[Questa
storia si svolge tra Gauntlet #65 e #66 e dopo Darkmere #11]
New
York.
In un vicoletto nel quartiere di Brooklyn alcuni barboni stavano discutendo
sulla loro condizione di vita.
- Sono esterefatto! - esclamò il più giovane di loro,
Boots - Suor Lucinda ha detto che non vuole più vedermi al convitto!
Gli altri due, l'anziano Cog e il quarantenne Lobo risero di gusto.
- Hai cercato di sollevarle ancora il vestito? - commentò il
secondo - Non sai che loro hanno fato voto di castità?
- Avranno fatto voto di castità - rispose burbero Boots - ma
suor Lucinda prima di diventare un'ancella del Signore faceva film porno!
Gli altri due sgranarono gli occhi, mentre Boots sorrideva beato della
rivelazione appena fatta. Ma in quel momento l'aria attorno a loro cominciò
a scoppiettare in bolle luminescenti, fino a generare un enorme lampo
di luce. I barboni si coprirono gli occhi finchè, dopo qualche
interminabile secondo, la luce cessò e lascio il posto ad un
uomo accasciato a terra, privo di sensi.
I tre barboni dapprima si guardarono impauriti tra loro: avevano ancora
in mente gli ultimi eventi, quando dapprima i marziani e poi i demoni
avevano invaso la terra, e quindi non si sentivano ancora al sicuro.
Boots cercò di avvicinarsi, ma gli altri lo fermarono.
- Potrebbe essere un super criminale, o avere qualche virus alieno!
- gli disse Cog - Una volta conoscevo uno...
Boots lo interruppe con un gesto secco della mano.
- Come puoi dire che è pericoloso?
- Certamente non è normale! - disse Lobo - Guardagli il palmo
della mano destra.
La mano era leggermente piegata, e al centro del palmo era possibile
vedere una gemma nera perfettamente incastrata nella pelle.
Boots li allontanò.
- Mica noi siamo messi tanto meglio! - esclamò sorridendo, rivolgendosi
agli altri due - Voi vi ritenete normali?
- No, beh, però...
- Però che? Certo non siamo mutanti, ne giriamo con delle strane
gemme incastrate nel palmo della mano, ma mica siamo tanto
normali se abbiamo abbandonato le nostre famiglie, il nostro lavoro
e le nostre certezze per diventare barboni.
- Parla per te, - lo aggredì Cog - io il lavoro l'ho perso, non
ho mai avuto una famiglia, quindi per ora questa è la mia unica
certezza!
Boots e Lobo lo fissarono con un leggero sorriso su un angolo della
bocca, che per Cog non necessitava di alcuna spiegazione.
- Ok, ok! - ammise ritirandosi - Questo certamente non mi qualifica
tra le persone normali!
In quel momento la persona apparsa nel vicolo diede un segno di risveglio,
lamentandosi leggermente.
- Ouch! - esclamò.
Boots gli si avvicinò.
- Ti senti bene?
Jonnhy Corso alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi, per
poi spostare la vista prima sui due suoi compagni e poi sul luogo.
- Dove mi trovo? - disse preoccupato.
- A New York! - risposero i tre in coro.
Jonnhy sgranò gli occhi.
- OH MERDA! - urlò, alzandosi di scatto.
- Che è successo? - si incuriosì Cog.
- Maledizione, non ricordo cosa è successo prima di trovarmi
qui! Ricordo un fiume nero, un traghettatore, ma null'altro...
Poi si girò verso i tre barboni.
- Devo andare! - e si allontanò verso la strada.
I tre si fissarono, poi contemporaneamente avvicinarono l'indice della
mano destra alla tempia corrispettiva e picchiettarono quattro/cinque
volte contro di essa, ritmicamente.
"Mi
chiamo Jonnhy Corso, sono un investigatore privato, ma ho anche un altro
ruolo importante, ovvero sono il custode del Guanto. Il Guanto è
un oggetto magico che ho avuto la sfortuna di indossare diverso tempo
fa, e che è stato causa di moltissimi guai che mi sono capitati,
come la fuoriuscita dalla gemma di un demone, chiamato l'Avversario,
lo scontro con i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse, la scoperta che
il mio braccio tagliato è diventato il mio clone mistico, i diversi
scontri con Roman. Insomma, la mia vita non è stata semplice
negli ultimi tempi, se aggiungo anche che mia madre e mia sorella mi
bazzicano ancora attorno, e che la mia ragazza mi ha mollato dopo avermi
visto baciare una strega vecchia di secoli che, tra parentesi, era anche
la sorella gemella di Roman, tanto per capire che razza di famiglia
sia quella. Insomma, sto messo benino, e adesso chissà dove mi
trovo."
Altrove,
in un'altra dimensione, un piccolo figuro verde e ingobbito sta osservando
con rabbia dentro una sfera mistica. Le sue mani tentano, in maniera
istintiva, di afferrare ciò che vedono.
