PROLOGO: Paese di Ventosa, Stato della Chiesa, Italia, A.D. 2003

 

Notte. Una notte bellissima di Luna Piena, così nitida che sembrava di poterla toccare con un dito. Il grande corpo luminoso era circondato da una corona di costellazioni brillanti come diamanti. La luce dal cielo poteva permetterti di leggere un giornale, tanto era chiara. Una corrente frizzante e profumata di pini veniva dalle montagne vicine. Era il tipo di notte da dedicare ad una passeggiata per meditare, alla poesia o all’amore…

 

…Ma questa notte, in questo villaggio, la sopravvivenza era la sola cosa nella mente di quest’uomo!

Si chiamava Ludovico Farnesi. Qualunque fosse stata la vita condotta finora, lo aveva segnato in modo particolare. Era ancora giovane e forte, con i capelli neri e folti, ma molte erano le sue rughe, e il braccio destro gli mancava dal gomito in giù. Qualunque fosse stata la vita condotta in precedenza, se l’era lasciata dietro, per diventare un contadino. Tanti erano gli anni spesi a cavare il massimo dal suo appezzamento, a difendere i frutti del suo lavoro e la propria famiglia da ogni tipo di predone, dagli esosi esattori della Chiesa ai predatori ed ai demoni.

Ora Ludovico Farnesi correva con tutta la forza del puro istinto. Aveva appena visto delle cose che nessun uomo poteva affrontare e sopravvivere. Correva, ed il suo cuore rombava dolorosamente nel petto. I suoi pensieri erano sfuggenti come acqua, incoerenti come foglie disperse in un uragano di terrore.

La sua anima piangeva, all’idea di avere abbandonato la propria famiglia, di avere abbandonato la propria fede…Ma cos’altro poteva fare? Lui era solo un uomo, Signore, solo un piccolo mortale che non voleva morire..!

Sapeva di stare urlando, la gente doveva udirlo…Ma non una luce si accese, dietro le finestre. Non una voce di conforto si levò per lui, non una pattuglia si fece vedere. Il villaggio era quieto, e in quella quiete c’era il sommo disprezzo per il terribile errore commesso da Ludovico Farnesi. Un piccolo peccato di avidità che avrebbero pagato tanti altri innocenti…

Ancora una volta, Ludovico si guardò indietro: i suoi inseguitori, come da quando quella caccia era iniziata, si tenevano appena alla periferia della sua visione, ombre fra le ombre, un branco diabolico dagli occhi gialli accesi dalla fame

Giocavano con lui, come avevano giocato con la sua famiglia. Volevano spezzare il suo coraggio, e ci erano riusciti benissimo…Ma questa volta, forse, un grosso forse, avevano commesso un errore…

Un’ultima scintilla di speranza dava ancora forza alle gambe di Ludovico, che aveva praticamente attraversato il paese da un capo all’altro,

per giungere finalmente alla chiesa! Mai quell’edificio, illuminato dalla luce celeste, con i marmi come pezzi stessi di Luna, gli era sembrato più bello! Le stelle si riflettevano nel rosone, come se questi fosse stato, in quel momento, una finestra sul Paradiso stesso.

Ho peccato, Padre! Ho peccato, Signore! Ho rinnegato il mio retaggio, invitato il Male alla nostra tavola anziché ringraziarti per quello che ogni giorno ci avete concesso. Per favore, perdonatemi. Non peccherò più, ho imparato la lezione, vi prego viPREGO!

Il cuore si trasformò in un ferro rovente. Il dolore si espanse alla mandibola ed al braccio sinistro. Ludovico Farnesi aveva appena avuto un infarto fatale, ma tutto quello che occupava la sua mente era la porticina incassata nel portone. Sarebbe entrato, e sarebbe stato salvo…

La porticina si aprì. Benedetto Iddio! Le sue grida erano state ascoltate! Solo…un…ultimo…

Ludovico Farnesi arrivò alla porta, spinto dal puro slancio. Ebbe appena il tempo di vedere…sé stesso venirgli incontro, prima di capire. E di perdere l’ultimo barlume di speranza.

