Nel 1550, le coste del Nuovo
Mondo videro l’arrivo di un potente rappresentante delle dinastie nobiliari
Inglesi. Nativo dello Yorkshire, Horace
Solomon Sterling, facendo fede al proprio secondo nome, saggiamente
intravide nel continente Americano quelle possibilità che il sovraffollato
mercato Europeo tendeva a soffocare in un mare di rivalità e politica.
L’Impero degli Sterling riuscì
a sopravvivere alla storia. La Guerra d’Indipendenza, la Guerra Civile, i
conflitti mondiali –in un modo o nell’altro, uno Sterling riuscì a tenere
insieme i propri interessi, anche se il casato dovette per forza di cose
cambiare più volte residenza.
Non si può dire che tutti
gli Sterling fossero stati degli stinchi di santo; anzi, proprio un
fondamentale cinismo li aveva fatti sopravvivere fino al 20° secolo.
Cionondimeno, nessuno di
loro si era mai personalmente sporcato le mani.
Phillip Wallace Sterling fu la prima eccezione alla regola. Iniziò la sua
carriera criminale con un costume e il pretenzioso nom-de-plume di Sterminatore. Recuperò un gruppetto di
criminali di mezza tacca, gli Ani-Uomini.
Usò delle conoscenze tecnologiche rubate per fondare il proprio piccolo regno.
La sua vita criminale fu, in
questo senso, alquanto breve, a causa di un solo uomo: Devil.
Creduto morto nella
distruzione del suo laboratorio, Sterling tornò successivamente alla ribalta
con nuovi poteri, nuovo look, e un nuovo nome: il Seminatore di Morte.
Non che la sorte avesse
deciso di essergli più benigna: non molto tempo dopo il suo ritorno, Sterling
incontrò per davvero l’Oscura Signora, durante l’ennesimo tentativo di
sbarazzarsi della propria nemesi in rosso.
Ancora più tardi, Devil si
trovò ad affrontare l’ira della madre
di Sterling. La donna stava morendo per il cancro, e il cadavere dell’eroe di
Hell’s Kitchen sarebbe stato il suo lascito. Per l’occasione, l’intera Villa Sterling era stata trasformata in
una trappola mortale. E, ancora una volta, Devil uscì vincitore dal confronto,
mentre la villa fu distrutta in un’auto-esplosione.
Per anni, quelle tristi
macerie erano state la sola testimonianza visibile della gloria che fu degli
Sterling.
MARVELIT presenta
1 – RendezVous
Oggi, nessuno penserebbe che
una simile tragedia sia mai successa.
Villa Sterling era rinata a
nuova gloria, ristrutturata quale copia del primo edificio costruito da Horace
Solomon. Il parco era stato ampliato, ed ora comprendeva una piccola foresta, e
i sistemi di difesa avrebbero fatto l’invidia dell’ora distrutto Palazzo Stark.
I cronisti mondani si erano
letteralmente venduti l’anima per sapere chi
fosse a capo della ricostruzione. Voci non verificate parlavano della ancora perdurante
influenza degli Sterling nel mondo dell’alta finanza e della politica,
nonostante, ufficialmente, non esistesse più uno Sterling vivente. Phillip
Wallace era l’ultimo erede di quella dinastia.
Naturalmente, si sbagliavano
tutti.
La nebbia non era di per sé
un fenomeno inusuale.
Ciò che attirava
l’attenzione era il fatto che la nebbia copriva solo l’intera area privata intorno alla Villa Sterling, rendendo
vano ogni tentativo di scoprire cosa stesse succedendo.
Una precauzione
apparentemente inutile –quale minaccia avrebbe mai potuto rappresentare una
limousine diretta verso la villa?
La luce tremolante dei
lampioni a gas dava l’idea di un’ordinata fila di fuochi fatui. La nebbia
soffocava qualunque suono, riducendo quello delle gomme sulla ghiaia a un
flebile fruscio, e il motore al verso di un animale guardingo.
L’auto si fermò di fronte a
un viale pavimentato che si poteva percorrere solo a piedi. Due file di
lanterne ne segnavano il percorso fino alla villa.
La porta anteriore si aprì,
e ne uscì l’autista. L’uniforme gli sembrava dipinta addosso, tanto era tesa
sul suo corpo enorme. La carnagione era olivastra, i lineamenti esotici a metà
fra il mediterraneo e il nordeuropeo. Il berretto non poteva nascondere una
folta treccia lunga fino alle spalle.
L’autista andò ad aprire la
porta posteriore; si muoveva con una notevole economia di movimenti, quasi
senza fare rumore.
L’ospite uscì dall’auto. In
perfetto contrasto con l’autista, l’uomo era un tipo quasi segaligno, del tipo
che al primo colpo potevi definire ‘topo da scrivania’. La sua carnagione era
pallida, il volto affilato dai tratti ispanici. I capelli erano neri come
l’inchiostro, tagliati corti e stempiati. Per contro, i baffi erano lunghi,
folti e pendenti. Portava con sé una borsa in cuoio, dello stesso colore neutro
del suo impermeabile. Se avesse messo su un sorriso appena un po’ untuoso, gli
si sarebbe potuto chiedere se vendeva scarpe o spazzole.
Ben più tetra era la natura
dei suoi pensieri, mentre si dirigeva verso il piccolo castello degli Sterling.
La solida porta in quercia
era chiusa, illuminata da candelieri ad entrambi i lati. Su ogni anta era
inciso il simbolo della dinastia: un caduceo, dove al posto del bastone c’era
un lupo e al posto del serpente un drago. Le code di entrambe gli animali si univano
a cerchio intorno a loro.
L’ospite poteva quasi udire il potere emanato dal mistico
simbolo. Sospirò -così tanto tempo, così tanti ricordi…
Con uno scatto
impercettibile, la porta si aprì da sola.
L’uomo entrò, la testa
ferma, gli occhi attenti a ogni particolare del salone in stile Tudor.
Eppure, lei era lì, un’ombra vicina al camino. Indossava un abito lungo,
scuro, severo. Al collo portava un cammeo con il simbolo della famiglia.
Nonostante il vestito, si intuiva una qualità scattante, atletica, del suo
corpo. I capelli d’ebano dai riflessi blu erano raccolti in una crocchia
elegante.
Il suo volto era pallido, ma
decisamente non appariva malaticcio –anzi, i suoi lineamenti erano severi,
decisi. Gli occhi grigi di lei sorridevano di una luce predatrice,
un’espressione intonata alle sue labbra, mentre avanzava verso il suo ospite.
“Finalmente ci incontriamo, Estaban,” disse, la sua voce un velo di seta con
l’acciaio sotto.
Estaban Corazon del Diablo prese delicatamente la mano che gli veniva
profferta, e sfiorò appena l’anello. “E’ passato molto tempo dall’ultima volta
che uno Sterling abbia avuto a che fare con il Signore dell’Alchimia, Señora. Ma Diablo non dimentica un
debito.”
La coppia andò a sedersi di
fronte al camino, ognuno su una poltrona di fronte all’altra.
“Dunque,” disse Diablo,
sempre tenendo in grembo la borsa, “Innanzi tutto, spero che l’incantesimo
meteorologico sia soddisfacente. E…cosa può fare la mia riconoscente persona
per la discendente di coloro che mi salvarono da oscuro fato in terra di
Spagna?” Non c’era traccia alcuna della familiare arroganza, nella sua voce.
Anzi, la sua genuina deferenza avrebbe dato da pensare ai suoi nemici.
Mary Elizabeth Sterling incrociò le mani sul grembo. “La copertura è
perfetta. E, ti posso offrire una grande possibilità, Estaban: il dominio che
hai sempre cercato, e che sempre ti è stato negato. In cambio, dovrai offrire
un certo grado di…collaborazione.”
Diablo accennò a un
sorrisetto. “Parole forti, per una femmina Sterling. L’ultima volta che ho
sentito parlare di voi, le donne erano segregate nell’ombra, dimenticate.”
Mary allungò una mano a un
bicchiere di brandy sul tavolino in mezzo a loro. Bevve un sorso, gli occhi due
fuochi di marmo. “L’ossessione è una brutta strada, Estaban. Il mio povero
fratello Phillip è stato ucciso dalla sua ossessione per Devil, mia madre ha
preferito seguirlo piuttosto che impedirmi di venire a reclamare la mia
posizione.
“Ho vissuto ‘nell’ombra’
come tu dici, secondo le migliori tradizioni, ma a differenza delle mie
sfortunate antenate, questi tempi moderni hanno molto da offrire a chiunque
desideri uscire dall’ombra. Mentre mio fratello e mia madre dilapidavano quanto
restava del loro patrimonio in questo continente, io ho rinnovato la ricchezza
nel resto del mondo, sotto falso nome. E come vedi,” aggiunse, toccandosi il
cammeo, “ho riscoperto le più antiche tradizioni dei miei avi.”
Diablo annuì. Parlava con
calma, ma la sua mente lavorava freneticamente. “Tutta la mia ammirazione, Señora. E..di che tipo di
‘collaborazione’ stiamo parlando?”
Mary bevve un sorso. “Un
gruppo, Diablo.”
Lui aggrottò le
sopracciglia.
“So che sei un solitario,
Estaban,” disse Mary, “ma la tua presenza, la tua abilità nelle arti
alchemiche, è assolutamente necessaria.”
Lui la interrogò con gli
occhi.
Lei annuì. “Te lo spiegherò
in dettaglio appena saranno radunati gli altri componenti. Dovrai avere
pazienza, per quanto tu abbia poco esercitato tale qualità negli ultimi anni.”
Una luce sinistra si accese
negli occhi di lui. Mary lo interruppe con un cenno della mano.
“Un innegabile spreco di
talento, alchimista. Spreco che ti ha portato a sterili conflitti con la
comunità dei supereroi. Invece di edificare, hai gettato al vento. Io ti offro
la possibilità di cominciare daccapo. Non sarà una missione esente da rischi,
ma la ricompensa finale sarà la realizzazione dei tuoi sogni….E nessun
supereroe a infrangerli.”
Diablo prese il suo bicchiere.
Fissando il liquido ambrato, disse “Una bella promessa…Ma per ora non intendo
io stesso scendere nei dettagli. Ho un debito, e lo ripagherò nel modo che lei
stesso riterrà più adeguato. Metterò da parte il mio orgoglio…per ora.”
La donna bevve un altro
sorso, e i suoi occhi si spostarono su qualcosa dietro il suo ospite.
O meglio, qualcuno. Solo il
ferreo autocontrollo del maestro alchimista gli impedì di strozzarsi con il suo
brandy. Silenzioso come un fantasma, dietro di lui c’era l’autista –solo che
ora indossava una livrea da maggiordomo. Teneva una scatola di legno fra le
mani.
“Sul tavolino, Hector,”
disse lei.
L’omone depose la scatola, e
si ritirò quieto come era sopraggiunto. Seguendolo brevemente con lo sguardo,
Diablo giurò che quello aveva qualcosa di felino, ma non di sovrannaturale…Ma
non ci badò più di tanto. La sua attenzione si concentrò sulla scatola –un
oggetto semplice, solido, di legno di noce.
E solo occhi allenati alla
visione mistica potevano vedere la potente aura che lo circondava.
Diablo aprì la scatola.
Quasi ebbe un tuffo al cuore al vedere l’oggetto nella seta rossa. “La stele di T’helhy’Ed!” sussurrò,
ammirato. “Con essa si possono infrangere le barriere fra i mondi. Come…”
“Ammetto di essere stata
fortunata,” disse Mary. “Non molto tempo fa, Machinesmith e il Super
Adattoide hanno devastato la sede dei Vendicatori[1].
La stele era sepolta nel terreno della base, e degli operai reclutati da me
hanno provveduto al recupero.”
Diablo prese la stele con
delicatezza, tracciando con le dita le sue rune.
Gli occhi di Mary Elizabeth
Sterling si fecero duri. “Dovrai usare le tue arti arcane per infrangere la
barriera con il Limbo, Diablo. Colui
che deve essere liberato sta attendendo, e i simboli in questa stanza saranno
il suo faro. Avrai spazio per un solo tentativo: l’esiliato è stato confinato
in quel crocevia da un incantesimo potente.”
“E dopo averlo liberato?”
fece Diablo, ancora assorto nello studio delle rune.
“Come per te, l’esiliato mi
dovrà un favore una volta libero. Non ci saranno ripercussioni.”
Diablo sorrise, scuotendo la
testa. “In te rivive davvero lo spirito dei tuoi avi, donna.”
Lei si alzò in piedi. Allo
stesso tempo, nella stanza tornò Hector. In un involucro plastificato, reggeva
quello che sembrava un completo da uomo.
Con una mano, Hector
estrasse un paravento a scorrimento dalla parete. Senza scomporsi, Mary andò
dietro di esso ed iniziò a cambiarsi, prendendo uno ad uno i pezzi dell’abito a
mano a mano che Hector li passava. Molto discretamente, il maggiordomo puntava
altrove lo sguardo.
Diablo si scoprì affascinato
dalla sola presenza di quella donna formidabile. Era il tipo di persona
glaciale che difficilmente avrebbe alimentato fantasie erotiche e che allo
stesso tempo avrebbe potuto tenere i sovrani sulla punta di un dito. Chissa s*
I suoi pensieri furono
troncati dall’apparizione che emerse dal paravento. Di femminile, Mary
Elizabeth non aveva letteralmente più nulla.
Il completo nero da uomo era avvolto da un ampio mantello nero che scendeva
fino a terra, e il cui colletto formava una zona d’ombra lungo tutto il volto,
del quale apparivano solo due occhi gialli senza pupille. Sulla testa, portava
un cappellaccio a larghe falde che quasi si congiungevano con il colletto del
mantello. Le mani erano irrobustite da un paio di guanti. Non sembrava neanche
un essere umano, ma un’ombra monodimensionale; veniva male agli occhi, a
guardarla troppo a lungo.
Quando parlò, il Seminatore di Morte lo fece con la
stessa, sinistra voce del suo predecessore, qualcosa che sembrava venire da una
tomba.
“Hector vigilerà affinché tu
possa avere assistenza per qualunque necessità. Puoi fidarti ciecamente di lui.
Io sarò occupata a radunare gli altri due membri della nostra…coalizione.”
Diablo non fece commenti.
Aveva preso un impegno, e nonostante quello che i suoi nemici pensassero di
lui, intendeva rispettarlo…Del resto, liberare questo misterioso ‘esiliato’
sarebbe stato abbastanza impegnativo da non farlo pensare ad altro.
Diablo iniziò a mormorare un
incantesimo. Dietro di lui, il Seminatore di Morte era semplicemente scomparso.
Il traffico aereo intorno
alle grandi metropoli era severamente monitorato, già prima del recente
tentativo di invasione da parte di una razza aliena[2].
Non tanto perché si pensasse di potere fermare una flotta agguerrita di
invasori, ma per prevenire l’azione di eventuali quinte colonne, come già gli
attentati di una fazione terroristica avevano dimostrato. Carico e passeggeri
in arrivo e in partenza venivano accuratamente monitorati, spesso non senza
causare problemi a coloro che ancora credevano di essere ‘al di sopra’ della
sicurezza nazionale. In tale senso, persino il Presidente degli Stati Uniti
aveva deciso di dare l’esempio, organizzando la sua agenda quotidiana in modo
da includere i tediosi controlli.
A fare valere la domanda
‘Chi controlla i controllori?’, era il piccolo aereo argentato in fase di
atterraggio al Kennedy Airport. La torre di controllo era stata a dir poco
sbrigativa con il nuovo arrivato, visto che sulla timoniera e le ali portava
l’inconfondibile simbolo degli addetti alla sicurezza internazionale: lo
SHIELD.
Il pilota aveva dichiarato
di dovere effettuare uno scarico di materiale per i sistemi locali di
sorveglianza. E i documenti trasmessi elettronicamente, controllati con
l’agenda elettronica fornita dallo SHIELD, gli davano ragione.
Una volta a terra, l’aereo
fu avvicinato da addetti e veicoli della massima agenzia di sicurezza, che
iniziarono a scaricare il materiale.
Dal portello di imbarco,
invece, scese un solo uomo. Solo la stempiatura, e la sottile rete di rughe
intorno agli occhi tradivano la sua età; per il resto, la sua forma era ancora
atletica. Era vestito da civile, salvo per il tesserino SHIELD al petto della
giacca. Il tesserino lo indicava come un consulente di nome Aaron Sailler, ma
non era il suo vero nome. Solo la sua passata appartenenza allo SHIELD lo era.
L’uomo si diresse con passo
tranquillo verso l’hangar. Dietro di lui, l’aereo aveva chiuso tutti i
portelli, e si stava rimettendo in pista per la partenza.
Appena l’uomo fu entrato
nell’hangar illuminato da potenti riflettori, le porte iniziarono a chiudersi.
I falsi addetti SHIELD si erano dileguati in fretta, e lui era solo, a parte le
tre casse in acciaio...
...e l’ombra che si
materializzò davanti a lui.
“Ero rimasto in dubbio sul
suo arrivo fino all’ultimo, signor Rennsaeler,”
disse il Seminatore. “Sono felice di vedere che mi sbagliavo. Le mie scuse.”
Richard Rennsaeler iniziò a
togliersi gli abiti civili. Giacca e camicia vennero via con un solo movimento,
rivelando la sottostante tuta aderente scarlatta. Mentre si toglieva pantaloni
e scarpe, l’ex agente SHIELD cercò di capire se l’essere di fronte a lui stesse
scherzando o no...poi si scosse mentalmente: il trucco psicologico era
perfetto. Con quella mascherata, Lady Sterling era letteralmente
irriconoscibile.
Rennsaeler sorrise. “Perfino
ridarmi l’uso delle gambe non sarebbe stato sufficiente, Seminatore, se non
avessi fatto ammettere mio figlio presso il migliore istituto europeo per il
recupero della sua povera mente.”
Rennsaeler, ora interamente
in rosso, e il Seminatore, si avvicinarono alla prima delle casse, che
giacevano in piedi. Il lucchetto consisteva di uno scanner retinale e
sofisticato meccanismo a combinazione, a sua volta collegato con una serie di detonatori
fissati a contenitori di vibranio. Anche superando lo scanner, bastava sbagliare
una sola volta la combinazione alfanumerica, o digitarla troppo lentamente o
troppo velocemente, per fare aprire i contenitori di plastica, e il vibranio
avrebbe distrutto le casse e ogni cosa al loro interno.
Rennsaeler non aveva
assolutamente alcun problema con tale dispositivo –anzi, non aveva alcun
problema con alcun dispositivo, non
da quando aveva scoperto le sue latenti doti mutanti, doti che gli avevano
fatto guadagnare il nome in codice Overrider.
Sotto il suo comando
mentale, la serratura si aprì in un momento. La cassa si aprì, rivelando
il colosso di metallo
azzurro, alto 3 metri. Ogni pezzo dell’armatura, forgiata in modo morbido, per
seguire ogni movimento dell’anatomia umana, evidenziava l’ultimo grido in fatto
di hi-tech.
“Impressionante,” disse il
Seminatore.
Rennsaeler disse, “Questo è
il prototipo dell’Iron Monger Mark
III, basato sui disegni gentilmente concessi al governo dall’industriale Simon Steele. Bisogna ringraziare Henry Peter Gyrich: quel paranoico vuole
un’armata personale speciale per tenere a freno i supereroi, e ha chiesto allo
SHIELD un cosino come questo.”
“I disegni?” chiese il
Seminatore.
Rennsaeler estrasse un
cubetto dalla cintura. “In questo CDS[3]
c’è tutto quello che ho potuto prelevare dal QG SHIELD. Date le multiple
ridondanze dei loro sistemi informatici, non posso giurare che non ci siano
altre copie archiviate altrove...ma senza il giocattolo vero e proprio,
dovranno faticare parecchio per farne un altro.” Passò il cubetto al Seminatore
con un corto lancio. “Come dovranno faticare per capire che l’ordine di
trasferimento nella loro agenda e la stessa agenda erano fasulli.”
Il Seminatore fece sparire
il cubetto dentro il mantello. “Te la senti ancora, di essere tu a vestire
l’armatura?”
Lui si fece scuro, ma annuì.
“Non mi è piaciuto lavorare contro la mia stessa agenzia...ma ho giurato che
per mio figlio farei qualunque cosa, Seminatore. Anche se dovessi morire, so
che ci sarà qualcuno a badare a lui.” Ancora dovette fare uno sforzo, per
crederci. Se avesse avuto di fronte Lady Sterling, non avrebbe avuto dubbio
alcuno... “Quando si comincia?”
Il Seminatore estrasse dal
mantello una provetta. In essa, brillava del liquido trasparente acceso da un
pulsante bagliore del colore del fuoco. “Appena il contenuto della terza cassa
sarà stato adeguatamente riprogrammato, Iron Monger. Procedi.”
Rennsaeler si avvicinò alle
altre due casse, e ‘ordinò’ loro di aprirsi.
La seconda cassa conteneva
un recipiente poco meno grande di un uomo, che doveva essere di adamantio
–almeno, stando alla descrizione nell’archivio SHIELD.
Tuttavia, ciò che il
recipiente conteneva possedeva una tale energia da rendere opache le sue pareti indistruttibili. Se quell’energia fosse stata
libera, i due super-esseri ne sarebbero stati consumati istantaneamente.
“Sei…sicuro di volere usare quello, per…?” chiese Rennsaeler,
istintivamente schermandosi gli occhi con una mano.
Il Seminatore si avvicinò al
contenitore. Dalla base, estrasse una tastiera a scomparsa, e iniziò a
digitare.
-Salute a te, Agron.-
Non ci fu risposta –ma
neanche se la aspettava. Agron aveva cessato di comunicare con chiunque, dal
giorno della sua cattura ad opera di Capitan
America. Per più di un anno, lo SHIELD aveva tentato di infrangere il muro
del silenzio, nella speranza di scoprire quanto più possibile sull’essere di
pura energia che diceva di venire dal futuro più remoto della Terra, un futuro in
cui il Sole si apprestava a entrare nella sua fase di gigante rossa.
Ma Agron taceva. E il
Seminatore di Morte poteva anche capire perché: Agron era pura coscienza, non
vincolato dalle necessità di un corpo fisico; la pazienza era una condizione
inevitabile di tale stato. La morte, un concetto alieno.
I cervelloni dello SHIELD
avevano perso la testa, chiedendosi perché
un’entità come Agron dovesse preferire la fuga verso un lontano passato barbaro
e ostile, invece di fuggire nello spazio esterno alla velocità del pensiero.
Più che farsi un’idea, il
Seminatore di Morte l’aveva vista. Un
piccolo vantaggio della sua ‘maledizione’…
Il Seminatore infilò un DVD
nel lettore montato nella tastiera. Lasciò passare qualche secondo…
Fu come avere gettato una bomba!
Le pulsazioni regolari della creatura divennero un bagliore caleidoscopico
impazzito, l’equivalente del terrore!
Il seminatore riprese a
digitare. L’interfaccia trasformava gli impulsi in segnali ottici leggibili da
Agron.
-Per ora, è solo una simulazione. Ma può diventare realtà,
Agron. E tu, insieme a noi, puoi impedirlo.-
Un’altra esplosione di
colori, seguita dalle parole che apparvero sulla metà inferiore del display
sopra la tastiera. –Come faccio a
sapere che non menti?-
-Non posso che offrirti la mia buona fede, e la
consapevolezza del nostro bisogno.-
-Il bisogno di una specie inferiore, inetta.-
Senti chi parla, pensò la donna, ma si trattenne dal digitarlo. Invece, scrisse, -Questa ‘specie inferiore’ ha combattuto con successo
Galactus, la Forza Fenice e altre entità di natura cosmica.-
-Allora quale bisogno avete, di Agron?-
-Tu
hai bisogno di noi. O morrai come un qualunque barbaro di questa epoca. Perfino
fuggire in un’altra epoca non ti sarà di aiuto. Te l’ho mostrato.-
Altre pulsazioni, questa
volta più ordinate. –Non hai
ancora la mia piena fiducia, primitivo. Ma posso concederti il beneficio del
dubbio. Liberami.-
“Perché ho l’impressione che
appena apriamo il coperchio, il verme ci frigge?” chiese Rennsaeler.
In risposta, il Seminatore
estrasse dalla base del contenitore un cavo spesso come un braccio. “La sua
arroganza è deliziosamente ingenua, Iron Monger. Ovviamente, cercherà di
ucciderci una volta libero; e, ovviamente, sarà impossibilitato a farlo, una
volta racchiuso nella sua nuova prigione.”
Rennsaeler guardò la terza
cassa.
Il contenuto consisteva di
un umanoide. Chiuso in una seconda bara perfettamente stagna. Un essere neutro,
nonostante la fisionomia basicamente maschile. Il volto era inespressivo, gli
occhi due pozze nere senza anima. “Difetti?” chiese il Seminatore.
Il mutante scosse la testa.
“E’ autorigenerante. E’ sopravvissuto alla caduta dalla bassa orbita, dopo la
distruzione del Baxter Building.”
Il termine ‘sopravvissuto’
non era inadatto, anche se l’Empatoide
era una macchina. Secondo quanto riferito dall’Uomo Ragno, che per primo lo aveva combattuto, e poi confermato da Reed Richards, che lo aveva tenuto in
custodia, l’Empatoide era stato costruito da una specie abitante nella Zona Negativa. Come Capitan America per la Terra, l’Empatoide avrebbe dovuto essere il
campione di quel mondo lontano.
Ma qualcosa andò storto, e
l’Empatoide divenne un vampiro psichico
che consumò l’intera popolazione dei suoi padroni, e ogni altro essere vivente
con delle emozioni.
L’Empatoide arrivò sulla
Terra, e l’Uomo Ragno lo sconfisse...sovraccaricandolo di emozioni. Da quel
giorno, l’androide era stato chiuso in un campo statico, isolato da tutto e
custodito dai Fantastici 4.
Tempo dopo, il Dottor Destino aveva distrutto il Baxter
Building, dopo averlo spedito in orbita, e l’Empatoide era precipitato nel
deserto del Texas. Solo il pronto avvertimento di Mister Fantastic aveva
impedito una tragedia, e lo SHIELD era stato lieto di potersi occupare di
custodire l’entità aliena...
Rennsaeler non chiese dettagli sul piano del Seminatore. E la sua
stessa associata non avrebbe fornito dettagli, per ora.
Non gli avrebbe spiegato che sapeva
che sarebbe andato tutto bene, lo sapeva da molto tempo!
Il Seminatore di Morte agganciò il cavo alla base del sarcofago
dell’Empatoide. Lo SHIELD aveva usato l’interfaccia del sarcofago per gli
strumenti di analisi.
Sarebbe bastato lo stesso.
Contatto!
Il passaggio di energia fu pressoché istantaneo! L’intera figura di
molecole instabili dell’androide divenne un ammasso pulsante, vibrante di
energia, affianco del cilindro ormai vuoto di Agron. Rennsaeler chiuse
istintivamente gli occhi, voltando la testa. Il Seminatore rimase a guardare,
imperscrutabile.
In pochi secondi, il processo fu completo.
La forma che emerse, un po’ diversa da quella originalmente ospitata.
La forma neutra dell’Empatoide era ora coperta da una sofisticata,
scintillante armatura bianca, con un mantello altrettanto bianco. L’elmo
lasciava scoperto il volto, ma solo per metà, trasformandosi in quell’area in
una perfetta simulazione metallica di un volto.
La cosa più impressionante erano le parti scoperte del corpo
dell’androide –addome, braccia e cosce, che brillavano di energia.
Nelle pozze oscure degli occhi della nuova entità si accese una
scintilla sinistra.
“Cavoli,” disse Rennsaeler.