- Maledizione! Ecco il mio obiettivo, l'unico modo affinchè possa
ritornare nella Realtà Prima e abbandonare questa terribile prigione
e questo orrendo corpo.
Recitò dei mantra sottovoce, finchè la sfera non brillò
intensamente, per poi ritornare all'immagine precedente. Sorrise.
- E' giunta l'ora di saggiare il terreno.
In
quel momento, sulla cima di un grattacialo di Manhattan, John Lomax
afferrò da dentro la tasca la piccola Sfera Oscura che Strange
gli aveva dato. Se fermò un attimo a pensare sul perchè
Strange l'avesse chiamata in quel modo, visto che la sua forma cambiava
in continuazione, senza mai diventare una sfera; si rispose dicendo
che la sfera altro non era che un insieme infinito di facce, e che quindi
racchiudeva idealmente tutte le forme che lui vedeva. La fece levitare
fra i due palmi delle mani posti verticalmente, e lentamente l'energia
cominciò a fluire attorno ad essa. Fece scivolare i suoi sensi,
entrando in sintonia con il flusso mistico che la sfera e il suo corpo
stavano generando. Improvvisamente qualcosa turbò i suoi sensi,
sentì le energie sfuggire al suo controllo, epsandersi per poi
venire riassorbite nello stesso istante.
- Una strana forma di energia è qui, a New York. Sento che è
entrata in risonanza con la mia energia, e questo può significare
una sola cosa, da quello che ho capito: che il suo potere deriva dal
Darkmere, come il mio.
Infilò la sfera nella tasca e, quasi senza rendersene conto,
si lanciò dal palazzo, svanendo in una nuvola di fumo nero pochi
istanti dopo il salto.
Jonnhy
fissò stupito il mondo che lo circondava. Non era decisamente
la sua New York quella. Vide esseri dai costumi sgiargianti solcare
il cielo della città. Uno era vestito di una strana tuta rossa
e blu, e lanciava ragnatele come un ragno per saltare da un palazzo
ad un altro. Un altro volava dentro un'armatura d'acciaio. Uno invece
solcava i cieli con una tuta adamitica tutta d'argento, su una tavola
da surf, anch'essa d'argento.
"Dio
mio, è l'esaltazione del kitch questa!"
John
Lomax poggiò la sua mano sulla spalla di Jonnhy.
- Chi sei tu? - chiese.
Jonnhy non perse tempo con le presentazioni, che fece partire dal Guanto
una raffica di energia che scagliò Lomax in alto nel cielo.
- Oh merda, se inizio a trattare così gli indigeni, finirò
nel pentolone!
Senta rendersene conto, si ritrovò teletrasportato su un palazzo,
dove ad aspettarlo c'era proprio John Lomax, l'uomo che aveva scagliato
in aria.
- Mi hai colto di sorpresa, ma non succederà più! - disse
John Lomax - Ora dimmi perchè sei uscito dal Darkmere!
- Dal Darkche? Credo che ti mi stia confondendo con un altro!
- BUGIARDO! - urlo Lomax, colpendolo con una scarica di energia, che
colpì Jonnhy facendolo finire sul bordo del palazzo, ad oltre
400 metri dal suolo.
- Ma sei pazzo? - imprecò Jonnhy, cercando di tenersi in equilibrio
sul bordo agitando le braccia - Io non so nulla di quel Dar-che che
dicevi tu, non appartengo neppure a questo universo.
- Appunto! - disse Lomax.
"Ho
come la sensazione di aver dato la risposta sbagliata!"
Lomax
si preparò a dare il colpo di grazia a Jonnhy, quando il Sole
si oscurò, e un gigantesco drago scheletrico apparve su di lui.
Jonnhy, riuscendo finalmente a recuperare l'equilibrio, fissò
sbalordito l'orrenda creatura.
- Per la miseria, ecco a voi il drago zombie di Dungeons & Dragons!!!
Non appena finì la frase, il drago lancio un urlo stridulo, per
poi far partire una scarica di energia dalla sua bocca, colpendo in
pieno John Lomax e scaraventandolo verso Jonnhy.
- Oh no!!!! - imprecò Jonnhy, mentre dal suo braccio si formò
una sorta di barriera che protesse lui dall'impatto e bloccò
il volo di Lomax.
Quest'ultimo si rialzò, ancora perfettamente intatto e abbastanza
lucido, e puntò il suo sguardo verso l'enorme drago che solcava
il cielo, pronto ad attaccarlo di nuovo.
- Ora le cose sono due: o ho due nemici, di uno dei quali ignoro l'identità,
oppure ti devo delle scuse. - disse rivolto a Jonnhy.
- Propenderei per la seconda.
- Facciamo una cosa. Visto che non sei del tutto indifeso, e visto che
ti trovi tuo malgrado nella mia stessa situazione, sarebbe gradita una
tua mano.
