#38 - Rain on New York /2

di Yuri N. A. Lucia

 

 

"New York, New York..."

La radio urlava con la voce di Liza Minelli, il celebre ritornello dell'altrettanto celebre canzone. Peter cercava di lottare contro l'impulso di rimanere lì dove si trovava e dedicarsi ai piaceri dell'intimità coniugale, come aveva già fatto per quasi tutta la notte. Sentiva ancora il desiderio bruciargli nelle vene e guardare le curve di Mary Jane non lo aiutava di certo. La abbracciò, premendo contro quelle natiche lisce e vellutate che tanto piacere gli davano. Lei sorrise, ancora mezza assonnata, al contatto fisico con le voglie del marito. Le baciò il collo, facendo guizzare ogni tanto la lingua e le cominciò a carezzare un seno. La moglie cominciò a gemere e agitarsi nel letto, strofinando il bel fondoschiena sul marito, mentre con una mano andava a tastargli i glutei sodi per via di una forma fisica superiore a quella della normale media umana e per anni e anni di volteggi sopra la città.

"Buongiorno mr. Parker" disse con la voce impastata di una stanchezza decisamente desiderabile

 "Vedo che non è ancora sazio. Il servizio di stanotte non l'ha soddisfatta?"

"Tutt'altro... proprio perchè mi ritengo altamente soddisfatto volevo chiederle un bis, signora..."

"Bis? Credo si tratti dell'ottava volta che le viene di nuovo servito il menù speciale..."

"Ha paura che possa fare indigestione...?"

"Vedremo..."

Gli sorrise dopo essersi voltata verso di lui.

Si guardarano negli occhi, poi lei lo baciò con ardore, premendo con forza le labbra contro le sue e infilando dentro la bocca la sua lingua, mentre prese in mano la fonte di tante notti, e a volte giorni, di piacere.

 

La prese altre due volte prima di alzarsi e prepararsi per andare al lavoro. Si accorse di non aver spento la radiosveglia, che ora stava passando una versione di "New York, New York" cantata da Sammy Davis Jr. Si infilò camicia, pantaloni e comode scarpe da ginnastica. Oggi non era necessario vestirsi di tutto punto, nessuna visita o controllo ufficiale, quindi ci si poteva permettere un po' di relax, almeno nel vestiario. Non capiva proprio come molti suoi colleghi potessero andare in laboratorio perennemente vestiti in giacca e cravatta. Amava la comodità e la cravatta sapeva troppo di cappio al collo, o forse era la sua età a suggerirgli questo, magari tra cinque anni o anche meno avrebbe cominciato a cambiare idea. Dette un occhiata ai capelli e pensò che qualcuno avrebbe avuto qualcosa da ridere se non fosse andato dal barbiere... ma al diavolo, pensò, i tagli troppo corti gli ricordavano gli anni in cui era un nerd, e poi non erano così lunghi da offendere la sensibilità di nessuno e anche se fosse stato? Era ancora giovane e se li voleva godere appieno, prima dell'avvento della calvizie. Poi, guardandosi allo specchio, gli saltò in mente che forse non lo sarebbe mai diventato. Che lui sapesse, non c'erano calvi nella sua famiglia, e forse quello che era accaduto al suo DNA.... trovò ridicolo quel soffermarsi su pensieri così banali, ma interiormente si sentì rallegrato alla prospettiva che forse non sarebbe divenuto un Wilson Fisk con un milione di chili in meno.

Sentì una vocetta trillare il suo nome alle spalle e, fingendo sorpresa, si girò mentre veniva assalito dalla creatura da lui più amata sulla faccia della Terra. Si lasciò atterrare dalla piccola May che rideva per lo scherzo fatto al suo papà.

"Ora ti faccio la tortura delle risate io!"

Cominciò a fargli il solletico sui fianchi e lui, ridendo a crepapelle, cercava di difendersi nella maniera meno efficace possibile mentre la implorava di smettere.

"Ahi ahi! Signorina May! Per piacere non fare il solletico al tuo babbo! Altrimenti lo sai cosa succedera?"

"No! Dimmelo, dimmelo!"

"Comincerò a gonfiarmi tutto!" si alzò in piedi prendendola tra le braccia e sollevandola in alto mentre rideva deliziata "Poi mi alzerò come una mongolfiera e volerò su, su, suuuu....!!!"