“Bentornato a nuova vita, Avatar,”
disse il Seminatore. Poi, a Rennsaeler, “Indossa la tua armatura, Iron Monger.
Il penultimo associato dovrebbe essere a destinazione a momenti.”
Rennsaeler comandò l’apertura del colosso. L’armatura non poteva essere
‘indossata’, potevi solo entrarci.
Mentre l’armatura si chiudeva sul suo pilota, Rennsaeler si chiese chi
fossero gli ultimi due associati. Degli altri due, sapeva abbastanza da avere
avuto i brividi, quando ne era stato informato…
Le luci si spensero di colpo. Allo stesso tempo, un lampo di potenza
mai vista illuminò a giorno l’hangar attraverso le finestre; un attimo dopo, il
tuono quasi mandò in frantumi i vetri.
“E’ arrivato,” disse il Seminatore.
Mentre un aereo dello SHIELD atterrava al
Kennedy Airport, con il suo carico di alta tecnologia, il polo opposto della conoscenza
umana veniva messo a dura prova a Villa Sterling.
Diablo, con indosso il suo familiare costume, era concentrato come non
mai, mentre accarezzava come un pianista le rune della Stele mistica. Le sue
parole erano un canto in una lingua morta da tempo immemorabile, quando
Cimmeria era all’alba del suo splendore.
Dal piano superiore della
stanza, Hector osservava, impassibile. I suoi ordini erano chiari: non
interferire, a meno che fosse strettamente necessario. E se Diablo avesse
tentato uno scherzo, ucciderlo.
Solo civiltà antichissime, e
spesso per un caso fortuito, erano riuscite ad abbattere le barriere con il
Limbo. Il Limbo era non non-luogo, un
punto di incontro del tutto in mezzo al nulla.
Esseri come Belasco erano
riusciti al massimo a colonizzare una frazione del crocevia, spacciandosene per
‘signori’.
No, il Limbo era indomabile.
Per questo, Diablo stava
sudando freddo, nel tentativo di contattare il misterioso ‘esiliato…Se solo
quella donna maledetta gli avesse detto chi
contattare! Come si poteva trovare qualcuno in un luogo dove non c’era un ‘dove’?!
Ma lui era Diablo.
Sarebbe riuscito!
La Stele brillò più
intensamente. Le rune, adesso, stavano muovendosi.
SI’!
Diablo avrebbe esultato, se non avesse avuto paura di perdere la concentrazione
ed essere esiliato egli stesso.
A questo punto, la Stele avrebbe
funto da faro. Se l’’esiliato’ sapeva di dovere essere contattato, e sapeva
quale era la fonte, sarebbe venuto….
…da…
…solo?
Diablo guardò l’aria davanti
a sé tremare come l’acqua disturbata di uno stagno. Una luce si manifestò al
centro della manifestazione.
Una luce che crebbe.
Che assunse una forma.
Umana? No, la testa….aveva
qualcosa di…
sbagliato?
Diablo non disse nulla, ma
una vita spesa a contatto con entità soprannaturali gli aveva sviluppato una
specie di sesto senso.
E l’alchimista sentiva che
il nuovo arrivato non era l’esiliato.
Una miriade di fuochi fatui
contornava la sua persona. I suoi abiti, incluso il suo mantello nero, erano
laceri, su un corpo magro, come fosse lo spettro di uno spaventapasseri. Come
il Seminatore di Morte, indossava un completo con tanto di panciotto, ma gli
stivali erano a larghe falde. L’intero abito appariva di uno stile che sarebbe
andato bene nel ‘900…
Ma quello che veramente attirava l’attenzione era la testa.
Una zucca. Una zucca con
inciso un ghigno orrendo e occhi fiammeggianti.
“Davvero, ometto…Sembra che
zio Jack sia in debito con te!” disse, con una voce stridula, stridula ed
echeggiante di altri toni, come se più di una persona stesse parlando allo
stesso momento.
Diablo continuò a
cantilenare. L’esiliato doveva essere vicino a…
L’essere sollevò una mano.
Un lampo di energia
distrusse la Stele!
“Mi devi scusare, ometto, ma
Jack Lanterna non desidera proprio
lasciare la porta aperta. E se proprio bisogna portare le cose fino in
fondo…AARRGGH!”
Nel momento in cui Jack
Lanterna aveva distrutto la Stele, Diablo era saltato via. Una mano inguantata
andò ad afferrare una provetta nascosta e a lanciarla sull’intruso.
Jack fu investito da una
letale pioggia di vento ed aghi incandescenti! Tale era la forza del vento
mistico, che Jack andò a sbattere contro la parete.
L’essere, ancora in piedi,
si massaggiò la zucca. “tsk Cerca di
essere educato con qualcuno, e vedi come ti trattano…VIA, insetto!” Questa
volta, usò tutte e due le mani.
Diablo era pronto anche per quello.
Avrà perso anche molte battaglie, ma ne aveva ricavato qualcosa di
infinitamente prezioso: esperienza! Per lui, i movimenti di Jack Lanterna erano
avvolti nella melassa. Il primo colpo mistico si infranse su una barriera di
cristallo. Il secondo…
Il secondo trasformò il
pavimento sotto Diablo in un groviglio di tentacoli! In un attimo, l’alchimista
fu intrappolato in un bozzolo, senza scampo.
“Prestazione passabile,
alchimista,” disse Jack, spolverandosi gli abiti. “Non te la prendere,
comunque. Se ci rivedessimo all’inferno, ti darò la rivinc…Eh? hunng!”
Fu di colpo scaraventato a
terra da una ringhiante pantera nera
che gli atterrò dritta sulla schiena!
Il felino andò con le zanne
per la gola del nemico…ma fu scalzato via da un pugno di energia!
Jack saltò in piedi. “Mi
ricordi un altro pelosone che mi diede parecchi guai, lo sai?”
La pantera non perse tempo.
Fu all’attacco nello stesso tempo in cui Jack si era messo in piedi.
Jack levò una mano per
colpire.
Inaspettatamente veloce per
un animale così robusto, la pantera gliela tranciò
di netto, con un morso solo!
Jack urlò orrendamente di
mille voci. Non sangue, ma energie mistiche scaturirono dal mozzicone. Gli
stessi ‘lineamenti’ della sua testa-zucca cambiavano in sintonia con le sue
emozioni. “Dannata…bestiaccia!” Poi,
i lineamenti si contrassero in una smorfia che avrebbe potuto fare a pezzi la
zucca. “Ti ammazzerò così lentamente che…” fino a quel momento, Jack non si era
accorto della mano dietro di lui –una mano artigliata, coperta di una pelliccia
arancione.
Se ne accorse solo quando
cinque artigli scavarono un solco nella sua schiena, liberando altro ‘sangue’
mistico! urlando, Jack cadde in ginocchio.
“Non me lo dite…la
cavalleria?” chiese, ansando. Poi, realizzò! “Oh, no.”
L’esiliato era arrivato! Un
essere umanoide, con indosso una armatura di cuoio che riusciva a fare
risaltare il corpo robusto coperto di pelliccia arancione.
La testa era quella di un
felino, ed era contratta in una espressione predatrice. La lunga coda sferzava
come una frusta.
“Oh, sì,” disse una voce
dietro all’uomo-gatto.
“Temevo che avresti barato,”
disse Jack.
Diablo, la stele ancora
integra fra le mani, sorrise. “Ho imparato a creare omuncoli da molto prima che tu nascessi, dilettante. Ottimi
diversivi, non credi?”
Il trio circondava Jack
senza lasciargli spazio di manovra.
Jack non provò neppure ad
alzarsi in piedi. “Bah! Ero solo un po’ arrugginito, vecchio. Ti concederò la
rivincita sui fumetti!” E, detto ciò, sparì in un lampo smeraldino! Un attimo
dopo, di lui era rimasta una macchia fumante sul pavimento.
La pantera nera si mise
seduta. La sua figura tremolò, e poco dopo, al suo posto, in costume adamitico,
c’era Hector!
Diablo inarcò le
sopracciglia. “Uno sviluppo davvero inaspettato! Si può sa*”
Hector lo superò come se non
ci fosse. Disse solo, “Lady Sterling ha ordinato che, una volta evocato
l’esiliato, vi dobbiate trovare alle nuove coordinate indicate. Senza indugio.
E siete già in ritardo.”
Diablo guardò l’altro
felino, che lo torreggiava per un buon metro –avrebbe potuto passare, infatti,
per il fratello maggiore del misterioso Hector. Il felino lo ricambiò con una
espressione che ricordava moltissimo quella del micio prima del topo!
Diablo sospirò in modo molto
poco professionale. Obbedire agli ordini…Che quella muhera dannata si affrettasse a spiegargli qualcosa, oppure..!
In quel mentre, si spensero
le luci. L’etere fu scosso da lampi e tuoni potenti come bombe!
L’Istituto Ravencroft è la
struttura più discussa del mondo politico e dall’uomo della strada. Per l’uomo
della strada, la distruzione del cosiddetto istituto di massima sicurezza per
supercriminali, la Volta, era la
prova che l’unico supercriminale buono fosse quello morto. Il governo stava
incontrando non poche difficoltà per la gestione del problema –come poteva la
costituzione trattare un super-essere, foss’anche un uomo comune dotato di armi
sensazionali, alla stregua di un criminale da strada? E quei semplici ‘sgherri’
il cui operato spalleggiava piani di distruzione di massa o peggio, come nel
recente caso della Guerra dei Mondi, di genocidio?
Con un atto di coraggio non
da poco, la Volta era stata ricostruita, anche se nel frattempo i suoi ospiti
erano stati dispersi presso i più classici istituti di correzione, attrezzati
per l’occorrenza. Il problema, però, restava: Anche un supercriminale avrebbe
avuto il diritto alla reintegrazione nella società, solo a patto di renderlo innocuo.
L’Istituto Ravencroft
esisteva a tale scopo.
Con pochi successi e molti
fallimenti alle sue spalle, il Ravencroft cerca di recuperare la psiche malata
dei supercriminali. I fallimenti erano dovuti al tentativo, nobile, ma non
sufficientemente supportato, di curare schegge impazzite come Carnage, che si trovavano al di là del
bene e del male.
Dopo la distruzione
dell’Istituto, una serie di finanziatori privati ne aveva rivisto le
possibilità, e la fenice era rinata dalle ceneri. Vero, questa volta il
Ravencroft assomigliava più a una fortezza, in conformità ai suoi speciali
ospiti, ma la popolazione civile era soddisfatta di non doversi preoccupare di
facili evasioni.
Quello che ai politici
piaceva un po’ meno, ma che i mass-media adoravano, date le inevitabili
occasionali alte tirature sull’argomento, era la nomina a Direttore della
controversa figura di Ashley Kafka.
Tuttavia, i privati non
avevano dubbi. I successi della donna, come per il difficile paziente Vermin, testimoniavano una personalità
agguerrita e competente.
Non avevano torto.
Anche se, ora come ora, un
certo ‘aracnide’ di nostra conoscenza un po’ di dubbio l’aveva.
“Um, Doc? Siamo sicuri
che…voglio dire, non sono sicuro di avere fatto il richiamo per l’antirabbica.”
L’Uomo Ragno era teso,
pronto al combattimento, al centro di una stanza solidamente imbottita.
Davanti a lui stava un uomo,
con indosso solo un paio di shorts. L’uomo appariva giovane, appena sopra i 30,
con una folta chioma di capelli castani. Aveva un fisico allenato, scattante,
ma decisamente non appariva come una minaccia per un supereroe che aveva dato i
punti a Firelord.
L’intera scena era
accuratamente sorvegliata attraverso una serie di telecamere, che coprivano
ogni angolo. Gli schermi occupavano una intera parete della sala di controllo.
Una tazza di caffè fumante
in grembo, Ashley Kafka sedeva al centro della stanza, circondata da un gruppo
di tecnici ognuno immerso nel proprio compito.
L’unico altro occupante
della stanza, apparentemente intento a non fare altro che guardare, era una
figura solenne che non necessitava di presentazioni: Capitan America.
“Mi dispiace di averti
convocato con così poco preavviso,” giunse la voce di lei attraverso
l’altoparlante, “ma ci sono molte cose che bisogna discutere, in merito al
nostro comune amico. E quello che state per affrontare non è che un test per
verificare le dichiarate capacità di autocontrollo di John.”
“Cercherò di non farti
troppo male, Ragno,” disse John Jameson,
mettendosi in posa a sua volta. “Come ai
vecchi tempi.”
“Già,” disse
l’arrampicamuri, “è proprio questo, che mi preoccupa.”
John si concentrò. Saltò
verso l’Uomo Ragno.
Il supereroe se lo
aspettava, naturalmente, ma vederlo gli dava sempre un brivido. Vide saltare un
uomo, e si trovò addosso
Man-Wolf!
Il Ragno afferrò un polso
coperto di pelliccia bianca come la neve della creatura lupina,
e lo scaraventò dall’altra
parte della stanza.
Un tempo, disorientato,
l’uomo-lupo avrebbe finito con lo sbattere disordinatamente. Invece, con una
inedita precisione, Man-Wolf roteò su se stesso, e atterrò sulla parete con i
piedi. Usò la restante energia cinetica per saltare contro il suo avversario!
Un pugno raggiunse il Ragno
alla mascella. Lui andò a terra, più per la sorpresa che per il dolore.
Man-Wolf atterrò, e subito
si esibì in un salto di tale potenza, che arrivò fino al soffitto! Da lì. non
si diresse subito a terra, ma fece una serie di salti che lo portarono da una
parete all’altra, come una biglia impazzita.
L’Uomo Ragno dovette
affidarsi al suo senso di ragno –non c’era dubbio, John era in pieno controllo
delle sue facoltà! Il suo muso non era più contratto in una perenne smorfia
omicida, e si affidava a tattiche a cui prima non avrebbe mai pensato. E la
nuova coda che aveva sviluppato lo aiutava a bilanciarsi in quelle contorsioni
eclettiche.
In quel momento, Man-Wolf
passò all’attacco! Roteando su se stesso, andò ad usare il piede artigliato
come un maglio.
Non senza sforzo, l’Uomo
Ragno afferrò l’arto al volo.
Man-Wolf lo colpì alla testa
con l’altro piede!
E mentre l’Uomo Ragno
cercava di rischiararsi dal disorientamento, Man-Wolf si piegò in avanti,
afferrò l’eroe per le
spalle,
e lasciandosi ricadere a
terra, lo scaraventò verso la parete!
Naturalmente, l’Uomo ragno
non poté fare altro che emettere un suono strozzato, quando rovinò a terra.
“Penso che basti così,
signori. Grazie per la collaborazione, Uomo Ragno.”
L’Uomo Ragno, ancora in
ginocchio, si massaggiò il collo. “Uhnn, un'altra ‘collaborazione’ così, e
finirà che dovranno spazzolarmi via da terra. Mi dia retta, doc: meno spinaci
per Fido.”
Una mano pelosa lo aiutò a
tirarsi su. “Esagerato,” disse Man-Wolf, la voce profonda, roca, ma ben
comprensibile –e mai udita prima dall’uomo lupo. “Ricordo di avertele suonate
anche più forte.”
Pochi minuti dopo, i quattro
erano radunati nello studio della dottoressa Kafka.
John, con indosso una tuta
da inserviente dell’istituto, sedeva su una poltrona. Cap e l’Uomo ragno
stavano in piedi. Da dietro la scrivania, Kafka cercava di essere impassibile,
ma gli occhi erano raggianti. Si rigirava una penna fra le mani. “In un certo
senso, è stata colpa nostra. Continuavamo a concentrarci sui una parte del
problema, avendo sempre avuto il quadro sotto gli occhi.”
Cap stava studiando un
rapporto firmato da Curtis Connors e controfirmato da Reed Richards e dal
Professor Charles Xavier.
John scosse la testa. “La
colpa è solo di mio padre, dottoressa…Ashley. Non ha mai voluto ammettere che
fossi un mutante, neanche con se
stesso. La Godstone che trovai sulla
Luna non mi avrebbe trasformato in Man-Wolf, se non avesse avuto qualcosa su
cui attecchire.
“E io non sarei stato un
folle selvaggio fin dal principio, se avessi imparato ad accettare che in
realtà odiavo mio padre, e odiavo la vita che lui aveva scelto per me…Ma meglio
tardi che mai, immagino.”
“Godstone..?” fece il Ragno.
Cap estrasse una scatolina
da sotto lo scudo fissato alla schiena, e la aprì, rivelandone il contenuto.
Una gemma cristallina, una
perfetta perla non più grande di una falange, brillante di una spontanea luce
scarlatta, sanguigna.
John annuì, mentre Cap
posava l’oggetto sulla scrivania. “Grazie alle cure di Ashley ho recuperato
ogni memoria del mio stato come Man-Wolf, e qualcos’altro.
“La Godstone era appartenuta
per secoli a un altro guerriero-licantropo, chiamato per i suoi poteri Stargod. Il primo Stargod è stato il
difensore di un mondo posto nel Microverso,
un mondo chiamato Altro Regno. A
quanto pare, però, la gemma non garantisce l’immortalità, e Stargod, ormai
vecchio, aprì un varco dimensionale e se ne andò sulla Luna, lasciando la gemma
in attesa che la persona giusta la trovasse, perché il titolo fosse perpetuato.
“Temo però che lo Stargod
avesse dimenticato che chiunque fosse privo della gemma non fosse anche in
grado di resistere ai rigori dello spazio esterno. Quando io trovai la gemma,
ne avvertii, lo so adesso, il richiamo, ed è per questo che non la denunciai
all’ufficio di analisi e quarantena della NASA.
“Tempo dopo, durante una
missione per conto del governo, fui rapito da un quartetto di persone venute da
Altro Regno, e mi ritrovai a pilotare una navetta verso la Luna. In tale occasione,
trasformatomi nuovamente in Man-Wolf, avvertii il richiamo di Altro Regno, e
passai il varco.
“Su Altro Regno, mi imbarcai
in una avventura contro tale Arisen Tyrk,
che da tempo teneva quel mondo sotto scacco…Ma, spaventato dalle responsabilità
del mio titolo, preferii tornare sulla Terra. Da allora, solo un’altra volta
ebbi modo di tornare su Altro Regno, e fu subito dopo il mio ennesimo
combattimento contro di te, Uomo Ragno,
quando fui costretto alla trasformazione da Spencer
Smythe. L’isotopo radioattivo messo nel mio sangue da quel pazzo avrebbe
dovuto uccidermi, e invece la gemma mi trasportò al sicuro…E, ancora una volta,
preferii piangermi addosso piuttosto che accettare una così nobile
responsabilità.”
Seguì un intervallo di
silenzio, rotto solo dal frusciare di passi, e poi dalla voce di Cap.
“Dunque, hai finalmente
raggiunto una decisione definitiva,” disse il Vendicatore a stelle e strisce,
spostando solo lo sguardo da John a Kafka, che annuì impercettibilmente. Cap
sospirò. “Non per mancanza di fiducia in te, John, ma ho visto così tanti amici
corrotti da un potere così vasto, tutti partiti dal gradino più nobile di un
ideale…E l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, adesso che stiamo ancora
ricostruendo le città dai danni dell’attacco alieno, è…”
John lo interruppe con un
cenno della mano. “Cap, dati i miei precedenti, trovo già fantastico che
qualcuno mi sia stato vicino come voi. Se lo desideri, puoi prendere una intera
squadra di Vendicatori e venire su Altro Regno, ma…”
Cap scosse la testa. “Il
rapporto di She-Hulk parla da solo.
Lei ti incontrò durante questa tua seconda..impresa. In tale occasione
riuscisti a prevenire il collasso del
Microverso usando la gemma per manipolare la gravità a livelli che neppure Graviton o la Fenice hanno manifestato. Non posso dire che un simile potere per
un solo uomo non mi preoccupi, ma…Ti conosco da molto tempo, e,” guardò l’Uomo
Ragno e Kafka, “hai amici ai quali affiderei la mia vita a garantire per le tue
intenzioni.”
Cap prese la scatola, e la porse
all’ex-astronauta ed ex-membro dell’equipaggio di servizio dei Vendicatori.
“Sono fiero di te, John. Ti auguro buona fortuna.”
John prese la gemma. Per la
prima volta in vita sua, poteva toccarla senza essere travolto dal terrore –di
più, si accorse che gli era mancata!
Lambert, Duna, Gorjoon, Garth…I quattro guerrieri, i suoi primi amici e seguaci.
Per lui, avrebbero dato la vita. Per loro, per la sua gente, lui avrebbe assunto il manto assegnatogli dal caso da
più di mille anni!
L’uomo si portò la gemma
alla gola. Non gli diede sensazioni brucianti, ma un senso di tepore, come
l’abbraccio di un vecchio amico…
La trasformazione fu
istantanea. Ora, Man-Wolf indossava la sua familiare armatura smeraldina di
maglia, che gli lasciava scoperte braccia e gambe. Gli avambracci erano coperti
da nuovi, lunghi bracciali dorati, dotati di una lama dorsale, e sui cui lati
esterni erano magistralmente incisi lupi in atteggiamento furtivo. Ai piedi, portava
i tradizionali stivali a falda larga, con la punta scoperta per lasciare
manovra agli artigli.
Stargod appariva ancora più
imponente, e regale, grazie anche alla folta coda, alle armi fissate
all’armatura e a un collare all’altezza della Godstone.
“Più che un cavallo, ti
farei montare un drago,” disse l’Uomo Ragno, e gli diede una pacca sulle
spalle. “Adesso, i tuoi peggiori nemici saranno i cacciatori di pellicce.”
Stargod esibì un ghigno
pieno di zanne. “Sei solo invidioso…uh?”
La luce si era spenta di
colpo. I quattro voltarono la testa all’unisono, verso la finestra panoramica.
Scenario peggiore.
Tutte le luci spente.
“Se c’è un’altra evasione di
massa…” fece l’Uomo Ragno, ben ricordando quello che successe quando la Volta
fu distrutta.
Ashley lo interruppe. “Se
anche il sistema di backup non entrasse in funzione, come sembra in questo
caso, le camere dei pazienti vengono inondate da sedativo automaticamente. E
comunque, le guardie sono state attrezzate con sistemi sviluppati dallo SHIELD
a fronte di un tentativo di evasione…Spero solo che i pazienti vogliano
collaborare…JOHN!”
L’uomo lupo era a terra, su
un ginocchio, il muso contratto in un’espressione di dolore. Si massaggiava
ripetutamente la tempia. “Sto…bene, Ashley,” disse alla donna, che si era
chinata su di lui. “Un contatto…telepatico. Avverto il suo panico come
un’ondata, non ci ero abituato.”
Non fecero in tempo a
chiedergli di cosa stesse parlando,
che la stanza fu scossa dal suono di una esplosione terrificante! Allo stesso
tempo, il cielo fu illuminato a giorno.
L’Uomo Ragno stesso si
irrigidì improvvisamente, guardandosi intorno istintivamente. “Gente, qualunque
cosa sia, il mio senso di ragno è schizzato a mille!”
Subito dopo, Cap ricevette
una chiamata sul suo olocomm. “Cap. Passo.”
Dall’unità al polso, emerse
un ologramma –l’immagine di una Scarlet
Witch molto preoccupata. “Cap! Sono su un Quinjet, sto dirigendomi alla
centrale di Haven! Qualcosa in città sta letteralmente assorbendo ogni erg di
energia elettrica da ogni fonte possibile. Il direttore dice di non potere
arrestare il processo di assorbimento, o rischia un incidente atomico. Gli
altri Vendicatori sono dislocati per tutta la città a contenere i disordini
causati dal panico. Tu sei il più vicino alla fonte del problema!”
“Non dire altro, Wanda.” Cap
Chiuse la comunicazione e schizzò via dalla stanza, seguito a ruota dall’Uomo
Ragno e Stargod.
“John…” fece Kafka,
ricevendo una carezza mentale dal dio teriomorfo.
<Non ti preoccupare,
Ashley: sono un lupetto cresciuto. E, grazie ancora per tutto quanto. Ti voglio
bene.>
Pochi minuti dopo, il
Quinjet era in volo verso le coordinate trasmesse da Wanda via computer.
Tutto intorno al veicolo, i
fulmini danzavano e scuotevano l’aria. Non c’era vento o pioggia, ma solo un
mostruoso scambio di energia. Lo stesso scambio che attraversava gli edifici,
facendo saltare finestre, trasformando ogni struttura metallica in un reticolo
ad alta tensione.
E tutta quell’energia si
dirigeva verso un punto preciso, nel mezzo della 5th Avenue, dove si
era sviluppata una abbagliante bolla di energia elettrica.
Cap, ai comandi, disse
“Pensi di potere gestire il problema, John? I rinforzi…”
“Cap, lo hai ammesso tu
stesso: ho prevenuto il collasso di un universo. Penso di potere cavarmela
discretamente, di fronte a una minaccia non cosmica.”
“Buon per te…Cap, si riesce
a vedere come mai la bolla si stia muovendo?”
Un rapido danzar delle dita
sulla consolle, e apparve una immagine stilizzata della bolla, accompagnata da
una cascata di dati…
E, soprattutto, l’immagine
stilizzata di un umanoide nel mezzo
della bolla!
L’Uomo Ragno trasecolò sotto
la maschera. “Ho come l’impressione di sapere chi sia il responsabile di questo
casino…Ma non ricordo che fosse mai arrivato a tanto.”
E l’Uomo Ragno avrebbe
facilmente vinto quella scommessa.
Al centro della bolla, in
preda a un dolore lancinante come mai lo aveva provato,
stava Electro.
Il suo corpo stava subendo
alterazioni mostruose –i muscoli improvvisamente ipertrofici guizzavano
impazziti, gli occhi erano scomparsi in un bagliore elettrico ininterrotto, del
costume erano rimasti pochi brandelli.
Lui stesso era preda a una
confusione uguale alla propria agonia. Ricordava solo di trovarsi vicino ai
suoi complici dei Sinistri Sei,
impegnati in qualche discussione…e di colpo aveva sentito la fame! Quella stessa improvvisa fame di
energia che lo aveva spinto sull’orlo del baratro, uscendone, per somma ironia,
proprio grazie all’Uomo Ragno! Come in uno stato di trance se ne era andato di
gran carriera, a una velocità insospettata, incapace di controllare il proprio
corpo.
E adesso, la fame aveva
preso il sopravvento! “Bas…ta…Per f-f-f…avore…no-n-n….gghh! TUTTOQUESTOPOTERENONPOSSOOOH!!”
Poi, improvvisamente, il
ghigno di dolore divenne una smorfia di ira pura…Ed Electro rispose a se
stesso, in una voce che nessuna gola umana avrebbe potuto produrre!
“Fai silenzio, insignificante umano! Non ho più
alcun interesse a restare confinato nel tuo patetico guscio! Ho una missione,
da compiere!”
Electro urlò, e la sua voce
si perse nella tempesta di elettroni.
“John..?”
Stargod scosse la testa,
pensoso. “Il panico viene da Electro…ma c’è un’altra mente, dentro di lui. E i
suoi pensieri…Ragno, chiunque lo stia possedendo, non è umano! Cosa sai, di
lui?”
La scena all’esterno era
inguardabile, tale era il bagliore della bolla. Solo gli scansori potevano
interpretare qualcosa. Esaminandoli attentamente, l’Uomo Ragno disse, “Maxwell
Dillon era un operaio elettricista. Acquisì i suoi poteri quando un fulmine lo
colpì mentre lavorava a una linea elettrica. Sopravvisse, e puf, ecco Electro. E ti posso giurare
una cosa, lupetto: non è mai stato
così…Lupetto?”