Jonnhy sorrise e allargò le braccia.
- Sono qui per questo!
In quel momento il drago si fermò per un attimo, per poi scagliare
un nuovo attacco energentico. Questa volta i due bersagli non si fecero
trovare impreparati, e mentre Jonnhy approntava grazie ai poteri del
Guanto un rinnovato scudo che li proteggesse, John Lomax fece partire
dalle punta delle sue dita dei fasci di energia nera, che come tentacoli
cercarono di stringere il drago, ma si dissolsero a pochi metri da esso,
mentre la barriera veniva messa a dura prova dal fascio di energia.
- Maledizione! Sembra invulnerabile... - imprecò John.
Jonnhy scosse il capo.
- Ho imparato che non esiste nulla di invulnerabile! Dividiamoci, dopotutto
tu mi sembri abbastanza invulnerabile!
John si fermò a riflettere per un attimo su questa faccenda,
cercando una risposta a questo suo nuovo potere, e l'unica plausibile
che riuscì a darsi puntava dritto verso la Sfera Oscura.
- Ok, si può fare! - esclamò John, correndo lungo il lato
destro del drago, mentre il suo compagno di disavventura correva lungo
il lato sinistro.
Il drago sembrò spiazzato da questa cosa, tanto da rimanere in
bambola per qualche secondo, dando a Jonnhy il tempo di usare il potere
del Guanto, facendo partire una scarica di energia bianca, che colpì
in pieno il drago, facendolo vacillare e urlare per il dolore.
- Che cosa gli hai fatto? - gli urlò John, stupito.
- Semplice, la mia arma magica è in grado di generare energia
legata alle forze basi naturali e mistiche. Unendo questo alle vecchie
partite di Dungeons & Dragons, ho pensato di usare contro il drago
il potere del sacro.
- Interessante... ma cos'è Dungeons & Dragons?
Il drago urlò, puntando il suo sguardo verso Jonnhy Corso.
- Lascia perdere, ora vuole me!
Il drago si lancio in picchiata, quando un vortice di energia oscura
lo colpì alle spalle, travolgendolo. Le ossa scricchiolarono
in maniera grottesca, ma alla finire il vortice si dissolse e il drago
era ancora intatto. Si voltò verso John.
- Ora vuole te! - disse Jonnhy.
Il drago si rialzò rapidamente in volo, fin quasi a scomparire
alla vista, per poi riscagliarsi a rapida velocità contro i due
uomini sul palazzo, scagliando nel frattempo scariche di energia. Jonnhy
fissò la gemma nera incastrata sul palmo della mano.
- Merda, vedi cosa mi tocca rifare!
- Che stai facendo? - urlò John Lomax.
Jonnhy si concentrò, lasciando fluire attorno a se scariche di
energia mistica. Poi alzò il suo braccio dentro verso il drago,
e in pochi secondi si generò un vortice nero che si allungò
verso il drago in picchiata. L'istante successivo, precedute da un rumore
terribile e assordante, quattro figure irriconoscibili percorrevano
il vortice, colpendo in pieno il drago e distruggendolo, per poi venire
riassorbite dalla gemma nera.
- Cos'erano?
- Se te lo dico non ci crederesti.
"Già!
Sembra facile dire in giro: ciao, ho i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse
prigionieri nel palmo della mia mano, e li ho usati già una volta
contro Roman e Aruman. Certo, ci crederebbero tutti, specialmente quelli
della neuro."
John
Lomax gli si avvicinò.
- Comunque ti devo ringraziare per avermi salvato la vita.
Gli porse la mano, ma mentre Jonnhy stava per stringergliela, svanì
nel nulla.
- Ma che fine ha fatto?
John Lomax si guardò attorno, stordito e confuso da quella sparizione,
mentre altrove un piccolo figuro verde e ingobbito malediva la sua sfortuna
e preparava un nuovo piano per raggiungere il suo obiettivo.
Twilight...
il crepuscolo... ogni giorno, la lotta eterna del sole contro il corso
inevitabile del tempo... quando nella volta celesta il sole si accinge
a perire, ma si rifiuta di accettare questo suo destino e allora, con
tutte le sue forze, cerca di trattenersi al cielo, allungando i suoi
raggi, chiazzando di striature rosse l'azzurro... è una lotta
impari, il sole sa di essere condannato al tramonto... tuttavia, ogni
giorno, lotta lo stesso...
Come with Me In The Twilight For A While
un racconto del Darkmere di Xel aka Joji, per gentile
concessione di Pablo
Giunse nella sua vita come un fulmine a ciel sereno: dall'alto.
Precipitò in quella stanzetta buia, dove aveva trascorso tutta
la sua esistenza, agghindata come una bambola e seduta su quello scranno
di pregiata fattura.
Non ricordava da quanto tempo stava lì dentro, era passato così
tanto che non pensava di aver avuto altra vita al di fuori della stanza
buia.