Mary Jane era ferma sulla porta della loro camera e guardava la sua famiglia. Avrebbe voluto piangere dalla felicità, perchè in quel momento sembrava tutto così dannatamente giusto. Un padre affettuoso, un marito devoto che dopo aver fatto l'amore tutta la notte con sua moglie si alza per andare al lavoro, e mentre si prepara a far colazione gioca con l'amata figlioletta. Peter era così pieno di attenzioni per May, cercava di darle tutto il possibile per quanto... si rabbuiò a quel pensiero che le uccise il sorriso sul viso. Per quanto la sua altra identità glielo permettesse. Questo era il pensiero completo che si era formato nella sua mente. Una volta era disposta ad accettare senza riserve la scelta che l'uomo da lei amato e preso come marito aveva compiuto. Ma prima erano solo loro due. Adesso? C'era poi da considerare un gran numero di cose. Peter aveva trovato un lavoro che gli piaceva, un lavoro che aveva sempre desiderato, e lei stessa aveva ormai avviato alla grande la sua carriera di attrice entrando in musical di grande successo come "Moulin Rouge". Era incredibile pensare che avessero scelto lei per interpretare il ruolo che sul grande schermo era stato della Kidman. Avrebbe voltuo poter godere appieno di tutte quelle gioie... ed invece... chiuso nell'armadio c'era... l'alter ego del marito. Non riusciva più a pronunciare quel nome. Non sapeva quando fosse successo, ma si era accorta di questo problema qualche settimana prima. Sentiva un profondo senso di disagio nel vedergli indossare il costume e la maschera... quella maschera che sembrava cancellargli i lineamenti, annichilendone la splendida umanità di cui si era perdutamente invaghita anni addietro. Forse era già iniziato ai tempi di Venom, quando vide per la prima volta il simbionte e lo aveva scambiato per Peter... forse quando fu salvata da Kraven, che ne aveva usurpato per un brevissimo tempo il nome e l'aspetto. Aveva sempre creduto che quella paura, quel disgusto fossero legate esclusivamente al costume nero. Non era così. Ora lo provava anche per il costume rosso e blu. Quello che al tempo l'aveva terrorizzata era l'idea di aver visto nei due nemici del suo uomo... due riflessi... due aspetti di quello che diveniva quando lasciava uscire... Spider-man... pensò a fatica a quel nome. Qualcosa di oscuro, inquietante, una bestia primordiale di cui alcune volte aveva intravisto la furia. Tremò un attimo quando si chiese cosa sarebbe accaduto se per qualche ragione, l'uomo che stava dietro quella maschera ne avesse perso il controllo.

"Allora M.J! Che ne pensi di andare tutti insieme a far colazione qui da Pops, prima di andare al lavoro? La nostra piccola signorina vuole le frittelle speciali di Arnie."

"Dico alle mie due giovani tigri di darmi un minuto e sono pronta a venire ad abbuffarmi anche io di ciambelle e succo d'arancia."

"Hurrà!"

Il grido di gioia della sua bambina la rassicurò un poco e decise di lasciare da parte quei foschi pensieri, almeno per il momento, e concentrarsi sulle prove del musical che l'aspettavano. Lo spettacolo del fine settimana sarebbe stato impegnativo, vista la presenza di  numerosi critici e vip dello spettacolo. Doveva dare il cento per cento.

 

Peter accompagnò May all'asilo e quando la lasciò si sentì in parte morire. Avrebbe voluto passare tutta la giornata con lei, ma non poteva. Doveva lavorare, aveva un importante esperimento in corso che non poteva rimandare. Era ora che Peter Parker si guadagnasse il suo posto di ricercatore. Inoltre voleva fare un salto al cimitero per trovare gli zii... aveva bisogno di parlare un po' con loro. Quello che era successo il giorno prima ancora lo sconvolgeva. Aveva visto un vero massacro svolgersi sotto i suoi occhi e gli autori erano ancora in gran parte a piede libero. Quello che gli aveva detto quel Rucker gli risuonava ancora nelle orecchie. Una nuova famiglia mafiosa nella Grande Mela, come se ce ne fosse stato bisogno. C'erano già fin troppi criminali in giro, dai suoi vecchi nemici ai comuni pusher appostati vicino alle scuole. Camminava lungo un viale inalberato, mentre si dirigeva verso i mezzi pubblici che lo avrebbero portato ai laboratori. Si alzò un vento gelido che lo fece rabbirividere un poco. Guardò in alto e vide che il cielo era ancora plumbeo. Una delle più brutte nottate di pioggia che si ricordassero, così l'aveva descritta gran parte dei telegiornali e dei quotidiani che aveva visto. Nonostante la tregua mattutina la situazione sembrava destinata a peggiorare ulteriormente e questo non gli faceva certo piacere. Tutta quell'acqua non gli facilitava certo il mestiere. M.J. non sapeva niente dell'accaduto della notte precedente. Non gliene aveva parlato per non turbarla troppo, ne aveva sopportate già tante e con lo spettacolo del fine settimana in arrivo non le andava di darle altre preoccupazioni. Si era sfilato il costume di nascosto una volta tornato a casa, e lo aveva celato alla sua vista perchè non si accorgesse di quanto fosse in malarnese e sozzo di sangue. L'avrebbe buttato via, ne aveva altri due di riserva, ma per come andavano le cose era meglio prepararne almeno altri cinque. Si pentì di non averle parlato subito, ora lo avrebbe saputo dai giornali o dalla TV, e lo avrebbe rimproverato per averle nascosto la faccenda.

