PROLOGO: Antartide, 1939
La famosa Legge di Murphy
doveva ancora essere immortalata in forma stampata, e così il suo corollario: ‘Murphy è un ottimista’.
Un equivalente di quelle due
asserzioni, tuttavia, in quel momento, sotto un cielo ingannevolmente limpido e
soleggiato, ad una temperatura media di -45°C, era ben fisso nei pensieri di un
essere umano in particolare.
Se becco il frescone che pensa che il
Sahara sia l’inferno in terra, lo uccido!
Il giovane americano (di adozione) non si distingueva, tanto era imbacuccato,
dagli altri quattordici membri di quella spedizione. Quindici
figure che si muovevano in fila indiana, gli unici esseri viventi nel raggio di
chilometri e chilometri. Quindici pulci nere contro
l’infinito biancore della terra del gelo eterno.
Una
spedizione impressionante, per numero e per la quantità di materiale al seguito. Una spedizione i cui scopi
erano, volendo metterla da un certo punto di vista, scientifici.
Una spedizione il cui successo
o il suo fallimento avrebbero potuto ugualmente decretare un triste destino per
il nostro mondo…
MARVELIT presenta
SHADES
Episodio 2/4 - Giochi di Luci e di Ombre
Di Fabio (Destino) Furlanetto e Valerio (Calcabrina) Pastore
L’uomo in testa alla
spedizione sollevò un braccio, per indicare a chi gli stava dietro di
prepararsi a fermarsi. Quelli dietro di lui lo imitarono, e presto tutte le
mute di cani si fermarono.
L’uomo in testa prese una
bussola dal giaccone. Consultò rapidamente l’oggetto, quindi
lo ripose, per poi estrarre una cartina ben piegata.
Spiegata la cartina, l’uomo si
arrischiò a rimuovere gli occhialoni protettivi. La lesse velocemente ed
attentamente, senza osare distogliere lo sguardo -anche una breve esposizione
al biancore diurno poteva compromettere seriamente la vista…
L’uomo piegò la cartina e la
rimise in tasca. Scosse la testa, sconsolato: se le indicazioni erano corrette,
il loro obiettivo non era molto distante… Peccato solo che non se ne vedesse la
minima traccia. E i cani erano stanchi, occorreva del
riposo per tutti, paga molto
profumata o no. Mr. DeCeyt non avrebbe apprezzato il fallimento, anche se fosse
stato causato da eccesso di zelo.
L’uomo si voltò verso gli
altri. “Ora di pausa, gente: montiamo il campo.”
Almeno, era una bella
giornata.
Il campo fu montato a cerchio,
con le tende quasi a ridosso l’una dell’altra, tutte collegate
fra loro da ‘corridoi’ dello stesso tessuto isolante. Il materiale che utilizzavano
era qualcosa di rivoluzionario, molto in anticipo sui tempi, così come le stufe
portatili. Julius DeCeyt, finanziatore della spedizione, non aveva
letteralmente badato a spese per il confort di uomini
e di animali…
“Salve, ragazzo,” disse il capo della spedizione, entrando. La sua barba
bionda era stata perfettamente pulita, e gli occhi gli scintillavano di una
luce dura.
“Ho un nome, Herr Venture: Lukas Zeller.” Lo
pronunciò con freddo distacco, mentre studiava un foglio di un fitto blocco di appunti.
James Venture si sedette
accanto al giovane ventiduenne. Tentò di lanciare un’occhiata agli appunti, ma ancora
una volta Lukas fu lesto a chiudere il blocco. E ancora
una volta, si chiese come facesse a leggere quella fitta e minuscola calligrafia
con quegli occhiali neri. A dire il vero, Venture non
aveva mai visto quel Zeller senza gli occhiali. Neppure quando dormiva…
“Posso fare qualcosa per lei,
Herr Venture?” Lukas aveva imparato bene l’inglese, ma gli era rimasto ancora
quel leggero accento che avrebbe fatto la gioia di un caricaturista.
Venture fece
spallucce. “A meno che tu non voglia dirmi che cosa ci fai in questa
spedizione, no. Ero venuto solo per assicurarmi che stessi bene, ragazzo: il
capo ha promesso di tagliarmi braccia e gambe, se ti becchi anche solo un raffreddore.”