L'aveva chiusa lì, dicendo che un giorno sarebbe servita, ma
quel giorno era ancora lontana, quindi non potevano permettere che si
rompesse...
"Rompesse..." proprio questa parola avevano usato, come se
fosse stata una bambola: ma forse era questo che era per loro, un oggetto
senz'anima da usare solo per i loro scopi.
"Ouch..." esclamò la ragazza appena caduta dall'alto,
mentre un tegola le finiva dritta sulla testa.
"Scusa per il casino!" aggiunse rialzandosi, ma lei si era
già nascosta dietro il suo trono.
"Hei, che c'è hai paura di me? Guarda che non mordo!"
fece avvicinandosi.
Lei si ritrasse ancora di più dietro lo scranno, chiudendo gli
occhi; non aveva paura della nuova venuta, era la luce che entrava dal
buco nel soffitto ad infastidirla...
Viveva nel buio da così tanto tempo, che non ricordava più
cosa fosse la luce.
L'avevano chiusa al buio per preservarla dal suo stesso potere: aveva
una vista perfetta, con il suo sguardo poteva afferrare ogni minimo
particolare le passasse davanti agli occhi, dai grani di forfora tra
i capelli di una persona, al numero di macchie sulla pelliccia di un
giaguaro...
Quando si sviluppò in lei questo potere, un'overdose di informazioni
le sovraccaricò il cervello e finì in coma per alcuni
mesi.
E adesso, mentre i raggi di luce invadevano la soffitta, i suoi occhi
cominciavano a distinguere i minimi particolari di quell'ambiente: il
vorticare di ogni singolo pulviscolo sollevato dalla caduta, il fremere
delle venature sul legno del pavimento, l'oscillare dei distinti peli
del tappeto...
Si pose le mani davanti agli occhi, sentendo la testa iniziare a girarle
vorticosamente.
"Cos'hai?" le chiese la ragazza "Forse ti da fastidio
la luce? Metti questi.."
Si tolse gli occhiali da sole che inforcava e glieli poggiò sul
naso.
Aprì gli occhi e tirò un sospiro di sollievo: le lenti
scure, stemperavano il suo potere, la sua vista era ancora più
precisa rispetto ad una normale, ma la gamma di particolari che percepiva
era stata drasticamente ridimensionata.
"Ora va meglio?" chiese la ragazza.
Si voltò a guardarla: aveva i capelli biondo chiaro, ma in realtà
era stati da poco tinti, lo vedeva chiaramente dalle radici castane;
aveva gli occhi verdi con lunghe ciglia, non molto curate visto che
due erano spezzate; le sue labbra era grandi e carnose, nonché
colme di screpolature; indossava una maglia con su dipinta una bandiera,
un paio di pantaloncini a mezza gambe e una giacchetta di pelle, nella
cui tasca, a giudicare da un lieve rigonfiamento, teneva qualcosa di
rotondo.
"beh, cos'hai da fissare?" chiese.
"N... niente..."
"Su, non stare lì nell'ombra..." l'afferrò per
la mano e la trascinò sotto la luce "Oh.. ma che carina
che sei.. sembri una bambola."
Non aveva mai avuto modo di vedersi da quando viveva lì, si guardò
in un grosso specchio nell'angolo della soffitta e quello che vide fu
una ragazza dalla pelle pallida con una cascata di ricci biondi che
le calavano sulle spalle e con indosso un vestito pieno di pizzi e trini.
"Come ti chiami?" le chiese la ragazza piombata dal cielo.
Ci pensò su un attimo "Non ho un nome."
"Figo... io sono Rose... Come mai stavi tutta chiusa qui al buio?"
"Mi hanno chiuso qui. Non volevano che mi rompessi, perché
in futuro gli servirò."
"Che idiozia! E' una vergogna che una ragazza bella come te resti
ad appassire al buio!" Rose la prese tra le braccia e con un salto
uscì fuori dal buco del soffitto.
La prima cosa che la colpì fu la sferzata d'aria fresca che gli
colpì il volto.
Subito dopo furono i colori.
Dopo tutto quel tempo passato al buio, quasi aveva dimenticato i colori
e anche se quello che le si prospettava davanti era il grigio panorama
di una città industrializzata, non poté non sentire gli
occhi bruciare nel rivedere per la prima volta tutte quelle sfumature
di blu, marrone, verde...
"E'... bellissimo...."
Rose sorrise "Sono felice che ti piaccia... però non possiamo
restare qui. Mi staranno ancora cercando."
"Cercando chi?" chiese, mentre Rose, continuando a tenerla
tra le braccia, iniziava a correre saltando sui tetti.
"Ho rubato una cosina al Circolo dei Grifoni... e per questo vogliono
la mia testa..."
"Cos'è il circolo dei grifoni?"
"Sono quelli che si occupano di mantenere l'ordine nel Darkmere..."