Delle volte si sentiva disperato al pensiero di non sapere mai come porsi nei confronti della moglie. Voleva solo proteggerla ma... si chiese se piuttosto non facesse altro che ferirla con i suoi atteggiamenti. Si strinse nella giacca e proseguì verso il lavoro.

 

Terenzio Oliver Rucker era un perfetto esempio di adattabilità. In tutta la sua vita, ovvero quarantotto anni, era sempre riuscito a tenersi a galla e far fronte a gran parte delle situazioni spiacevoli che gli si presentavano innanzi di volta in volta. Oggi, però, era stato difficile mantenere la sua solita calma, mentre il suo superiore lo stava aggredendo verbalmente.

"Non ci posso credere, Rucker! Era lì e tu non hai fatto il minimo tentativo di fermarlo?!"

"Non aveva fatto niente signore, anzi, è merito suo se parte di quei poveracci si è salvato. Inoltre non mi risulta che al momento esistano accuse o mandati contro Spider-man."

"No! Ma questo non significa che io abbia piacere nel sapere che i miei uomini fraternizzano con dei vigilantes mascherati. Sai bene cosa ne penso. Abbiamo tollerato fin troppo le loro interferenze nel nostro lavoro."

"Ha ragione. Abbiamo tollerato sin troppo che mettano a repentaglio la pelle gratuitamente per aiutarci e per aiutare la gente. Meriterebbero sicuramente la sedia elettrica per tutte le volte che hanno risolto un caso per noi o sgominato pericolose bande criminali che costituivano un pericolo per i cittadini."

Chester Perkins guardò Rucker con espressione feroce e per non saltargli al collo e strozzarlo fece un enorme sforzo di volontà.

"Rucker... ascoltami bene. Con quello che sta succedendo non posso permettermi di rinunciare neanche ad uno solo dei miei uomini. Fosse anche un fottuto figlio di puttana come te... se vuoi vederla così mi sta bene. Ma finché sei sotto di me farai quello che ti dico. Bada bene, non voglio più sentire che chiacchieri amichevolmente con uno di quei tizi o che gli passi delle informazioni riservate. La prossima volta farò di tutto per sbatterti a dirigere il traffico. Spero di averti reso l'idea."

Il maturo poliziotto sorrise, con l'aria da briccone che ne ha viste tante e di minacce ne ha sentite ancor di più.

"E' stato chiaro, signore. Spero che capisca quanto è inutile questo suo astio nei loro confronti prima dello scoppio della guerra signore... avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile, non certo di farci altri nemici."

Rucker uscì dall' ufficio del capo accompagnato da un paio di imprecazioni e un colpo di vaffanculo. Si accese una sigaretta, un Malboro Light, aspirando con esasperata lentezza il fumo. Avrebbe decisamente dovuto smetterla con quella roba, ma in fondo un piccolo vizio, con la vita che faceva, se lo doveva pur concedere.

Perkins era una delle creature più ottuse ed idiote che avesse mai conosciuto, anche se a suo favore si doveva dire che era anche una delle più oneste ed incorruttibili in circolazione.

Il suo odio ingiustificato contro i cosiddetti supereroi rasentava il patologico e si chiese quale ne fosse l'origine. Stava di fatto che quello che gli aveva detto era vero. Avevano un disperato bisogno di tutto l'aiuto possibile. Doveva contattare il Ragno e lui sapeva come fare.

 

L'analisi dell' M.S.E. gli dava ragione. Il nuovo metodo di ricombinazione degli elementi rendeva il processo più efficente del sessanta per cento circa. Il che voleva dire che la maggiore velocità con cui veniva formato il prodotto lo rendeva più resistente di prima. Quasi il doppio, osservò Peter soddisfatto. Rispondeva come si era aspettato, la conduttività dimostrata faceva sembrare roba come le fibre ottiche sorpassate di un paio di secoli. Anche la stimolazione effettuata con il calore era positiva. La tolleranza al calore era altissima e i campi elettromagnetici interferivano pochissimo con il flusso che scorreva al suo interno. Inoltre un bambino avrebbe potuto prenderlo in mano senza avvertire la minima scossa, anche con più di 300 volt che lo attraversavano. Si massaggiò il mento delicatamente mentre l'altra mano andò a cercare la tazza di caffè che si era fatto portare dalla gentilissima nuova segretaria, Ilia.

"Uh oh" si disse tra sé e sé "dovrei farmi la barba, comincia a pungere. Senti com' è dura! E dire che quando ero adolescente pensavo sarei stato condannato ad avere qualche pelo morbido da ragazzino per tutta la vita... ed ora. Mhhh, il braccio..."

dette un'occhiata all'avambraccio destro, proteso verso il caffè, la cui manica di camice era arrotolata fino all'articolazione. Era ricoperto da una discreta distesa di peluria scura.