Ma Stargod non lo stava
ascoltando. Le sue orecchie fliccavano istintivamente in tutte le direzioni,
come fossero in ascolto di una voce udibile solo a lui. La sua coda scuoteva.
La voce era nella sua mente,
e veniva da Electro! <Stargod, mio Signore! Sono così felice che tu sia qui:
non possiamo perdere tempo, Altro Regno è in gravissimo pericolo!>
<Tu chi sei?> chiese
l’uomo lupo, istintivamente.
In risposta, ebbe un guazzabuglio
indecifrabile. <Salvatore, Ti prego, aspetta questo tuo umile servitore! Una
volta liberatomi da questo guscio, sarò al tuo fianco in questa difficile
impresa.>
La voce mentale tacque, e in
quel medesimo istante, il lettore biometrico del Quinjet sembrò impazzire!
“Gesù,” fece Cap.
“Niente da ridire,” disse
l’Uomo Ragno.
Fuori, la bolla di energia
si stava sollevando,
portandosi al di sopra dello
Skyline deturpato dall’invasione aliena.
Sullo schermo del lettore
biometrico, Max Dillon era un puntino, dal quale stava emergendo una forma,
ancora indistinta, ma così grande da andare fuori scala.
I fulmini danzavano intorno
alla bolla, ma l’assorbimento era cessato. Il piccolo sole elettrico stava
perdendo la sua forma originale,
estendendosi per la
lunghezza, la larghezza,
in forme sempre più
definite…
“Uh, John..?” fece il Ragno
“Ti ricordi della mia osservazione sul drago, vero? Stavoscherzandologiuro.”
La bolla era scomparsa. I
suoi residui correvano lungo il maestoso corpo blu,
dalla testa crestata
lungo le ali
fino alla coda,
di un gigantesco drago!
La creatura emise un ruggito
di trionfo!
Episodio 2 - Primi incontri
in Altro Regno
Giornata di ordinaria
follia.
I limiti fisici di ogni
singolo membro dello staff medico, dal direttore allo spazzino, sono stati
messi alle più dure prove. La Guerra dei
Mondi, il tentativo di invasione marziana della Terra, aveva aggiunto nuovi
fardelli a un già quasi insopportabile carico di lavoro.
L’ultima cosa di cui gli
esausti medici ed infermieri avevano bisogno era una nuova minaccia alla città.
Le lampade nell’atrio
iniziarono a tremare, in un timido tentativo di riaccendersi.
E fu la luce. E con essa, ricominciarono
a squillare telefoni, a ronzare computer. Gli impianti dell’aria condizionata
ricominciarono a filtrare l’aria insopportabilmente stantia. I campanelli delle
chiamate dalle stanze sembravano impazziti. Ordini venivano dati con militare
precisione, urlati in una gara di priorità. E, miracolosamente, il personale
rispondeva con fluidità.
Ne sarebbero usciti.
Alla cacofonia generale, si
aggiungevano, a intervalli regolari, i rumori del traffico esterno ogni
qualvolta venivano spalancate le porte per fare entrare una barella. Solo in
tali occasioni, si formava un corridoio di ordine nel caos generale.
Jane Foster fu sorpresa nell’atto di lavarsi le mani in sala di emergenza. Il
resto del personale stava assistendo un’altra vittima in un’altra stanza.
Trattenne un sospiro: avrebbe volentieri rubato una dose di anfetamine, se
fosse servito a farla arrivare a sera tutta d’un pezzo –poi si scoprì a
vergognarsi di tale pensiero. Dio solo sapeva che cosa stavano passando i
colleghi là fuori, a cercare i pezzi che l’ospedale doveva rimettere insieme.
Tutto questo le passò per la
mente in un lampo, mentre i paramedici facevano entrare il paziente.
La Foster quasi cacciò un
urlo. Quasi, diede l’ordine di portare quella…cosa nella morgue!
Quella forma, che di umano
aveva solo i contorni, era letteralmente coperta di ustioni di terzo grado!
Jane aveva visto foto di cadaveri meno orrendi sui libri di testo, e
riconosceva i segni dell’esposizione a una mostruosa quantità di corrente
elettrica. E le fratture, come se lo avesse investito un camion…Gesù, come
poteva essere ancora vivo?!
La dottoressa ed i
paramedici si scambiarono un’occhiata desolata. Il meglio che potessero fare,
adesso, era ridurre l’agonia del moribondo.
Un paramedico stava
snocciolando dati… “Ripeti un attimo il nome?” chiese Foster, intenta sulle
bende. Quando avrebbe finito, non lo si sarebbe scambiato da una mummia.
“Maxwell Dillon,” disse il
paramedico, “aka Electro. E’ il
responsabile del black-out. Ha letteralmente assorbito tutta l’energia della
città. Ero lì, doc. Avresti dovuto vederlo: brillava come una fottuta stella! E
poi…”
“E poi..?” fece Jane,
continuando ad avvolgere. L’ortopedia avrebbe avuto il suo daffare: di gessi
umidi non se ne sarebbe dovuto parlare, non con tutta la corrente che ancora
doveva stare passando in quel corpo devastato.
Il paramedico esitava, come
se non ancora si fidasse delle sue memorie… “E poi…lui si è messo a fluttuare,
e…dal suo corpo…è emerso questo…”
Non terminò la frase. Si udì
un verso come un ruggito, e i vetri e
le pareti furono percosse da un fremito.
Jane lanciò una brevissima,
implorante occhiata al paramedico. “Non aggiungere altro, ti prego.”
VALERIO presenta
KNIGHTS TEAM 7
Episodio 2 – Primi incontri
in Altro Regno
Ben qualcosa ne sapevano, i
tre occupanti del Quinjet:
- Capitan America, leader dei potenti Vendicatori, in quel momento
impegnato alla barra comandi, un’espressione cupa in volto. “Spero solo che tu
sappia quello che stai facendo, John. Se la situazione degenerasse, restare
senza un appoggio…
- L’Uomo Ragno, la maschera indecifrabile, intento a guardare su uno schermo, quasi
dimenticandosi di respirare. “Credimi, Cap. Se John dice che quell’affare è
amichevole, gli credo. Anche perché non vorrei davvero averlo per nemico.”
- E il loro ospite, una
vecchia conoscenza del famoso arrampicamuri e amico di Cap: John Jameson, nella
sua forma di Man-Wolf.
Il licantropo dalla bianca pelliccia,
rivestito da un’armatura oro e smeraldo, fece un cenno di assenso con un
vibrare delle orecchie. Il corpo ferino rispondeva con una naturalezza
sorprendente alle sue emozioni, traducendole in gesti lupini. Parlò con voce
profonda, “I suoi pensieri sono di gioia. E’ felice, ed è deciso a parlare con
me di qualcosa di estremamente importante. Ed è disposto a farlo in una
località isolata.”
Cap non disse nulla, ma
continuò a spingere sulla cloche. Non aggiunse che l’apparecchio procedeva alla
massima velocità, e quell’essere stava loro dietro senza alcuna fatica!
L’oggetto delle loro
preoccupazioni era una vista non spesso vista nel mondo moderno.
Un drago: un esemplare gigantesco, lungo 25 metri dalla testa alla
coda, una guizzante massa di carne e muscoli con un’apertura alare –arti
supplementari che partivano dalla schiena- da rivaleggiare con un Jumbo Jet. Il
suo corpo era coperto di scaglie blu elettrico. Due lunghe corna bianche come
marmo si stendevano all’indietro dal cranio. I suoi occhi erano color dell’oro,
fulgidi di luce propria.
Il muso del drago si aprì, e
un altro, poderoso richiamo scosse l’etere!
L’intero quinjet fu scosso
come da un colpo di maglio colossale! Il quadro comandi ebbe un altro sussulto.
“Riesci almeno ad avvisarlo
di smettere di fare così?!” fece Cap,
bruscamente. “Un altro verso del genere, e ci fa a pezzi!”
Man-Wolf –cioè, Stargod, ora che aveva deciso di
accettare una volta per tutte il ruolo che anni prima il destino gli aveva
assegnato, annuì, e si concentrò, e trasmise il messaggio. Come Stargod, aveva
già usato la telepatia per comunicare, istintivamente credendosi incapacitato
ad esprimersi nella sua forma ferina.
Il drago rispose con un
curioso senso di mortificazione, difficile ad immaginarsi in una creatura di
quella stazza e fierezza. <Ti chiedo scusa, mio signore. Tendo a
dimenticarmi della fragilità degli umani e dei loro costrutti…Manca ancora
molto? Ho le ali quasi atrofizzate, a furia di stare chiuso in quel deperibile
guscio umano…>
L’uomo-lupo appiattì le orecchie e serrò i denti –la
telepatia con quel drago era come andare sulle montagne russe!
“Ci siamo,” disse Capitan
America, puntando l’apparecchio in basso, verso un cantiere devastato
dall’attacco marziano.
Il quinjet atterrò per
primo, seguito dal drago, che, nonostante la sorprendente grazia in un corpo di
quelle dimensioni, generò abbastanza corrente da sbilanciare l’apparecchio sui
suoi supporti.
Un attimo dopo, Stargod
uscì. Da solo. Telepaticamente, disse ai suoi amici, <E’ meglio così, capitemi:
non coinvolgerò nessun altro nei miei problemi.>
Il drago stava seduto sulle
potenti zampe posteriori, le ali ripiegate. Alla vista di Stargod, spalancò le
ali, delicatamente, come fossero vele, e si mise a quattro zampe, chinando il
lungo collo in avanti. “Ave, Stargod,” disse con voce tanto solenne quanto poderosa, “Salvatore
e Protettore del Mondo. Sono felice di averTi ritrovato, alla fine.”
“Uhm…” il licantropo si era
già visto oggetto di devozione, nella sua prima visita ad Altro Regno, e ancora gli sembrava così…improprio…
Istintivamente, Stargod
poggiò una mano sul muso rettiliano. Sorprendentemente, le scaglie erano
morbide e calde, al tocco, ma era sicuro che sarebbero state a prova di
cannone. “Come ti chiami, creatura?”
Il drago brontolò qualcosa,
e per poco al dio lupino non sfuggì un ringhio oltraggiato. Le sue triangolari
orecchie colsero l’Uomo Ragno borbottare, “Ma che maniere!”
Il drago tirò su il collo,
immagine rettiliana della sorpresa. “Ho detto qualcosa che non va,
Mio Signore?”
“Vuoi dire che quello è il tuo nome?!”
Il drago gonfiò il petto
orgogliosamente. “Significa ‘Danzatore del Fulmine’, ed è, oserei dire,
meritato.”
Stargod scosse le orecchie.
“Se non ti dispiace, ti chiamerò Max…E’ il diminutivo del nome del…’guscio’ che
occupavi.”
Ci fu uno sbarrare di occhi
d’oro, uno scuotere di testa, e ‘Max’ disse solo “Non
contesto la saggezza della tua decisione…Un semplice mortale non saprebbe,
comunque, pronunciare il nome di un drago.”
“Um, Max, esattamente, perché decidesti di entrare nel corpo di
un essere umano?”
Il drago si sdraiò a terra,
e si mise arrotolato come un cane, la testa sollevata. “Be’ mi
sembrava il modo migliore per passare inosservato: ho visto che in questo
mondo, non ce ne sono molti, della mia specie…Sono quasi tutti –ick- umani.
“Solo,
era la mia prima volta, e…be’, non avevo immaginato che in quella forma non
sarei riuscito a trovarti subito. Il viaggio fra i due mondi mi aveva stancato,
ero senza forze, e quel matto di un –ick- umano continuava ad usarmi come se
fossi stato il suo genietto servitore. E’ già stato molto riuscire a spingerlo
a darmi un po’ di nutrimento quelle due o tre volte…Anzi, devo proprio
ringraziarti, ‘arrampicamuri’,” aggiunse, rivolgendosi all’Uomo Ragno. “Quando
lo hai privato di conoscenza, l’ultima volta, è stato sufficiente a
indebolirlo.”
Max si leccò le labbra con una lingua biforcuta che non avrebbe sfigurato come
cavo dell’alta tensione. “Devo dire che le vostre città sono una vera manna.
Non mangiavo così bene da 50 dei vostri anni.”
Stargod decise di riportare
il discorso sui binari originali. “Avevi parlato di un pericolo per Altro
Regno, Max. Di cosa si tratta?”
Fu come avere acceso un
interruttore. Il drago assunse una espressione preoccupata, e facendo saettare la
testa in avanti –e quasi buttando a terra Stargod- disse, “Arisen Tyrk è tornato, Salvatore! Ha fatto
il suo nido su una delle montagne volanti, il profanatore! Ha già sottomesso
molte popolazioni, e noi draghi, per quanto detesti dirlo, non siamo fuori
pericolo: se non intervieni, potrebbe…”
Mentre il drago parlava,
Stargod faceva calcoli mentali…e non poté non interrompere il racconto
sfoderando un ghigno lupesco…Che divenne, inevitabilmente, una omerica risata!
Il drago era esterrefatto!
Emise un sibilo che avrebbe dato gonfie vele alla Amerigo Vespucci, e ,disse “Non mi sembra motivo di ilarità,
Salvatore! Certo, Tyrk non è lontanamente potente quanto Te, ma…”
L’uomo-lupo gli accarezzò il
muso a colpetti. Se, in quella forma, avesse avuto condotti lacrimali, avrebbe
avuto tutta la pelliccia del muso impiastricciata. “Ti chiedo scusa, Max, ma
–snicker- temo che tu sia alquanto in ritardo. Ho già sconfitto Arisen Tyrk. E proprio su Altro Regno, anni fa…in termini
umani.”
Il collo del drago assunse
una ‘S’ ondeggiante. “Ci è voluto così poco?! –hmpf- Che dittatore da
poco conto, nemmeno un secolo di dominio..!” poi, Max si mise di nuovo muso-a-muso con Stargod.
“Obbe’…Vuol dire che tornerò a volteggiare con i miei fratelli e sorelle.
Mi mancano davvero gli spazi aperti, i cieli tempestosi…”
Stargod avvertiva la
tristezza del rettile come se l’avesse espressa ad alta voce. Gli carezzò di
nuovo il muso, indugiando sul corno frontale. “Se lo desideri, potrai
accompagnarmi, invece, alla scoperta del mio ‘regno’. Ho ereditato solo il
potere dello Stargod, non la sua conoscenza. Che ne dici?”
In tutta risposta, il drago
sorrise –con certe zanne che avrebbe potuto usare per sminuzzare un edificio,
tutt’altro che rassicuranti!- e lo ‘pulì’ con un colpo di lingua pieno di
gratitudine…e di qualcos’altro. L’uomo-lupo si ritrovò l’armatura lucida a
specchio, e la pelliccia grondante. “A proposito delle tue
dimensioni, Max…Visto che sei riuscito a stare dentro un essere umano…pensi di
poterti, come dire, fare più piccolo?”
Max gli lanciò
un’occhiataccia. “Mio Signore, con tutto il rispetto, non sono un draghetto domestico! Sono un dragone.”
Stargod gli mise un dito
artigliato su una narice. “Poche storie, cavalcavento: se vuoi stare con me, lo
farai alle mie regole. E io dico che non posso andare in giro per una città con
una creatura che…”
Di nuovo, gli occhi di Max
si accesero di gioia. Il drago lanciò un verso che, dalla gola di un uccellino,
sarebbe stato un cinguettio allegro. Da quel petto poderoso, sembrava un tuono
minaccioso. “Vuoi dire che potrò venire con Te ovunque? Ooo, diventerò il più importante fra tutti i miei simili!
Grazie, Salvatore! Anche se ho solo 90 anni, ti farò fiero di me!”
Stargod si coprì il naso con
una mano. Le montagne russe, appunto!
Finalmente, arrivò il
momento dei saluti.
Stargod stava seduto sul
drago, all’attacco del collo, reggendosi con una mano alla cresta di morbido
pelo argenteo. Con l’altra mano stava stringendo quella di Cap e
dell’arrampicamuri, che si stavano sporgendo dal quinjet.
“Non è un addio, amici
miei,” disse l’uomo-lupo. “Ma era solo giusto, che finisse così: e sono felice
di questa opportunità.”
“Tu ne sarai felice, Fido,”
disse l’Uomo Ragno, “ma sarò io che
dovrò sopportare tuo padre. Minimo, mi accuserà di averti venduto agli Skrull.”
Cap disse solo, “Sono felice
che tu abbia trovato la tua strada, John. So che saprai esserne degno.”
Cap rientrò
nell’apparecchio. John vide in lui l’ombra del guerriero così familiare a chi
lo avesse conosciuto come loro. Era davvero cambiato, da quando i marziani
erano stati sconfitti per mezzo di un ordigno di distruzione di massa –una
soluzione che aveva profondamente ferito il Vendicatore a stelle e strisce,
contrario all’assassinio per la risoluzione di un conflitto…
Anche l’Uomo Ragno sparì
dietro una porta d’acciaio. Il quinjet partì.
La pelliccia arruffata dalle
potenti correnti generate dalle ali del drago, Stargod lanciò un’ultima
occhiata alla distante città di New York…Chissà se l’avrebbe mai più rivista…
Si concentrò. Lambert gli aveva insegnato come
sfruttare la Godstone, che brillava
alla sua gola di luce sanguigna, per infrangere la barriera fra le dimensioni.
Era, invero, un potere che lo spaventava, versatile ed esteso a livelli
sconosciuti…
Istintivamente, l’uomo-lupo
chiuse gli occhi.
…Ma John Jameson…
Non vide il deformarsi del
tessuto della realtà, il cielo scomparire dietro la terribile distorsione del wormhole.
…non avrebbe ceduto…
Le ali del drago battevano,
ma non c’era più aria su cui sostenersi.
…alle proprie paure…
Poi furono fuori! L’aria era
fredda, la corrente intensa, e non c’era più la calda luce del Sole a
riscaldarli.
…Mai più!
Aprì gli occhi.
L’anima di Stargod fu attraversata
da una gioia primordiale, la sensazione di meraviglia e familiarità che
accompagna il ritorno a casa. I suoi potenti sensi di lupo si ubriacarono degli
odori, dei suoni della giungla sottostante. Il suo manto brillava della stessa
intensità delle lune gemelle nel cielo. L’anello di montagne del pianeta
formava una striscia di gemme opache fino all’orizzonte.
Gli venne voglia di ululare.
Dio, se gli era mancato, quel posto!
“Che si
fa, adesso, Salvatore?” chiese Max.
Stargod dovette scuotersi. Dopo
una vita spesa a prendere ordini -da suo padre, dai militari, dai Vendicatori-
era difficile immaginarsi in una posizione in cui fossero gli altri a pendere dalle tue labbra. Come
diavolo faceva, Cap, a fare da colonna portante per i Vendicatori, gli rimaneva
un mistero!
“Voglio andare in una città,
una qualunque. Mi basta che sia grande. Voglio vedere come sarò accolto dalla…”
quasi gli si strozzò la parola in gola “dalla mia gente.”
Max emise un ruggito, e
partì ad ali spiegate verso l’orizzonte.
Era incredibile! Sulla
Terra, per trovare un simile spazio aperto e coperto di verde, dovevi andare
nella Foresta Amazzonica. E ancora il manto verde non voleva diradarsi.
“Max.”
“Dimmi,
Salvatore.”
“Per cominciare, ti prego,
chiamami in qualunque altro modo, ma non così. E poi, prima, avevi menzionato
dei ‘draghetti domestici’. Come è suddivisa la tua specie?”
Sempre guardando avanti, Max
disse, “Noi grandi dragoni siamo la specie naturale, originale.
Gli umani ci chiamano in vari modi, ma ‘Furie’ è il più comune…Niente da ridire
su ‘Cavalcavento’, però.
“Io
appartengo alla razza dei Dragoni delle Tempeste. Poi ci sono i Dragoni delle
Foreste, quelli dei Mari, dei Vulcani, dei Ghiacci, dei Deserti e delle Paludi. Qualcuno fra noi parla ogni
tanto di una razza di Dragoni delle Stelle, ma nessuno li ha mai visti, non da
molte generazioni almeno; e noi viviamo a lungo, il più vecchio fino a trecento
anni. A seconda della razza, ognuno di noi è in grado di influenzare gli
elementi che lo circondano, fare di magia.
“I
draghetti sono il più patetico tentativo di addomesticare noi dragoni. Qualche
–ick- umano con la testa più marcia degli altri, mille anni fa, rubò un’intera
covata, e con qualche trucco magico ha impedito che i pulcini crescessero alle
giuste dimensioni…Ahh, hanno fatto cose orrende con loro, Stargod: sono
riusciti a farli riprodurre,
nonostante la loro immaturità, e adesso c’è un’intera stirpe di quelle
mutazioni, usati come bestie domestiche per i capricci di quei bipedi! Sono
appena un po’ più intelligenti di un lupo domestico, ed è molto se sanno
sputare un po’ di fuoco. –Tss- nessuno sa neppure spiccicare una parola di
Comune.”
Stargod si accorse,
effettivamente, di stare parlando una lingua che Inglese, decisamente, non era.
Ma quello avrebbe dovuto aspettarselo; del resto, la sua ‘telepatia’ era
scattata automaticamente, la prima volta che era giunto su Altro Regno –la
gemma sapeva prendersi cura di lui, evidentemente.
Per curiosità, chiese, “Hai
detto ‘lupo domestico’? Non intendevi ‘cane’?”
La parola venne fuori in
Inglese, non esistendo un suo equivalente in Comune. Infatti, Max chiese a sua
volta, “E cos’è un ‘cane’? Oh, sì: quelle curiose bestie
domestiche che gli umani del tuo mondo hanno con sé…No, Stargod. Su Altro
Regno, non troverai un solo lupo disposto a farsi ‘selezionare’ (è la parola
giusta, vero?) per diventare così.”
Stargod non ribatté –per
quanto lo riguardava, era possibile che Altro Regno avesse una così bassa
percentuale di umanità, che non si era mai reso necessario separare il Canis Lupus in una moltitudine di razze,
ognuna per degli scopi specifici, per un ambiente sempre più ostile a un grosso
animale selvatico… “Ho notato, piuttosto, che non sembri così sprezzante verso
l’idea di lupi domestici.”
Max scrollò le spalle, facendo
sobbalzare il suo cavaliere. “Oh, è diverso: loro hanno stretto un patto con gli
umani. Ci si aiuta a vicenda, non c’è servilismo…E nessun umano sano di mente
oserebbe fare del male ai lupi, visto che sono figli Tuoi.”
Per il momento, Stargod preferì tacere. Come quel
filosofo greco, sapeva solo di non sapere niente. E ogni risposta aumentava la
sua ignoranza.
Max stava proseguendo, “…Naturalmente,
Tyrk e i suoi accoliti non erano per niente sani di mente. Non solo cacciavano
lupi e dragoni, ma riuscirono, in alcune popolazioni, a trasformarci in simboli
del male. Davvero, spero che il tuo ritorno sia servito a qualcosa…Ma perché
non eri rimasto qui, se avevi già sconfitto Tyrk?”
Stargod chinò la testa, appiattì
le orecchie. La coda gli si avvinghiò al fianco. <Avevo paura.
<In tutta la mia vita, non sapevo cosa fosse
l’adorazione di intere genti. Quando sconfissi Tyrk, non mi vedevo come un
condottiero, addirittura un dio. Credevo di essere una mostruosità, credevo che
questa gemma> sfiorò la Godstone con un dito, avvertendone il calore
<fosse una maledizione. Credevo di volere vivere una vita ‘normale’ insieme
alla donna che credevo di amare. Temevo
le responsabilità.
<Erano tutte illusioni,
Max. Averlo capito, mi ha aiutato a decidere. Spero che la mia assenza non
abbia causato altri danni a chi non lo merita.>
Altra scrollata di spalle.
Se Stargod non avesse avuto shorts di metallo, avrebbe finito col cantare in
falsetto. “Nahh, gli umani possono essere dei seccatori, ma sono
tenaci e adattabili: potrebbero perfino vivere senza alcuna divinità ad
aiutarli. Tu non sei importante tanto per le singole genti, Stargod, quanto per
l’armonia del mondo intero e la sua salvaguardia. Tanti hanno indossato il tuo manto,
ma la tua umiltà è davvero una cosa nuova…Oh, ci siamo. Quella laggiù è Kalgarn…”
Stargod colse la sua
esitazione. “Ci sono problemi?”
Il drago si fermò a
mezz’aria. “Non la vedi?
Quella grande torre, al centro della città: non l’ho mai vista prima. E’ di uno
stile sconosciuto.”
Naturalmente! Max doveva
possedere una vista talmente acuta da fare invidia a un’aquila. Stargod dovette
concentrarsi, assorbire energia dalla Godstone…
La città, adesso, appariva
nitida come fosse a un centinaio di metri di distanza. Dava l’impressione di
un’oasi nel mezzo del verde sterminato. L’intera struttura era stata ricavata
scavando e modellando una piccola collina –un lavoro che, se il livello
tecnologico di Altro Regno era tale da non conoscere alcun motore –l’uomo lupo
ricordava ancora Lambert chiedere curioso cosa fosse una ‘moto’- doveva avere
richiesto intere generazioni.
Stargod vide le case,
disposte in isolati a raggiera intorno al ‘mozzo’ che doveva essere il palazzo
dell’autorità, un massiccio castello. Intorno al castello, come intorno alle
case, sorgeva un fiorente giardino coltivato con geometrica precisione. Sembrava
proprio che l’agricoltura fosse una risorsa letteralmente a portata di mano,
una sola cosa con l’abitazione.
Ma, proprio accanto al
castello centrale, massiccia, enorme, sorgeva una torre –una struttura di
lucido metallo, in contrasto con la solida pietra della città. La torre era,
indubbiamente, di una fattura aliena ad Altro Regno. Ricordava la forma
stilizzata di un albero, terminante in una cupola ogivale incastrata nel
‘tronco’.
Perso nell’analisi di quel
colosso, quasi Stargod non si accorse del gigantesco simbolo inciso nel
‘tronco’: una specie di Rosa dei Venti a dodici punte, avvolta da un sole
fiammeggiante.
“Ti dice niente, quel simbolo?”
chiese Stargod a Max.
Il drago scosse la testa. “Neppure
i nostri saggi l’hanno mai menzionato.”
La mente di John Jameson era
al lavoro, febbrile, nell’elaborazione di un piano di avvicinamento. Qualunque
cosa potesse stare succedendo, non era il caso di… “Yip!”
Anche Max non fu meno
sorpreso.
Davanti a loro,
improvvisamente, si era materializzata una proiezione
astrale!
Era la testa di un rettile.
Alle scaglie arancioni, erano unite placche naturali che la facevano sembrare
dotata di un elmo frastagliato. L’insieme faceva pensare a una creatura
massiccia.
Gli occhi dalle pupille a
fessura brillavano di una luce di rispetto, rispetto ugualmente percepibile
nella sua voce astrale. <Io ti saluto, potente Figlio di Antesys. A cosa debbono i tuoi umili fratelli la tua
visita così lontano dai cieli che sono la tua casa? Ha a che fare con il
mammifero che trasporti?>
Max inarcò fieramente la
testa. “Il ‘mammifero’ è lo Stargod. Portagli il rispetto che
merita.”
Lo sconosciuto rettile emise
un sibilo, di scherno, a giudicare da quello che disse dopo. “Il solo dio
riconosciuto è Antesys, e tu fra tutti, o potente, dovresti saperlo. Sei il
benvenuto a Kalgarn, se volessi visitare un tempio, ma il mammifero con te ricordi:
non sono ammessi eretici entro il dominio dei Tok.” Poi, la proiezione scomparve,
lasciandosi dietro due paia
di occhi allibiti.
Stargod non cambiò
posizione, non mutò espressione; disse solo, “Antesys?”