"Cos'è il Darkmere?"
"Da quanto tempo sei chiusa lì dentro?" ridacchiò
Rose.
"Tanto... troppo..." mormorò stringendosi alla ragazza.
Dopo una breve corsa sui tetti, giunsero su un palazzo abbandonato.
Rose la fece scendere e la prese per mano "Seguimi, ti presento
ai miei amici!"
Scesero per le scale antincendio, fino ad una finestrella aperta su
una stanza arredata con vecchi mobili sfasciati.
Rose la precedete e poi la aiutò ad entrare.
Nella stanza vi erano altri tre persone: un ragazzo sui vent'anni, dai
capelli neri rasati, una ragazzina coi capelli biondo scuro e un uomo
sulla trentina, con pizzetto e lunghi capelli castani raccolti in un
codino.
"Hei ragazzi! Questa è una mia amica! Loro sono Colin, Sheila,
e il big Boss, Bartolomeo."
"Piacere di conoscerti!" fece Colin venendo avanti e stringendole
la mano.
"Pi.. Piacere mio" rispose.
"Non dovevi portare nessuno!" esclamò Sheila alzandosi
in piedi, lasciandosi poi ricadere sul divano.
"In effetti è pericoloso, Rose... se lavorasse per il Circolo
dei Grifoni..."
"Na! E' pulita! Era tenuta prigioniera in una soffitta!"
Bartolomeo la guardò per qualche secondo e poi le poggiò
una mano sulla spalla "Mi voglio fidare..." poi si rivolse
a Rose "L'hai presa?"
"Certo!" Rose si infilò una mano in tasca, frugò
per un po' e poi tirò fuori una sfera di pietra, su cui erano
presenti numerosi incisioni.
"Cos'è?" chiese guardandola incuriosita.
"La chiave dell'abisso..." mormorò Bartolomeo prendendola
in mano e osservandola con occhi ammirati "Un artefatto mistico
di immenso valore che permette di viaggiare attraverso le dimensioni.
E nel nostro caso ci permetterà di abbandonare il Darkmere..."
"Cos'è il Darkmere?" chiese.
Rose le carezzò la nuca "Il Darkmere... è il mondo
dove siamo in questo momento... un sottile strato tra due dimensioni
distinte..."
"Un mondo, dove noi non vogliamo restare..." disse Bartolomeo.
"E' una pazzia!" Sheila si alzò in piedi stringendo
i pugni "Lo sapete che il Circolo Dei Grifoni modera i passaggi
da o in questa dimensione e ogni passaggio non autorizzato viene severamente
punito!"
"Sapevi cosa rischiavi quando ti sei unita a noi..." le fece
notare Colin.
"Si, ma io.. pensavo che non ci saremmo riusciti.. che avremmo
rinunciato prima..."
"E invece ora siamo ad un passo.. Con la chiave rubata ai Grifoni,
possiamo compiere il rituale questa notte stesse." Gli occhi di
Bartolomeo sembravano brillare "Abbandoneremo l'oblio del Darkmere
e inizieremo delle nuove vite..."
"E tu.. ragazzina senza nome... perché non vieni con noi?"
le sussurrò Rose.
"Venire con voi... ma io..." prima che potesse pensarci, Rose
la prese per mano e la trascinò nella camera accanto "Vado
a sistemare le mie cose! Ci vediamo più tardi!".
La stanza in cui era stata portata, aveva le pareti tappezzate di poster
di musicisti, le scritte più frequenti erano "Megadeth",
"K'sChoice" e "Iron Maiden", su ognuno di essi stava
attecchendo la muffe delle pareti
Vi era un grosso armadio con degli specchi sulle ante, le quali ante
pendevano pericolosamente a causa delle viti parzialmente svitate, e
un materasso pieno di cuscini colorati, le cui cuciture cominciavano
a cedere, era buttato in un angolo.
"Allora, che te ne pare della mia stanza?" chiese Rose allargando
le braccia.
"Meglio della mia senza dubbio." Fu tutto quello che riuscì
a rispondere.
"Ehi, mica male questa!" ridacchiò Rose, poi indicò
l'armadio "Devo fare i bagagli, mi aiuti?"
"Si, c... certo.." rispose, mentre Rose le passava uno zaino.
Continuarono a chiacchierare, mentre Rose piegava gli abiti e li porgeva
a lei, che li poneva nello zaino.
"Hai tanti bei vestiti..." constatò.
"Belli? Ah! Sono solo straccetti..."
"Io non ho niente oltre quello che ho indosso..."
"Beh, se vorrai, ti presterò qualcosa io!"
"Lo faresti?"
"Certo..."
"E... perché?"
Rose le passò l'ultima maglietta, che riempì completamente
lo zaino, poi si sedette sul letto e le fece cenno di imitarla.