"Non ricordavo di essere così peloso... che il metabolismo di ragno stia cominciando ad avere effetti collaterali? Be', rispetto alla prospettiva che mi spuntino altre due paia di braccia, come accadde effettivamente anni addietro, questa non mi sembra tanto drammatica. Purchè non mi riduca come la Bestia... o come Wolverine."

Tornò a focalizzare l'attenzione su questioni più importanti. Nonostante i risultati fossero a dir poco incoraggianti c'era ancora un particolare che non riusciva a risolvere.

"Questa sostanza è incredibilmente sensibile ai perossidi. Ne basterebbero pochi grammi per distruggere un filamento lungho 5 km... presupponendo che la si dovrebbe interrare per coprire lunghi tragitti... non riesco a trovare un agente che la stabilizzi rendendola immune da questo tipo di problemi. Se provo a ricombinarla supero il problema, però perde gran parte della sua efficenza... grosso guaio mr. Parker. Dobbiamo lavorarci sopra ancora parecchio tempo, Dio voglia non troppo o il mio posto di lavoro comincerà ad essere a rischio. Inoltre con questa storia della mafia cinese..." la sua mente scivolò indietro nell' immediato passato. Vide il volto sofferente di Gabriele Gambino mentre lo teneva tra le braccia. Gli parve sentire ancora nelle sue narici il fetore acre che fa sempre da drappo alla morte quando passa. In bocca una sensazione mista di acqua che filtra il costume, acqua mista a qualcosa d'altro. Si sentì mancare per alcuni istanti... quell'altro poveraccio di cui non sapeva il nome. Vent'anni... nemmeno, e finisce diviso in due da una raffica di proiettili. Quella roba giallastra e viscida che schizza dal suo corpo, in tanti pezzi, come un serpente tagliato da diversi colpi di mannaia... quello che gli colpisce il simbolo sul petto... quel ragno coperto di viscosi umori... arrossato... con uno sforzo riescì a dominarsi. Eppure... nel considerare tutte quelle vivide immagini nella sua mente... la vita spezzata in pochi istanti... provò qualcosa. Un misto di sensazioni. Alcune aliene, primordiali, feroci nella loro... gaiezza. Come una bestia eccitata dall'odore di carne e sangue. Un'altra però decisamente inquietante... mentre era lì, dietro quelle casse, quel corpo tra le braccia che tremava, in cui la scintilla vitale si stava spegnendo rapidamente, mentre la pioggia infuriava fuori... quello spazio ristretto. La morte così vicina... e intanto pioveva, pioveva, come quando...

"Quando cosa, Peter?"

Perchè quella voce dentro la sua testa non sembrava essere la sua? Come mai non era il tono familiare dei suoi pensieri?

"Quando siamo usciti da là sotto? Volevi dire questo?..."

Chiese con tono malizioso e allo stesso tempo impaurito.

"NO!"

Un sussulto gli attraversò il corpo, partendogli dalla nuca fino all'altra estremità della spina dorsale.

"Dott. Parker tutto bene?"

Si girò, incrociando lo sguardo allarmato della giovane Ilia, una ventunenne universitaria, iscritta ad Ingegneria Informatica alla Empire, che cercava di arrotondare l'assegno dei genitori lavorando part time lì. I suoi occhi di un azzurro acceso lo fissavano da dietro un paio di ciuffi biondi, due fezze che risaltavano in quella massa corvina di capelli lisci come la seta.

"Come...? Ah sì! Scusami, Ilya. Ti ho fatta preoccupare" le parò in tono rassicurante e sfoggiando uno dei suoi sorrisi dissimulatori. Uno di quelli a cui ricorreva praticamente da sempre quando voleva mentire a qualcuno sul suo stato d'animo. "Ma per un'attimo ho perso le staffe! Il lavoro non procede come vorrei e questo mi ha un po' snervato."

"Capisco" rispose lei, sorridendogli non completamente convinta. Come chi ti vuol dare ragione per non litigare o per non entrare in particolari intimi, ma che sa bene esserci qualcosa d'altro sotto. "Bene,dott..."

"Ti prego, non chiamarmi con il titolo accademico... sai, non ci sono ancora abituato e mi fa sempre un certo effetto. Chiamami Peter e dammi pure del tu."

"Certo dott... ehm Peter... e tu chiamami Ilya allora, e il tu diamocelo reciprocamente, ok?"

"Perfetto."

Stavolta il sorriso di lei era sincero.

Il suo viso era un delizioso ovale in cui faceva bella mostra di sè un naso piccolo e leggermente allungato, un po' all'insù o alla francese come avrebbe detto qualcuno, la bocca era forse un po' larga ma non in modo eccessivo e le labbra erano di un morbido color rosato e non eccessivamente carnose, le sopracciglia erano leggermente rifatte e facevano risaltare ancora di più i due occhi grandi e luminosi che lo fissavano incoronati da ciglia lunghe e nere. Era alta, un paio di centimetri più di lui, con un fisico non proprio longilineo... non era grassa, ma era molto formosa, nei punti giusti e piacevolmente rotondetta in altri... e aveva mani bellissime... gli ricordarono quelle di Felicia quando... rimase sorpreso da quelle considerazioni che non erano da lui. Un uomo sposato, e tra l'altro felicemente.