Lukas gli mostrò uno dei suoi
rari sorrisi: Venture trovò quell’espressione…inquietante.
“Non si preoccupi per così
poco, Herr Venture: le malattie vengono ai deboli, a coloro
che non sanno resistere ad esse. Io non voglio ammalarmi, quindi non mi
ammalo.” Un’asserzione che, sulla
bocca di un altro, sarebbe suonata infantile. Venture, invece, gli credette -del resto, Zeller continuava a mostrare una
salute di ferro e una fibra degna di un lupo, in quell’inferno di ghiaccio.
Venture si alzò.
“Uhm, va bene, Lukas. Se avessi bisogno, sai dove trovarmi.”
Lukas aspettò che l’uomo fosse
uscito, prima di mormorare un elaborato insulto in tedesco alle sue spalle.
L’idiota!
Per lui, Lukas Zeller era solo un ragazzino viziato, forse un parente del capo,
messo lì per chissà quale ragione. Gli uomini, del resto, erano pagati per obbedire,
mica per fare domande…
Chissà
cosa avrebbero pensato, se avessero saputo.
L’ampia mappa venne srotolata sulla scrivania con un gesto fluido. Una
volta apposti i fermacarte ai lati, una bacchetta venne
puntata contro l’illustrazione: una complessa struttura architettonica su
cinque livelli. Di questi, quattro erano illustrati al dettaglio. Il quinto,
per contro, era un’area bianca con un sommario contorno circolare del
perimetro.
“Lukas, ti presento la Base
212,” disse l’uomo chino sulla mappa. Un individuo vestito alla maniera europea, impeccabile fino alla
punta dei capelli. “Qui, un gruppo di ricerca segreto del Partito
Nazionalsocialista sta predisponendo qualcosa di grosso: un nuovo tipo di arma capace di riscrivere la superficie del pianeta.
“Ho dovuto pagare molto, molto
caro questa mappa, e l’informazione che ti ho appena dato è il massimo che sono riuscito ad ottenere. Un’informazione
che ritengo affidabile. Il responsabile del progetto è forse il più
fidato agente di Adolf Hitler: il Teschio Rosso.”
“Mai sentito,”
fece Lukas, guardando la mappa. “E comunque, cosa
c’entra con le Ombre? Lei mi ha detto che mi avrebbe aiutato a rintracciarle…”
DeCeyt sorrise. “Oh, c’entra.
C’entra più di quanto immagini, giovane Lukas.
“Dimmi una cosa, anche solo
per amor di retorica: credi che esista
qualcuno al mondo capace di fermare l’avanzata dei Nazisti?”
Lukas ci pensò su. La Polonia era appena stata invasa con un esempio da manuale
di Blitzkrieg, guerra-lampo. Il popolo tedesco e quello appena annesso dall’Anschluss adoravano il Führer senza riserve. Il suo esercito
sembrava invincibile… Ma tutto quello che Lukas sapeva veniva dalla stampa e
dalla radio, che quanto ad obiettività, non si potevano certo considerare degni
rappresentanti. “Non lo so, Signore.”
DeCeyt annuì gravemente. “Mi
piacciono le risposte oneste: be’, io ti posso dire che, al momento, non c’è
nessuno che possa compiere un simile miracolo. So per certo che l’Europa sarà
il loro terreno di caccia e di conquista. Eppure,
nella sua brama di vincere quanto prima possibile e in modo assoluto, Hitler è
disposto a mettere a rischio il mondo intero.
“Ed è
qui che le Ombre interverranno. Ne sono assolutamente certo, ragazzo mio: la
storia del mondo è ad una svolta senza precedenti. E, fino ad ora, il Circolo delle
Ombre e quello delle Luci non hanno mai mancato di manifestarsi di fronte ad
una crisi di grande portata.” DeCeyt fissò Lukas negli
occhi. Era forse l’unico uomo al mondo capace di fare sentire a disagio il
giovane tedesco, che nutriva per lui un sano rispetto.
“Il tempo è di
importanza essenziale, Lukas: agli uomini che ti accompagneranno, ho
detto che lo scopo della spedizione che ho preparato è di attaccare la Base 212
per trafugare gli schemi del progetto segreto nazista. Solo tu ed io sappiamo che la vera natura della missione è che tu contatti
gli agenti del Circolo delle Ombre. Sarai il mio ambasciatore: ti senti pronto?”