"Vedi, quando ti ho trovato in quella soffitta, prigioniera...
ti ho visto simile a me..." mentre parlava teneva gli occhi fissi
verso la finestra "Anche io sono prigioniera... prigioniera del
Darkmere... voglio essere libera di potermi muovere senza limitazioni...
per questo ti ho portato fuori dalle soffitta..."
"E per questo, mi hai proposto di abbandonare il Darkmere?"
chiese.
"Già... capisco che per te possa essere un cambiamento sconvolgente
e se rifiuterai ti capirò, ma..."
"Io mi sono sempre chiesta, fino a quando sarei rimasta chiusa
lì dentro. Nei primi tempi, provai a scappare alcune volte, ma
ogni tentativo finiva sul nascere e così vi rinunciai...E rimasi
lì per anni... Ad Attendere... fino a quando non sei arrivata
tu. E adesso, che respiro l'aria aperta solo da qualche ora... Ho tanta
paura di essere rinchiusa di Nuovo."
"In quel caso, sarà il tuo crepuscolo?"
"Il mio che...?"
Rose la prese per mano e la portò con se fino alla finestra,
indicandole il sole che stava tramontando.
"Il crepuscolo è questo, la lotta eterna del sole contro
il corso inevitabile del tempo... quando nella volta celesta si accinge
a perire, ma si rifiuta di accettare questo suo destino e allora, con
tutte le sue forze, cerca di trattenersi al cielo, allungando i suoi
raggi, chiazzando di striature rosse l'azzurro... è una lotta
impari, il sole sa di essere condannato al tramonto... tuttavia, ogni
giorno, lotta lo stesso... perché sa che l'indomani sorgerà
di nuovo, e di nuovo lotterà per restare in vita... questo è
il crepuscolo, i colori dell'estinguersi del sole, che sono gli stessi
di del suo nascere...crepuscolo... Twilight. Potrei chiamarti così,
Twilight. Ti piacerebbe?"
La guardò con occhi luccicanti, stringendole la mano con forza
"Si.. mi piacerebbe."
"Anche se ci fossero dei problemi, non ti dovrai arrendere... Non
sarà la fine del mondo, potrai impegnarti con tutta te stessa
e riprovarci..." Rose sorrise, la luce del tramonto le tinse il
volto di rosso.
"Io.." Twilight l'abbracciò "Io voglio venire
con voi..."
"Come mai questa decisione improvvisa?" chiese Lei.
"Perché... se rimarrò qui.. nessuno mi presterà
i vestiti..."
Un'ora dopo, si ritrovarono con i compagni di Rose nella stanza accanto.
"Dov'è Sheila?" chiese Rose.
"E' andata via poco fa... non era abbastanza coraggiosa per farlo..."
mormorò Colin "tanto peggio per lei!"
"Per effettuare il rituale." Spiegò Bartolomeo "La
chiave dell'abisso dovrà venire colpita dalla luce della luna.
Lo condurremo sul tetto."
Colin e Rose annuirono, mentre con lo zaino dell'amica sulle spalle,
Twilight le stringeva la mano.
"Sicura che non vuoi che lo porti io?" le chiese Rose mentre
salivano per le scale.
Twilight annuì "Non ti preoccupare, non è pesante.."
"Daccordo.. però mettiti almeno questa..." disse passandole
le sua giacca "Almeno non sentirai freddo..."
Giunsero sul soffitto, rischiarati da una luna piena brillante come
un diamante.
Bartolomeo raggiunse il centro del tetto, Rose e Twilight si fermarono
qualche passo prima, Colin si era fermato a qualche metro dalla porta.
Bartolomeo pose la sfera a terra, in mezzo ad un cerchio dipinto sul
pavimento, e subito le incisioni che la ricoprivano si illuminarono
di una luce azzurra.
L'uomo alzò le mani al cielo e recitò una formula "Pareti
che i mondi dividete, al mio comando vi prego rispondete, che le porte
del reale si possan spalancare e noi questa realtà abbandonare!"
La luce emanata dalla sfera si intensificò, avvolgendola completamente,
poi ad essa si allungò un raggio fino all'altro lato del tetto,
dove esplose, lasciando quello che sembrava uno squarcio nelle realtà,
dietro il quale sembravano turbinare tutte le sfumature del grigio.
"E' fatta!" esclamò Bartolomeo "Adesso sbrighiamoci,
prima che le porte si chiudano!"
In quell'esatto momento, Colin cadde a terra gridando.
Dalla porta erano comparsi due uomini, con indosso delle armature baroccamente
decorate, nelle mani stringevano lance dalle cui estremità si
alzavano fili di fumo, dietro di loro, poggiata alla ringhiera della
scala, c'era Sheila.
"I grifoni!" gridò Colin contorcendosi a terra "Ci
hai venduto al circolo dei grifoni, bastarda!"
Uno dei grifoni tese la lancia in avanti, lanciando un raggio verso
Bartolomeo.