Non si era accorto che lei gli si era fatta d'appresso.

"Vuoi dell'altro caffè?"

"Ah, no grazie. Devo ancora finire il mio. A proposito, grazie di avermelo preso."

"Ti è piaciuto?"

"Si. Hanno cambiato la macchina distributrice? Finalmente bevo un vero caffè da quando lavoro qui."

"La macchina non lo so. Quello viene da casa mia. Me ne porto sempre un po' nel termos, da quando ho scoperto che la macchinetta spaccia risciaquature di piatti per caffè. Siccome era ancora caldo e non mi andava di avvelenarti con quella robaccia mi son detta che magari lo avresti preferito."

"Allora doppiamente complimenti! Ci voleva decisamente."

Non notò, preso dal vago senso di colpa e di imbarazzo che lo aveva colpito, che lei arrossì leggermente a quei complimenti.

"Il ringraziamento andrebbe a Rachel, la mia compagnia d'appartamento. Sai, siamo tutte e due studentesse e dividiamo l'affitto."

"Capisco" Stavolta non sorrise per nascondere le sue vere emozioni, ma per lasciarle uscire fuori. Poi con tenerezza che stupì la ragazza "Divisi anche io, per un certo periodo, un'appartamento con un amico... anzi... il mio migliore amico. C'erano dei giorni in cui ci saremmo strozzati a vicenda, in cui convivere pacificamente sembrava impossibile. Delle volte mi mancano tantissimo quei giorni e non so che darei per riviverlo almeno per cinque minuti."

"Se siete rimasti amici anche dopo un'esperienza del genere allora la vostra amicizia deve essere davvero forte" aggiunse lei scherzosamente "Anche lui è un ricercatore?"

Peter rimase alcuni secondi in silenzio, realizzando dopo molto tempo che la vita lo aveva defraudato anche di quella presenza e in modo drammatico, come spesso si era apparentemente divertita a fare.

"E'... era un'imprenditore. E' venuto a mancare qualche tempo fa in seguito ad uno... sfortunato incidente."

"Io... mi dispiace Peter, non volevo..."

"Ehi, non preoccuparti. Non lo sapevi mica. Chiedere qualcosa non è un reato."

"Grazie... e scusa ancora... ora torno di là e..." poi come se stesse cercando dentro di sè il coraggio. "Senti... che fai questo fine settimana? Se non hai impegni..."

Quella domanda lo colse un po' di sorpresa. Ora però non si sentiva imbarazzato, ma vagamente divertito.

"Ho un appuntamento con due ragazze."

"Ah... due? Capisco... amiche?"

"No."

"Accidenti... due ragazze... be' allora devi andarci forte con le donne..." cercò di scherzarci sopra lei.

"Puoi dirlo forte. Sono le più belle ragazze del mondo, credimi. Sono mia moglie e mia figlia."

Stavolta fu lei a rimanere senza parole.

"Oh no! Non dirmi che ci diamo del tu da neanche cinque minuti e già faccio la mia prima serie di brutte figure. Io non sapevo che tu fossi sposato, cioè non porti la fede..."

"Eh lo so, è una tattica per rimorchiare. No, scherzi a parte, non la porto per questione di praticità, avere un anello al dito non è comodo quando usi certi strumenti di precisione", o quando diventi Spider-man, aggiunse la voce che aveva sentito prima nella sua testa."Così non la porto. Mia moglie recita in Moulin Rouge a Broadway. Ti piacerebbe venirci? Magari con la tua amica. Posso procurarvi dei biglietti, ovviamente gratis."

"Davvero? Aspetta... ma allora! Ecco perchè mi eri familiare. Credevo fosse perchè ti avevo visto qualche volta all' università a dare lezioni... sei il marito di Mary Jane Watson, quella che faceva "Secret Hospital"! Ma io avevo letto che eri un giornalista, un fotografo se non sbaglio e che... avevi anche scritto un libro."

"Vero... lo ero, ora mi occupo di una rubrica scientifica. Scrivo di più e faccio meno foto. E dire che avevo iniziato tutto come un lavoro part-time..."

"Già, anche io faccio un part-time eppure... non mi ritrovo a stare gomito a gomito con gente del calibro di Spider-man."

"La vita è così. Riserva sempre qualche sorpresa. Mi trovai al posto giusto nel momento giusto alcuni anni addietro e ora... sono il fotografo ufficiale di Spidey."