Gli occhi di Lukas brillarono di eccitazione -era come chiedere a un bambino se voleva
incontrare Babbo Natale! “Cosa dovrò fare?”
Julius
DeCeyt si mise seduto sulla sua poltrona. Si accese con calma una pipa, inspirò
qualche boccata, e dopo avere esalato una voluta azzurrina, disse, “Niente.
Dovrai solo aspettare il momento giusto. Se non mi sono sbagliato su di te,
giovanotto, saranno le Ombre stesse a volere scambiare quattro chiacchiere con
te.”
Lukas chiuse il blocco degli
appunti. Gli era costata una fatica d’inferno trascrivere quanto gli serviva
del prezioso ed unica copia del volume ‘Le Religioni
delle Civiltà Perdute’, oltre a quanto aveva fornito lo stesso DeCeyt, ma era
comprensibile: i testi originali dovevano restare dov’erano, al sicuro.
Di tutta quella faccenda, la
cosa che più lo faceva impazzire era il senso di impotenza.
Lukas Zeller era un combattente, abituato a prendere il toro per le corna e lottare
duro. Anche ora, aveva sperato di trovare un riferimento, uno qualunque, ad un
qualche rituale per entrare in contatto con le Ombre…ma ancora una volta aveva
dovuto ammettere che non era lui a dovere riuscirci,
ma loro a volergli parlare. Punto e basta.
E se DeCeyt non era un loro Agente, come faceva ad
essere sicuro che Lukas fosse una persona interessante per loro?
Il giovane si alzò in piedi. Si infilò gli abiti protettivi, ed uscì.
Erano le due di notte, ma la
luce era quella del pomeriggio inoltrato. Non si vedevano tracce di ombre, in quel biancore. Per sei mesi all’anno,
quello era il regno della fredda luce.
Lukas la odiava. L’oscurità
esteriore, invece, era il migliore dei rifugi; il luogo ideale per tendere un
agguato, e per combattere, se sapevi come muoverti in essa.
L’oscurità interiore celava la tua anima ad amici e nemici, ti dava il dono
dell’imperscrutabilità. Potevi celare qualunque cosa, nel buio…
Lukas si voltò per rientrare
nella tenda…quando successero due cose allo stesso tempo.
I cani si destarono di colpo
dal loro riposo, e presero ad abbaiare freneticamente, furiosamente. E Lukas vide la propria ombra contro la tenda sdoppiarsi.
Come se ci fosse un altro Sole nel cielo.
Si voltò, proprio mentre le lampo delle altre tende venivano abbassate. Se i cani erano allarmati, in un ambiente come quello e data
la natura della loro missione, non c’era da esitare un momento.
E tutti le videro.
“Gesù santissimo..!” esclamò uno dei mercenari.
Erano in due. Erano sbucate
dal nulla. Erano così luminose che quasi gli occhialoni non servivano a
proteggere gli occhi. Ed erano umane, femminili.
Apparentemente, non indossavano nulla.
Gli uomini puntarono le armi.
Lukas pensò istintivamente a quanto fosse inutile resistere:
ne era sicuro, quelle apparizioni erano Agenti del Circolo delle Luci.
DeCeyt aveva ragione!
Le donne sollevarono ognuna un
braccio. Per un momento, sembrarono volere indicare i membri della spedizione.
“Che
cosa facciamo, capo?” chiese l’uomo al fianco di Venture. “Insomma…che cosa sono, quelle?”
“Mi venga un colpo se lo*” fu
esaudito in quell’istante, quando un dardo di luce lo centrò in un occhio,
attraversando il cranio come se le ossa fossero state burro!
Venture morì ancora prima di cominciare a cadere.
Gli uomini premettero il
grilletto. E fu tutto quello che riuscirono a fare: una
pioggia orizzontale di dardi fotonici si riversò su di loro, dilaniandoli,
distruggendo le loro armi, il loro accampamento, i cani…tutto. Non
risparmiarono niente e nessuno.
Tranne uno.
Lukas. Per il ragazzo, quei
due soli secondi erano stati un’eternità. Quando riaprì gli occhi, si sentì
sinceramente sorpreso di essere ancora vivo e senza
una sola ferita addosso. I suoi stessi abiti erano intatti, là dove, per quanto
voltasse lo sguardo, il resto dell’accampamento e dei
suoi occupanti era ridotto letteralmente a brandelli. Il ghiaccio non era più
bianco. Era rosso.