L'uomo portò la mano in avanti e dal palmo si schiuse un muro
di luce che bloccò il raggio proteggendo le due ragazze.
L'altro grifone aveva puntato la lancia contro la nuca di Colin e aveva
pronunciato una formula di rito "Colin Furious, in virtù
del potere conferitomi dal circolo dei grifoni, ti condanno a morte
con l'accusa di furto, utilizzo di artefatto mistico proibito senza
regolare autorizzazione e tentato abbandono del Darkmere senza regolare
autorizzazione."
"Va a farti fo..." le parole di Colin vennero interrotte quando
una scarica d'energia gli avvolse la testa carbonizzandola.
"Correte verso il portale... Ci penso io a trattenerli!" gridò
Bartolomeo alle ragazze, continuando a bloccare i raggi con il suo scudo.
"Ma Bart..." esclamò Rose.
"Niente ma! Io ti ho coinvolta in questa storia e non mia aiuterò
fino alla fine!" urlò l'uomo "ora correte!"
Rose strinse la mano di Twilight ed iniziò a correre verso il
portale, prendendo da terra, con l'altra mano, la chiave dell'abisso.
I due grifoni portarono in avanti le lance, facendo coincidere le due
estremità: una sfera di energia si formò e partì,
sfondando lo scudo di Bartolomeo e disfacendone il corpo.
Rose non si voltò a guardare, ma Twilight sentì sul proprio
volto cadere le lacrime trasportate dal vento, che Rose aveva versato
nel momento in cui l'uomo aveva lanciato il suo ultimo urlo.
Erano a pochi passi dal portale, un salto e l'avrebbero attraversato,
quando Twilight inciampò nella veste cadendo a terra.
"No!" Rose si voltò di scatto.
Uno dei grifoni rilasciò una scarica d'energia.
Twilight si alzò.
La scarica di energia volò verso la sua schiena.
Rose la spinse di lato.
La scarica la colpì al petto, la bandiera sulla sua maglietta
andò in pezzi, mostrando la pelle bianca che si venava di scottature
e piaghe..
Rose gridò, incespicando all'indietro e cadde nel portale, che
si richiuse all'istante dopo il suo passaggio.
"NO!" gridò Twilight scoppiando a piangere.
Corse verso il punto dove c'era il portale: nei suoi occhi era impresso
il suo viso prima di cadervi dentro, gli occhi vacui, il naso fermo,
che non vibrava poiché nessun respiro vi passava, fermo anche
il petto, non il minimo sussulto, poiché il cuore non vi batteva
più
"E con lei che facciamo?" chiese uno dei grifoni avvicinandola.
"Lei è proprietà del triumvirato. Non possiamo esprimerci
nei confronti di qualcuno legato ad un nostro superiore."
I grifoni la sollevarono a forza da terra, strappandola dalla balconata
a cui si era aggrappata con tutta la forza della disperazione.
La trascinarono attraverso il tetto, passò accanto ai cadaveri
di Bartolomeo e Colin e giunse infine davanti a Sheila, che la guardavo
con un'espressione malinconica.
"Mi spiace.. non volevo.. non pensavo che..." Twilight si
liberò dalla presa dei grifoni e la colpì in volto con
un sonoro pugno, che le spaccò il labbro.
"Non me ne frega niente della tue scuse!" gridò, abbandonandosi
alla prese dei Grifoni.
Qualche giorno dopo era in una stanza, la sua nuova stanza.
Stavolta non era una soffitta, era una cameretta come quella di tante
ragazze, luminosa, con un ampio letto, un armadio e un mobile pieno
di trucchi e accessori per la bellezza.
Lei era seduta sul letto, stretto al petto teneva lo zaino di Rose.
Si alzò dal letto e si guardò allo specchio, poi, lentamente,
iniziò a piangere.
Sempre piangendo, si avvicinò al mobile e ne prese un paio di
forbici per le unghie.
Le usò per tagliare i capelli, fu un lavoro lungo, quasi eterno,
passò ore, seduta sul letto, a vedere le ciocche che si accumulavano
di dosso.
Quando decise di averne tagliati abbastanza, si tolse quei vestiti pieni
di pizzi e trini di dosso, con dei gesti violenti, strappandoli in più
punti.
Rimasta nuda, si avvicinò allo zaino di Rose.
Lo aprì, tirò fuori un paio di Jeans e una maglietta con
una bandiera.
Poi indossò la giacca di Rose, che aveva poggiato su una sedia.
Si guardò di nuovo allo specchio.
"Come il sole al crepuscolo... io non mi arrendo..."
THINGS TO COME...
Il
rumore dello scalpiccio dei piedi rimbombava negli oscuri corridoi delle
fogne ottocentesche, residuati di un'altra epoca, che solcavano spezzoni
della città di New York. Beliza Nader fino a qualche giorno prima
non sapeva nemmeno come erano fatte le fogne moderne, ed ora stava correndo
come una disperata, trattenendo le grida di dolore che le provocavano
le piaghe presenti sui piedi nudi.
