fare sue come aveva fatto tutta la notte.

"Mio signore..." Bofonchiò lei assonnata.

"Shhh... torna pure a dormire."

"Tra le vostre braccia dormirei anche per sempre."

"Davvero? Tutte? Comprese queste?"

Chiese Quest con un certo divertimento nella voce.

"Tutte quante."

Confermò lei con grande serietà.

"Ti è piaciuto?"

"Si, moltissimo. E' stato come toccare il Nirvana con un dito e poi assaggiare per sentirne il sapore."

"Che espressione poetica. Forse hai sbagliato mestiere, forse dovevi fare la poetessa."

"Vuole dire che come guardia del corpo non la soddisfo?" Chiese con angoscia e preoccupazione.

"No, no. Non fraintendermi: sei perfetta come guardia del corpo, non ha caso ho scelto per te il nome di battaglia Ms. Perfection; solo che..."

"Solo che...?"

"Penso che questo incarico sia parecchio rischioso e non so quanto sia giusto permettere che una creatura come te sia esposta a tutto questo pericolo... e poi, tu lo sai... un giorno potrei doverti chiedere di sacrificarti per me."

"Lo farei un milione di volte, a occhio chiusi, perché mi sentirei ampiamente ricompensata dal fatto di avervi potuto conoscere."

Quest provò un improvviso moto d'affetto e una strana stretta al cuore. La abbracciò con impeto, stringendosela forte al petto, i suoi bei capelli che solleticavano i suoi capezzoli.

"Lo sai che non potrò mai dirti quello che vorresti sentirti dire da me?"

"Lo so... ma posso dirlo io per tutti e due, se volete..."

"Solo se è quello che vuoi veramente."

"Io ti amo... con tutta me stessa... senza riserve, senza timori, senza aspettative... ti amo sopra ogni cosa."

Le loro labbra si unirono ancora una volta, in un languido e passionale bacio, una comunione di carne tra due esseri individuali che per un istante sembravano volersi fondere al di là dei propri limiti.

Quest sorrise giocoso.

"Coraggio, dobbiamo prepararci, abbiamo parecchie cose da fare oggi... ma prima..."

"Ma prima?"

"Voglio ancora approfittarne... è una sensazione strana fare l'amore con un corpo dello stesso sesso del proprio partner..."

Perfection sorrise, e vorace si tuffò tra le cosce di Quest alla ricerca della sue labbra da baciare...

 

 

 

 

            Scozia. Un piccolo paesino nei pressi del  Bealach na Bà- ore 4.00 p.m.

 

 

Bruce Thomas MacCullogh era un nobile amante della tradizione e delle vecchie maniere, e per aspetto e atteggiamenti sembrava uscire da un vecchio racconto popolare: era alto 1.72, corporatura massiccia, ampie spalle e omeri muscolosi, cosce possenti e collo taurino, un viso dai lineamenti squadrati, dagli zigomi ampi e bassi, la fronte larga, la mascella imponente ornata di una folta e ben curata barba bianca, il naso piatto e leggermente storto, gli occhi gentili, azzurro ghiaccio, incorniciati da due sopracciglia nevose, una fluente capigliatura argentea che arrivava sino alle spalle, divisa in due trecce, vestito di tutto punto con kilt, panciotto, calzettoni, borsetta e cappellino; si aiutava a camminare con un nodoso bastone di legno di noce, e fumava una lunga pipa dalla quale traeva profonde boccate di fumo che riemetteva in tanti anelli che Peter Parker, nonostante la sua età, non riusciva a non guardare con una sorta di infantile ammirazione. L'uomo offrì al ragazzo una boccata che quest'ultimo rifiutò con ferma gentilezza.

"Fai bene giovanotto. Con tutto quello che si sente e si dice sul tabacco dovrei proprio decidermi a smettere. Ma alla mia età è difficile cambiare abitudini, e vale anche per quelle cattive. E poi, credo che dopo tutto quello che ho passato durante la mia vita, un vizio posso anche permettermelo! Allora, pensi che le cose siano cambiate molto da quando tu e la tua consorte siete tornati a casa?"

Si inerpicarono lungo un pendio erboso, camminando su di un sentiero talmente stretto che li costringeva a stare quasi spalla contro spalla. Era una giornata relativamente calda ma qualche nembo offuscava saltuariamente il sole e spirava un venticello da est che ogni tanto lo faceva rabbrividire. Proprio una di quelle zaffate improvvise lo costrinse a stringersi un po' di più nella giacchetta di renna che Mairi gli aveva dato.

"E' strano: mi sembra una vita fa che io e mia moglie, Mary Jane, siamo venuti qui per via dell'eredità lasciata da sua zia; eppure, più mi guardo attorno, e più mi convinco che nulla sembra essere cambiato."

L'anziano barone assentì compiaciuto:

"E' così che vanno le cose qui. Ti posso assicurare che il paesaggio che stai ammirando è lo stesso che ammiravano mio nonno e suo nonno quando passeggiavano lungo questo sentiero. Il tempo qui scorre in modo molto diverso da come è solito fare nella tua frenetica New York City. Una volta ci sono stato: buon Dio! Pensavo non sarei sopravvissuto tanto da riuscire a tornare a casa!"