Morì in quel momento, senza sapere che alla fine Dio lo aveva ascoltato, permettendogli di sfuggire ad una vita senza fine negli abissi stigei. Morì, mentre il suo corpo svaniva da questo piano.

Il branco diabolico si fermò appena fuori della piazza della chiesa. Era stata una notte proficua, e loro erano soddisfatti.

Le ombre, così simili a lupi, si ritirarono, nella attesa delle prossime prede.

Ora era iniziata, e sarebbe finita solo con la fine di ogni Cacciatore…

 

 

MARVELIT e SANS SOUCI presentano

LE GRANDI BATTAGLIE: 

KNIGHTS TEAM 7 

&

Episodio 1/4: NEL BEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRE VITE…[i]

 

 

Dal Diario di Tristan Johnsson, Studente ed apprendista Cacciatore.

 

Considerato quello che è successo, devo dire di potermi ritenere fortunato a potere scrivere queste righe. Mi piacerebbe potere dire che sono arrivato tutto intero alla fine degli eventi che sto per narrare grazie alle sole nostre forze, le mie e quelle dei miei amici, ed al nostro coraggio.

Quelle hanno avuto la loro importanza, è vero, ma dobbiamo la nostra vita anche e soprattutto ai più strani alleati che ci siano capitati di avere. Alleati ed amici, vicini a noi nella lotta come nel cuore…

Forse non li rivedremo mai più: le distanze che ci dividono vanno ben oltre i confini dello spazio e del tempo, e ritrovarli comporterebbe tali rischi da rendere impraticabile un simile viaggio.

C’è qualcosa di ironico, nel nostro incontro: neanche loro lo avevano pianificato. Era stato il fato, a metterci insieme. Ancora adesso, ripensandoci, ho l’impressione che sia stato solo un sogno. Forse è per questo che la mia mano sta tremando, mentre vergo queste parole…

Ma basta con gli indugi. Sono sicuro che, scrivendo di quei fatti, li fisserò nella realtà, nel posto che meritano nelle nostre vite.

Cominciò con la Festa del Solstizio d’Estate, nel paese di Alpe del Sole, nelle terre dello Stato della Chiesa…

 

Ritmi tribali, a base di chitarre, tamburi, violini e voci tzigane. Sotto il Sole di mezzogiorno, le donne danzavano intorno ad un grande falò. Il calore e la luce benevoli dell’astro della vita si univano al calore ed alle passioni umane. Le genti stanziali e le tribù nomadi, oggi, erano una sola famiglia sotto il segno dell’abbondanza del raccolto.

I canti giunsero, infine, ad un lungo apice corale, in una lingua antica, conosciuta solo ai nomadi. Le donne si immobilizzarono, le braccia divaricate e tese verso l’alto, verso il Sole. Le vampate di calore agitavano i loro lunghi abiti rossi e gialli come il fuoco. Restarono così per oltre un minuto, i volti persi in un’estasi meravigliosa e sensuale…Poi, di colpo, in perfetta sincronia, si inchinarono fino a piegarsi in due.

Un lungo applauso salutò la fine della danza. Nell’aria si sparsero, come per incanto, i profumi del cibo e dei vini.

Il cerchio degli spettatori si ruppe, fra fischi e commenti di ammirazione. La gente del villaggio si avviò alle lunghe file di tavole imbandite -era una folla variopinta, che spaziava dalle due famiglie nobili locali ai diseredati. La tradizione chiedeva che non ci fossero separazioni di classe, almeno per quel giorno, e nessuno l’aveva infranta per secoli…

“Elsa, sei stata divina! Se non fossi mia sorella, ti sposerei!” Così dicendo, un giovane elfo caucasico dai capelli rossi andò ad abbracciare la sua immagine speculare al femminile, per poi stamparle un gran bacio sulla guancia.

“Sasha,” si schernì Elsa Istvanov, arruffandogli i capelli acconciati allo stesso modo, “se non ti conoscessi, ti crederei capace di provarci…Da quanto tempo non sei riuscito ad andare a letto con qualcuno?”

Alexander ‘Sasha’ Istvanov fece spallucce. “Oh, c’era stato quel fauno, un paio di settimane fa, ma era tutto fumo e niente arrosto…Ahi! Ahiahi! Insomma, cugino!”