- Tipregotipregotiprego... - biascicò, ma finì per inciampare.
Si rialzò e si infilò in un tunnel secondario, sperando
che l'incubo la perdesse di vista, ma finì per andare a sbattere
contro una grata.
- Miodiomiodio...
Si girò per riprendere la fuga lungo il tunnel principale, quando
una figura ammantata di nero le sbarrò la strada.
- No! Ti prego, non farmi del male!
La figura emanò dei suoni metallici, stridenti e fastidiosi,
poi fece uscire da una piega della sua larga cappa un pugnale dorato
e si scagliò sulla donna, incurante delle sue grida, colpendola
ripetutamente fino a farle morire le grida in un gorgogliò soffocato,
accompagnato da un rantolo.
Ricostruire
l'attico di un vecchio palazzo di New York è una cosa che pochi
si sarebbero potuto permettere. Uno di questi pochi si chiama Joe Donner,
ed ha appena fatto erigere una strana struttura su uno dei palazzi più
antichi della Grande Mela.
- Signore, - esclamò soddisfatto l'ingegnere che si era occupato
della realizzazione della casa - la sua nuova casa è pronta!
Protese il braccio, indicando la struttura in vetro e acciaio appena
terminata.
- Bellissima! - esclamò, mentre una decina di uomini vi entrarono
portando con se cinque contenitori sigillati.
- Certo, signore, anche molto inusuale. Voglio dire, molti storceranno
il naso davanti a questa cosa qui. E poi, cosa sono queste strane scritte
sui muri di vetro?
Il proprietario sorrise, toccandosi il suo pizzetto luciferino.
- Nulla di che, semplici preghiere per dare alla casa pace e prosperità.
L'ingegnere sorrise.
- Certo che l'avete anche riempita di strani meccanismi. Il vostro progetto
originale è veramente un gioiello, credetemi.
L'uomo sorrise.
- Lo so, si fidi, lo so.
Luke
McNamara chiuse la serranda del suo negozietto di elettrodomestici nel
New Jersey, si guardò attorno con attenzione. Il serial killer
cecchino che gironzolava per New York lo preoccupava non poco, non aveva
nessuna intenzione di finire nel carnet delle vittime. Lentamente si
diresse verso la sua auto, parcheggiata in un vicolo a poche centinaia
di metri. Arrivò al vicolo, e poco prima di infilarsi, notò
un uomo avvolto da un pastrano bianco, e dal volto coperto da un cappello
con le tese larghe e afflosciate, anch'esso bianco, che gli copriva
il volto.
Deglutì spaventato, poi l'uomo fece un cenno di saluto, a cui
Luke rispose prima di infilarsi nel vicolo verso la macchina. Improvvisamente
l'uomo nel pastrano apparve alle sue spalle.
- Scusi, ha da accendere?
Luke si girò, sorridendo.
- Mi dispiace, non fumo!
Non fece in tempo a vedere il lungo coltellaccio che si infilava nel
suo ventre, attraversando tutto il corpo e uscendo dall'altro lato,
spaccando in due la spina dorsale.
- Non ti preoccupare, - sibilò lo sconosciuto, mentre Luke gorgogliava
sangue - all'inferno fumerai molto, visto che brucerai in eterno.
Fece uscire la lama e il corpo si accasciò a terra, poi intinse
il suo dito nel sangue che zampillava dal buco nello stomaco, e tracciò
qualcosa, prima di allontanarsi nel vicolo, sparendo nel buio.
Note:
piatto ricco mi ci ficco! Tre storie, anzi in realtà due storie
e mezzo. La prima è in realtà un crossover con Gauntlet,
una mia serie ideata molto tempo prima che entrassi in Marvelit, e di
cui potete leggere le storie tramite il link nell'home page. Come dite?
Mancano più di 40 episodi? Effettivamente il sito è più
indietro rispetto alle storie scritte, però abbiate pazienza
e leggerete tutto. L'avversario misterioso è già apparso
una sola volta nel Marvel Universe, e regalo un no-prize a chi indovina
di chi si tratta.
Nel
secondo episodio esordisce nella mia serie Xel, e produce una gradevolissima
storia, che mette in gioco altri personaggi e esplora meglio il tessuto
sociale del Darkmere (se dovessi fare un paragone, per quanto forse
esagerato, la storia di Xel sta a Darkmere come stava a Spawn la storia
di Neil Gaiman).
Il
terzo episodio è solo una pasticche degli eventi futuri, che
si intrecceranno con l'arrivo di Twilight sulla Terra e il nemico nell'ombra
della prima storia. A si, McNamara si riferisce agli eventi che stanno
attualmente colpendo la testata del Punitore. Andateveli a leggere,
su su! Alla prossima.
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