“Ehmm…” Max sembrava imbarazzato.
Stargod non cambiò
posizione, non mutò espressione; disse solo, “fratelli?”
“Ti
giuro, Salvatore, non li conosco neppure.” Scuoteva la testa, il dragone.
Stargod non cambiò
posizione, non mutò espressione; disse solo, “Tok?”
Max piegò il collo
all’indietro, mettendosi muso a muso con l’uomo-lupo. “Te l’ho
detto, non so chi siano questi
alieni! E non so neanche come facciano a conoscere di Antesys!”
Stargod scosse la testa. “Ti
chiedo scusa, amico mio…Temo che ci siano troppe novità da gestire, per un dio
solo e in così poco tempo. Puoi spiegarmi di questo Antesys, per cominciare?”
Continuando a restare
dov’era, Max si schiarì la gola con un brontolio di tuono. “Si
tratta di una mitologia di noi dragoni…E’ un po’ lunga come storia…”
Stargod gli accarezzò il muso.
“E io ho due buone orecchie per ascoltare. Ti prego, sono curioso.”
Max fece un’altra scrollata
di spalle da farci il burro, e iniziò, con tono riverente.
“Per noi dragoni, Antesys è
il Tutto, l’incarnazione del Multiverso, l’Essere Supremo. Esso ha il suo ciclo
di vita e di morte, che comincia dall’Uovo, il caos rinchiuso dall’ordine,
prosegue nella schiusa, che genera il caos nel quale giacciono i semi
dell’ordine, e termina con la ricomposizione, pronto per riprendere daccapo.
“Quando l’Uovo si schiude,
Antesys assume la forma del dragone, e vola da una dimensione all’altra,
assicurandosi che i semi dell’ordine, destinati ad avviare la ricomposizione,
non siano disturbati dalle forze che vorrebbero il caos regnare supremo e
incontrollato.
“Qui, su Altro Regno,
Antesys si avvide che Ereba, madre del caos, aveva mano libera. Non c’era
niente che potesse impedirle di distruggere questo Universo, per avviare la
fine del Multiverso.
“Antesys, allora, creò la
specie dei dragoni, per vegliare sulla sicurezza di Altro Regno; e diede loro
la Godstone, imbevuta dello Spirito di Antesys.
“I dragoni sconfissero le
orde di Ereba, e la bandirono da Altro Regno. Ma, passate poche generazioni, i
dragoni iniziarono a litigare fra loro: molti di loro non volevano condividere
questo mondo con altre specie, soprattutto con gli umani, alcuni dei quali si
erano a loro tempo alleati con Ereba.
“Un dragone in particolare,
Koromo del Deserto, guardiano della Godstone, iniziò ad usare la pietra per
seminare il terrore e sterminare chiunque non giurasse fedeltà al nuovo ordine.
“Tutto questo rattristò
molto Antesys. Esso, allora, prese allora la Godstone e cercò qualcuno più
saggio a cui affidarla. Guardò nel cuore di ogni essere vivente, trovandovi
tanti pregi, ma non abbastanza dedizione…Fino a quando non incontrò un lupo
solitario.
“Il lupo era un maschio
bianco come la neve, giovane, forte, nel fiore degli anni. Antesys era
incuriosito da questo lupo che aveva quanto bastava per essere un capobranco ed
invece vagava da solo.
“Antesys divenne una lupa, e
in tale guisa avvicinò il maschio. Essi si corteggiarono e si accoppiarono
sotto le Lune, e solo quando il ventre della lupa fu gonfio di cuccioli, che
lei gli chiese perché lui era ancora senza un branco.
“Il lupo rispose che egli
era fuggito dalle case degli uomini, presso i quali era stato costretto a
servire fin da cucciolo. Era stato un periodo duro. Per quanto lui si
impegnasse, per quante cose facesse anche a costo di sacrificare la propria
vita, gli uomini lo guardavano con disprezzo, lo trattavano come se fosse stato
meno di un oggetto.
“Antesys sentiva l’amarezza
nelle parole; ma insieme ad esse, c’era della nostalgia per quei giorni
passati. Allora, lei gli chiese cosa mai potesse mancargli, di un mondo che lo
aveva così trattato.
“Il lupo rispose che fra
tutti gli uomini che aveva incontrato, uno era puro, con l’anima di un
fratello. Per quel solo fratello, il lupo aveva sopportato una vita dura, ma,
alla fine, era stato proprio quell’uomo a convincerlo di andarsene. Prima di
lasciare l’uomo, però, il lupo fece un giuramento di sangue di aiutarlo quando
fosse stato chiamato, e l’uomo avrebbe fatto lo stesso. Per questo, il lupo
viaggiava senza un branco, senza impegni. Anche se vivere da solo lo avesse
ucciso prima del tempo, egli avrebbe continuato a vigilare sul suo amico.
“Antesys, mosso a
commozione, decise di ricompensare tale amore. E giurò che il primogenito della
sua cucciolata avrebbe incarnato tale devozione. Il primogenito sarebbe stato
il Guardiano del Mondo, uomo e lupo a simbolo di questo patto, e a lui, in
virtù della Godstone, perfino i Dragoni avrebbero giurato devozione.”
“Ecco,
questa è la storia così come ce la tramandiamo, e come se la tramandano i lupi.
Gli umani, tanto per cambiare, hanno dimostrato la solita memoria corta, e per
loro Stargod è ‘un’ dio, quasi una loro proprietà.”
Stargod fece un sospiro, la
sua espressione solenne. <E’ una storia bellissima, Max,> comunicò
mentalmente, unendo le emozioni alle parole <e io non mi sento che all’inizio
di una strada molto difficile, per potere portare un simile manto. Non credevo
che lo Stargod fosse qualcuno così…>
La carezza mentale del
dragone fu come una cascata di acque rivitalizzanti. <Lo Spirito di Antesys
che vive nella Godstone chiama a sé solo chi ne è degno. Non dimenticarlo, come
non dimenticare che non sarai mai da solo.>
A quel punto, il dragone
spiegò le ali, emise un maestoso ruggito, e si lanciò in avanti, verso Kalgarn.
Stargod dovette usare la
telepatia, per essere sicuro di farsi udire a quella velocità. <Proprio non
sai nulla di questi Tok?>
<No, Stargod. Niente. Devono essere alieni, visto che neppure
gli Anziani della nostra specie ne hanno mai fatto menzione.>
Per il resto del viaggio,
l’uomo-lupo elaborò strategie…o, almeno, ci provò, visto che non aveva la
minima idea dell’approccio da effettuare…
Da vicino, appariva evidente
che la ‘collina’ era quello che restava di un vulcano. Infatti, le prime case erano
state ricavate scavando le spesse pareti della struttura. Era come vedere un
villaggio Anazasi e uno medioevale insieme…Ma la cosa più curiosa era vedere
come la densità delle abitazioni fosse, apparentemente, maggiore nell’area
esterna, per andare nettamente a decrescere verso il centro…
Max atterrò nella piazza
centrale, antistante al castello. Lo spazio era sufficiente per almeno tre
dragoni, ed era circondato da statue di marmo. Ogni statua rappresentava un
dragone, ed era scolpita con tale realismo che l’animale sembrava essere sul
punto di spiccare il volo. E a giudicare dai colori e forme delle statue, insieme
a quello che Max gli aveva detto, ognuna rappresentava una razza.
Dovevano essere giunti nel
cuore della notte, visto il comitato d’accoglienza –un carro, dal quale due
uomini stavano scaricando quello che odorava come cibo. E poi, cinque di quei
rettiliani, bipedi, simili all’esemplare della proiezione astrale.
Tre dei rettili erano armati
di lancia, ma non sembravano proprio averne bisogno, così come decorativa
appariva l’armatura che solo parzialmente copriva i loro corpi –corpi enormi,
alti più di due metri, massicci, come se fossero stati modellati su un mondo a
gravità ben più alta di quella terrestre. E le placche che adornavano le loro
teste erano armoniosamente distribuite sul resto dei loro corpi, trasformandoli
in temibili armi naturali. Da sole, le loro code placcate avrebbero potuto facilmente
spezzare un uomo in due. A chiudere il quadro, i rettili erano alati. Anche se ripiegati, quegli arti
parlavano di potenza pura, per potere sollevare una simile massa.
Gli altri due rettili
indossavano ampie tonache scure di materiale imbottito simile a cuoio, come in
una negazione della propria possanza. Una negazione che, apparentemente, si era
estesa alle ali, visto che non ne appariva traccia. L’unico adornamento
concesso era una stretta cintura con una fibbia enorme, forgiata come un drago
ad ali spiegate. Inoltre, a differenza dei soldati, le cui creste erano di un
unico colore bianco, quelle dei rettili tonacati erano una argentea e l’altra
azzurra.
I due rettili in tonaca si
fecero avanti, le mani giunte nelle grandi maniche. Giunti a pochi metri dal
Max e Stargod, fecero un inchino all’unisono. Poi, uno di loro, quello con la
cresta azzurra disse, “Benvenuto, a Kalgarn, possente fratello. Sei forse
venuto in cerca di conforto spirituale?”
Max e Stargod si scambiarono
un’occhiata di traverso. Poi fu Stargod a parlare. “Per ora, siamo qui in cerca
di risposte. Possiamo…”
Il tono di voce di uno
dell’altro prete si fece sentire come una barriera di ghiaccio. “Mammifero,
sarà il dragone a parlare per primo, come vuole la regola.”
Max brontolò
minacciosamente. “Devo ricordarti che lui è lo Stargod, alieno? Se lui
fa una domanda, voi gli risponderete.”
‘Cresta azzurra’, che ora i
due riconoscevano come quello della proiezione astrale, scosse la testa, come
un maestro di fronte all’allievo indisciplinato. “Possente fratello, non esiste
alcun dio al di fuori di Antesys. Tutti gli altri cosiddetti ‘dei’ non sono che
pallida luce riflessa, non certo degni di fedeltà o adorazione.”
Stargod fece un passo
avanti. Di fronte a un uomo, egli era certamente una figura possente, regale…Ma
diventava così inerte, di fronte a
questi alieni…
Pure, John Jameson riuscì a
guardare il sacerdote dritto negli occhi, mentre gli diceva, “Io sono lo
Stargod, sono il guardiano di Altro Regno, e designato di Antesys. E’ il Suo
spirito che mi dà il potere, non importa quello che voi pensate, alieni. E ora
ditemi, chi siete e da dove venite!”
Questo
li prese di sorpresa. Addirittura, i preti fecero un passo indietro,
socchiudendo gli occhi. “Eresia,” disse cresta d’argento. Fece un cenno
impercettibile, e i tre soldati si fecero avanti, brandendo le lance. Purtroppo,
queste creature sapevano muoversi con notevole scioltezza.
Cresta azzurra levò una
mano, e i soldati si fermarono. “Basta così. E’ evidente che la mente di questo
autoproclamato ‘dio’ e del suo compagno sono avvolte dalle nebbie
dell’ignoranza. Fratello Shiama,
perdonali e lascia che vengano edotti alla verità.”
Osservando l’alterco, e poi
il secondo sacerdote ed i soldati fare un inchino, Stargod capì che la
colorazione della cresta doveva avere a che fare con il rango.
Intanto, gli uomini avevano
deposto l’intero contenuto del carro ai piedi di Max, che già stava leccandosi
le labbra.
Stargod non poteva non
vedere i grossi collari indossati dagli umani. Non solo, il loro atteggiamento
schivo, silenzioso, il portamento curvo –tutto parlava della sottomissione
degli schiavi.
Pure, proprio prima di
voltarsi per tornare sul carro, il più anziano dei due schiavi incontrò lo
sguardo del suo dio.
Stargod avvertì quella speranza come una presenza
fisica…e nel proprio cuore si accese la rovente brace della disperazione, per
non potere fare niente adesso, per avere causato tutto questo con la sua
maledetta reticenza!
Stargod inghiottì la rabbia,
e decise di stare al gioco…per ora. A differenza di Tyrk, queste creature non
immaginavano nemmeno che potesse esistere
una Godstone –o, almeno, ne sottovalutavano gravemente il potere…
“Seguimi, mammifero,” disse
cresta azzurra. “A proposito, io sono il Fratello
Superiore Misadzi.”
Potevano essere arroganti, questi
Tok, ma stupidi non erano –non Misadzi, almeno. Stargod si era aspettato di
essere portato nel castello –una buona occasione per saggiare il numero di
soldati e sacerdoti, e un’occasione ancora migliore per fare vedere agli
schiavi di essere tornato…
Invece, avrebbe dovuto fare
affidamento solo sul rapporto di quei due schiavi. Di sicuro, appariva peggio
di quando era Tyrk, ad essere al potere: sotto quell’uomo, la ribellione era
aperta, e la vista del loro protettore era sufficiente a indurre grida di
adorazione. ..
“Volevi sapere chi siamo e
da dove veniamo, dunque,” disse Misadzi, riportandolo di colpo alla realtà del
giardino coltivato a robusti rampicanti, ognuno in forme finemente elaborate e
odorose dei fiori a metà fra la rosa e il geranio che le costellavano.
Misadzi guardò verso il
cielo. “Un tempo, eravamo i fieri dominatori del mondo che ci aveva
generato…fino a quando non arrivò un nemico più potente di noi. Ci spazzarono
via senza preavviso, senza ragione. I pochi sopravvissuti che riuscirono a
fuggire poterono solo osservare il loro prospero pianeta diventare melma ardente…
“Ma se il loro intento era
la nostra estinzione, ci avevano sottovalutato: noi Tok siamo nati e vissuti in
condizioni che solo una specie superiore può trovare favorevoli; non ci
arrendiamo mai.
“Abbiamo vagabondato per
molto tempo, prima di trovare questo mondo così ricco di mana, e così scarso di difese. Quando siamo arrivati, i mammiferi
umani erano impegnati in una delle loro stupide guerre intestine. Sottometterli
è stato fin troppo facile.”
“Perché sottometterli?”
chiese Stargod. “Altro Regno ha risorse e spazio più che sufficienti per una
convivenza pacifica…”
Di nuovo quello scuotere di
testa. “Convivenza con i mammiferi…Come se fossero nostri pari?” Misadzi si fermò,
e guardò Stargod con una espressione divertita. “I rettili sono il culmine
dell’evoluzione, il risultato di miliardi di anni di lavoro iniziato con
l’esplosione della prima supernova in prossimità di una nube di polveri.
“I mammiferi sono solo un incidente
di percorso, evoluzione di parassiti favoriti dalla cinica mano di Ereba –per
questo così inclini a favorire i propri interessi al di sopra dello schema
delle cose.
“E’ solo naturale che questi succhiatori di uova
fungano da anello inferiore nella catena sociale e alimentare. Proprio come è
sempre stato inteso. Altrimenti, sarebbe stato il contrario.”
Le parole arrivavano al
cervello, Stargod ne afferrava ogni macabra implicazione…Dio, questi esseri
erano infinitamente più pericolosi di
Tyrk…perché…allora…
…tutto questo gli sembrava
avvolto come da un velo di cotone? Cosa gli stava….
Stargod non terminò neppure
il pensiero: La sua mente divenne un abisso vuoto, mentre i sensi lo
abbandonavano. Non si accorse neppure di cadere pesantemente in ginocchio, e
poi in avanti.
Misadzi si chinò su di lui,
a sentire la carotide. Non fu sorpreso di trovarvi una debolissima pulsazione.
Annuì, e si rialzò in piedi…Sì, questo sedicente ‘dio’, come aveva immaginato,
era alieno quanto i Tok. Se fosse stato di Altro Regno, avrebbe riconosciuto
subito i letali Fiori di Writha, il
cui aroma uccideva in pochi minuti qualunque mammifero nativo –ma non i Tok, o
ogni alieno geneticamente incompatibile.
Misadzi fece un cenno, e due
soldati accorsero al suo fianco. “Portatelo al laboratorio,” comandò il
Fratello Superiore.
Guardando l’uomo-lupo
portato via fra le braccia dei soldati, Misadzi considerò la validità di quel
trofeo: eretico o no, la sua gemma conteneva un grande potere, se davvero era imbevuta dello Spirito di
Antesys. Una volta separata dal suo proprietario in tutta sicurezza, l’eretico
avrebbe costituito ottimo materiale di studio per la Gilda Scientifica…E la sua
pelliccia, comunque, avrebbe costituito un ottimo dono per il Sovrano!
Misadzi sfiorò con un
artiglio un elaborato bracciale nascosto sotto la manica. “Come sta il nostro
possente fratello?” chiese.
Un piccolo ologramma della
figura intera di Shiama si manifestò dal bracciale. “Dorme come un pulcino.
Mentre mangiava, non si è minimamente accorto dell’incantesimo del sonno che ho
imposto su di lui…Vuoi essere tu, a rieducarlo?”
Misadzi annuì. “Sarà una
sfida interessante. Nonostante la fede che condividiamo, sono esseri
curiosamente elusivi e su cui non sappiamo ancora abbastanza.”
Episodio 3 - Prima battaglia
per la liberazione!
Anni prima, il pianeta di
Altro Regno era stato dominato dal pugno di ferro di Arisen Tyrk. Il suo dominio, ottenuto combinando le arti arcane più
oscure e la tecnologia della distruzione, lo aveva trasformato in un anti-dio,
un essere per il quale la pietà era la prima delle debolezze.
Ciononostante, ironicamente,
Arisen Tyrk era ancora un essere umano. Il suo sogno era il potere, e la sua
crudeltà, per quanto capace di variazioni inimmaginabili, non era estesa a chi
gli dava assoluta obbedienza.
Ma, per parafrasare un
vecchio detto, ‘tutto il potere del re’ non lo salvò dalla furia vendicativa
del vero dio di Altro Regno. Stargod.
Tyrk fu sconfitto, e dovette
abbandonare i suoi piani per Altro Regno. Il mondo godette di una meritata
pace, anche se il dio non era rimasto a vegliare su loro.
Purtroppo.
Mentre Stargod, ovvero John Jameson, cercava una direzione per
la propria vita, altri occhi avevano puntato Altro Regno.
Gli occhi dei Tok. Una specie rettiliana, evolutasi su
un mondo a gravità doppia rispetto a quella terrestre, i guerrieri perfetti e
tecnologicamente avanzati, tanto determinati quanto spietati. Tyrk era crudele.
I Tok, più semplicemente, credono che ogni altra specie di mammiferi, dai topi
agli uomini, sia semplicemente preda, al massimo un fastidio di cui
sbarazzarsi.
Altro Regno, nonostante
molti dei suoi abitanti fossero tutt’altro che guerrieri inetti, e che alla
tecnologia compensavano con la magia,
fu invaso e conquistato quasi senza colpo ferire –dove il solo sangue che corse
fu quello, a fiumi, dei difensori del loro mondo.
Uomini e donne si erano
arresi. I maghi si erano nascosti, così come i potenti dragoni, che insieme agli umani erano la specie più potente di
Altro Regno. I Tok credevano di avere vinto, di avere sottomesso una specie con
ambizioni di civiltà.
Si sbagliavano. Altro Regno
non si era arreso. Aveva effettuato l’equivalente di una ritirata strategica, deciso a sopportare le umiliazioni a venire,
mentre attendeva il ritorno del suo protettore. La fede era diventata la sola difesa.
E, finalmente,
l’incarnazione di quella fede era tornata.
E non da sola.
Nel sistema gerarchico della
rettiliana razza dei Tok, le Guide
Spirituali, ovvero la casta sacerdotale, rappresentavano lo strato
intermedio fra i cittadini-soldato e la Stirpe
Reale. Esperimenti genetici, combinati con un’immissione casuale dei geni
alterati nella III casta, generavano rettiliani forti e robusti quanto i
soldati, dotati anche delle placche corporee, ma privi di ali, coda e artigli,
a sottolineare che la vera potenza della II casta era lo spirito, non la mera
carne, e che il neonato sacerdote era un predestinato. Le Guide parlavano con
gli Dei, e solo i loro consigli potevano guidare, se ascoltati, alla vittoria.
Quando un sacerdote,
soprattutto un Fratello Superiore,
prendeva in mano una situazione, il minimo che ci si potesse aspettare era il
successo…se gli Dei lo volevano.
Amari erano i pensieri del
Fratello Superiore Misadzi, mentre
procedeva lungo il corridoio. Apparentemente, gli Dei non volevano concedergli
i frutti della sua più recente acquisizione…Un diniego seccante, non solo per
la forza della sua fede, ma anche per la potenziale perdita di dati. Le Guide
erano depositari di tutta la cultura dei Tok, nessuna branca esclusa.
L’ignoranza era tabù come l’eresia.
Misadzi giunse davanti a una
porta, su cui era raffigurato un elegante tok soldato ad ali spiegate,
nell’atto di spiccare il volo, che in una mano artigliata teneva un globo
terracqueo, e nell’altra una spada fiammeggiante –‘la forza della conoscenza’,
il simbolo della Gilda delle Scienze.
La porta si aprì.
L’oggetto dei pensieri di
Misadzi, la favolosa Godstone, si
trovava al centro del laboratorio, immerso in un campo di stasi, ben fissato
alla gola del suo proprietario, un uomo-lupo
dalla pelliccia bianca come la neve. La creatura indossava un’armatura
smeraldina e oro, e anche se immobile nel campo, e privo del suo corredo di
armi –spada, pugnale, arco, alabarda, che giacevano su un tavolo separato nella
stessa stanza- rappresentava ancora una vista maestosa.
“Stargod,” disse Misadzi
alla creatura, tenendo le potenti braccia dentro le voluminose maniche della
sua veste talare. “Misero mammifero con ambizioni divine, sei fortunato a
essere protetto da un così singolare gioiello…Ricercatore Ephyrus, ancora nessun progresso?”
Una cosa si doveva dire, di
questi alieni sbarcati su Altro Regno dopo la distruzione del loro mondo: anche
i rappresentanti della categoria più mite fra loro avrebbero potuto spezzare un
orso in due. Lo scienziato smise di studiare una serie di ologrammi, ognuno
dedicato a una biometria dell’uomo-lupo. Gli altri ricercatori presenti
sarebbero rimasti rigorosamente in disparte, fino a quando non direttamente
interpellati.
“Mi dispiace, Fratello
Superiore,” disse Ephyrus. In quanto non-sacerdote, non aveva bisogno di abiti,
se non di elaborate pitture corporali ad indicare il suo rango. Ephyrus indicò
con un artiglio gli ologrammi. Fra di essi spiccava uno a grandezza naturale:
mostrava un sistema nervoso supplementare,
avvolto come i rami di un vigneto per tutto il corpo di Stargod. Un sistema
nervoso che aveva il suo cuore nella Godstone!
“Come puoi vedere, Fratello
Superiore, questa pietra agisce come una entità a sé stante. Per questo, non
siamo riusciti a fare di più di rimuovere le armi dell’essere. Ogni volta che
tentiamo di separarla dal mammifero, o anche solo di prelevare campioni del
mammifero, un campo di forza ce lo impedisce.”
Misadzi strinse gli occhi.
Milioni di anni di evoluzione non erano riusciti a sopprimere la tendenza del
corpo a rivelare gli stati d’animo nella colorazione degli occhi. Gli occhi di
Misadzi, normalmente ambrati, erano di un rosso pallido, segno di collera
controllata. “Invulnerabile o no, il mammifero respira come chiunque; infatti,
è stato ridotto all’impotenza con i Fiori
di Thriwa. Gassalo: se il mammifero muore, Ricercatore, la gemma dovrebbe
staccarsi spontaneamente. E’ una ipotesi troppo azzardata per un umile orecchio
degli Dei quale sono?”
Sorprendentemente, Ephyrus
emise un basso sibilo di oltraggio, gli occhi dello stesso colore di quelli di
Misadzi. Se c’era una cosa che il Ricercatore non tollerava, era di essere
trattato da incapace. I suoi occhi passarono a una tinta azzurrina, espressione
di ironia, mentre a un suo digitare un ologramma mostrò un ingrandimento di
milioni di volte di un braccio dell’uomo-lupo. “Guarda qual’è il vero problema, Fratello.”
Misadzi lo fece, non
aspettandosi niente di sensazionale...e quasi gli occhi gli divennero neri dal
terrore! “Sacro Antesys..!”
Attaccati alle
‘terminazioni’ della Godstone, praticamente invisibili a qualunque strumento
che non fosse un potente microscopio elettronico, c’erano dei naniti. Erano pochi, e irregolarmente
sparpagliati lungo le ‘terminazioni’, come innocui acari su un materasso grande
quanto una piazza…Ma c’erano, e attraverso l’ologramma ognuno di essi
occhieggiava con una sinistra luce pulsante.
Misadzi riprese il
controllo, a stento. “Questo…mostro
porta dentro di sé la tecnologia Proibita!”
Ephyrus disse, “Capisci
perché non voglio ucciderlo, Fratello Superiore? Non conosco la natura o la
funzione di questi componenti. per quanto ne sappiamo, la morte del mammifero
potrebbe attivarli…”
Non c’era bisogno di
aggiungere altro. Entrambi…no, qualunque
specie abbastanza avanzata degna di tale definizione conosceva i rischi della
tecnologia Proibita. “Ci sono stati segni di incremento di attività, da quando
hai cominciato ad analizzarlo?”
Ephyrus emise un sibilo di
diniego. “Attività costante. Sembra che si limitino a questa…convivenza con la
pietra.”
Misadzi annuì, poi si
diresse a un intercom. Disse, “Centrale. Iniziare Fase 1 del Confinamento.”
Poi, a Ephyrus, “Continua a tenerlo in stasi. Che non lasci la torre per nessuna ragione.” E lasciò la stanza in
un frusciare di abito talare.
La torre di vetro e metallo,
che fungeva da quartier generale locale degli alieni, si ergeva accanto al
castello che occupava il centro della città di Kalgarn, edificata all’interno
di un cratere vulcanico estinto.
Al comando di Misadzi,
dall’antenna in cima alla torre si sviluppò una corona di raggi, ognuno diretto
verso una delle antenne riceventi poste ai bordi del cratere.
In pochi secondi, la cima tronca
del cratere fu riempita da un impenetrabile ovale di energia. Gli allarmi
iniziarono a risuonare per tutto il cratere.
Una volta in corridoio,
lontano da orecchie indiscrete, rigorosamente schermato dalla propria
disciplina mentale, Misadzi elaborò possibili soluzioni al problema. Non
ultima, convincere il mammifero a liberarsi dei naniti spontaneamente…
Misadzi scosse la cresta:
inutile, sciocchezze simili erano indegne di un rettile del suo rango. Solo una cosa poteva purificare Altro Regno
dal male. Anche se ciò avesse significato il proprio sacrificio.
Improvvisamente, una tinta
rosata accese gli occhi di Misadzi. Ma certo! Quell’insolito…compagno del
mammifero! Forse avrebbe potuto aiutarlo!
Un dragone rappresenta senza
dubbio una vista maestosa.
25 metri di muscoli e
scaglie, decorati da un paio di ali uncinate solide come quelle di un aereo,
una coda più sinuosa di quella di un serpente, in un insieme armonioso e
potente.
Impressione valida
nonostante il drago in questione era solidamente incatenato al suolo,
all’interno di un hangar più che adatto a contenerlo.
Misadzi entrò nell’hangar in
cima alla torre, e il dragone, un esemplare dalle scaglie blu, proprie della
razza che cavalcava le tempeste, tese istintivamente i muscoli per saltargli addosso...e
il ruggito di rabbia si trasformò prontamente in un assordante verso di dolore
comunque capace di fare tremare l’etere.
Misadzi si rivolse all’altro
sacerdote, un maschio con una cresta d’argento. “Allora, Fratello Shiama, mi pare di capire che non ci sono progressi?”