Sotto qualche occhio esterrefatto, Kaim Istvanov aveva preso suo cugino per un orecchio e stava esercitando una pressione da pinza. “Va bene che oggi ci si può permettere qualche ‘libertà’, cugino, ma non ci terrei a fare sapere a mezzo mondo che cosa comprenda la tua lista di conquiste. Chiaro?”

Alexander si massaggiò la cartilagine offesa, che ora aveva assunto la consistenza ed il colore di un peperone. “Uhh, che noioso. Dovresti sapere godertela un po’, la vita; tu e Tristan siete certi coatti. Uhi.”

Il quartetto prese posto alla tavolata, davanti a delle porzioni di carne mista e polenta da sfidare persino l’appetito di Kaim.

Kaim era un tipico esempio di ‘elfo nero’, parte caucasico e parte cinese, in contrasto con i suoi cugini apparentemente di sangue ‘bianco’, cioè esclusivamente elfico. Da suo padre, Kaim aveva preso la parte elfica. Da sua madre, gli occhi a mandorla, o meglio, l’unico occhio, quello sinistro, essendo quello destro coperto da una benda da pirata, i lunghi capelli neri striati d’argento, ed il volto ingannevolmente delicato. C’era anche qualcos’altro, che aveva preso dalla genitrice…e preferiva non farlo vedere, quando non era necessario.

Forse era proprio la sua duplice natura, a renderlo così sensibile nei confronti del suo più caro amico, Tristan Johnsson. Più di una volta, i suoi cugini li avevano stuzzicati insinuando che il mezzelfo e Tris fossero amanti…Ma era anche vero che la stessa Elsa aveva iniziato una relazione con il giovane Svedese, e sembrava davvero una cosa seria…

Kaim non avrebbe mai potuto ‘godersi’ la vita: in quanto figlio dei suoi particolari genitori, era completamente sterile. E il suo ruolo di Cacciatore era un ulteriore ostacolo ad una relazione degna di tale definizione. E ne’ lui ne' Tris erano gay, quindi ogni ‘insinuazione’ era infondata, punto!

Ci fu una preghiera collettiva di ringraziamento, sotto l’esclusivo segno della Santa Chiesa. Kaim e gli altri parteciparono per pura forma, dato che insieme rappresentavano una selezione di ben altre fedi e Kaim stesso era ateo. Poi, finalmente, ci si poté dedicare ai pasteggiamenti.

Mangiando, Kaim ed Alexander, se non altro per pura abitudine, non poterono fare a meno di osservare i sette stranieri seduti al tavolo accanto. Il gruppo era giunto la sera prima, poco dopo di loro. Niente cavalli, niente carri, ma vestivano come rappresentanti dell’alta società. Se avevano usato la magia, non se ne erano lasciate tracce dietro. Erano molto uniti, ed avevano sborsato cifre non da poco, per assicurarsi una camera solo per loro. Di solito, gente simile era il preludio a guai, anche se per ora non era successo ancora niente.

“Hai notato qualcosa in loro, Tris?” fece Kaim, addentando un cosciotto.

Tristan era il più giovane del quartetto. Capelli lunghi e biondi, carnagione pallida, e due occhi color ambra, che talvolta gli altri scambiavano per azzurri, era appena meno robusto di Kaim. Il giovane inghiottì una patata tutta intera, e scosse la testa. “Niente. Se si tratta di esseri soprannaturali, lo nascondono benissimo.” Come per il suo amico, i suoi sensi erano molto più acuti di quelli umani…Eppure, non un odore era fuori posto, in quegli stranieri…

Anche Kaim li osservò, uno ad uno, nella speranza di riconoscerli. Invano.

Il primo da sinistra, che si era presentato come John Jameson, era un caucasico dall’accento americano. Era il secondo più giovane, capelli castani lunghi raccolti in una coda di cavallo. In qualche modo, a giudicare da come gli altri si rivolgevano a lui o lo guardavano, poteva essere il ‘capo’ della comitiva. Una cosa era certa, comunque: era un uomo forte, allenato, che si muoveva come un lupo, con la giusta economia di movimenti.