Ti hanno protetto.
Lukas non era sicuro di avere
udito bene…anzi, non era sicuro di avere udito affatto. La voce era come il verso del vento quando ti sussurra tutt’intorno. Quella era la voce della Luce, ne era sicuro.
Le ombre ti proteggono. Tu sei come loro.
“Cosa state dicendo..?” tentò lui…poi si accorse di un fenomeno non meno
sconvolgente di quello a cui stava assistendo.
La sua ombra! La sua ombra,
sdoppiata dalle luci, si stava muovendo da
sola. Ondeggiava come una foglia al vento.
Lui non è un affar vostro. Andatevene.
La nuova voce che sussurrò ai
suoi pensieri sembrava provenire da un qualche remoto abisso. Era una voce
atona, gelida. Fredda come l’assenza di ogni emozione.
Quella parte di istinto che Lukas si era sforzato di
sopprimere, la parte che gli urlava di fuggire da quella voce nera, quasi prese
il sopravvento. Per poco, però.
Quello che seguì fu qualcosa che Lukas non avrebbe mai
dimenticato: quella fu la prima volta che vide le Luci e le Ombre affrontarsi
faccia a faccia.
Ed era meraviglioso! I corpi femminili iniziarono una
danza frenetica ed allo stesso tempo aggraziata. Erano angeli, intenti ad
evitare il contatto con le nere ombre che si diramavano intorno a loro come un
fiume fatto di filamenti. Dardi di luce, sfere abbaglianti…luci così violente
che, a rigor di logica, avrebbero dovuto avere ragione di qualsiasi ombra.
Invece, l’oscurità si
adattava, si espandeva o si assottigliava a seconda del
bisogno, schivava i colpi, ripartiva all’attacco per avvolgere le sue prede… La
luce e le tenebre si alternavano come un mosaico folle e doloroso per gli
occhi.
E finì. Un attimo prima, quello era un duello, almeno
secondo Lukas, alla pari. E un attimo dopo, le Agenti
delle Luci, illese, erano schizzate nel cielo, verso il Sole.
Le ombre amorfe restarono lì a ondeggiare, come gli osceni tentacoli di qualche entità
aliena. Poi, assunsero una forma umanoide. E anche
loro non erano certo uno spettacolo su cui soffermare lo sguardo: non si poteva
neppure definirle come dei ‘ritagli’ di vuoto. Non avevano un contorno: con
loro, lo spazio svaniva e basta.
Lukas scoprì di avere la
fronte sudata. Vi passò sopra la mano guantata. “Come le avete sconfitte?” fu
la prima cosa che gli venne di dire.
Non sono state sconfitte. Loro avevano sconfitto voi. Noi abbiamo
potuto sconfiggere loro. Noi abbiamo sabotato la loro missione. Noi dobbiamo
portarla a termine. È semplice.
“Allora, chi ha vinto?”
Luce ed Ombra si alternano, si equivalgono nello status e nelle
azioni. Complementarietà. Il loro essere ci assenta.
“…” Lukas non ci si
raccapezzava. Quelle erano gli Agenti delle Ombre, e lui era stato testimone di
un sogno divenuto realtà. Aveva atteso così a lungo questo momento,
preparandosi le parole, rigirandosele nella mente…
E non sapeva cosa dire. Peggio, non sapeva neppure cosa
pensare. Si era aspettato di trovarsi
di fronte a degli esseri superiori, arroganti, pericolosi
e dal carattere mercuriale: dei demoni.
Queste creature erano aliene, e non solo fisicamente. Non
c’era pazzia nelle loro ‘parole’, ma concetti che lui non aveva affrontato.
“Cosa volete
da me?” chiese a quel punto. Era arrabbiato, era frustrato, ed era imbarazzato
di dovere mostrare questi sentimenti nella sua voce. “Perché
mi avete salvato?”
Uno degli agenti puntò il ‘braccio’ verso un punto indefinito. L’arma finale. Una
vittoria di regime. Trasformazione, male e dolore. Presenze. Noi non siamo. La
presenza è inammissibile. Lo squilibrio va corretto. Porta a termine la missione.