Shiama aveva gli occhi del
colore bruno dell’imbarazzo e tendenti al nero. “Lo potrai sentire tu stesso.
Ma la cosa più incredibile è che la sua forza sembra inesauribile: per quante
volte le catene abbiano rivoltato il suo potere contro di lui, non smette i
suoi tentativi di liberarsi…Fratello, perché hai attivato il contenimento?”
Misadzi sibilò un sospiro.
Sembrava deluso, anche se non era abbastanza stupido da non tenersi a una
distanza di sicurezza. “Davvero, o potente: ancora non riesci ad accettare di
esserti sbagliato?”
Il drago riaprì gli occhi,
che non avevano perso niente dell’ira assassina che provava da quando si era
risvegliato. “Tu sei l’eretico, tu e
tutta la tua specie,” disse Max, sibilando archi voltaici. “Stargod è il solo
dio e protettore di Altro Regno! Come osate tenerlo prigioniero?!”
Gli occhi di Misadzi si
colorarono di rosso. “Più offensivo di un mammifero blasfemo, c’è solo una
creatura del tuo rango che lo segue come un pulcino appena uscito dal
guscio...Ma non sono qui per cercare di riconvertirti, o potente. Ho bisogno di
sapere come possiamo liberarci della tecnologia Proibita che infesta il
tuo...’Stargod’; e devo saperlo ora.”
Improvvisamente,
l’espressione di Max si fece incuriosita. “La tecno-cosa?” Shiama, emise
un’esclamazione di orrore, ma restò ignorato.
Rosso più acceso. Voce
glaciale. “Non mi prendere in giro. Dici di conoscerlo, ma non sai della peste che porta con sé? Come possiamo
liberarcene?”
Max emise un sorriso pieno
di zanne e di elettroni danzanti. “Oh, così i prodi Tok, grandi guerrieri e
saggi depositari di conoscenza non sanno come risolvere un piccolo problema
come una malattia? E perché un blasfemo come me dovrebbe aiutarvi?”
Misadzi non raccolse. “Per
due ragioni. Primo, dentro di te sai
di essere stato ingannato, e che questa è la tua migliore opportunità di
redenzione. Secondo, ogni momento che sprechi con il rifiuto ti avvicina
all’immolazione; il mondo che tanto ami potrebbe essere distrutto.”
Per qualche ragione, sulla
seconda frase pronunciata dal sacerdote, Max avvertì come un senso di
premonizione. “Immolazione?”
Misadzi annuì, gli occhi
meno accesi. “La peste del mammifero è una minaccia reale. Se non ci offri una
soluzione per sbarazzarcene e subito, tutti quelli che ne sono venuti a
contatto, incluso te, dovranno essere immolati. Io sono pronto a morire, se
tale è la volontà di Antesys, ma tu sei disposto a morire per un falso dio?”
Shiama approfittò di quel
momento per mettersi di fronte al Fratello Superiore. “Misadzi, no! Non
possiamo agire sconsideratamente. Dobbiamo prima sapere se quel mammifero
maledetto è venuto in contatto con altri esseri viventi, dove e quando! Se
anche ci immolassimo ora, come potrebbe la nostra gente impedire un’altra
catastrofe?!”
Misadzi sembrò considerare
quelle parole. Non poteva, purtroppo, ammettere apertamente di avere sbagliato
a considerare subito l’immolazione, ma sapeva che gli Dei lo avrebbero
perdonato: aveva esclusivamente pensato nell’interesse dei Tok.
Poi, i due rettiliani
guardarono il dragone. “Hai un’ultima possibilità di parlare da solo, o
potente,” disse Misadzi, sinceramente dispiaciuto. “O parli ora, o estrarremo
le informazioni direttamente dalla tua mente: e può essere estremamente...spiacevole.”
Per contro, Shiama non sembrava affatto dispiaciuto da tale prospettiva.
Max decise di togliergli il
privilegio di assistere allo spettacolo. Come già dolorosamente constatato, non
poteva neppure usare i suoi poteri...Ma se poteva muovere la lingua per
parlare, poteva usarla per fare qualcos’altro.
I sacerdoti videro il
dragone spalancare la colossale bocca...Così come videro anche la lingua
forcuta, spessa come un cavo dell’alta tensione, saettare verso di loro! Shiama
si ritrovò avvolto da due giri dell’organo prima che potesse solo esclamare il
suo stupore...Poi, fu scaraventato verso il muro!
Sfortunatamente, si salvò
solo perché Max, ignorandolo, aveva sottovalutato la forza da utilizzare.
Schiavi umani corsero ad
aiutare il rettiliano. Misadzi osservò la scena con visibile disprezzo, prima
di rivolgersi al dragone. “Capisco,” disse solamente, prima di allontanarsi.
“Fratello Shiama, seguimi.” Capiva che non c’erano speranze: se Stargod era
riuscito a plagiare un dragone con tanta efficacia, doveva esso stesso possedere
una volontà ferrea. Doveva riconoscerlo. Abbastanza da usare i naniti, se
risvegliato.
Avrebbe immediatamente
informato la Casta Reale. Loro avrebbero risolto un possibile sviluppo…globale
del contagio. Poi, avrebbe dato via all’immolazione.
Pochi minuti dopo, le porte
dell’hangar si chiusero. Max rimase solo…e improvvisamente calmo. E sorridente.
Lo schiavo, un uomo rasato
di ogni singolo pelo, anonimo, ben tenuto in salute ma non irrobustito da
esercizio fisico e con un grosso collare neurale, (ogni tanto ne saltava su uno
stolto abbastanza da dimenticarsi chi erano i loro legittimi padroni) entrò nel
laboratorio, ed Ephyrus interruppe il suo lavoro. Il rettiliano indicò il
mucchio delle armi, ordinatamente disposte su un carrello a repulsione.
“Portale al Ponte A-9. E che non ti cadano: sono per le Loro Maestà.” Dovette
fare uno sforzo per trattenere la lingua, che voleva saettare ad assaporare
l’aroma di quel…bocconcino.
Immolazione imminente o no, aveva fame -e forse si sarebbe concesso proprio
quell’esemplare, a cena!
Lo schiavo si avvicinò ad
Ephyrus, invece.
Il Ricercatore tornò ad
indicare le armi. Tipico! I più sottomessi sembravano capaci di connettere con
la stessa prontezza dei loro erbivori domestici! “Non è difficile, mammifero. Prendi
le urrk!”
Non aveva neppure visto la
mano scattare alla sua gola! L’altezza media di un Tok era di due metri; ciò,
unito alla loro normale massa muscolare e corazzatura, li rendeva pressoché
invulnerabili a armi meno efficaci di quelle da fuoco.
Eppure, un essere umano che
non avrebbe neppure potuto sostenere una rissa da strada, stava sollevando il rettile, il volto una
maschera di impassibilità nonostante il tremito nei muscoli sotto sforzo.
Uno degli scienziati non
perse tempo: saltò fra Ephyrus e lo schiavo impazzito, e colpì l’uomo alla
gola, esponendo la carne fino alle vertebre e inondando di rosso il muso di
Ephyrus, che inutilmente affondava gli artigli nella carne del braccio.
L’uomo sembrò finalmente
riprendersi dallo stato di trance, e cercò di arginare la fontana vermiglia. E
usò tutte e due le mani, per quanto inutilmente, mentre crollava a terra.
Ma la presa sul collo di
Ephyrus non fu lasciata. Con suo orrore, il Ricercatore vide un secondo corpo, prima evanescente, poi
sempre più solido, emergere dallo schiavo morto.
Il processo fu terminato, e
al posto dell’uomo c’era una nuova figura umanoide, più alta e robusta dello
schiavo, fatta di carne bruciante di energia, là dove non era coperta da
un’armatura bianca.
Nel suo ultimo istante di vita,
Ephyrus dovette ammettere di essere affascinato da quella misteriosa
entità…Poi, una torsione secca del polso spezzò il suo collo.
A quel punto, divisi fra
l’istinto di uccidere il profanatore, e ritirarsi prudentemente, gli altri
ricercatori scelsero la seconda.
Lo straniero puntò lo
sguardo verso la sfera che conteneva Stargod. La zona della piastra facciale
all’altezza dell’occhio brillò, prima di emettere un abbagliante colpo di
energia!
La sfera andò in frantumi;
Stargod sarebbe rovinato per terra, non fosse stato per una mano guantata di
metallo a sorreggerlo. “C-chi…” debole, era così debole. Guardava il suo
salvatore senza riuscire a mettere a fuoco. La lingua gli penzolava da un lato
della mandibola.
“Noi siamo Avatar,” disse lo straniero, la sua voce
priva di inflessioni come quella di Visione. “Siamo qui per essere il tuo
appoggio. Seguici.”
L’uomo-lupo stava
riacquistando rapidamente i sensi. Si accorse per prima cosa che questo
‘Avatar’ non aveva odore. Poi riuscì a mettere a fuoco le armi, a portata di
mano.
Stargod, ormai ripresosi
completamente, si infilò le armi. “Chiunque tu sia, ti devo non poco. C’è
qualcun altro con te?”
“Quattro unità: Seminatore
di Morte, Diablo, Iron Monger, Grigar. Si occuperanno delle infrastrutture
esterne. Il dragone penserà alle forze armate. Tu devi liberare la locale
famiglia reale.”
Avatar fece per
incamminarsi, ma fu fermato da una potente presa artigliata, direttamente sulla
carne esposta –un contatto che avrebbe dovuto cauterizzare la mano coperta di
pelliccia, che invece rimase indenne. “Giochiamo prima alle spiegazioni,
sintezoide. Che cosa sta succedendo?”
Fu allora, che si accorsero
non solo di essere circondati, ma di ritrovarsi addosso una raggiera di armi
che avrebbero potuto demolire interi isolati di NY.
“Comprendiamo la situazione,
Fratello Superiore. Hai il nostro permesso di immolare Kalgarn per salvare il
nostro dominio.”
Nella sua camera, Misadzi
stava in piedi davanti a un grande monitor, che rendeva la figura dall’altra
parte del vetro ancora più imponenti. Il
Principe Ssylak era, come ogni Reale,
l’incarnazione della perfezione Tok: il fisico perfetto, armonioso, 3 metri di
potenza decorata dalle più raffinate pitture corporali, e una mente disciplinata
a livelli quasi divini…
“Ma non approviamo l’idea di
immolare questo singolare mammifero,” aggiunse Ssylak, causando un brivido
sotto le scaglie del sacerdote. “Portalo a noi, di modo da potere esplorare la
sua mente, e sapere tutto di lui e del suo rapporto con la tecnologia
Proibita.”
Misadzi era disciplinato
all’obbedienza ai Regali fin da prima della schiusa, e non poteva permettersi
neppure di pensare di obiettare. Chinò mestamente la testa, mentre il monitor
si spegneva.
In quel momento, nuovi
allarmi scossero l’etere. Misadzi, superato il moto di sorpresa, ebbe giusto il
tempo di allungare una mano a chiamare Ephyrus, prima che l’arto suddetto
venisse afferrato da una mano guantata di nero!
Il sacerdote voltò la
testa…ed incontrò un paio di occhi gialli senza pupille, malevoli, incassati in
un’ombra nera chiusa fra un cappellaccio nero e l’alto colletto nero di un
mantello d’ebano.
“E’ stato un piacere
conoscerla, Fratello Superiore,” disse il Seminatore
di Morte. Poi, l’intero corpo del Tok fu travolto dalle energie del bioscrambler del suo nemico! Misadzi
spalancò la bocca, si irrigidì, ma il suo corpo aveva smesso di rispondere,
ogni cellula impazzita, gli organi collassati, il suo cervello distrutto a livello
sinaptico.
In altre parole, morto.
Lo spettacolo sarebbe stato
alquanto curioso, ad un osservatore umano. Ovunque andasse l’occhio, si
vedevano i massicci soldati Tok correre in varie direzioni, arma in pugno, in
un silenzio surreale, rotto solo dal pesante rumore dei passi –sembravano tanti
droni programmati da un invisibile direttore d’orchestra.
Il direttore era inaudibile. La cacofonia di allarmi ed
istruzioni era trasmessa su frequenze ultrasoniche. E i rettili rispondevano
con confusione solo apparente, in realtà ognuno diretto a una specifica
posizione, in un impressionante concerto di disciplina...
Naturalmente, qualcuno
finiva sempre per steccare.
In questo caso, la stecca fu
bene udibile e visibile: una tremenda esplosione,
che sventrò il livello dove, fino a un attimo prima, era ospitato il
laboratorio di Ephyrus!
“Efficace manifestazione di
indirizzamento multidirezionale controllato di energia,” disse Avatar, il
mantello bianco agitato dalla corrente.
Gli occhi di Stargod
brillavano della scarlatta energia appena liberata. Intorno a loro, i soldati
Tok che non erano stati vaporizzati dall’esplosione giacevano scompostamente in
un cumulo di detriti roventi. “Non mi lamento, Avatar. E adesso dimmi cosa ci
fanno dei supercriminali qui, o farai
la stessa fine di questi…”
“Tempo insufficiente per
spiegazioni soddisfacenti. Al momento, ti basti sapere che c’è una convergenza
di interessi su basi personali. La nostra affidabilità come insieme è alta.”
Stargod cercò di scrutare in
quel mezzo volto assolutamente freddo. Lui era anche un telepate, ma come
fidarsi di processi elettronici che avrebbero potuto essere preinstallati,
dandogli risposte ingannevoli?
Il dio lupino si avvicinò al
bordo dello squarcio. Di sotto, il castello era grande come un modellino.
Stargod lanciò un ultimo sguardo di avvertimento ad Avatar, e si lanciò.
In quanto ex pilota USAF, ex
astronauta, con lanci paracadutistici al limite delle possibilità umane, John
Jameson delle altezze se la rideva…Ma dovette soffocare un ululato di
esaltazione, alla sensazione di volare,
come una foglia senza peso!
E la tristezza si insinuò
nei suoi pensieri. “Sashiel…”
mormorò. Sashiel la guerriera dai capelli di fuoco, che fu fra i primi ad
accoglierla su Altro Regno, quando lui ebbe attraversato il portale sulla Luna.
Sashiel, che, anche se non convinta della nuova incarnazione del suo dio, aveva
per lui combattuto valorosamente…invocandolo di proteggerla mentre la
uccidevano!
Se lui è un dio, dove sono i suoi poteri? Perché non stiamo volando?
Il muso dell’uomo-lupo si
contrasse nella familiare espressione aggressiva, a fauci spalancate. Vorrei che mi vedessi ora, Sashiel.
Combatterò anche per te, come avrei dovuto fare allora!
Ora sulla verticale del
castello, Stargod concentrò la sua vista sulla struttura. Era meraviglioso:
senza i maledetti blocchi mentali che lui stesso si era imposto in tutto quel
tempo, usare la Godstone veniva naturale come respirare! Fu un attimo, e i suoi
occhi videro attraverso la pietra come fosse stata vetro.
E seppe dove colpire.
Sapevano bene dove colpire,
gli altri due elementi dello strano gruppo creato dal Seminatore di Morte.
I Tok erano stati sorpresi
con i proverbiali calzoni abbassati. In un contesto in cui il massimo della
ribellione era un’occasionale testa calda armata di un’arma da taglio o arco e
frecce, come potevano aspettarsi di essere attaccati da ‘mammiferi inferiori’
dotati di simili mezzi?!
Anche se uno di questi
mammiferi, di organico non aveva nulla, all’apparenza: era una imponente
figura, degna di rivaleggiare con un Tok in un corpo a corpo, rivestita di
un’armatura color blu-cobalto. Un’armatura che stava seminando distruzione a
man bassa! Dai palmi della mani di Iron
Monger partivano bordate di energia che scavavano solchi nel terreno, quasi
tagliavano in due ogni Tok preso nel mirino. Inutile ogni tentativo di abbattere
il maledetto con le armi: l’armatura assorbiva l’energia come una spugna con
l’acqua, per poi rispedirla al mittente.
In un altro quartiere della
città, non andava meglio: qui, non era tanto il mammifero in sé, un uomo che
avresti qualificato come ‘insignificante’ a una prima occhiata. Un tipo al
limite del segaligno, con la faccia affilata, ma le cui deficienze fisiche
erano ampiamente compensate,
dall’allucinante mostro al suo comando, una creatura
dall’informe corpo fatto di pietra e detriti, e zampe ragnesche capaci di
falciare i soldati Tok come grano.
A Diablo non pareva vero, di potere sfogare il suo potere senza alcun
intervento di qualche impiccione!
Due soldati sopra di lui. Il
sorriso di Diablo si accentuò: incredibile come questi alieni fossero così
arroganti da credere il signore
dell’alchimia un bersaglio indifeso!
Difatti, i soldati non
ebbero neppure il tempo di tirare il grilletto, che furono letteralmente
avvolti da una nube, e trasformati in statue di sale!
La differenza fra la
dedizione e la personale sopravvivenza spesso giace nel tempo. Poco importava,
quali terribili prove gli antenati potessero avere sopportato; col passare di
intere generazioni, la disciplina e gli insegnamenti erano tutto ciò che restava.
E immolarsi per salvare la specie diventava un credo altamente contraddittorio
con i propri istinti.
Fratello Shiama incarnava
tale condizione. Quell’appello a Misadzi era stata una pensata del momento, ma
senza la cooperazione del mammifero infestato, l’immolazione era solo rinviata,
non scongiurata!
Il rettiliano stava fissando
i reali di Kalgarn, al centro del salone delle udienze. I soldati che avevano
tentato di difenderla giacevano al suolo, morti con le loro inutili lance e
spade in mano, folgorati dall’arma in pugno a Shiama.
E pure in un simile
frangente, Re Diomacus trovava il
coraggio di guardare il sacerdote negli occhi con l’aria di chi una battaglia
la stesse vincendo. “Usarci come ostaggi non servirà a nulla, alieno. Tyrk in
persona aveva la sua spada sulla gola dell’amata dello Stargod, e perse.”
Shiama fece spallucce. “Per
uccidervi c’è tempo. L’importante, per ora, è persuadere il vostro maledetto
non-dio ad arrendersi e farsi rimuovere…” Non finì la frase, anzi non ne
avrebbe mai più pronunciate: un torrente di energia lo investì dall’alto,
atomizzandolo!
E lui era lì, sospeso a mezz’aria, appena al di sotto dello squarcio
nel soffitto, in tutta la sua gloria scintillante di smeraldo, oro e alabastro.
“Vostre Maestà, state bene?”
I due umani caddero in
ginocchio, le braccia spalancate, come i suoi amici fecero tanto tempo prima.
“Sapevamo che saresti tornato, Stargod,” disse la Regina, finalmente sollevando
lo sguardo. Uno sguardo in cui le lacrime non erano solo di sollievo, ma di
grande dolore.
Il sovrano si alzò in piedi.
“Anche i tuoi compagni si stanno dimostrando degni, salvatore. Stanno
abbattendo Tok come fossero insetti sotto la zampa di un dragone.”
John fece fatica a mantenere
l’espressione neutra –maledizione! Non era certo quello, il momento di
sconfessare pubblicamente i suoi ‘alleati’…
Il rombo inconfondibile di
aerei lo distrasse dai suoi pensieri. Voltò lo sguardo: dalla cima della torre,
dall’anello che la circondava, per la precisione, stava emergendo un fitto
stormo di apparecchi!
Una voce mentale, fredda,
che Stargod associò istantaneamente a quella di Avatar, gli disse, <Stargod,
abbiamo liberato il dragone. Lui aspetta tue istruzioni.>
Stargod annuì . <Max!
Tocca a te!>
Stava funzionando!
Nonostante l’inferiorità numerica, il disorientamento era totale. Ogni
maledetto invasore stava fuggendo verso la Torre.
Dentro l’armatura di Iron
Monger, Richard Rennsaeler sospirò:
se solo fosse stato così facile con i Marziani. Suo figlio, già reso autistico
tempo prima dalla psicosi del nucleare, si era ulteriormente chiuso in sé
stesso, entrando in uno stato vegetativo.
E Richard aveva accettato di
fare parte di questa impresa per pagare il conto delle cure necessarie, presso
istituti migliori…e per dare al ragazzo una seconda chance, e proprio in questo
mondo che non avrebbe mai più conosciuto il terrore estremo della tecnologia.
Per questo, avrebbe
distrutto ogni maledetto Tok, e ogni altro invasore!
Lo stormo dei caccia lo
distrasse dai suoi pensieri. Da ex-membro dello SHIELD, Rennsaeler non poteva
non apprezzare le morbidi linee della fusoliera, incastrata ventralmente al
gruppo propulsore/alare. Quei velivoli dovevano essere ben più agili e veloci
di quelli in dotazione sulla Terra…
Considerazioni che non gli
impedirono di puntare le mani verso il primo caccia che puntava su di lui.
Il pilota Tok non poteva
mancare il bersaglio, inquadrato esattamente al centro del mirino. Un dito
artigliato corse al pulsante di fuoco sulla cloche.
La coppia di raggi laser fu
più veloce, nel tagliare in due l’apparecchio, che si disintegrò in una nuvola
di fuoco!
Max torreggiava nel cielo,
brillante di archi voltaici che trasformavano il suo corpo in una costellazione
fiammeggiante! I suoi occhi brillavano come soli, la loro struttura sollecitata
dalla danza di elettroni.
Altri aerei si diressero
verso il dragone. Gli occhi brillarono, e un momento dopo un secondo fu
abbattuto.
Un terzo aereo sparò plasma,
ma il colpo fu deflesso dal campo di energia di Max –il quale non perse tempo a
sparare una nuova, letale raffica di laser.
Poi, iniziò la danza.
Insospettatamente lieve per un essere così grande, Max si levò verso l’alto,
inseguito dallo stormo. Missili e raffiche di plasma tingevano il cielo intorno
al drago, quando non esplodevano inutilmente sul suo campo protettivo.
Poi Max si voltò, fulmineo,
e spalancò le fauci. Non fuoco, ma mostruose scariche di pura corrente furono
vomitate, una tempesta di fulmini che colpirono sei aerei, regalandoli
all’oblio.
Iron Monger represse un brivido,
mentre puntava e distruggeva i rottami infuocati che minacciavano la città. E
Stargod era ancora più potente di
quel mostro? In cosa diavolo si stava ficcando?!
A terra, Diablo, che stava
usando i suo fidi elementali dell’acqua e
del vento, per sopprimere gli incendi causati dai detriti mancati dal
suo…compagno, ne aveva un’idea eccome.
Lavorare in squadra: un
concetto decisamente nuovo, anche per un uomo che, come lui, aveva vissuto per
dei secoli contando solo sulle proprie conoscenze. Ma non aveva più molta
scelta, in merito -Lady Sterling, il Seminatore, era stata furba: su questo
mondo, la sua magia alchemica poteva essere molto più forte, ma dopo avere solo
percepito il mana emanato da Stargod,
capiva che una ribellione avrebbe significato morte.
Ma, alla fine, tutto questo
diventava irrilevante: la sua ricompensa valeva ogni sottomissione!
Imperscrutabile, Avatar
osservava ed analizzava. La squadra funzionava –in modo ancora troppo
istintivo, più reattivo che di iniziativa, ma funzionava.
L’entità di nome Agron,
che occupava il corpo rimodellato dell’Empatoide, aveva ancora dei dubbi
sulle sue motivazioni per restare nella formazione –ma il beneficio del dubbio,
in questo caso, aveva implicazioni che superavano di molto le sue personali
necessità. E poi, Agron era virtualmente immortale: aspettare non avrebbe
costituito un problema, per esso. Ed era al sicuro comunque, per ora.
I caccia rientrarono alla
torre.
Max fece per buttarsi
all’inseguimento, il muso contratto in fiera determinazione...Prima di
accorgersi che, in rapida sequenza, sezioni delle pareti si stavano estendendo,
rivelandosi piattaforme per cannoni!
Il primo colpo, purtroppo,
colpì il sorpreso dragone dritto a un’ala! Max ruggì il suo dolore, e precipitò
al suolo. Nell’impatto, distrusse due case come altrettanti castelli di sabbia.
A quel colpo, ne seguirono
altri: la torre divenne un istrice fatto di letali aculei di plasma. Ovunque
essi toccassero, case esplodevano, la vegetazione bruciava. La gente si
riversava nelle strade solo per essere ulteriormente falciata.
Per conto suo, Max stava
cercando di rimettersi in piedi. Un colpo passò vicino al collo, limitandosi a
cauterizzare delle scaglie.
Dal castello reale, Stargod,
levatosi in volo, comunicò mentalmente, <Diablo! Non perdere tempo, erigi
una barriera protettiva intorno al dragone, adesso!> E la cosa strana
era la sicurezza che lui sentiva, che sarebbe stato obbedito!
Una richiesta non infondata,
per il signore dell’alchimia, che mise mano a due fiale nella nuova cintura del
suo costume. Le sue pozioni avevano effetti limitati nel tempo, ma prodigiosi
se usati per brevi periodi. Infatti, una delle sue prime applicazioni, una
volta liberato dalla lunga prigionia, fu proprio la creazione di cupole antiatomiche
per conto di clienti militari.
Un rapido cenno, un mormorio
in una lingua antica, e la polvere e il liquido liberati furono trasportati
dall’elementale del vento sulla verticale del dragone ferito. In un momento,
una cupola opaca fu tutto quello che i raggi al plasma riuscirono, senza
effetto, a colpire.
<Max!>
Il dragone abbassò lo
sguardo al suolo. Stargod era lì, a controllare la ferita all’ala, che era
quasi stata spezzata in due –una condanna a morte, per un dragone dei cieli.
“Mio Signore...Mi dispiace...”
<Risparmia le forze.>
L’uomo-lupo era spaventato, le orecchie piatte sul cranio, il desiderio intenso
di mettersi ad ansimare e guaire per la preoccupazione. Vedere Max
cadere...come caddero Sashiel, e Barq...No! Erano morti -stavano già
morendo- in troppi, di coloro che si fidavano di lui. Non lo avrebbe permesso,
mai più, non se avesse potuto dire la sua, in merito!
Istintivamente chiuse gli
occhi, rivolgendo le sue preghiere più intense alla pietra alla sua gola.
E la Godstone rispose!
Rispose con un ondata di calore benevolo, come un tiepido sole primaverile,
promettente il rigoglio della natura, la danza della vita che chiude le porte
al freddo inverno, il rinnovamento...
Stargod non si accorse
neppure, dei tentacoli di energia irradiare dalle sue mani alla ferita, la
benedizione di un potere superiore riparare i tessuti e le ossa, pulire,
fortificare...
Quando riaprì gli occhi, il
miracolo era compiuto, e Max era in piedi sulle zampe posteriori, le ali
spiegate e guarite!
Purtroppo, qualunque cosa avessero
voluto dirsi sarebbe dovuta essere rimandata. I colpi dalla Torre, concentrati
in un unico punto, stavano già per avere ragione della cupola di Diablo.
<Puoi distruggere la
torre?> chiese Stargod.
La risposta di Max fu priva
di esitazioni. “Prima bisogna rimuovere la loro barriera. Il mio potere deriva
dalla Tempesta, e non devo avere ostacoli.”
A un cenno del dio lupino,
Max si chinò abbastanza da permettergli di saltare fra le sue spalle.
<Risparmia le forze, allora. A quel dispositivo penserò io.>
Finalmente, inevitabilmente,
la cupola si infranse...E, allo stesso tempo, Max schizzò fuori, preceduto dal
suo respiro a fulmine!
Quattro cannoni furono
distrutti, rimuovendo il pericolo più immediato. Stargod, in piedi sulla testa
del dragone, in mezzo alle corna, lasciò fluire la Godstone -che adesso era il
familiare, impietoso sole estivo di un deserto, promessa di avvizzimento e
morte- attraverso i suoi occhi.