Al suo fianco, stava il più giovane, Max, un ragazzo pure caucasico, dal volto improntato all’allegria., ma dai capelli lunghi assolutamente bianchi. I suoi occhi erano pure gialli…Che fosse come Tristan? Comunque fosse, aveva dato decisamente l’impressione di essere molto amico del ‘capo’, sentimento da questi ricambiato…

Kaim si sentì arrossire leggermente, e passò al terzo…anzi, alla terza: una donna dal volto angolare, i capelli neri raccolti in una crocchia severa, e gli occhi grigio acciaio. Non un’ombra di trucco. Tutto in lei parlava di alto lignaggio, e alcuni rampolli di sangue blu stavano vistosamente cercando di attrarre la sua attenzione con le battute più salaci e gli argomenti più, a loro dire, coinvolgenti. Per contro, Mary Elizabeth Sterling li stava tenendo a bada con poche parole nel suo raffinato accento britannico e dei sorrisi educati uniti a sguardi ferrigni. Tutto l’opposto

della seconda ed ultima donna del gruppo, Greer Grant Nelson, altra Americana. Un fisico da amazzone, capelli lunghi e neri, un volto dall’espressione di predatrice, le sue maniere erano decisamente improntate al libertinismo. Si beava delle attenzioni dei maschi scapoli meno abbienti, anche se, di fatto, non permetteva loro di arrivare oltre un determinato limite. Un atteggiamento forse dettato da una sana prudenza nei confronti

dell’uomo che le sedeva accanto, un individuo a dir poco massiccio di nome Grigar. Un nero alto almeno due metri, dalla pelle più scura che si fosse mai vista. I suoi occhi sembravano brillare come quelli di un gatto, fra i tratti tagliati nell’ossidiana. Il suo corpo era un continuo guizzare di energie a stento trattenute, e parlava poco e con una voce baritonale. La Nelson aveva reso manifesto che c’era dell’intimo, fra loro due…Per quanto, fra la sua robustezza e la calvizie perfetta, ed i gioielli ed orecchini che portava, Grigar dava l’idea di essere il sicario di qualche schiavista africano, intento a sorvegliare la ‘mercanzia’…

In confronto ad un simile gigante, l’ometto che gli sedeva accanto, Estabàn Corazon del Diablo, sembrava ancora più piccolo. Era un tipo segaligno, dai tratti mediterranei misti a qualcosa di tartaro, come si evinceva dagli occhi quasi a mandorla e i baffoni spioventi. Era leggermente curvo nel portamento, forse il risultato di una vita spesa insieme ai libri -se i termini ricercati che stava usando con il farmacista del paese non erano frutto di improvvisazione. Kaim e Tristan provarono lo stesso disagio nell’osservarlo ed ascoltarlo: quell’uomo aveva un che di sfuggente, di maligno…Oddio, chiamarsi ‘Diavolo’ in Spagnolo non giovava, ma ugualmente il tizio si era adattato bene al nome…

L’ultimo era un altro Americano, una persona più ordinaria che non si poteva. Sui cinquanta, baffetti corti, capigliatura nera e stempiata, rughe di preoccupazione sul volto…Mr. Richard Rennsaeler era una persona curata abbastanza da essere presentabile senza strafare. Anche i suoi abiti erano di quelli che notavi una volta e poi ti dimenticavi subito…

“Ragazzi, diciamocelo: siete pietosi!” la voce di Elsa spezzò la concentrazione dei due giovani, che quasi si strozzarono con l’arrosto!

L’elfa si alzò in piedi. “Se ci tenete tanto a sapere qualcosa su di loro, provate a parlarci. Se proprio volete fare scena muta, almeno potrete annusarli da vicino.” Si svicolò rapidamente dalle mani che cercarono di acchiapparla. Vergognandosi come ladri, Kaim, Tris e Sasha la videro avvicinarsi agli stranieri, sfoggiando il suo infallibile sorriso ‘conquistador’. Dopo una rapida confabulazione, Elsa fece un cenno al suo gruppo. “Coraggio, non mordono.”

“’Così gentile e onesta pare…’” fece Alexander, ignorando a fatica le risatine di diversi convitati. “Mia sorella è un mostro.”