I due conversarono ancora per un po' in modo allegro e innocente e Peter le mostrò anche alcune foto della sua piccola principessa. Lei le fece tantissimi complimenti, dicendo che aveva tutta la bellezza sia del padre che della madre. Lui si sentì felice. In quella conversazione così normale si era reso conto che non aveva ancora perso il gusto per le cose normali, per i rapporti con le altre persone, che non si stavo chiudendo troppo dietro la maschera come temeva.

 

Il proiettile fischiò a pochi centimetri dal suo orecchio destro, ma mantenne il sangue freddo come aveva imparato durante anni di lavoro sul campo. Jimmy "Babyface" Santino esplose altri due colpi dalla sua beretta a tamburo. Una bella arma da telefilm poliziesco, non c'era che dire.

"Andiamo Jim, non penserai di sistemarmi con quel giocattolo? Lo sai o no che per me ci vuole ben altro... Mi conosci ormai. Da quanto tempo? Tre anni? Quattro?"

"Cinque!!!" urlò rabbioso il delinquente di mezza età.

"Cinque anni di guai da quando ti conosco, perché questo hai significato per il sottoscritto. Solo guai."

"Mi strazi il cuore così. Credevo mi fossi un poco affezionato."

"Come ai calcoli che mi hanno tolto due mesi fa, brutto figlio di..."

Se lo ritrovò d'improvviso sul fianco destro, mentre stava per sporgere la testa da dietro la colonna dove aveva cercato riparo.

"Jim, Jim! Ma come te lo devo dire. E' inutile che cerchi di sfuggirmi. Lo sai che sono troppo veloce."

Gli puntò la pistola contro il volto, la mano tremante.

Fissò quegli imperscrutabili, enormi, occhi bianchi che lo riflettevano, un uomo segnato dall'età, ormai buono solo per piccoli furtarelli e truffe da due soldi. Non che fosse mai stato un grande criminale in gioventù o, che al di là delle spacconate sparate al bar tra amici, avesse mai aspirato ad esserlo.

Abbassò l'arma e chinandosi la poggiò in terra.

Si ritirò su e con molta calma tirò fuori una sigaretta che accese con dei fiammiferi comprati prima al bar di Jenkins.

"Ok, hai vinto tu. Sono troppo vecchio per tutto questo."

"Credo che tu, semplicemente, non sia mai stato un assassino. Prima non hai mirato neanche a me... ma avresti potuto ferire un passante... azione molto stupida."

"Hai ragione. Con l'età che avanza mi sto rincoglionendo."

"Lasciamo stare. Per fortuna il proiettile si è conficcato nel muro. Sono qui per chiederti un pò di cose."

"Lo so..."

"Lo sai?"

"Eri al molo l'altra notte. Lo sanno tutti nell'ambiente che cosa hai fatto."

"E che cosa avrei fatto?"

"Ti sei messo contro i Jong... e chi ti aiuta o ti da una mano, segue il tuo destino."

"Credo che il destino ce lo scriviamo noi, Jim."

"Quando hai dei superpoteri... o quando sei un tizio tosto. Ma quando sei una mezza calzetta come me che non è mai riuscito a sgraffignare neanche una mela senza farsi almeno una settimana di carcere... il tuo destino è bello e che segnato."

Aspirò una boccata di quell'orribile sigaretta di contrabbando, tossendo leggermente.

"Ma guarda. Neanche riesco più a fumare come Dio comanda."

"E' per questo che stavi scappando da me?"

"Andiamo, Spider, non sei uno scemo. Sei in giro da almeno dieci anni. Lo sanno tutti che ogni tanto ti diverti a scuotermi un po' per avere qualche informazione."

Lo fissò, poi con gentilezza.

"A dire il vero, mi hai scosso poche volte. Sono state più quelle in cui mi hai allungato qualche dollaro per mangiare o per pagarmi la giornata alla pensione. Non sei stato male come croce, lo sai? Ma i tempi cambiano, amico... scusa se ti chiamo così. Ma del resto, a ben pensarci, forse mi sei stato più amico tu che tanta altra gente, considerando il fatto che un paio di volte mi hai tirato fuori dai casini a gratis."

"Posso fare qualcosa per te anche ora..."

"No. Stavolta no. Non capisci. Loro... sono venuti qui per restarci e, Dio santissimo, sono pronti a scatenare una vera guerra, credimi. Ti dico di più, fatti furbo e sparisci per un po'. Stavolta non li fermi, hanno amici anche tra la polizia, amici che si sono comprati con il danaro e tu di amici invece ne hai pochi... anzi, per niente. Capace che se ti metti in mezzo a questa storia quel Daily Bugle del cavolo ti fa passare per il capo dei cinesi."

Ridacchiò sommessamente.

"Ci sono altri che sono disposti a lottare con me..."