L'affermazione del suo accompagnatore e l'enfasi con cui l'aveva pronunciata, strapparono un sorriso a Peter.

"Capisco cosa volete dire... ma in fondo è casa mia e non so se riuscirei ad adattarmi ad un diverso tipo di vita, anche se devo dire che la quiete che ho trovato qui è qualcosa a cui ogni tanto agogno nella giungla di cemento."

"Ognuno, figliolo, è legato in modo speciale a qualche luogo. Per lo più si tratta delle terre dove si è nati. Esiste sempre un legame tra la terra e coloro i quali la abitano. Guarda lassù."

Indicò un punto sulla sommità di un monte e Peter osservò vivamente interessato: si trattava di un gruppo di rovine, all'apparenza un grosso edificio centrale di forma circolare, e le tracce delle mura di due costruzioni più basse, rettangolari, tutte egualmente realizzate in grossi blocchi di pietra squadrata; lo colpì la presenza di quello che sembrava un enorme mehnir, al centro di un cerchio di pietre bianche, che si stagliava ad una certa distanza dalle costruzioni verso i cieli.

"Cos'è quello? Sulle guide turistiche non ne ho visto traccia e la volta precedente, credo di non averlo notato."

"Oh, e questo ci insegna che dovremmo tutti essere più attenti a quello che ci sta intorno. Ma la verità è che la Casa del Sonno non vuole essere troppo notata."

"La Casa del Sonno?"

MacCullogh si schiarì la voce, e non poté far a meno di ravvisare una certa rassomiglianza in quel gesto a quello che faceva suo zio Ben quando stava per leggergli o narrargli una storia.

"Accadde che, molto tempo addietro, quando ancora le Fate e il Piccolo Popolo camminavano per queste terre, il cui nome era Prywden, fosse stata combattuta una terribile battaglia tra i nostri dei e quelli delle terre che stavano al di là del mare.

Uno dei più strenui difensori di questi luoghi era stato il grande dio Bely Mawyr, figlio di Bel Belenos, il re di tutti gli altri dei.

Tuttavia era stremato dall'impresa che aveva compiuto e necessitava di riposo, così si fece costruire una residenza dove poter dormire il sonno del guerriero. Ma durante la notte, alcuni gnomi, tentarono di sottrargli la Spada e la Lancia che Goffanon, il dio fabbro zoppo e folle gli aveva forgiato. Bely Mawyr se ne accorse appena in tempo e dopo aver ucciso i malintenzionati capì che quel luogo non era più sicuro. Allora, un Druido molto scaltro di nome Yhorveth, gli disse:

Grande Bely Mawyr, figlio di Bel Belenos lo splendete, eroe della Prwyden, impareggiabile guerriero che tante donne hai reso vedove e tanti figli orfani, ascolta! Ascolta la mia supplica! Stringi un patto con me e la mia famiglia, ed io ti erigerò un rifugio sicuro, un rifugio protetto dai più potenti incantesimi, dove tu potrai posare le tue membra per poterle ristorare, e dove potrai custodire le tue preziosi armi, e in cambio, ti chiedo o signore, di ricordarti dei miei discendenti, quando il tempo sarà venuto.

Bely Mawyr accettò la proposta, e Yhorveth, che era stato guidato da un sogno rivelatore, si incamminò lungo il sentiero che portava nelle terre dell'estremo nord, dove trovò il luogo adatto per edificare il rifugio promesso al dio. Vi piantò diverse pietre d'aquila, d'elfo, e persino quelle più rare di strega e spettro nel terreno, e gettò diversi incantamenti per rendere sicure le mura che vennero erette con la fatica e il sudore della sua stessa famiglia.

Bely Mawyr trovò quel luogo accogliente e di suo gradimento, e quando la tribù di Yhorveth, diversi anni dopo, fu costretta a fuggire dalle proprie terre per evitare la furia dei romani, li fece entrare sulle sue terre, dandogli il permesso di edificarci sopra, ben memore del patto stretto molto tempo addietro."

Fece un ampio gesto con la mano e Peter si voltò per ammirare il paesaggio:

Effettivamente, non molto distante dal monte, riposava placidamente il villaggio e il suo castello.

"E quel dio protesse gli antenati degli abitanti di questo posto dai romani?"

"Così si dice."

I due arrivarono in vetta e si sedettero su alcuni grandi massi.

"E così quello l'avrebbe costruito un druido..."

"Chi può dirlo! Magari la storia è vera..."

Affermò con il tono di chi ne sa qualcosa di più, ma non è intenzionato a svelarlo.

"Mairi dice che sei qui per affari."

"Eh? Ah, si, beh, in un certo senso. Devo partecipare ad una conferenza e siccome avevo qualche giorno libero..."

"Sei un uomo di scienza, questo mi è stato detto."

"Già, così dicono."

"E dimmi, nel tuo cuore c'è posto per la fede?"

"Che intendete dire?"

"Chiedo se dentro di te alberga la speranza."

"Si."