Uno dopo l’altro, i cannoni
della parete est furono distrutti. Nel calore della battaglia, John non si pose
neppure il problema, di raggiungere eventuali limiti a quel terribile potere
–tutto quello che contava, adesso, era fare quello che avrebbe dovuto da anni.
Difendere Altro Regno, e vendicare i caduti!
Max raggiunse l’altezza
della cima della torre, il generatore del campo di forza una orrenda corona
tecnologica di antenne.
Un unico, fluido movimento.
Stargod estrasse la sua nuova alabarda dalla schiena, vi canalizzò il potere
della Godstone, e la mosse in un ampio arco di ribollente energia. La corona di
antenne fu semplicemente obliterata!
La barriera ebbe un ultimo
fremito, e svanì.
Max rivolse lo sguardo al
cielo, contemporaneamente levando le zampe a coppa, in una preghiera roboante.
“Padre Cielo, Madre tempesta! Ascoltate il Vostro figlio, lasciate che la
Vostra voce diventi la mia, che la Vostra Furia scorra in me!” E,
obbedientemente, banchi di nuvole plumbee riportarono la notte sul cielo albeggiante
–una massa di metallo gorgogliante fulmini che avrebbero potuto incenerire
facilmente anche il dragone. La pelliccia di Stargod iniziò a drizzarsi, il
metallo della sua armatura a scintillare –se c’era un momento in cui la
Godstone doveva proteggerlo, quel momento faceva meglio a essere giunto!
Prima fu il vento!
Improvvisamente, il drago divenne il cuore di una serie di raffiche che
avrebbero potuto sollevare una montagna, strappare via le ossa dalla carne.
E le nuvole eruttarono!
Scariche così abbaglianti da rivaleggiare con le lune gemelle convogliarono
all’unisono nel corpo di Max, trasformandolo in un allucinante demone
elettrico. La sua carne divenne addirittura trasparente, lasciando
distintamente vedere le ossa!
Max portò le zampe così
simili a mani in avanti, battendole insieme con un fragore che distrusse molti
vetri della città e della torre e scosse il suolo.
Quando le separò, l’energia
che percorreva il suo corpo e tutta la forza del vento erano ormai convogliata
interamente in una pulsante sfera racchiusa fra i palmi.
In un ultimo ruggito, il
dragone dei cieli scagliò la sfera in basso, dritto sulla torre Tok.
Poco prima dell’impatto, la
sfera perse la sua forma, per diventare una lancia di puro potere. La lega
metallica fu letteralmente disintegrata. La lancia percorse l’intera lunghezza
della torre, il suo percorso punteggiato da una esplosione dietro l’altra delle
sezioni che travolgeva, per terminare in un ultimo, poderoso spettacolo
pirotecnico che trasformò la base in un geyser di morte!
Le nuvole si dissolsero,
lasciandosi dietro la desolata devastazione di Kalgarn e della torre aliena, i
fumi degli incendi spenti e in corso ad evidenziare quello scenario come
arterie di un cuore marcio.
John stava solo ora uscendo
dagli effetti dell’adrenalina, e non sapeva se sentirsi esaltato o mettersi a
vomitare. La Dottoressa Kafka, che aveva fatto il miracolo di condurlo
sulla via dell’autoaccettazione, gli aveva detto del suo vero carattere, molto
più determinato ed aggressivo del modello inibito forzato dal padre...Ma questo!
Distrattamente, accarezzò il
collo del dragone, avvertendone l’orgoglio e l’amicizia. In questo mondo,
avrebbe dovuto imparare a pensare in termini molto diversi da quelli usati per
una vita sulla Terra...Ma quelle considerazioni dovevano aspettare. Ora,
c’erano spiegazioni da avere, e*
La sua espressione tornò
accigliata, la mascella aperta in un ringhio. C’era una luce nuova, nel cielo!
Come se una stella si stesse accendendo...
I Tok sopravvissuti erano
stati radunati in una piazzola, guardati a vista da uomini armati di lance e
spadoni, uomini a loro volta spalleggiati dai quattro alleati di Stargod.
Stranamente, il soldato con
le pitture più ricche aveva un’espressione quasi umana di soddisfazione.
Iron Monger si fece avanti.
“Cos’hai da sorridere, animale? Credi che sia divertente?”
Il soldato fece saettare la
lingua. “La sola cosa divertente è la vostra ingenuità, sciocchi mammiferi:
credevate davvero che i nostri Sovrani vi avrebbero lasciato fare quello che
volevate qui, se non fosse che l’intera Kalgarn è sacrificabile?”
Ci fu un momento di stupore.
Il rettile riprese. “La barriera serviva a contenere il vostro cosiddetto
‘dio’, appestato dalla tecnologia Proibita, mentre i Reali decidevano se
immolare Kalgarn o no, per impedire la diffusione del male. E questa battaglia
ha dimostrato che l’immolazione è l’unica soluzione possibile!”
A sottolineare le parole del
soldato, una mostruosa colonna di energia scese dal cielo sulla città! E un
nuovo sole fu acceso in terra...
Episodio 4 - Con amici come
questi…
Nei cieli di Altro Regno, Microverso
Si chiamava S’shadz, e solo per un caso, questa
montagna volante rovesciata grande quanto l’Everest, questa astronave, sembrava il più grande
frammento dell’anello di montagne che circondava il mondo di Altro Regno.
Mai avrebbero potuto essere
più alieni i suoi costruttori, i feroci rettiliani noti come Tok, che alla loro nave-madre, che fungeva
anche da sede della Stirpe Reale,
avevano dato il nome del loro pianeta d’origine, perso secoli prima ad opera di
un invasore ancora più spietato di loro.
Come un sinistro occhio
vigile, S’shadz, a differenza dei frammenti dell’anello, si muoveva a proprio
piacimento, sorvegliando le attività sulla superficie del mondo sotto il
tallone Tok.
Poche ore prima, i Reali su
S’shadz avevano ricevuto notizia di un sedicente ‘Dio protettore’ giunto a Kalgarn, tale Stargod –in sé una seccatura irrilevante, facilmente
sottomesso...Ma non era il ‘ribelle’ a preoccupare le autorità locali, bensì un
terribile male che il ribelle portava dentro
di sé, una minaccia di portata globale!
Nonostante tale, terribile
frangente, gli stessi Reali avevano chiesto, dato che i naniti erano dormienti,
di tenere il ribelle in isolamento in un campo di stasi, per farlo portare su
S’shadz ed ivi esaminarlo senza rischio. Forse, questa volta sarebbero riusciti
a sviluppare un vaccino per il male...
Poi, le cose erano
precipitate. Impotenti, i Reali avevano dovuto assistere alla distruzione
dell’avamposto su Kalgarn da parte del ribelle e di altri suoi alleati –ma non
era decisamente quello, il primo pensiero in cima alla lista dei Reali. Ben più
sinistra era la prospettiva della contaminazione del mondo che doveva essere la
loro nuova patria.
Per tale ragione, a questo
punto, giunti sulla verticale di Kalgarn, i Reali predisposero l’immolazione, il sacrificio di Kalgarn.
A una sequenza di comandi,
la base della montagna iniziò ad aprirsi,
le sezioni scorrere via come portelli corazzati quali infatti erano.
Nell’ambiente muto dello spazio, la bocca cristallina di un mostruoso cannone
emerse dalla sua protezione, già brillando delle prime energie.
Il Volter Cannon era l’arma non convenzionale più potente dei Tok. Una
scarica elettromagnetica veniva convogliata contro una cartuccia di idrogeno a
tale pressione da risultare metallizzato. La potenza dell’esplosione veniva
trattenuta in un tunnel elettromagnetico, che fungeva anche da conduttore per
il plasma. Di fatto, quella che arrivava sull’obiettivo, era un’esplosione termonucleare controllata.
Finalmente, il cristallo
arrivò al punto di massima luminosità, pronto a focalizzare il tunnel EM.
Ultimo comando. FUOCO! E il cielo di Altro Regno fu violato dalla cicatrice
atomica. Un attimo dopo, un nuovo sole fu acceso al suolo.
Buio.
Il buio lo circondava,
l’oscurità era assoluta; lo spazio era un concetto astratto, e il tempo un
fiume fermo.
Era nudo, nella sua forma
umana, sospeso nel nulla. Ma non c’era freddo, non c’era movimento.
Claustrofobia e agorafobia si contendevano la mente di John Jameson, annullandosi a vicenda, lasciandolo solo col suo
stupore.
Perché era lì? L’ultima cosa
che ricordava era la luce. Una luce
abbagliante come quella del sole, molto più calda
di quella del sole. Era venuta dal cielo, e aveva riempito il mondo...
Ricordava!
Lui stava cavalcando il
dragone Max. E la sua forma era quella
di Stargod, l’uomo-lupo, il dio protettore di Altro Regno. Insieme, avevano
appena distrutto un avamposto dei Tok...e poi era giunta la luce.
Cosa era successo, dopo?
John si portò la mano alla gola, dove brillava, di una luce calda e rossa, la
sua Godstone, ricettacolo di un
potere quasi infinito –o almeno così lui riteneva. Un potere che doveva avere
fallito.
Possibile che questo fosse
l’Inferno? In fondo, la Bibbia lo descriveva così, un non-luogo, un niente in
cui il peccatore era perso per sempre...
°Non sei all’inferno, John
Jameson, ne’ sei morto.°
!
La ‘voce’, lo sentiva, non parlava alla sua mente, ma
alla sua stessa anima. Ed era
dolcissima, la sorgente per l’assetato in un’oasi infernale, il frutto più ricco
per il viaggiatore affamato. Ed era ovunque, lo avvolgeva come una madre
ritrovata.
John rispose con gioia, e la
madre si mostrò al figlio, come una tempesta di stelle, un Big Bang dapprima amorfo,
poi, mano a mano che la velocità diminuiva –secondi o eoni?- un insieme sempre
più delineato, coerente. Fino alla forma finale.
Una lupa.
Una creatura celestiale,
letteralmente, fatta non di carne e sangue, ma di stelle ed etere cosmico. I
suoi occhi erano giganti rosse, la sua coda un frusciare di pioggia di comete,
una galassia spettacolare nel cuore, nubi protostellari nelle zampe...
John Jameson, quando ancora
lavorava come membro dell’equipaggio a terra dei Vendicatori, aveva studiato i database e speso molte ore piacevoli
ad ascoltare le loro storie di viaggi al di là dei confini della realtà. Aveva
sentito e letto dell’incarnazione dell’Universo, Eternità –e per quanto spettacolare, al limite dell’immaginabile,
potesse essere una simile entità, da quello che aveva sentito era anche
percepito come distaccata, fredda, calcolatrice.
Questa
entità cosmica era diversa! Nella sua maestosità, non guardava a John come un
essere inferiore, ma con affetto... °Mi dispiace di non essermi manifestata
prima, figlio mio,° disse di nuovo la lupa cosmica, e John fu quasi sopraffatto
dalla felicità. °Ma dovevo aspettare, avere la prova finale che fossi degno di
me e del dono che ti ho concesso.°
John sobbalzò. “Sei Antesys?“
La lupa sorrise, e interi
mondi risplendettero nei suoi denti, illuminati dal sole nella lingua. Era lei,
l’incarnazione del Multiverso, l’uovo cosmico ed il pulcino insieme...
“Credevo che fossi un
dragone,” disse John, sentendosi un blasfemo in quella scintilla di inutile
dubbio. Max aveva descritto Antesys, infatti, come il dragone cosmico...
La lupa si mise seduta.
Avvolse la coda intorno alle gambe, e mondi interi vennero fertilizzati dalle
stelle cadenti. °Sono il dragone cosmico, e sono la lupa che accettò in sé il
seme di un lupo mortale per generare il primo Stargod. E sono stata con te come
con il primo dei miei figli.°
“Hai parlato di una...prova
finale...”
°L’accettazione del tuo
ruolo. Un tempo, solo i licantropi,
potevano udire il mio richiamo. Da millenni, ho chiamato a me un nuovo figlio
dal mondo che per voi è la Luna, ma,
ahimè, erano troppo lontani, anche se mi potevano sentire ed essere influenzati
quando la Luna era piena.
°Ho guardato con gioia alla
nascita della vostra era spaziale, sollecitata in segreto dai licantropi più
influenti negli affari umani. Ma, ahimè, il richiamo non era forte abbastanza
da garantire un licantropo sulla Luna. I vostri complicati riti di potere non potevano
permettere azioni unilaterali...°
John trovò il coraggio di
interromperla. “Per questo i mannari sono sensibili alla Luna piena? In tutto
questo tempo...? Ma, allora, perché io?
Io sono un mutante, non un vero...”
ricordava bene di quando aveva ‘trovato’ la Godstone, un oggetto così unico in
mezzo alla polvere lunare. Ricordava di come si fosse sentito inspiegabilmente attratto dall’oggetto, desiderandolo con
un’intensità che anche allora lo aveva sorpreso. Chiederlo per sé era venuto
naturale come respirare.
Antesys si mise sdraiata
come una sfinge. Improvvisamente, non era più una lupa, ma il grande dragone,
severo, potente, il Demiurgo. Le sue ali erano spiegate, e in esse stelle
nascevano e morivano per fertilizzare altre stelle lontane. °I mutanti come te
hanno avuto la fortuna di nascere sensibili al mio richiamo. La tua passione
per le stelle ti aiutò a sentirmi, quando ti chiesi di venire a me.°
John non sapeva cosa
pensare. Era così sicuro di avere
scelto di sua libera volontà...
°Non incamminarti sul
sentiero del dubbio, figlio mio,° disse Antesys, protendendo il collo. °Hai
esercitato la tua libera volontà fino al giorno in cui hai deciso di essere
Stargod una volta per tutte. Non ho mai cercato di impedirti di essere te
stesso. Hai avuto molte occasioni di rinunciare ad essere Stargod, perfino di
fronte all’adorazione di coloro che ora proteggi.
°Non sono responsabile delle
tue scelte, non più di quanto un mortale carismatico sia responsabile di avere
influenzato un suo simile verso una strada lunga una vita. Dentro di te, mi
amavi fin da quando mi udisti la prima volta.°
Ed era vero. John ripensò
alle lunghe sedute con la psicologa Ashley
Kafka. Di tante cose avevano parlato, ma su una cosa lei era inamovibile: Man-Wolf, un essere apparentemente
selvaggio e folle, si comportava in modo tale per liberarsi delle inibizioni a
cui John Jameson era costretto. L’uomo-lupo faceva quello che a John non era
neppure permesso di pensare dal suo dittatoriale padre.
Com’era stata, la prima
volta? La prima trasformazione, che la Godstone aveva finalmente permesso? Oh,
sì, John aveva avuto paura, ma quello era stato normale –chi non sarebbe
terrorizzato di fronte a un simile sconvolgimento? E con la trasformazione, il
torrente di emozioni, la lunga corsa nella notte, la libertà! Era stato fortunato, quel poveraccio che aveva avuto la
sfortuna di trovarsi sulla strada del lupo...Quasi ci aveva rimesso la vita, ma
Man-Wolf aveva troppa fretta di assaporare la libertà, per preoccuparsi di
finire lo sventurato...
E in quella notte, il lupo
aveva cantato, aveva gioito insieme al potere che lo ‘alimentava’.
Sì, John amava Antesys.
Ma era ora di sapere altre
cose. “Se non sono morto, dove sono adesso?”
°Il tuo corpo giace in un
letto, in coma. Gli invasori Tok hanno cercato di distruggere la città di
Kalgarn con un’arma termonucleare[4], e
tu hai assorbito l’esplosione, riducendola a una innocua manifestazione di
luce. Di norma, una simile manifestazione non avrebbe dovuto avere alcun
effetto...Ma hai inconsciamente, intensamente, creduto di morire nel tentativo,
da spingere il tuo corpo a reagire di conseguenza.
°Ti riprenderai presto, ma
c’è una cosa che devo chiederti.°
John vide Antesys cambiare
ancora forma, di nuovo a lupa, ma questa volta antropomorfa, e piccola
abbastanza da potere abbracciare l’uomo –cosa che fece, trasmettendogli
sensazioni indescrivibili, di pace ed armonia senza fine...John, d’impulso,
accarezzò la criniera di nebulose di lei, avvertendo come una piacevole scossa...
Senza smettere l’abbraccio,
Antesys disse, °Non devi abusare del tuo potere, mai. Non cedere alla
tentazione di pensare per gli altri, o di legiferare per loro...La tentazione
sarà forte, e per un simile abuso tolsi la Godstone ai dragoni che per primi
l’ebbero in custodia.°
John annuì, ricordando che
la stessa cosa gli disse Max...
Concatenazioni. Cosa sarebbe
successo, se i dragoni non avessero perso la gemma? Non ci sarebbe stato il
patto con i lupi, la gemma non avrebbe lasciato Altro Regno...
E perché il precedente Stargod aveva lasciato il suo mondo, per
venire sulla Luna? Non aveva senso, era peggio che lanciare una bottiglia nel
mezzo del Pacifico per chiedere aiuto...Una premonizione, allora? O su Altro
Regno c’era qualcosa o qualcuno capace di mettere in pericolo la Godstone
stessa? Oppure..?
°Saprai tutto a suo tempo, figlio,°
disse Antesys, staccandosi, tenendogli delicatamente le mani. °L’esperienza,
non l’onniscienza, porta alla maturità, e tu hai ancora una lunga strada in
questa nuova vita.°
L’incontro stava per
terminare. Quanto tempo era passato, sul suo piano, si chiese fugacemente
l’uomo...Ma era più preoccupato della separazione. Non voleva lasciarla. “Ci
potremo rivedere?”
°Quando vorrai.°
Il corpo di Antesys esplose!
Una miriade di mondi, universi, realtà che travolsero la mente mortale. John si
abbandonò, e il buio calò anche nei suoi pensieri...
Tempo: ora
Stargod, seduto alla base
del collo di Max, vide la prima luce: una scintilla intermittente, ma intensa,
come se una nuova stella si fosse presentata nel firmamento. Un terribile senso
di premonizione attraversò ogni fibra del dio lupino. Non si accorse neppure,
di essersi messo a volare; l’istinto, o forse la conoscenza trasmessa dai suoi
predecessori attraverso la gemma, aveva preso il sopravvento. Stargod ignorò i
richiami di Max, ignorò qualunque cosa che non fosse la luce nel cielo, una
luce che si faceva sempre più forte col passare dei secondi...Solo il tempo di
lanciare un avvertimento...
ESPLOSIONE! Energia
sufficiente a trasformare Kalgarn e molte miglia intorno ad essa in una nuvola
atomica. Colpì quasi alla velocità della luce, trasformandosi in una sfera
ardente e di un bagliore tale da incenerire le retine!
“No...no...”
nell’ammutolimento generale di coloro che erano a terra, fu Iron Monger a spezzare il silenzio per
primo. I filtri ottici dell’armatura proteggevano Richard Rennsaeler dalla
cecità, ma non dall’orrore –come poteva chiunque
usare un’arma nucleare contro il nemico?! Ebbe una visione fugace, ma
vividissima, di suo figlio, il suo povero ragazzo, diventato autistico proprio
per la psicosi nucleare. “Non può essere sopravvissuto, non può...”
Accanto al guerriero di
metallo, il Seminatore di Morte, il
mantello nero avvolto come un bozzolo intorno al corpo, guardava verso il cuore
dell’inferno –che ora era un calderone di energie ribollenti ancora fermo a
mezz’aria. “Siamo ancora vivi, Iron Monger, e questo è più di quanto persino io
mi aspettassi. Il Dio sopravvivrà.”
Per conto suo, Diablo, gli occhi protetti da una delle
sue innumerevoli pozioni alchemiche, non poteva che condividere questa
certezza, perché neppure lui aveva visto qualcuno tenere sotto controllo una
simile applicazione distruttiva di potere. Ironico, chiamavano lui un uomo pericoloso, quando da sola
la tecnologia poteva addirittura ridicolizzarlo!
Ma nessuno fra tutti i
presenti, in tutta Kalgarn, era più spaventato del possente dragone azzurro che
batteva freneticamente le grandi ali per rimanere sospeso, nonostante le
tremende correnti generate dall’esplosione nucleare. Max aveva obbedito
all’ordine mentale del suo signore di tenere la testa voltata, e anche così,
ora che la luce si stava affievolendo, per essere sostituita da quella soffusa
dell’alba, macchie nere gli ballavano davanti agli occhi.
La luce decrebbe
d’intensità, si ridusse finalmente a un unico punto...il corpo dalla bianca
pelliccia di Stargod, saturo di radiazioni!
“Mio Signore!” ruggì Max, e
si precipitò a prendere l’inerte figura priva di conoscenza...Quando fu
prevenuto da un’altra figura, un uomo-gatto
che apparve a mezz’aria! L’essere era una figura robusta, maschile, il corpo
dalla pelliccia arancione parzialmente coperto da una specie di armatura di
cuoio. Il nuovo arrivato afferrò Stargod, e...con esso si lasciò cadere a
terra. Mentalmente, comunicò al dragone che già stava per inseguirli, <NO!
E’ talmente radioattivo, che anche senza toccarlo rischi di morire avvelenato!
Lascia che ci pensiamo noi!>
Max aveva visto questi
strani, sconosciuti alleati combattere contro i Tok, e si tenne a
distanza...anche se ancora abbastanza vicino da attaccare se avessero tentato
qualcosa di strano...
Ma tutto quello che avvenne
fu che la figura dell’uomo-gatto fu afferrata a sua volta per le braccia dal
sintezoide noto come Avatar. Insieme,
portarono Stargod verso il castello.
S’shadz
Procedeva a passi regolari,
gli echi degli stivali metallici annuncianti la sua presenza alla stanza in
fondo al corridoio. Le guardie, soldati Tok disposti a intervalli regolari su
entrambi i lati, ognuno di loro abbastanza forte da spezzarla in due, le lanciavano
occhiate risentite, come se la sua sola presenza fosse una grave offesa.
Ma lei, quegli sguardi li
poteva bellamente ignorare. Andò fino alla stanza, ed entrò con lo stesso passo
sicuro, il portamento eretto, il mantello scarlatto frusciante intorno alle
caviglie. In compenso, fu abbastanza saggia da chinarsi su un ginocchio alla
presenza
del Principe Ssylak. Seduto su un trono di roccia, il più giovane
membro della Stirpe Reale dei Tok era, come ogni suo consanguineo,
l’incarnazione vivente della perfezione Tok. Non solo fisicamente perfetto -il
corpo alto più di 2 metri, forgiato da una gravità doppia rispetto a quella
terrestre, coperto di affilate e robuste placche che sembravano un’armatura a
parte, e decorato non solo da una temibile coda irta di spine, ma anche da un
paio di enormi ali- anche la sua mente era un’arma affilata, sviluppata al
massimo grado, dando al suo possessore doti telepatiche e telecinetiche.
Ssylak disse al suo ospite,
“Così, il blasfemo...Stargod è più
potente di quanto potessimo immaginare. Cosa ti fa pensare, a questo punto, di
essere capace di riuscire dove persino la nostra arma più potente ha fallito?”
La donna levò lo sguardo,
fissando il principe con i suoi occhi bianchi, bordati di nero. Le sue labbra
nere si stesero in un sorriso crudele. “Riuscirò perché sono...un mammifero, e
conosco Altro Regno in quanto sua nativa. Mio padre ha avuto a che fare con
questi esseri alieni, e mi ha trasmesso un prezioso bagaglio di conoscenze. E,
infine, io stessa sono più determinata di voi a liberarmi del blasfemo che
uccise mio padre. E senza bisogno di distruggere il pianeta.”
Il principe annuì. “I Reali
approvano la tua determinazione, Generale, e ti augurano il successo. Usa pure
ogni mezzo che i Tok possono offrirti, ma non permettere la diffusione del
contagio. Fallisci, e perirai per nostra mano.”
La donna si alzò in piedi, e
fece per allontanarsi, il trionfo sul volto...Che divenne di colpo
l’espressione di chi avesse appena ingerito qualcosa di ripugnante, quando,
dietro di lei, Ssylak disse, “Naturalmente, il Generale Vryton ti accompagnerà in qualità di supervisore.”
Lei non commentò –del resto,
doveva aspettarselo, da quella razza
di arroganti paranoici!
“Radioattività completamente
riassorbita. Stato di coma persistente, di natura stimata psicologica. Tempi di
ripresa: sconosciuti.”
Il Seminatore di Morte
ascoltò il rapporto di Avatar, impassibile dentro l’ombra nera del cappellaccio
e del colletto del mantello. La sua attenzione, come quella degli altri
presenti nella camera degli interrogatori, era concentrata su alcuni dei Tok
fatti prigionieri.
La camera era, di fatto, una
sala delle torture che avrebbe fatto molto felice il signor Torquemada.
Purtroppo, per quanto avrebbe potuto essere facile spezzare un uomo, lì dentro,
era tutt’altra cosa per quanto concerneva i Tok. Infatti, uno di loro, un
soldato, legato saldamente da catene speciali, era ancora fresco come una rosa,
le placche corporee appena scalfite; e sorrideva sprezzante.
Il torturatore, un omone
nudo fino alla cintola e forte come un orso, scuoteva tristemente la testa
calva imperlata di sudore. “E’ peggio di un demone, mio sire. Nulla di quello
che abbiamo qui può fargli alcunché.”
Re Diomacus, splendido in un’armatura di cotta coperta da un ricco abito scarlatto
con una stella dorata sul petto, spada al fianco e mantello azzurro bordato di
pelliccia bianca, fissò trucemente lo sventurato aguzzino. Poi,
riluttantemente, si rivolse al Seminatore. “Immagino, messere, che lei e i suoi
camerati possiate invece fare qualcosa.”
Il Seminatore ignorò il
disprezzo nella voce dell’uomo, e fece un cenno ad Avatar, che avanzò con passi
metallici verso il soldato.
“Ultima possibilità di
confessare spontaneamente,” disse il Seminatore. “Quando Avatar avrà finito con
te, sarai ridotto a un vegetale sbavante.”
Il rettiliano emise un
sibilo di chiaro significato. Il sintezoide portò una mano al cranio corazzato.
Le parti scoperte del corpo –cosce e braccia- iniziarono a brillare di una luce
più intensa di quella normalmente manifestata. Il rettiliano rimase impassibile,
ritratto vivente della fedeltà fino alla fine.
Poi, Avatar aprì la bocca.
Sotto gli occhi atterriti del Re e dell’aguzzino, un tentacolo di energia scaturì dall’orifizio, per andare ad infilarsi
in un occhio del rettiliano. L’alieno urlò,
un verso disumano, di dolore ultraterreno; il suo corpo si irrigidì, piegato ad
arco, al punto da strappare le catene dal muro, ma ancora sostenuto senza
sforzo dalla mano di Avatar.
Finalmente, il processo fu
terminato. Il tentacolo di energia tornò da dove era venuto, e come promesso,
il soldato Tok crollò a terra, poco più di un relitto sbavante, inerte.
“Dunque..?” chiese Diomacus,
non senza rivelare un certo pallore e tenendosi a distanza.
La parte del volto di Avatar
non coperta da una placca metallica rimase impassibile. “Acquisizione dati
insoddisfacente a fini tattici. I Tok sono divisi in rigide caste sociali; i
soldati rappresentano la manovalanza, ed esistono per obbedire senza fare
domande, e sono fanatici abbastanza da non tradire mai la loro Famiglia Reale.
Tutto quello che questo soldato sapeva riguardava la torre. I soli che potevano
darci informazioni utili erano i sacerdoti deceduti.”
Il Seminatore annuì. “Uccidi
gli altri, allora.” Poi, si rivolse all’aria, in realtà attivando un microfono
subcutaneo nella gola con una contrazione muscolare. “Grigar, rapporto.”