Lukas vide le ombre tornare a
fondersi con la sua. Sapere che ora aveva quegli assurdi ‘angeli custodi’ ai
suoi piedi non lo faceva sentire tranquillo. Ogni
familiare riferimento mentale era saltato; doveva ricominciare dall’inizio
Lukas
sorrise. Vuol dire che ci vorrà un po’
più di tempo per giungere al mio scopo. Tutto qui.
“Allora, ci siamo?” Il gelo
antartico stava rapidamente consumando le sue riserve di grasso. Preso com’era
dalla sua ossessione per le Ombre, Lukas aveva perso il minor tempo possibile a
mangiare, col risultato che ora la fame lo attanagliava con forza.
Le ombre non gli risposero.
Lukas restò dov’era,
guardandosi intorno. Aveva camminato nella direzione indicata, fino a quando
non aveva sentito come una resistenza ai suoi passi. Diede fiato ai polmoni, e
in tedesco disse, ad alta voce, «Molto bene! Il mio
nome è Lukas Zeller! Sono qui per parlare con i responsabili del progetto della
Base 212!»
In risposta, dopo cinque minuti, una porzione del
ghiaccio scivolò verso il basso, come una piattaforma. Poi, due figure armate
emersero dall’apertura. «Fermo dove sei! In nome del Führer…»
Le ombre attaccarono! Lukas
ammirò la velocità con la quale si mossero, avvolgendo i corpi delle sentinelle
della Wermacht. Gli uomini urlarono, si agitarono, ma invano. Le ombre li coprirono
come pece, e in quell’oscurità i corpi furono consumati, diventarono masse
amorfe essi stessi, e alla fine svanirono.
Le ombre tornarono a fondersi
con quella di Lukas. A lui non importava che fossero così alieni: vedere quel potere all’opera era stato più che
sufficiente a ringalluzzirlo. Vedere il puro terrore nelle voci e nei volti di
quei pavidi aveva scaldato il suo nero cuore.
Le Luci gli avevano detto che
lui era come le Ombre. Oh, quanto era vero!
La scala portava verso il
basso. Era un budello stretto ed illuminato da una fila di lampade lungo le
pareti metalliche.
Era fuori di dubbio che quel
cunicolo fosse una trappola fatta e finita.
Poca cosa, per le ombre.
Lukas, che in mano stringeva uno dei mitra dei soldati, lo puntò e fece fuoco
sulle lampade. Il budello d’ingresso sprofondò nell’oscurità.
Lukas entrò nel regno delle
ombre. “Ho tante cose da chiedervi, sapete?”
Era come trovarsi nel ventre
materno, in un certo senso. Era rassicurante. Dall’oscurità tutti nascevano, e
nell’oscurità tutti tornavano. Alfa e omega. La luce era transitoria, sintomo
di un male chiamato consunzione. Era nella natura della luce, quella di morire
e di lasciare spazio alle tenebre. Questo, Lukas lo aveva capito bene dalle sue
letture e dalle proprie riflessioni.
“Come mai le Ombre hanno
bisogno di Agenti? Il vostro potere è illimitato, la
vostra presenza eterna. Niente può ferirvi, e la Luce non è eterna.”
Quando gli risposero, lui era pronto, ed il tocco della loro
voce nella sua mente fu poesia allo stato puro.
Ombra e Luce non sono e sono. Ne’ al di sopra ne’ al di sotto della vostra sfera. Bene e
Male sono vostri concetti. Voi potete influire oltre i
vostri limiti. È vostra potenzialità. Voi dovete essere contenuti.
“E
gli Agenti servono a questo, giusto? Non vi converrebbe lavorare d’insieme,
invece di farvi lo sgambetto, a questo punto?”
Luce ed Ombra non collaborano. Loro sono.
Noi non siamo. Equilibrio.
“Per questo ora volete me?
Pensate che possa spezzare l’equilibrio a vostro favore?”
L’equilibrio è inviolabile.
Lukas si stava spazientendo. “E allora a cosa vi servo? Perché mi avete
difeso?”
Il progetto Armageddon deve cessare. Tu puoi farlo cessare. Tu sei
come noi.
Lukas continuò a camminare.