"Lo hai detto con molta decisione e convinzione, e di questo me ne compiaccio. Oggi giorno sono pochi i ragazzi che hanno le idee così chiare. Mi è stato anche detto che sei diventato padre! E' un peccato che tu non abbia portato qui la tua bambina. In fondo queste sono anche le sue terre."

"Si, lo ha detto anche Mairi... ed io ho intenzione di rimediare presto."

"Cos'è che ti affligge?"

"Come?"

"Si capisce bene che qualcosa turba il tuo animo. Lo leggo nei tuoi occhi."

Peter guardò in alto, verso una nuvola che sembrava stesse giocando a rincorrerne un'altra.

"Ultimamente la mia vita è stata parecchio, uhm, stressante. Ho dovuto prendere molte decisioni e non sono convinto della giustezza di tutte quante."

"Questo può capitare nella vita di un uomo. Non sempre possiamo decidere per il meglio ma almeno, possiamo provarci."

"E quando si ha la sensazione di aver commesso un errore?"

"Puoi essere più specifico, figliolo?"

"Ecco... diciamo che di recente ho avuto bisogno di un aiuto, e qualcuno me lo ha offerto... ma adesso sto valutando seriamente se ho fatto bene o male ad accettare quella mano tesa."

"Quello che posso dirti, è che tutti prima o poi abbiamo bisogno di aiuto... delle volte però chi ci ha prestato soccorso pretende di essere pagato. Il problema è che il conto può essere molto più salato di quanto preventivato."

Peter sospirò e poi trasse un profondo respiro. Rifletta a lungo sulle parole che gli erano state dette, mentre il vecchio barone attendeva pazientemente una sua risposta.

"Avete pienamente ragione! E cosa dovrebbe fare una  persona..."

"... per contestarne la giustezza? Avere prima di tutto la convinzione delle proprie ragioni e sicuramente un grande coraggio."

Gli diede un amichevole pacca sulla spalla e lo invitò ancora una volta a rimirare il suggestivo panorama.

 

 

Peter chiamò Mary Jane dal pub di Alan, e quando sentì la sua voce provò un’emozione così forte che per poco non si mise a piangere e lo stesso fece sua moglie. Parlò con lei e con la figlia, la rassicurò sul suo stato di salute e le promise che presto si sarebbero ricongiunti e che avrebbero passato parecchio tempo insieme. Le chiese di spedirgli un costume, un paio di lancia tele e una cintura di riserva, e di mandargli anche un po' di soldi. Lei era rimasta sorpresa nel sentire che si trovava al croft di famiglia in Scozia, ma al contempo si sentiva rinfrancata nel sapere che con lui c'era Mairi. Si salutarono a malincuore e ripromettendosi di sentirsi presto.

 

La telefonata con il P.H.A.D.E. fu rapida e concisa. Peter li ringraziò per il supporto che gli avevano fornito ma li informò che la loro collaborazione era da considerarsi un capitolo chiuso, in modo irrevocabile. Chiese solo un ultima informazione: dove fosse Quest, e Dafne non vide perché avrebbe dovuto negargliela. Quando mise giù la cornetta si sentì decisamente meglio e tornò al croft per prepararsi alla partenza.

 

 

 

Installazione segreta del P.H.A.D.E.

 

 

Velasquez Colman, era seduto sulla sua poltrona foderata in tweed, e sbirciava fuori dalla finestra con il telaio di mogano, guardando affascinato la perfetta simmetria delle siepi del giardino della corte interna.

Dafne giocherellava con una sfera di marmo rosa , un soprammobile, che stava sull'ampia scrivania di cristallo.

"E così alla fine la sua scelta numero uno, si è rivoltata contro di noi."

"Non direi che rivoltata è il termine adatto, signore. Ha deciso di interrompere la nostra partnership. Avevo messo da conto anche questo."

"Ah, si? E aveva anche messo da conto che non sarebbe riuscito a prendere Quest!"

"Si, era tutto calcolato."

"Davvero? E in che modo questo palese insuccesso potrebbe tornarci a nostro vantaggio?"

"U.R., signore, è un tipo con un forte senso di responsabilità. Ora considera Quest un suo affare e vedrà che prima o poi ci condurrà da lui."

"Spero che il suo entusiasmo non sia sprecato signorina. Però, prima di congedarla, voglio chiederle una cosa: se dovesse scoprire qualcosa, e divenire un pericolo per noi, lei cosa farebbe?"

"Lo ucciderei personalmente."

"Dopo tutti questi anni in cui lo ha osservato?"

"Si."

"Bene, può andare."

Dafne si allontanò, uscendo attraverso la massiccia porta e cominciò a percorrere un corridoio con i muri carichi di bei dipinti.

Colman aveva capito che nutriva da tempo un interesse per il ragno che era molto più che professionale: ma lei non perdeva di vista i suoi obbiettivi;

"Ah, Peter Parker! Spero che tu non sia così sciocco da fare qualcosa di troppo avventato... sarebbe un vero peccato doverti eliminare quando ho grandi progetti in serbo per te e per il tuo futuro."

Dafne sorrise, autocompiaciuta per il piano che aveva architettato e proseguì verso l'uscita.

 

 

 

Fine episodio.