"Chi? Devil? Troppo impegnato a tenere sotto controllo il Gufo. I Vendicatori? I Fantastici Quattro? Gli X- Men? No... loro devono salvare il pianeta. Qui in mezzo a noi poveri diavoli non ci vengono... solo un povero supereroe sfigato come te si degna di venire a dare un'occhiata, tanto per tenere sotto controllo la situazione e sincerarsi che non ci si faccia troppo male tra noi o che non si metta in mezzo gli innocenti. Sei solo, ragazzo... solo... lo sei sempre stato... e da quel poco che ti conosco a te va bene così. Sei un cacciatore solitario, vero? Hai fatto coppia con... com'è che si chiamava? La Gatta Nera? Gran bella pupa, con rispetto parlando s'intende... ma non è durata molto."

Le sue parole erano cariche d'amarezza, come possono esserle quelle di un uomo sconfitto dalla vita e per un attimo temette che anche a lui sarebbe potuto succedere.

"Jim... qualcuno ti ha detto qualcosa, vero?"

"Non ci arrivi?"

"Ti hanno minacciato?"

Senza dire una parola scostò la vecchia giacca, alzando un maglione ormai logoro. Aveva un brutto ematoma sul fianco destro. Allungò una mano guantata e lo sfiorò appena, facendolo sussultare per il dolore. In quel vecchio edificio abbandonato l'atmosfera era divenuta cupa ed opprimente e avrebbe volentieri girato le spalle per tornare a casa, la sua casa, dalla sua famiglia, lasciandosi alle spalle tutto quello che gli si parava d'innanzi. Ma non lo aveva mai fatto... era una sua abitudine non abbandonare le persone. Le abitudini, a volte, sono dure a morire.

"Sono stati loro?"

"Nooo... non hanno bisogno di sporcarsi direttamente le mani. C'è tanta gente ansiosa di compiacerli. Gente che pensa che loro saranno i prossimi signori della Grande Mela."

La pioggia aveva ripreso a cadere, con la stessa furia della sera precedente, di nuovo l'odore di marcio e rancido portato da quel vento freddo che gli riempiva le narici... come se la maschera non fosse più in grado di tenerlo lontano come faceva un tempo. Si sentiva lo sporco addosso... ogni volta era più difficile togliersene l'odore... si chiese anzi, se fosse ancora possibile farlo.

"Jim..." gli mise una mano sulla spalla, come se fosse un vecchio amico. "Non posso prometterti protezione, hai ragione. Non so cosa posso fare per te... so che però non devo mollare questa storia, solo o no. Se lo faccio, sarebbe come dirgli che possono fare quello che più gli pare qui a New York e dopo aver visto come agiscono, quello che trafficano... questo mi è impossibile, capisci?"

Jim fece vagare per un po’ lo sguardo, mentre continuava ad avvelenarsi i polmoni con la sua maleodorante sigaretta.

“Credimi, penso di averti capito meglio di tanta altra gente. Non molleresti questa storia per niente al mondo, vero? Devi proprio farti ammazzare prima o poi, vero brutto testone? Certo che sì, sono stupido a chiedertelo. Farai come al solito… ovvero nella maniera peggiore per te.” Jim rise ancora, senza metterci cattiveria, come quando una persona anziana ride per una sciocchezza compiuta da un bambino. “Comunque non ho molte informazioni da darti. I Jong fanno sapere il meno possibile di loro, ma faranno parlare presto di sé. Fidati Ragno…”

“Jim, ieri al porto hanno portato via dei ragazzini e delle ragazzine… bambini capisci? Destinati ad una fine orribile…”

“Oh Cristo!” Jim si portò una mano alla fronte e cominciò a batterla con forza. “Vuoi proprio che io muoia? E vabbene! Dannazione, tanto per quanto mi resta da campare con questa vita di merda che faccio… alcuni di loro sono finiti in un bordello vicino a Morris Park, non ricordo il nome esatto della via, ti sarà facile trovarlo comunque, si spacciano per un night club chiamato Curiosity. Gli altri non so dirti che fine abbiano fatto… mi dispiace.”

“Jim, grazie… davvero.”

“Non dire nulla… forse per la prima volta in vita mia ho combinato qualcosa di buono e non i soliti disastri.”

Il senso di ragno urlò con forza devastante mettendolo subito in posizione difensiva, quandò udì il rombo del motore che veniva da fuori capì cosa stava per succedere. Avrebbe voluto prendere Jim e filarsela ma i colpi di proiettile attraversarono il vecchio portone prima ancora del fuoristrada blindato che distrusse buona parte del telaio. Si protese verso l’ uomo ma ormai non poteva far più nulla. Diversi colpi lo passarono da parte a parte, sotto i suoi occhi il vecchio morì in pochi istanti, trucidato come una bestia indifesa.