Kaim & Co. si sedettero di fronte agli stranieri. “La vostra compagna ci ha detto della vostra grande curiosità nei nostri confronti,” disse Jameson. Sembrava divertito. Tristan tossicchiò. L’Americano continuò, “devo dedurre che i turisti siano merce più esotica delle creature soprannaturali che popolano queste terre.”

“Come se da voi non ce ne fossero…” fece Kaim. E giù una gomitata da Elsa.

“Non che ci riguardi,” lo interruppe Diablo. “Ne abbiamo più che a sufficienza, da dove veniamo.” E giù una gomitata da Richard.

“E…da dove verreste?”

“Oh,” rispose lo Spagnolo con vistosa nonchalance, “da un mondo chiamato Altro Regno, nella dimensione impropriamente chiamata Microverso.” Passò subito all’atteggiamento da cospiratore. “Noi siamo i difensori di quel mondo, e durante una missione siamo finiti in questo specchio che in realtà funziona come un portale interdimensionale. Ne siamo usciti a fatica, e ci siamo ritrovati qui. Adesso ci stiamo dirigendo a nord, dove pare ci sia una convergenza di quelle stesse forze che ci hanno fatto questo scherzetto.”

“…” silenzio allucinato da parte dei quattro.

“State forse dirigendovi a Ventosa, messeri?” chiese una nuova voce, maschile.

“Forse sì forse no,” rispose Lady Sterling, sorseggiando un bicchiere di vino. Deposto poi l’oggetto sul tavolo, chiese, “Come mai questa curiosità?”

A parlare era stato un uomo che, per quanto avanti con gli anni e le rughe che incartapecorivano il volto, aveva mantenuto il colorito ed il fisico di un contadino allenato da una vita dura. “Voi siete Cacciatori,” disse, rivolgendosi ad Alexander, Elsa e Kaim. Osservando le loro spalle, che le giacche lasciavano scoperte, aggiunse, “E anche di un certo rango, se i tatuaggi non ingannano. Non siete stati mandati dalla Santa Chiesa ad indagare sui misteri di Ventosa?” A quell’ultima parola, ogni convitato cadde in un silenzio gravido d’aspettativa.

Kaim squadrò rapidamente quell’uomo. Era il Sindaco di Alpe del Sole, Rodolfo Farnesi; un locale affidabile, maledizione! Spostati solo per un momento gli occhi sugli stranieri, il mezzelfo trangugiò un sorso di birra e disse, “Le ragioni sono quelle giuste, sbagliato il mittente. Siamo qui perché lo ha chiesto il mio diretto superiore, il mago Phobos, in accordo con la Santa Sede. Non sappiamo quali siano le forze coinvolte, e non vogliamo un plotone di Inquisitori nervosi ad interferire col nostro lavoro.”

Il Sindaco annuì. “Capisco…Vedete, sono stato io il primo a segnalare un possibile problema alla Santa Chiesa. Mio figlio, Ludovico…temo per lui. Lui era un Cacciatore come voi, sapete?”

“Un Cacciatore a riposo, lo sappiamo. Si accomodi, prego.”

Sebbene nessuno avesse osato riprendere i festeggiamenti, e tutti pendessero dalle labbra del Sindaco, a lui gli stranieri stavano dedicando un’attenzione particolare -se i loro occhi non mentivano. Kaim cominciò a pensare che prima non avessero scherzato affatto..!

Rodolfo sedette al fianco di Kaim. “Come sapete, Ventosa non è mai stato un paese ricco. Anche se la terra è generosa, e le montagne offrono una protezione naturale difficile da valicare, il clima di quell’area ha reso quasi impossibile allevare decentemente il bestiame o coltivare a dovere la terra.

“Mio fratello, dopo avere difeso Ventosa dall’attacco di un demone, dovendo smettere la sua attività per le ferite riportate, decise di sistemarsi proprio in quel villaggio.

“Col tempo, divenne Sindaco. Era benvoluto dalla gente, era un uomo dal buon carattere…Poi, hanno cominciato a succedere strane cose. Lui non scese mai nei dettagli, neppure con me, ma fatto stava che il paese era improvvisamente entrato in un periodo di prosperità senza pari. La Chiesa, o almeno i suoi esattori in loco, erano troppo occupati a riscuotere le tasse ora ingrassate, per domandarsi come avesse fatto il terreno a diventare fruttifero come non mai. Ma il bestiame prosperava insieme al terreno e con i soldi, nuovo sangue arrivò ad un villaggio fino a quel momento abitato da anziani.