Ogni punto di orientamento aveva cessato di esistere,
non sentiva il pavimento sotto i suoi piedi. L’aria non aveva odore, i soli
suoni che potesse udire erano quelli del suo corpo. Il
tempo non scorreva.
Sapeva che DeCeyt lo aveva
mandato allo sbaraglio così come si manda uno schiavo
a morire per conto proprio. Lui avrebbe fatto lo stesso senza pensarci su un
attimo. E, ovviamente, DeCeyt contava proprio sulla
capacità di Lukas di resistere al tocco della paura.
Solo che
DeCeyt si sbagliava, se pensava che Lukas avrebbe condiviso qualcosa, se ci
fosse stato qualcosa da condividere.
Il premio, il potere, appartenevano a lui!
Lukas avvertì il familiare
senso di trazione. Si fermò.
Le ombre si dissolsero. Se non avesse avuto i suoi immancabili occhiali, Lukas
avrebbe trovato fastidiosa l’irruzione della luce, prima a sciabolate intense
mano a mano che le tenebre recedevano, poi come un’unica cappa, quando
l’ambiente in cui si trovava il ragazzo fu rivelato…
Lukas si guardò intorno,
stupefatto. Stupefatto, ed ammirato: i Nazisti erano riusciti a costruire un
ambiente così grande sotto i ghiacci
eterni?
Le pareti erano
cemento e metallo. La pianta era cubica. Lui si trovava su una specie di
piattaforma dal pavimento a grata. Intorno a lui, ovunque sul pavimento, erano
sparsi oggetti che andavano da blocchi per appunti ad armi, a stemmi metallici
dell’aquila nazista. Era chiaro che gli Agenti avevano fatto
bene il loro lavoro…
L’attenzione di Lukas, però,
al momento, era attratta dalla struttura davanti ai suoi occhi: un’enorme
colonna, fatta di intricate tubazioni, dalle quali, a
tratti, partivano getti di vapore.
Lukas si avvicinò alla
colonna: vide che si diramava dentro un pozzo…e che nella ragnatela di tubi si
celava qualcos’altro.
Lukas si appoggiò alla
ringhiera. E guardò meglio.
Le tubature racchiudevano un gigante. Un umanoide
tozzo, con delle tenaglie immense al posto delle mani, senza la testa.
Tutto di acciaio.
“Ti piace quello che vedi, mi
sembra.”
Si voltò di scatto! Stupido,
stupido stupido! Non si era procurato un’arma!
Colui che aveva parlato era un uomo sui cinquanta, il volto
segnato da rughe intorno agli occhi e alla bocca. Un uomo dai capelli biondi
ormai radi e brizzolati, e un paio di occhiali a montatura
tonda sul naso. Indossava un ampio camice bianco, e al braccio portava la
fascia rossa con la croce uncinata. In mano, reggeva un blocco per gli appunti.
“Spero di non averti
spaventato troppo, figliolo,” disse l’uomo. A Lukas
ricordava qualcuno, gli era familiare, ma era troppo concentrato su altre cose
per preoccuparsene…
“Wer sie Sie?”
«Non sono un nemico, figliolo.
Sono solo il capo incaricato di questo progetto. L’unico che
possa chiamarsi capo vero e proprio è un uomo che di te farebbe brandelli,
nonostante i tuoi poteri. Perché devi essere potente,
per avere sbaragliato tutte le guardie dall’ingresso a qui, senza contare il
personale. Ma hai commesso un errore: il resto
della base ti piomberà addosso molto presto, lo sai? Ti sei accorto che sta
suonando l’allarme?»
Era vero! Già in altre
occasioni Lukas si era così concentrato sul suo obiettivo, da dimenticarsi del
mondo che lo circondava! Aveva associato il suono della sirena a uno dei tanti rumori di fondo di quel posto…
«Che
vengano pure.» Lukas fece spallucce. «Saranno loro a doversi preoccupare.»
L’uomo sembrò soddisfatto
della risposta. «Proprio come immaginavo. Eri un gran
bastardello presuntuoso tanti anni fa, e non sei cambiato affatto. Mi dispiace
solo di non avere compreso il tuo potenziale prima di
andarmene, o il Reich avrebbe beneficiato di un essere straordinario come te.»
Lukas finalmente capì chi si
trovava di fronte! «Padre?!»
L’uomo chinò brevemente il
capo. «Sei davvero cresciuto, Lukas.»