Urlò rabbioso mentre tirava via quello che ormai era un cadavere. Per un attimo in quei suoi occhi, aveva letto la speranza di essere salvato, ma era troppo tardi ormai. Non potè far altro che lasciare il corpo ancora caldo, il cui volto era una maschera di costernazione e terrore, come di chi ha fatto solo in tempo a realizzare che la vita è finita. Puntò i lanciaragnatele verso il parabrezza dell’auto e fece fuoco coprendolo per intero. Gli uomini al suo interno, privati di gran parte della visuale dovettero sporgersi per far fuoco. Era in uno spazio troppo ristretto per muoversi come avrebbe voluto e mentre saltava verso il soffitto venne colpito ad una coscia. Strinse i denti per quel sordo dolore che si propagò fino al cervello. Riuscì comunque ad attaccarsi come aveva voluto e agganciato uno dei due uomini lo tirò su con uno stratto rabbioso, mandandolo a finire sulle vecchie scale. L’altro intanto non aveva perso tempo ed era sceso,  avendo scaricato il mitra non perse tempo ad inserire un’altra cartuccia, estrasse un’automatica e cominciò a fare fuoco. A lui si unì un altro complice uscito da dietro. Riuscì ad evitare i proiettili ma la ferita alla gamba aveva diminuito di molto la sua agilità, non rispondeva agli avvertimenti del senso di ragno con la rapidità con cui avrebbe dovuto. Se si fosse potuto fermare un attimo il buco si sarebbe chiuso… almeno superficialmente, di solito gli ci volevano pochi minuti per coagulare, così invece rimaneva bello aperto, e più sangue perdeva più si indeboliva, inoltre ogni salto, ogni volta che con il piede toccava un’altra porzione di soffitto o di pavimento era un’agonia atroce e dolorosissima.

“Cazzo! Ora basta!”

Caricò il cecchino più vicino, arrivandogli a pochi centimetri e, abbassandosi all’improvviso prima che questi potesse vibrargli una coltellata con un pugnale che aveva estratto rapidamente da una guaina sul giubotto, lo prese alla caviglia e tirando su lo fece cadere a gambe all’aria. Cadendo, sbatté la schiena e svenne. Il secondo si trovava dall’altra parte del fuoristrada e aveva ricaricato l’arma, un uzi, pronto a riaprire il fuoco. Il senso di ragno l’avvertì della trappola, un altro uomo era entrato da una finestra del pianterreno che dava dall’altra parte della strada e gli si era portato a distanza di tiro alle spalle. Si chiese come ne sarebbe uscito vivo questa volta. Doveva tentare un’azione disperata. Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa sentì uno sparo. Quello che voleva prenderlo di sorpresa cadde in ginocchio portandosi una mano al braccio che fino ad un attimo prima impugnava l’arma. Istintivamente agì senza perdere tempo e si avventò contro l’ultimo rimasto. Spinse il fuoristrada in modo da stringerlo dove prima c’era il telaio della porta e ora c’erano solo pezzi di muro frantumati. L’altro, capita l’antifona, lasciò cadere a terra il mitra ed alzò le mani. Un’attimo dopo aveva le mani legate dietro la schiena e stava seduto in terra.

Spider-man si girò verso Terenzio Rucker che stava riponendo la sua beretta nella fondina.

“Scusami se non sono arrivato prima. Volevo lasciarti parlare con il tuo informatore e non mi ero accorto che questi qui vi avevano seguiti.”

“Mi stavi appresso?”

Chiese vagamente preoccupato.

“Dico, hai mai provato a seguire qualcuno che vola appeso ad una specie di liana da un grattacielo all’altro? No, sapevo che Jim era un tuo informatore. Ho pensato che avresti fatto un giro di tutti quelli a cui di solito spremi informazioni visto quello che è successo ieri giù al porto. Purtroppo ci hanno pensato anche quelli che hanno mandato i tizi lì. Mi dispiace per il tuo amico…”

“Dio… è stata colpa mia… non ci posso credere… lo avevo davanti a me e…”

“Ehi! Non dire scemenze!”

Il tono brusco di Rucker lo scosse.

“E’ colpa di Jim. Ha scelto lui di darsi alla vita del criminale anni fa ed ora ne ha pagato lo scotto. Forse, dandoti informazioni, ha fatto la cosa migliore da quando è nato. Tu hai l’abitudine a colpevolizzarti un po’ troppo, sai? Me ne sono accorto ieri al porto. Scommetto che ancora pensi di essere stato tu a causare quel macello. Lo si capisce anche da come di solito incassi le accuse dei giornali… mantieni sempre la testa bassa come se davvero tutte le colpe del mondo ricadessero su te. Se vuoi vittimizzarti fallo pure. Se vuoi invece darmi una mano a cercare di evitare una nuova guerra del crimine in questa città, fatti trovare domani in questo posto. Voglio parlare con te.”

Gli allungò un bigliettino con su scritto un indirizzo.

“Non deludermi, rischio la pensione facendo questo.”

Gli diede un’occhiata alla coscia.

“Non sarebbe meglio se ti dessi uno sguardo lì…”

“No… non preoccuparti… è entrata ed uscita… e tra un po’ starò meglio.”

Spiderman uscì… pensando a quanto Rucker gli aveva appena detto.

 

Fine seconda parte...