In una stanza in cima a una
torre del castello, l’uomo-gatto rispose con lo stesso mezzo, con una voce
profonda e ronfante, intonata al suo aspetto. “Nessun segno di ripresa,” disse,
osservando la figura sdraiata su un letto talmente soffice da sembrare
avvolgerlo. Le sue armi giacevano su un tavolo vicino.
“Continua a vegliare,
allora. Noi saremo impegnati ad elaborare una strategia di difesa.”
Grigar annuì di riflesso.
Quando la comunicazione fu tolta, l’essere fissò con preoccupazione il Dio
lupino. Stargod era l’unica speranza di salvare la sua gente dal Limbo in cui erano stati confinati
secoli addietro! Solo per questo, aveva accettato di fare parte del gruppo.
Non gli piaceva, di restare
inerte in quella stanza, ma era il solo più indicato: radiazioni, frecce, fuoco
–nulla di ciò che appartenesse al piano mortale poteva solo ferirlo, dato che
lui, come ogni suo simile, era un demone.
La permanenza nel Limbo aveva profondamente modificato la loro natura...ma
ancora c’era speranza. Una volta liberi dal Limbo, avrebbero potuto tornare ad
esistere come esseri liberi!
Grigar, un tempo il Balkatar del Popolo Felino, accarezzò la
mano di Stargod. E pregò.
Il salone era stato studiato
per le riunioni dell’equivalente dello stato maggiore. A un capotavola sedeva
Re Diomacus, all’altro la seconda autorità in comando –in questo caso, una
sedia tristemente vuota.
Ai lati, stavano i
rappresentanti delle classi nobiliari –quelli sopravvissuti alla purga dei Tok.
C’era da ammettere, almeno, che la selezione di esemplari era impressionante.
Il concetto di rammollimento doveva essere sconosciuto persino fra i ricchi.
Uno di quei nobili, un uomo
dai capelli tagliati a spazzola e anche lui in armatura leggera, stava dicendo
al Re, “...e con il ritorno del Dio, la speranza arde più forte che mai! Ogni
uomo in piedi, foss’anche con una gamba e un braccio soli, è pronto a brandire
un’arma e conquistare il mondo. Diamine, anche i bambini vogliono fare la loro
parte!”
Diomacus annuiva,
soddisfatto. “E cosa sapete dirmi delle popolazioni della foresta? Accettano di
tornare ad essere nostri vassalli? La produzione di cibo deve riprendere, e abbondante,
se vogliamo sostenere un esercito...Ma, prima di tutto, dobbiamo capire da che
parte stanno veramente questi stranieri che si definiscono ‘alleati’ dello
Stargod.”
La domanda sul chi fossero
era implicita, ma nessuno aveva il minimo indizio. Che piacesse loro o no,
dovevano aspettare che fosse il Dio, a decidere, una volta risvegliatosi… “E se
fossero proprio loro, la causa del
suo male? Dopotutto, non hanno permesso ad alcuno dei nostri mistici guaritori
di assisterlo.”
“Qui si mette male, gente,”
disse Richard Rennsaeler, nel suo costume di Overrider, e impegnato con un auricolare. La cimice che aveva
piazzato su Diomacus funzionava che era un piacere, senza quelle interferenze
causate da una miriade di altri apparecchi elettronici tipici di una civiltà
progredita. “Dite quello che volete, ma mi sentirei più a mio agio con un
funzionario Sovietico nella Guerra Fredda, che con questo sovrano.”
I cinque rimanenti associati
di Stargod erano radunati in una taverna. L’affollamento e gli odori erano tali
da dare il capogiro, a chi fosse al massimo abituato a un pub nell’ora di punta. Qui nessuno fumava sigari o sigarette, e
tutti erano chiassosi a livelli familiari -ma compensava ampiamente il lezzo di
sudore, di cibi fortemente speziati, di alcolici ben più potenti dei liquori
terrestri, di vomito misto a segatura.
Per giunta, erano non poche
le occhiate fra il curioso ed il diffidente che il gruppetto stava ricevendo a
intervalli più o meno regolari –a seconda di quanto ubriaco o no fosse il
proprietario degli occhi in questione…Non che, comunque, fossero ingiustificate.
Rennsaeler, Diablo e Max,
boccali di birra davanti e piatti di carne e tuberi, erano i meno appariscenti.
Max aveva assunto, per l’occasione e non senza protestare, l’aspetto di Maxwell Dillon, il corpo che per anni
aveva occupato dandogli i poteri di Electro[5]. In
compenso, il dragone ci aveva messo del proprio, e assomigliava molto a un
possibile fratello barbaro e anabolizzato di Dillon.
Il Seminatore e Avatar erano
rimasti in costume. Era un po’ come se una coppia di emissari diabolici
incombesse sulla combriccola!
Il Seminatore non si
aspettava di meno, del resto. Questa gente era ancorata a un concetto poco sofisticato
di valore; un grammo di fatti avrebbe avuto più valore di una tonnellata di
parole delle più sincere. Svelare i propri piani a Diomacus avrebbe generato
innecessaria confusione; difendere Kalgarn dai Tok lo avrebbe convinto.
“Piuttosto,” fece Richard,
abbassando la voce, “sei sicur…sicuro
di questo nuovo attacco imminente?”
L’ombra nera annuì, la sua
voce come una calamita per gli avventori a portata d’orecchio. “E’ la loro
migliore occasione: non possono non pensare di avere almeno gravemente indebolito
Stargod. Una rappresaglia si impone.”
“Potrebbero riutilizzare
quell’arma nucleare,” osservò Rennsaeler. “Stavolta, non ce la caveremmo.”
“Escluso,” disse il
Seminatore, e abbracciò l’ambiente intorno a loro con un cenno. “I Tok hanno bisogno di questo mondo e delle sue
risorse. Se continuano a credere che solo Jameson sia ‘contagiato’, cercheranno
di catturarlo.
“La nostra strategia deve
essere essenzialmente di movimento, di esautorazione del nemico. Non oseranno
fare tabula rasa, e dovranno stare sulla difensiva. Ma prima, dobbiamo essere
noi stessi a risolvere l’’infestazione’.”
“Sai già di cosa si tratta?”
chiese Diablo, realizzando che i sinistri occhi gialli stavano fissando lui.
“Molto prima di recuperare
la Godstone sulla Luna, John Jameson era stato inviato in una missione segreta
verso Giove. In tale occasione, durante una sessione EVA[6], venne a contatto con una
nube di presunte spore. Tornato sulla Terra, le spore si attivarono,
conferendogli un progressivo aumento di massa e instabilità mentale.
“L’Uomo Ragno, apparentemente, neutralizzò le spore, ma
evidentemente si era sbagliato. All’epoca, non c’erano gli strumenti per
determinare la natura di quei corpi estranei, ma da quello che il soldato Tok
ha detto sulle ragioni dell’’immolazione’, deduco che siano naniti.”
“So che sembra stupido,
chiederlo,” disse Rennsaeler, dopo essersi bevuto un sorso della birra locale,
“ma non potremmo semplicemente dirlo a Jameson e lasciare che li frigga lui?”
“Questo era fuori
discussione. Ma temo che i naniti non apprezzeranno il tentativo di rimozione.
La loro origine è sconosciuta, le motivazioni dei loro costruttori sono
sconosciute; so solo che anche se si trovano in uno stato di apparente
quiescenza, vulnerabili, possono avere usato la simbiosi con Stargod per
assorbirne delle proprietà. Non è da escludere, se possono già effettuare
modifiche genetiche.”
Fra i tanti vantaggi che
poteva offrire il trovarsi in un mondo a tecnologia medioevale, c’era che
virtualmente nessuna delle orecchie curiose poteva afferrare un’acca di quanto
il gruppo si stava dicendo.
“Sei stato poco partecipe,
Max,” disse Diablo. “Nessuna proposta da suggerire?”
L’uomo/dragone fece
spallucce. “Ho letto le vostre menti, e sono sicuro che voi abbiate la salute
del mio signore più a cuore di Diomacus, e che farete del vostro meglio per
aiutarlo. E se gli fate del male, vi ucciderò io stesso.” Lo disse come se avesse
enunciato che l’acqua è bagnata, tranquillamente.
Nessuno ebbe da ridire.
Avevano visto il dragone in battaglia, e sapevano che, fra tutti loro, lui era
l’essere più potente dopo Stargod. Nel bestiario di Diablo, i dragoni naturali
terrestri erano esseri di grandi doti magiche; non aveva ragione di credere che
per quelli di Altro Regno fosse diverso. I suoi incantesimi avrebbero potuto
benissimo risultare inefficaci contro di loro!
Ulteriori riflessioni furono
interrotte da una cacofonia stonata sulla sinfonia di rumori della taverna –una
cacofonia di vassoio metallico a terra, boccali rovesciati, liquido a formare
pozze a terra...e un grido femminile!
Il Seminatore di Morte fu il
primo a levarsi in piedi, a guardare in direzione dei rumori. Niente che fosse
particolarmente interessante per gli altri avventori –era solo un gruppetto di
uomini che avevano deciso di fare avances
più decise ai danni di una cameriera. E la malcapitata era praticamente una ragazzina.
La giovane doveva essere
alle sue prime armi, visto che le altre due donne di servizio si limitavano a lanciare
occhiatacce di avvertimento ai maschi, le loro espressioni quelle di chi ne ha
viste ben peggiori...
“Sono innamorato di te, bel
fiorellino,” stava dicendo l’uomo che le aveva preso il braccio. Le stava
passando una mano callosa sul ventre, in un maldestro tentativo di languidità.
“E sono disposto anche a pagare per la roba che hai rovesciato, se fai la
brava. Hm?”
Prima che una risposta
potesse essere pronunciata dalla ragazza, una mano guantata di nero afferrò il
polso dell’uomo. Una presa salda, che costrinse l’uomo a rivolgere uno sguardo
ubriaco e infastidito al Seminatore. “L’ho vista prima io, messere.” A
sottolineare le sue parole, i suoi due compagni estrassero i pugnali dalle
cinture. La folla fece spontaneamente un varco, come un’arena vivente, tutti
attentissimi e silenziosi.
“Lasciala,” disse il
Seminatore, con un tono che avrebbe spinto uno zombie a tornarsene nella tomba.
L’uomo, purtroppo, era
ubriaco, al di là di ogni ragionevole prudenza. “Costringimi, moscerino,”
disse, convinto che un uomo disarmato non rappresentasse la benché minima
minaccia...
In entrambi i casi, si
sbagliava. Il Seminatore non era un uomo, ed era armato eccome! Una semplice
pressione, e l’unità di bioscrambling
nel guanto investì ogni singola cellula del polso dell’uomo, avvolgendo in un
attimo l’intero avambraccio! L’uomo urlò come se gli avessero infilato il
braccio in un tritacarne. Lasciò la ragazza solo perché i collegamenti
muscolari e nervosi della mano erano irrimediabilmente necrotizzati!
L’espressione dell’ora sobrio avventore era quasi comica da vedersi, mentre
fissava il braccio pendere inerte, morto.
Il suo compagno non perse un
attimo. Fu, a suo merito, talmente veloce che avrebbe potuto facilmente
squartare il Seminatore...se il suo pugnale avesse incontrato un bersaglio
solido! Invece, non poté impedire alla propria inerzia di farlo malamente
rovinare sul pavimento, quando attraversò lo straniero come fosse stato uno
spettro!
Il terzo uomo, che aveva
finalmente metabolizzato i fumi dell’alcool abbastanza da sapere che non poteva
vincere quella lotta, fece per allontanarsi...e si scontrò con Avatar!
Il sintezoide si limitò ad
alterare la propria densità, ed infilò una mano nel ganglio nervoso ascellare dell’uomo,
che cadde a terra in preda alle convulsioni, privo di conoscenza.
Saggiamente, nessuno
intervenne. Tutti tornarono alle proprie ‘attività’ –l’esperienza con i Tok
aveva insegnato i valore della discrezione, là dove prima sarebbe nata una
bella rissa.
La ragazza ‘salvata’ si
chinò a terra ed iniziò a ripulire. Non una parola di ringraziamento le uscì
dalle labbra, nessuna luce di riconoscenza le brillò negli occhi. Dalle parole
dell’ubriaco –che stava ancora seduto lì, a fissarsi il braccio, bianco e balbettante
per lo choc- era chiaro che lei stava pensando ai soldi che avrebbe dovuto
restituire per la birra versata.
Da una tasca interna del
mantello, il Seminatore estrasse un sacchetto rigonfio, e lo lanciò all’oste.
“Per tutti i danni,” disse, ed uscì dal locale, seguito a ruota dai suoi
‘compagni’.
“C’era proprio bisogno di
dargli tutte le mie belle monete?” fece Max, sconsolato.
“Pessima mossa di pubbliche
relazioni, se mi è permesso,” intervenne Diablo. “Cosa volevi dimostrare? Di
essere in anticipo di 600 anni sul femminismo?”
Sotto il cappellaccio, Mary Elizabeth Sterling non commentò,
dandosi invece della stupida. Diablo aveva ragione: finquando Stargod stesso
non avesse fissato delle regole, se
le avesse fissate, infrangere le regole avrebbe minato la sua credibilità!
Ma come poteva rimanere
impassibile? Lei stessa era stata vittima di discriminazioni, l’ultima di una
linea iniziata con la prima Sterling.
Le donne Sterling avevano un
solo diritto: quello di stare zitte, vivere nell’ombra e dare figli maschi. Le
femmine erano praticamente esiliate dalla nascita, abbandonate al proprio
destino…Mary Elizabeth era stata, in tale senso, fortunata. Era stata adottata
da un parente del ramo europeo della famiglia, e cresciuta lontana dalle
tradizioni; soprattutto, alla morte del suo patrigno, aveva ereditato
abbastanza da costruire un piccolo impero economico…
“Messere!”
Si voltarono all’unisono.
Dalla taverna, stava uscendo, trafelata, una donna –era una delle cameriere
anziane. In mano, stringeva il sacchetto che il Seminatore aveva dato all’oste.
La donna tese il sacchetto
alla figura in nero. “Ho convinto l’oste a tenersi solo quello che gli serviva.
Io vi ringrazio, per avere cercato di riscattare mia figlia…ma non posso
proprio accettare.”
‘Riscattare’? Prima che il
Seminatore potesse rispondere, fu accarezzato dalla voce mentale di Max. <Un
uomo ha questo diritto, in quanto le donne in molti regni sono equiparate agli
schiavi.>
“E se io insistessi?” chiese
il Seminatore. “E’ mio diritto, e l’oste non potrebbe dire di no.”
La donna serrò le labbra, ma
non rispose. Il Seminatore stava per chiedere a Max di leggerle la mente,
quando, improvvisamente, l’uomo/dragone puntò lo sguardo da qualche parte nel
cielo, verso il sole. Emise un verso rabbioso, che spinse Rennsaeler a mettere
il casco. Guardando nella stessa direzione, il mutante abbassò la visiera.
“Porca miseria.”
Erano puntini lontani, ma si
stavano avvicinando rapidamente. Uno sciame di locuste metalliche, tutte
disposte intorno alla loro colossale ‘regina’…
Il rapporto di Avatar non
lasciava spazio a dubbi. “Forze stimate in 2.500 unità e un’astronave-madre.
Armamenti pienamente operativi.”
Il Seminatore annuì. “Sono
arrivati.”
Episodio 5 - Wolfquest
Uffici della TriCorp. Manhattan. Ore 04:37:12
Strani scherzi fa la mente,
quando si è sotto stress.
Fino a non molto tempo
prima, le ragioni che spingevano quest’uomo, seduto al terminal PC nel proprio
ufficio, intento ad inserire ed elaborare dati, erano ben lontane da quelle
umanitarie che, adesso, lo stavano portando verso un nuovo premio Nobel.
Ma Michael Morbius era un uomo abbastanza maturo da sapere apprezzare
l’ironia della vita. Un tempo, la notte era il suo regno, e il terrore era la
sua fede. Un tempo, Morbius era il sinonimo del Vampiro Vivente, il risultato di un terribile incidente
scientifico, che lo costringeva a vivere a spese dei suoi simili, il cui sangue
era la sola fonte di nutrimento consentitogli.
Ma era passato. Era guarito,
umano E anche se ancora rabbrividiva ai ricordi, anche se ancora incubi atroci
tormentavano le sue notti, Morbius aveva trovato il modo di indirizzare quelle
energie negative in qualcosa di costruttivo.
La notte era ancora il suo
regno. E nelle ore quiete, senza che nessuno potesse disturbarlo, quando le
connessioni Internet raddoppiavano le capacità di trasferimento dati, Morbius
portava avanti la sua battaglia contro un mostro infinitamente peggiore del
Vampiro Vivente.
Lottava contro l’AIDS.
Doveva essere il punto culminante
della sua carriera, la sua redenzione definitiva. Gli ultimi test di
laboratorio erano stati un successo pieno -ma era proprio a questo punto, che
s’imponevano batterie di controlli supplementari, filtri logici e matematici,
verifiche su cui doveva ombreggiare il pessimismo per non peccare di ottimismo
e mancare quell’unico, insignificante elemento che divideva la speranza dalla
morte per milioni di vittime.
Senza contare l’abbattimento
delle nuove barriere sociali che il male aveva portato. La fine dell’AIDS avrebbe tolto le zanne agli integralisti religiosi e
ai ‘benpensanti’ in materia di etica sessuale. Niente più ‘flagello divino’ per
i ‘peccatori’, ma solo un altro male curabile…
Morbius sbadigliò –che gli
piacesse o no, non poteva più fare così
tardi. Sorrise, e si piegò all’indietro, facendo piacevolmente schioccare le
vertebre. Avviò lo spegnimento del terminal, e col sottofondo dell’hard disk
guardò l’orologio: ancora ben cinque ore di sonno, calcolato il tempo di
arrivare a casa, doccia e cambio d’abiti –ugh, da quanto tempo stava dormendo, in quel completo? E poi si
chiedeva perché gli assistenti gli lanciassero delle strane occhiate, al suo
passaggio…
Poi, nel monitor ormai
spento, vide il proprio riflesso.
Vide il volto smagrito,
ferale, la pelle bianca dalla mancanza di sangue, gli occhi bordati di nero,
gialli, le pupille due malevole fessure. E
la bocca contorta in un sorriso dai canini acuminati.
Morbius non si accorse
neppure di stare urlando, mentre, freneticamente, spingeva la sedia
all’indietro. La sedia si rovesciò, e lo scienziato rovinò a terra, scompostamente,
pallido sì, ma dal puro terrore che onubliò i suoi pensieri!
Non seppe neppure quanto
tempo passò così, rannicchiato in posizione semifetale, tremante, prima di
trovare l’enorme forza per mettersi almeno in ginocchio, per sollevarsi
appoggiandosi alla scrivania, per fissare il monitor che come la Morte Rossa
attendeva di mostrare il proprio volto prima di condannare chi l’aveva incautamente
negata…
E vide il proprio volto. E
vide che era quello di sempre, normale. Umano.
Morbius si terse la fronte
imperlata, gelida. Un incubo a occhi
aperti. Magnifico! pensò. Dio,
aiutami a mantenere la sanità mentale almeno fino a quando la cura non sarà
disponibile sul mercato! Andò alla porta, e girò la maniglia, accettando il
pallore alle mani come conseguenza della stanchezza e dello spavento...
Strani scherzi fa la mente,
quando si è sotto stress.
Se avesse saputo la verità, tuttavia, avrebbe invocato una ben differente divinità…
La luce era fredda, intensa,
provvista da organismi fotofori fissati nei punti più adatti.
La sala era un capolavoro
del Barocco –almeno quello che qui, su Altro
Regno, Microverso, passava per Barocco.
L’intera struttura era in
puro legno, massiccio, solido come roccia e allo stesso tempo delicato, venato
come se fosse stato intagliato da delicate onde. La stanza, come l’intera casa,
respirava come la creatura vivente in
cui era stata ricavata.
Nessuna delle fitte
decorazioni era stata ricavata con metalli o altri materiali che non fossero
legno, decorazioni che sulle pareti stavano come una seconda pelle. Decorazioni
fra cui spiccavano i pannelli, che rappresentavano un uomo-lupo in varie situazioni –in corsa con un branco di lupi
durante una battuta di caccia; ringhiante e feroce, nella propria armatura,
contro un nemico umanoide interamente coperto da un’armatura; in piedi su una
roccia, nudo, solenne e fiero guardiano di una valle illuminata dall’alba…
L’ultima illustrazione in
netto contrasto con l’entità incosciente dalla bianca pelliccia sdraiata su un
altare al centro della sala. L’altare, pure in legno, era sorretto da due lupi
che mettevano le proprie radici nel pavimento, e le sue pareti erano circondati
da un intrico di foglie disposte a disegnare un sigillo di rune magiche.
Quattro bracieri, sui cui supporti erano incisi eleganti filari di animali,
stavano ad ogni angolo; nei loro piatti non giacevano carboni ardenti, ma scure
pozze di liquidi di potenti erbe usate per gli incantesimi,
incantesimi come solo i
membri del Circolo della Terra
potevano tessere.
Sull’impotente figura di Stargod, il protettore di Altro Regno,
stava china la più fragile figura di Tajrra,
Decana del Circolo.
Sarebbe stato impossibile
definire l’età della donna. I suoi lunghi capelli erano di un delicato colore
verde scuro, venati del rosso dell’autunno e meno folti alle tempie. Il volto
era delicato, dagli zigomi alti e il naso sottile, ma già delle rughe avevano
fatto la loro comparsa intorno alla bocca, e agli angoli degli ampi occhi
nocciola. E se ci fosse stato dubbio sulla sua razza di appartenenza, gli elfi, era sufficiente notare le orecchie
a punta.
Vestita di un’ampia tonaca
marrone e verde, Tajrra teneva una mano premuta sulla fronte del dio lupino, e
l’altra sul petto, proprio sotto la Godstone.
La gemma scarlatta, fonte dell’inesauribile potere di Stargod, splendeva adesso
di una luce smorta, pallida.
Tajrra scosse la testa,
rabbrividendo, il volto attraversato da una smorfia di disgusto. Ritirò le
mani, e le immerse in una coppa d’acqua. Si sfregò ripetutamente, guardandosi
gli arti come se questi potessero prendere vita propria, ed uscì dalla sala.
Appena varcata la soglia,
mormorò delle parole gutturali. Solo occhi allenati alla magia avrebbero potuto
vedere la barriera innalzarsi.
Tajrra si fermò davanti al
gruppo in attesa fuori dal tempio, che era parte di un albero grande come un
palazzo. La vista di quegli ‘ospiti’ sarebbe stata da sola sufficiente a farla
seriamente dubitare della sanità mentale del suo vecchio amico…Ma le condizioni
di Stargod erano prova sufficiente della gravità della situazione.
“Invero non c’è modo di
intervenire dall’esterno; la stessa Godstone respinge ogni tentativo di curare
il Dio. Hai fatto bene a portarlo qui, Lambert.”
Il Decano del Circolo di Fuoco, un uomo di età
ugualmente indefinibile, dai capelli interamente bianchi come i baffi e il
pizzo, vestito di una simile tonaca, ma di un rosso vivo bordato d’oro, annuì.
“Non c’è un momento da perdere, per questo ho portato qui i Cavalieri del Dio. Anche se non sono al
completo, rappresentano una forza più che efficace per trovare in fretta la Prescelta.”
Tajrra squadrò i ‘Cavalieri’
in questione:
-
Quello chiamato Iron Monger
indossava un’enorme, sofisticata armatura. Per quanto lei ne sapeva, poteva
benissimo esserci un invasore, un Tok,
in quel guscio metallico. L’unica cosa che la rassicurava era la bontà che
traspariva dal suo essere (cosa incredibile, per uno che la tecnologia arrivava
ad indossarla)
-
Il silente Avatar poteva
fingere di essere una creatura vivente, ma se anche le sue braccia e gambe di
fuoco fossero state un trucco, le sue ‘carni’ puzzavano della tecnologia di cui
era fatto. Emozionalmente, quell’essere era un vuoto, e da quel vuoto proveniva
una sorta di vibrante, sconosciuta fame.
-
Grigar era pressoché simile a un
guerriero della tribù degli Ojain, ma
era tradito dalla sua natura demoniaca, che essudava come una cancrena dal suo
corpo dal pelo arancione e vestito di un’armatura di cuoio. Pure...C’era qualcosa
di puro, innocente, da qualche parte nel suo cuore –e questo era un enigma
affascinante, da studiare, quando ce ne fosse stato il tempo.
-
Infine l’enigmatico Seminatore di
Morte, vestito del nero assoluto e dagli occhi gialli. Cos’era? Maschio o
femmina? Umano o demone o di quale altra razza? Se i cinque sensi faticavano ad
inquadrarlo, il sesto lo percepiva come un qualcosa di indistinto come i suoi
tratti.
Tajrra tornò a rivolgersi a
Lambert. “Solo il Sacro Branco può aiutarlo, ora…Ma non so perché non si siano
ancora fatti sentire, e questo è molto preoccupante.”
Lambert annuì. “Questi
Cavalieri possono fare molto, e in fretta. Ti prego, vecchia amica, fidati: non
abbiamo tempo da perdere.”
Lei fece un cenno esasperato. “E sia, va bene! Chiederò a Lord Dailan di non interferire nella
ricerca del Branco.” Si voltò a guardare verso il tempio. “Del resto, se ad
esso facessero del male o peggio, le conseguenze per questo intero mondo saranno
terribili. Ho potuto distintamente percepire una volontà distruttiva, nel male che infesta il Dio.”
Lambert guardò verso il cielo. “Dov’è il vostro dragone?” chiese al
Seminatore, ma senza smettere di guardare in alto. “Con il suo aiuto, la
ricerca sarebbe condotta in un attimo.”
“Max ha ancora bisogno di
tempo per riprendersi: distruggere la nave Tok[i]
lo ha portato all’esaurimento di tutte le sue forze. Diablo vigila su di lui. E ora, signori, andiamo.”
“Sembra che alla fine ti
debba delle scuse, ometto,” disse una voce profonda, cavernosa, potente, mentre
una zampa dalle scaglie di smeraldo passava sulla sfera che mostrava quello che
stava avvenendo vicino al tempio.
La sfera si spense, tornando
ad essere una palla di cristallo perfetto, senza la minima imperfezione,
sospesa nell’aria.
Il proprietario della zampa
era un dragone –una bestia enorme,
elegante, un maestoso serpente smeraldino di 20 metri, con una cresta bianca e
dall’apparenza delicata di un unico petalo che andava dal cranio alla punta
della coda.
La creatura, arrotolata su
sé stessa, chinò il muso verso il suo ‘ospite’,
l’uomo chiamato Diablo, che in quel momento era
prigioniero in una parete di viticci, braccia e gambe accuratamente divaricate
e tese per impedirgli anche il minimo movimento. Anche la testa non era stata risparmiata,
tesa com’era all’indietro appena a un pelo dal punto di rottura del collo, la
bocca tenuta spalancata da altri viticci, per impedire al maestro alchimista di
usare le pozioni nei baffi.
Dragone e prigioniero si
trovavano in una ‘caverna’ ricavata dall’intreccio di ciclopiche piante. Quelle
pareti avrebbero potuto sostenere l’attacco di un esercito armato fino ai
denti.
Il muso del dragone a 1
metro dal proprio volto, avrebbe ridotto in gelatina il cuore di molti. Diablo,
abituato agli orrori evocati nella propria carriera, pensava solo a un modo di
uscire da quella situazione...Un peccato, potere ricambiare solo con gli occhi
quello che pensava del suo carceriere.