“La fama di Ventosa attirava sempre più candidati cittadini, ma mio figlio decise di tenere un numero chiuso…A lui non sono mai piaciuti i grandi centri urbani.

“Ad ogni modo, all’epoca non mi premunii di avvisare l’Inquisizione: in fondo, a parte la ricchezza, non stava succedendo nulla di anomalo, nessuno si ammalava seriamente, niente messe nere, anzi! La gente non aveva mai dimostrato tanta devozione a Dio…Almeno nelle apparenze.

“Quando la verità emerse, era troppo tardi: i branchi di lupi neri e le orde di fantasmi, come avrete saputo, dominavano l’intera vallata. Degli abitanti del paese, si è persa gradatamente traccia; l’ultima cosa che ho ricevuto da Ludovico è stata questa.” Dalla tasca del gilet estrasse una busta e la porse a Kaim. “Dopo, più nulla.”

Il mezzelfo prese la busta. Accanto a lui, Tristan, dopo avere udito la parola ‘lupi’, stava facendo il possibile per mantenere una parvenza di autocontrollo. Nell’aprirla, non ebbe dubbi sulla natura delle macchie brune che macchiavano il foglio della spessa lettera -sangue, presente su tutte e sei le pagine fittamente vergate. La calligrafia era affrettata, costellata di macchie fra una riga e l’altra. Leggendo, Kaim comprese che Ludovico aveva evidentemente deciso di confessare tutte le sue malefatte compiute dal giorno della sua elezione a Sindaco.

Le promesse che aveva fatto ad una popolazione disperata abbastanza da aiutarlo a metterle in atto.

I mezzi per mantenerle.

E il prezzo per pagarle.

“Kaim..?” lui quasi non si accorse di Tristan che gli stava praticamente strattonando un braccio. Non si era accorto di avere trattenuto il fiato durante tutta la lettura, ne’ di essere, alla fine, impallidito di brutto.

Kaim porse la lettera ad Alexander. “Credo che le cose abbiano appena assunto una nuova prospettiva, cugino.”

 

Notte.

Dalla finestra della loro camera, si potevano vedere le croci piantate sul terreno per proteggerlo e benedirlo. Ogni croce era stata ricavata da lunghi rami interi, ai quali erano stati trasversalmente fissati dei cerchi di foglie e rametti pieghevoli: un’altra piccola, tollerata concessione al paganesimo…

“Speriamo solo che Phobos riesca a tenere lontani gli Inquisitori quanto più a lungo possibile,” disse Tristan. “Lupi…ci mancava solo questa.”

“Non mi piacciono quegli stranieri,” disse Alexander. “Speriamo di non essere costretti a dividerci per tenerli d’occhio.”

“Speriamo che non siano inviati del nemico, piuttosto,” disse Kaim. “Per quanto ne sappiamo, stanno studiandoci a distanza, aspettando il momento giusto per colpire.”

“Se è così, lo sapremo domani,” fece Elsa, intenta a revisionare il proprio arco. “Almeno, potremo permetterci di affrettare un po’ i tempi. Visto che il nemico ci conosce, e noi lo conosciamo, potremo permetterci di chiederti un passaggio, giusto, cugino?”

Kaim annuì, lo sguardo sempre rivolto ai campi. Non gli piaceva ricorrere alla sua altra forma, almeno non con i locali tesi come la corda dell’arco di Elsa, ma non avevano scelta. Più perdevano tempo, più forza acquisiva il nemico…

Il Cacciatore non poteva fare a meno di chiedersi quanto il nemico fosse informato del loro arrivo. Se lui fosse stato al loro posto, avrebbe sicuramente tessuto incantesimi e mandato spie a destra e a man…

*?*

Al suo posto, un non-Cacciatore avrebbe pensato che la stanchezza, i nervi e la tarda ora gli avevano giocato un brutto scherzo.

“Kaim..?” vedendolo estrarre fulmineamente il pugnale lungo dalla fodera alla cintura, Alexander e Sasha impugnarono rispettivamente spada ed arco.

Kaim fece un cenno ad Alexander. Questi annuì, mentre l’altro apriva, lentamente, la finestra…

 

Un salto, e furono fuori. Dividersi poteva non essere la migliore idea, ma Elsa non era esattamente una ragazzina indifesa, e Tristan non era decisamente un peso morto.

Apparentemente, tutto era tranquillo. La Luna rischiarava perfettamente ogni metro quadro. Il vento non portava alcuno strano odore o suono…

Per la precisione, il vento non portava alcun suono. Tutto taceva, e questa era la prova che c’era qualcosa che non andava. Le ‘ombre’ che Kaim aveva visto dovevano essere la causa di quel silenzio innaturale… “Vedi niente?” Kaim poteva essere un buon Cacciatore, ma senza un occhio, la sera, era svantaggiato per quanto riguardava la vista.

L’elfo scosse la testa. “Niente…Aspetta! Il vicolo a destra.” E indicò la direzione. I due si gettarono di corsa, con passo leggero, verso il punto indicato da Alexander…Eccola! Un mozzicone di coda, nerissimo, il frammento solido di un’ombra.

Loro ebbero appena il tempo di seguirne la direzione…solo per poi finire in un vicolo cieco! Le pareti erano alte e senza appigli…

Diversi ringhi alle loro spalle li fecero voltare di scatto…e Kaim ed Alexander incontrarono gli occhi malevoli del branco oscuro! Forme lupine nere, massicce, dal pelo irto e le zanne stillanti una saliva che, al contatto col pavimento, emettevano rivoli di fumo. Erano comunque una minaccia che Kaim avrebbe potuto sistemare in un batter d’occhio, nella sua seconda forma…Posto che quelle cose gli lasciassero il tempo di adottarla…

“Siamo sportivi, dobbiamo riconoscerlo,” fece Alexander, che nonostante l’espressione determinata del guerriero riusciva a suonare quasi divertito. “Una trappola da manuale.”

 

“Oddio…Sono in pericolo!” Tristan era stato il primo ad udire i ringhi -ma perché il paese non si mobilitava? Non si sentiva una sola voce umana di allarme!

Il giovane reagì d’istinto: liberò la bestia interiore, per una volta tanto felice di potere ricorrere al suo aiuto -se per colpa delle sue ritrosie succedeva qualcosa a Kaim, non se lo sarebbe mai perdonato!

La carne del giovane sembrò diventare qualcosa di liquido, in quel processo. In pochi, dolorosi secondi, nuova massa venne aggiunta e ridistribuita insieme a quella presente. Le gambe assunsero postura digitigrada. I vestiti -maledizione alla fretta, con quello che costavano!- si lacerarono. Una pelliccia iniziò a crescere sulla pelle…

Si trattava di un processo rapido, alla fine del quale Tristan l’uomo avrebbe lasciato il posto a Tristan il lupo

…Se ne avesse avuto il tempo! Una mano coperta di nero metallo apparve improvvisamente all’altezza del cuore del licantropo! Ancora prigioniero fra le due forme, Tristan emise un verso in parte urlo in parte ululato, ma comunque un concentrato di dolore. Poi, cadde in avanti, privo di conoscenza.

Tristan! NO!” Elsa fece per scattare in avanti, ma fu prevenuta da un’altra mano spettrale, che come la prima spuntò da dietro di lei, attraverso il cuore. L’elfa emise un urlo straziante, e crollò a terra.

Poi, nel silenzio rotto appena dal sibilare del vento, i fantasmi emersero dal pavimento e dalle pareti -creature umanoidi vestite di massicce armature nere. Dietro le visiere, brillavano occhi rossi come braci, malevoli…

 

Nei campi, le croci iniziarono a brillare di luce propria. Tremarono e si agitarono come sotto un potente vento…e presero fuoco.

Il paese di Alpe del Sole iniziò a risuonare di echi di voci mostruose…



[i] Questo episodio si svolge dopo KT7 #20 e prima di TSD: Laguna in Nero. Per saperne di più su The Sinner Dragon, cliccate su http://sinnerdragon.keenspace.com/