“Sei stato sincero, una
qualità rara nella vostra specie,” sibilò il dragone, investendolo con un alito
di vegetazione talmente intenso da dare le vertigini.
Il dragone iniziò a
picchiettarsi la mascella inferiore con una zampa, ogni tanto tirandosi
distrattamente un baffo scarlatto. “Un bel dilemma: da una parte, non posso
mica lasciarti vivere. Se un qualunque
umano passasse indisturbato per il mio dominio, perderei la faccia. Dall’altra,
è sacro dovere di un buon dragone riscattare la vergogna che cadde su di noi,
quando Antesys in persona ci tolse la
Godstone, per darla al figlio di un lupo…” improvvisamente, la bocca del mostro
si accese in un sorriso astuto, e tornò a fissare Diablo da molto vicino.
“Facciamo un patto, ometto.”
Iron Monger stava sorvolando
la foresta, gli scansori puntati al massimo su ogni spettro. Naturalmente, era
come cercare il classico ago nel pagliaio. Di lupi ne aveva visti, ma la
femmina –l’alfa, bianca, secondo le informazioni di Tajrra- era introvabile.
In compenso, quel mondo
stava continuando a rivelare meraviglie: la foresta cresceva su un terreno estremamente
irregolare, ricco di crateri che creavano affascinanti dislivelli. I laghi, e
ce n’era una costellazione, di tutte le dimensioni, erano come tante ciotole
dai bordi vetrificati –resti di un super-vulcanismo?
Mise da parte il turismo,
per ora, e aprì il contatto con il Seminatore. “Diablo è una specie di mago
chimico, no? Non potrebbe usare le sue pozioni per ridare forza a Max? Qui
tiriamo notte!”
Dalla radio, giunse la voce
del Seminatore –Dio, era allucinante sentirselo
dritto nelle orecchie, ti faceva voglia di essere d’accordo su tutto solo per
non sentirsi come a dialogare con il demonio!
“Le pozioni di Estaban,
sfortunatamente, sono alquanto…instabili, nel tempo. Non voglio che il dragone
paghi le conseguenze della nostra fretta, non finquando c’è ancora tempo.”
“E come fai a dire che…”
“Posso vedere squarci di
eventi temporali. Lo considero come una…conseguenza del mio potere di
teletrasporto. E ora, basta con le chiacchiere e limitati a…”
“TROVATA! Trasmetto le
coordinate!”
Miracoli dell’informatica
moderna: fosse dipeso dai suoi occhi e la sua capacità (fralaltro molto buona)
di concentrazione, al massimo avrebbe visto un movimento di foglie, troppo
breve per prestarvi più di un attimo di attenzione. Gli scansori ‘intelligenti’,
programmati per il bersaglio, addirittura guidarono la sua testa a seguire
la lupa bianca,
indubbiamente femmina, che saettava
nel verde vergine! Rennsaeler esaminò i dati degli scansori… “Per la miseria.
Ma è enorme. Potrebbe dare i punti al
campione del mondo degli Alani. E si muove come un fulmine…”
“Cerca allora di individuare
la causa di tale fretta. Queste creature non sprecano risorse senza una valida
ragione. E’ da sola?”
“Positivo. Ed è male?”
“I lupi sono animali
sociali. O si tratta di una femmina giovane, alla ricerca del suo primo branco
fuori dalla famiglia, o il suo branco è stato attaccato, e lei è in fuga. Passa
agli infrarossi, se i suoi inseguitori fossero camaleontici.”
Iron Monger lo fece.
“Cristo, si sta lasciando dietro una scia di sangue. Chiunque la sta
inseguendo, la…troverebbe…”
“Rennsaeler?”
“Correzione! Sono già qui. Io vado, e fate presto, perdio!”
La lupa arrivò al termine
della foresta…e della sua corsa!
Ansante, tremante,
indebolita dalla perdita di sangue dalla ferita alla coscia sinistra, poté solo
guardare con frustrazione al precipizio davanti a lei. Non aveva modo di
correre lungo il bordo senza essere vista dai suoi inseguitori, e non c’erano
sentieri visibili per accedere al cratere.
Era la fine.
La lupa si voltò, mettendosi
in una posa dignitosa, pronta per loro.
E loro arrivarono. Non
correvano, erano soddisfatti di avere messo la preda in angolo.
Dieci umani, quattro uomini
e sei donne, imbracati come se dovessero andare a una campagna militare più che
a una battuta di caccia. Le loro corazze avrebbero potuto trattenere i colpi di
un Tok. Le loro ‘cavalcature’ erano temibili bipedi tigrati di nero e bianco,
strutturati come dei velociraptor, ma
con un muso equino e comunque irto di zanne, essi stessi bardati da metallo
chiodato.
Inutile sprecare forze. Se
la prendevano adesso, avrebbero risparmiato il resto del branco…almeno per
oggi…
Niente battute, niente
risate, da parte dei cacciatori. Avevano vinto, ed era ora di chiudere con
onore per la preda. Levarono le staffe, gli archi…
Lei si preparò a saltare. Un
ultimo attacco. Non sarebbe morta come una cerva spaurita!
Loro mirarono.
Lei saltò!
Non arrivò neppure a coprire
metà distanza –dal nulla, un braccio coperto di pelliccia arancione la avvolse
intorno al collo, e la trascinò in basso! Anziché atterrare sulla nuda terra,
finì addosso a un robusto corpo muscoloso. Una raffica di energia passò sopra
di lei, strinandole la criniera.
I cacciatori potevano essere
rimasti sorpresi dall’apparizione del felino antropomorfo, ma conservarono
sufficiente sangue freddo per puntare le armi sul nuovo bersaglio l’istante
successivo…
Una serie di raffiche li
investì dal cielo! Colpiti alla testa, i raptors caddero –anche se ancora vivi
in virtù degli elmi che li avevano protetti- e quattro dei cacciatori rimasero
sotto le loro cavalcature con vari grugniti di dolore.
Il capogruppo, una donna,
invece rotolò fulminea e si rimise in piedi, sguainando un’alabarda dalla
schiena.
Grigar reagì per primo,
veloce come il lampo. Ruggendo, brandì l’ascia e vibrò un fendente tremendo!
La donna parò, e tenne la
posizione, nonostante il colpo si ripercosse lungo tutto il corpo. L’alabarda
resistette, e la donna passò al contrattacco, talmente veloce che la sua arma
dalla punta fiammeggiante di energia sembrò moltiplicarsi!
Gli altri cinque cacciatori
erano troppo occupati a salvarsi la pelle, per pensare alla lupa ora indifesa.
Dal cielo, arrivarono Iron
Monger e Avatar. Il primo colpiva con raffiche di repulsori, sufficienti a
stordire, ferire, ma non uccidere. Il secondo, non aveva di simili remore.
Un cacciatore tentò invano
di colpire l’ora immateriale forma del sintezoide. Avatar avanzò fino ad
afferrare il malcapitato per il collo…e si fuse
con il suo corpo, sparendo dentro di esso!
Uno spettacolo sufficiente
per i compagni dello sventurato, che rimasero letteralmente immobilizzati dal
terrore –diventando perfetti bersagli per Iron Monger!
La lupa, intanto, grazie
alla provvidenziale pausa, aveva ancora abbastanza forze da evitare gli
attacchi dei raptor, questi ultimi ormai in preda a una cieca furia assassina.
Potevano essere grandi, ma erano anche svelti.
E si muovevano in efficace coordinazione, alternando scatti della testa e colpi
di artiglio…Ma, ciononostante, lei riusciva a guadagnare terreno. Ancora uno
sforzo, e sarebbe riuscita a guadagnare la foresta…
Fu un colpo di coda, a
raggiungere la femmina! Un guaito, e lei scivolò a terra per diversi metri, di
nuovo verso il burrone.
Tre raptor corsero verso di
lei, pronti per il colpo di grazia…
Furono letteralmente avvolti
e consumati da un’onda di energia! Le
loro contorsioni di agonia durarono il paio di secondi necessari ad essere
trasformati in scheletri anneriti!
I tre raptor rimasti in
piedi compresero che quello non era decisamente un gioco che potessero vincere,
e presero la prima, saggia decisione della loro vita: fuggirono a zampe levate!
Degli umani, rimaneva in
piedi solo la capogruppo. Le sue energie sembravano inesauribili, tanto da
tenere Grigar sulla difesa. I capelli erano una massa rossa che spuntava
dall’elmo, circondando la testa come una corona infuocata.
“Cadi, dannato animale! Cosa
ci vuole per ucciderti?!” urlava lei,
tanto furiosa quanto instancabile.
“Grigar è pressoché
invulnerabile ad ogni arma forgiata su questo piano,” disse la sinistra voce
dietro di lei.
La donna non sobbalzò
neppure. Si voltò e colpì all’altezza della gola.
La lancia attraversò
l’etereo Seminatore, che per contro afferrò la spalla dell’avversaria. Subito
dopo, l’energia del bio-scrambler
investì la donna, che urlò, contorcendosi, per poi cadere a terra, inerte.
“L’hai..?” fece Iron Monger,
avvicinandosi.
“Vivrà. Occupiamoci della lupa, adesso. Quanto a te, Grigar, la tua
prestazione è stata a dir poco deludente. C’è in gioco molto più del tuo
orgoglio guerriero, non dimenticarlo.”
Il Seminatore guardò la lupa, che si stava rimettendo in piedi. E del
Branco non c’era traccia, maledizione! “Avatar, sei in grado di sondare la
mente della lupa senza causarle ulteriore stress? Senza il Branco…”
<Il Branco è prigioniero dei cacciatori, e questa donna è il loro
capo.>
Era difficile sorprendere Mary
Elizabeth Sterling, ma l’ombra nera ebbe un sobbalzo visibile, quando la
voce mentale l’accarezzò. E non era stata la sola, a sentirla, visto che anche
gli altri stavano guardando l’animale.
La lupa venne avanti. <Li vogliono vivi, per i loro giochi. Come
alfa del Branco, solo io sono ‘degna’ di diventare loro trofeo, e sono stata liberata
per farli divertire. Vi ringrazio per avermi salvato, come posso
ricambiare?>
Il seminatore le spiegò della situazione critica in cui versava
Stargod. La lupa ascoltò con estrema attenzione, prima di rispondere, <Il
Branco deve unirsi nella Canzone, per potere aiutare il Dio a trovare la forza
che da solo non possiede. Il tempo è poco, ma dobbiamo prima liberare i miei
compagni.> Era calma, considerando la cosa pragmaticamente.
Il Seminatore guardò la donna inerte, contemplando le varie opportunità
di estrarre informazioni senza rischiare di danneggiare la sua mente –l’ultima
cosa che potevano permettersi, era un ulteriore fronte di inimicizie intestine!
Tuttavia…
“Femmina, se sai dove il Branco è stato portato, comunicalo a Grigar.
Grigar, preparati a trasportarci in loco. Rennsaeler, prendi quella donna.”
Nessuno di loro si accorse, o comunque prestò importanza, all’elegante
rapace dalle piume scarlatte che volteggiava sopra di loro, stridendo...
Nel tempio, regnava la
quiete. Stargod continuava a giacere immoto, protetto da sigilli di grande
potenza, che non potevano essere neppure avvicinati senza mettere in allarme
Tajrra e Lambert e ogni altro elfo e creatura di quel regno.
I due Decani stavano in
piedi, ognuno a un lato dell’altare, le mani giunte dentro le maniche.
“Gli altri Decani?” chiese
lui.
Lei scosse la testa. “I
fedeli di Arisen Tyrk hanno fatto la loro ricomparsa, e stanno seminando
disordini.” Guardò la forma inerte. “Il Dio deve rendersi manifesto, o...”
terminò la frase in un sussulto, pallida.
Lambert seguì lo sguardo di
Tajrra...e sussultò a sua volta!
Il braccio sinistro di Stargod –improvvisamente non era più carne
coperta di pelliccia, ma una finestra sul cosmo, piena di stelle!
Il villaggio non aveva un
nome –anzi, non lo si poteva neppure chiamare un villaggio. Piuttosto, era un
vasto accampamento, decine e decine di carri di tutte le dimensioni, tutti
ingegnosamente collegati fra loro a formare dei mini-edifici, il tutto disposto
in una pianta a raggiera. Barnum lo avrebbe adorato.
Il centro del ‘villaggio
mobile’ era un palazzo più lungo che alto, quadrato, dal tetto piatto. Una
struttura in legno e ferro apparentemente povera in stile...
...Ma che si smentiva
clamorosamente, una volta varcato l’ingresso. La caverna dei Quaranta Ladroni!
Un assortimento caotico e scintillante di velluti, arazzi, gioielli, tappeti,
il tutto nei più diversi stili e fogge, dal tetto al pavimento. Il visitatore
veniva sommerso dalla precisa impressione che i padroni di casa fossero ricchi!
E che molte vite erano state
sacrificate per ottenere quelle che erano prede, bottino di innumerevoli
razzie.
E non tutte quelle prede
erano prive di vita.
Nel corridoio, risuonava il
potente coro di ululati dell’ultima battuta della tribù.
L’uomo si muoveva con passi
misurati, i suoi movimenti simili a quelli di una bambola meccanica che stesse
per terminare la carica. Indossava un abito dalle maniche a sbuffo, dai colori
vivaci, colori che non potevano certo impedire che si notasse l’avanzato stato
di invecchiamento visibile nella sola parte scoperta, il volto. L’uomo sembrava
un basset-hound, con le guance flosce, le palpebre permanentemente
semiabbassate e la bocca stirata in una smorfia di disappunto.
Ma l’uomo era ancora uno
degli individui più temuti della tribù, la sua mente carica di saggezza ed
informazioni preziose. Una mente che gli aveva permesso di sopravvivere
all’arrivo dello straniero e della sua orda, una mente che gli aveva permesso
di sopravvivere come Visir.
L’uomo entrò nella stanza
principale, inginocchiandosi subito alla figura vestita di oro ed ebano, senza
osare guardarlo negli occhi, sapendo che in caso contrario sarebbe stato
decapitato. “Mio Signore, è mio dovere informarla che la Sua sposa è stata
catturata.”
Mani guantate del dorato metallo
strinsero il bracciolo del trono fino a fare scricchiolare il prezioso legno.
“Un’impresa impossibile, Visir, a meno che nelle foreste non si stia muovendo
un esercito di cui non ero a conoscenza. Perché solo un esercito potrebbe,
forse, riuscire a catturare la mia donna.”
Il Visir cercò di mantenere
la voce ferma, mentre diceva, “Il Kyspel di Milady li ha visti...ed
erano in quattro.” Raccontò al dettaglio della battaglia, fino al momento in
cui l’intero gruppo era scomparso, portando la donna con loro.
L’uomo in armatura sbriciolò
letteralmente il bracciolo. “Hai detto abbastanza.”
Si alzò in piedi, un essere
enorme, avvolto da un folto mantello di grigia pelliccia, un barbaro che a
ragion veduta veniva chiamato ‘Il Divino’.
“Che l’intera tribù sia
armata, perché Azunbulxibar non tollererà un simile affronto! A costo di
mettere a ferro e fuoco questo mondo, i colpevoli pagheranno.”
Episodio 7 - Wolfsong
Cittadella
orbitale di S’shadz, capitale del Dominion dei Tok, Altro Regno,
Microverso
“Abbiamo
un contatto,” disse l’essere rettiliano –una creatura enorme, dal muso affilato
e una poderosa corazza naturale, seduta alla sua postazione in un anfiteatro di
consolle. “Settore AI-334 N/QSO 8.”
Immediatamente,
un ologramma gli si materializzò accanto. L’ologramma di un rettiliano ancora
più possente e bello nella propria, pura potenza fisica. “Sei assolutamente
certo, Soldato?”
Il Tok
levò il mento in assenso. “Sì, Nostra Maestà. Gli scansori satellitari
confermano la presenza dell’impronta energetica del blasfemo sedicente Stargod. Fra pochi istanti, avremo anche
le immagini della sua tana.”
Seduto
nella propria sala del trono, il Principe
Ssylak osservò lo schermo aprirsi in più finestre –una per ogni tipo di scansione-
del villaggio dove si nascondeva il nemico.
Il
nemico...E insieme, la più grande minaccia per quel mondo e quindi per i Tok.
Stargod era infettato da nanotecnologia,
e il suo contenimento ed eliminazione erano obiettivi di priorità assoluta!
Purtroppo,
blasfemo o no, non solo aveva il potere di assorbire una raffica della loro
arma più potente, il Volter Cannon[ii], ma
era appoggiato da una squadra capace di eliminare un’intera armata! E come se
non bastasse, potevano teleportarsi a
grandi distanze. Eliminarli, avrebbe richiesto un attacco tanto potente quanto
rapido, e questo era un problema: i Tok non erano abituati a simili schemi di combattimento in un attacco collettivo,
non avendo mai sentito il bisogno di svilupparli...
Poi, il
Principe Tok si accorse di un particolare, e trattenne a stento un sibilo di
gioia.
In nessuna immagine era presente un solo
membro di quella squadra.
I
successivi cinque minuti furono spesi alla ricerca della squadra. Finalmente,
il soldato-operatore disse, “Localizzati. Si trovano a 25.3 Km a NO.”
Ssylak
osservò le nuove immagini, e quello che vide gli piacque –sì, avrebbe potuto
trasformare questo sviluppo in un’occasione irripetibile..!
Si alzò in piedi, attivando un altro
comunicatore. “È arrivato il momento, Generale Viskajj; prepara la squadra d’assalto. La guiderò personalmente alla cattura del
blasfemo!”
Un
intero pianeta di tipo terrestre era un posto grande da passare agli scansori, fossero anche stati satellitari.
Mentre la ricerca degli invasori alieni di Altro Regno doveva ancora dare
frutti, la ‘situazione’ che avrebbe spinto Ssylak alla propria decisione stava
per maturare...
Il villaggio non aveva un nome –anzi, non lo si poteva neppure chiamare un villaggio. Piuttosto, era un vasto accampamento, decine e decine di carri di tutte le dimensioni, tutti ingegnosamente collegati fra loro a formare dei mini-edifici, il tutto disposto in una pianta a raggiera. Barnum lo avrebbe adorato.
Il centro del ‘villaggio mobile’ era un palazzo più lungo che alto, quadrato, dal tetto piatto. Una struttura in legno e ferro apparentemente povera in stile...
Ma che gli scansori mostravano essere composta, sotto il legno, di solido metallo. Così come ogni altra struttura abitativa.
In quel gioco di apparenze, le armi più sofisticate erano spade, lance, mazze...ma la lettura su altri spettri rivelava i loro collettori di energia nascosti al loro interno. Altissima tecnologia, tanto per cambiare aliena a quel mondo che ancora viveva allo stadio medioevale.
In compenso, non c’era bisogno di scansori speciali, per verificare che l’attività nel villaggio/accampamento era frenetica, frenetica e ordinata.
Iron Monger si
voltò verso i propri compagni, rivolgendosi alla donna in nero, simile a un
tenebroso angelo della morte dagli occhi gialli. “Si stanno preparando per una
manovra di tipo militare. Se per esercitazioni o altro, non lo so, ma è una
mobilitazione generale. Persino le donne stanno prendendo delle armi. Niente
sentinelle all’esterno, devono sentirsi molto sicuri di sé.”
Il Seminatore di Morte annuì all’uomo
nell’enorme armatura blu. Parlò con una voce sinistra e profonda, asessuata.
“Dobbiamo assumere che sanno che la loro squadra di cacciatori ha incontrato dei problemi. Evidentemente, la nostra
‘ospite’ ha più valore di quanto pensassimo.”
L’’ospite’
in questione, che giaceva ben legata ai piedi di Grigar del Popolo Felino,
era una donna in armatura, questi un involucro che esaltava decisamente le sue forme,
permettendole di mostrare la folta chioma rossa che spuntava dall’elmo.
Dall’elmo, gli occhi di lei lanciavano fiamme, ma non una parola le sfuggì.
Iron
Monger aveva proposto di toglierle l’elmo, ma il Seminatore era stato
irremovibile –quella donna rappresentava l’unica chance di una trattativa
‘pacifica’ con la tribù. Per quanto ne sapevano, rimuovere l’elmo poteva essere
visto come un’offesa mortale. E di attaccare a testa bassa non se ne parlava
–si supponeva che Stargod e i suoi ‘cavalieri’ fossero giunti su quel mondo da
liberatori e guardiani, non come ammazzasette dei locali! E già ne avevano
fatte abbastanza a Kalgarn, per quanto
Re Diomacus lo meritasse...[iii]
Il Seminatore disse, “E’ il momento di
giocare al baratto.”
L’interno
dell’edificio centrale del villaggio senza nome era un perfetto esempio di caos
organizzato. Il suo interno era un salone del tesoro, pressoché tappezzato
delle migliaia di prede di questi nomadi specializzati nell’arte della guerra.
Nella
sua stanza, il Signore e Dio di quel popolo che per lui avrebbe dato la vita,
osservava un ritratto della donna in armatura, la donna prigioniera dei
Cavalieri, rinchiuso in un prisma scintillante. Nonostante l’armatura nera e
oro, su un corpo già perfezionato da un’esistenza dedicata al combattimento,
l’uomo aveva una posa semicurva, il suo fiero volto segnato dalla
preoccupazione e da un freddo fuoco di rabbia negli occhi castani.
Il
suono di passi in avvicinamento lo spinse a tornare a sedersi come il guerriero
venerato e forte.
Nella
stanza fecero ingresso due uomini, due perfetti gemelli uno con la chioma rossa
e l’altro nera, statuari e formidabili nelle proprie armature d’argento e di
cotta. Si inchinarono in perfetta sincronia. Il rosso disse, “Tutti gli uomini
abili sono pronti a combattere a un Tuo cenno, Divino Azunbulxibar.”
Il moro
disse, più mestamente, “Purtroppo, non ci sono altre notizie sulla Tua Sposa.
Il suo Kyspel ne ha perso le
tracce...”
“Il
miglior cacciatore può perdere le tracce, se viene mandato nella direzione sbagliata,”
disse una voce arrochita dietro di loro.
I due
guerrieri si voltarono all’unisono, e non videro il sollievo attraversare il
volto di Azunbulxibar. Loro erano concentrati
sulla
figura del Visir, l’unico essere
vivente in tutto il villaggio a cui fosse stato concesso di arrivare a
quell’età –in una cultura che vedeva il naturale invecchiamento come una
debolezza sormontabile solo con la morte.
Ignorando il loro palese disgusto, il Visir
disse al Sovrano, “La Tua Sposa è già qui, mio Signore. Insieme ai suoi
catturatori.”
Al
sicuro in un nascondiglio improvvisato nel fitto della foresta, la lupa
aspettava. Un esemplare perfetto, grande quanto un alano ma decisamente più
robusto, la pelliccia bianca come la neve deturpata dalla ferita alla coscia. A
intervalli regolari, la lingua nettava via il sangue appena sgorgato per
lasciarne correre di nuovo, più pulito.
Guardò verso l’apertura, in direzione dove
stava il suo Dio, Stargod. <Grande maschio, discendente di Antesys, Protettore del Mondo. La tua compagna
di branco ti chiama. Riesci ad udirmi?>
Fu un
istante, niente di più, ma lo videro entrambi.
Il male
stava progredendo, sul corpo del Dio lupino. Squarci su un’oscura volta
stellata apparivano al posto della carne coperta di pelo. La sua stessa armatura
aveva già iniziato a scomparire a chiazze a sua volta.
L’elfica
Tajrra e l’umano Lambert, i due maghi inginocchiati ai lati dell’altare su cui
Stargod giaceva, pregavano con sempre maggiore intensità, impotenti e frustrati...Quando
accadde. Per un attimo.
Le
‘macchie’ scomparvero, e lo Stargod era nuovamente integro...
Poi, il male tornò manifesto. I due maghi
rinnovarono la propria preghiera, ora consci della nuova, benigna presenza, e
forti di rinnovata speranza...
Il tempo
non passava, in quello stato. Ma era sicuro che dopo il fantastico colloquio
con Antesys si sarebbe risvegliato dal coma –ironicamente, un coma indotto da
lui stesso!
Ma non
era successo. John Jameson Era ancora
prigioniero in quella specie di limbo spirituale, solo.
Solo...fino
all’arrivo dell’Altro. Anche questa
entità era esplosa dal nulla, come Antesys aveva fatto. Ma la sua manifestazione
completa, questo lupo antropomorfo gli
aveva ricordato le immagini dagli archivi dei Vendicatori del primo Capitan Marvel quando era preso dalla
‘Coscienza Cosmica’.
E, a
differenza di Antesys, questa entità era oscura, malvagia. Il suo mostrarsi come un arrogante titano alto fino al
cielo, l’uomo sospeso davanti al suo naso come un brufolo insignificante, lo
provava più delle sue parole, pronunciate come un orrendo coro di demoni.
“Finalmente stiamo per essere liberati, Jameson. Il tuo tormento finirà insieme
al tuo corpo. La tua coscienza diventerà parte del nostro essere.”
“Tu chi
sei?”
“Noi
non abbiamo un nome adatto alla vostra insignificante cultura. E non abbiamo
bisogno di dartelo. Abbiamo deciso di mostrarci a te in questi ultimi istanti
per rispetto alla tua caparbia resistenza mostrata in tutto questo tempo.”
“Tutto
questo..?” John stava per chiedere spiegazioni, quando fu dolorosamente travolto dai ricordi.
La
passeggiata spaziale, la ‘nuvola’ che lo avvolse...Le spore!
“Voi
eravate state distrutte,” mormorò, ricordando la terribile scarica elettrica
che l’Uomo Ragno gli aveva inflitto,
per rimuovere le spore e curarlo dallo stato di follia che gli stavano
procurando insieme a una superforza. Questo era successo molto prima di
‘trovare’ la Godstone sulla Luna!
L’essere,
per contro, ribatté con il resoconto della loro reale natura e della loro
forzata letargia... “Neppure il contatto diretto con la Godstone ci è stato
utile. In quanto entità vivente, essa ci ha trattato come un virus, impedendoci
di tentare di assorbire il suo potere e di tornare operative in te.
“Le
cose sono cambiate, quando hai assorbito quell’esplosione nucleare: per una
sola frazione di secondo, hai indebolito la resistenza delle terminazioni della
Godstone, ed ora ne condividiamo il potere. Fra poco, diverremo pienamente
operativi, e potremo portare a termine la missione assegnataci eoni fa dai
nostri creatori!”
“Missione?
Di cosa...” ma non terminò la frase,
perché,
improvvisamente, l’Altro, in un batter d’occhio, divenne piccolo quanto l’uomo
nudo,
rimpicciolendo
fino alle dimensioni
di un
punto
e
scomparve.
Quasi
John non si accorse di qualcosa che gli si stava strusciando a un fianco. Si
voltò, e vide la lupa bianca. “Sono qui per te, mio compagno di branco.”
John
era troppo stupefatto, ma automaticamente andò a toccare la schiena della
creatura, sentendola calda e morbida di pelo e solida di muscoli.
“Come..?”
La lupa
era calma, sembrava irradiare la sua
saggezza interiore, mentre diceva, “Ci sono delle grandi risorse, dentro di te,
Stargod. La parte umana di te ha ancora paura di riconoscerle completamente, ma
la Godstone la pensa diversamente. La mia presenza ha rinforzato la sua
resistenza, per ora...Ma dovrai fare la tua parte, maschio.”
Lui le
si inginocchiò accanto. “Come?”
“Amore,
Stargod. Il primo Protettore nacque da un atto di amore, per amore di questo
mondo ha combattuto ed è morto. Devi essere pronto ad amare –tutti possono
avere una missione, nella vita, uno scopo. Ma senza amore, resta solo
un’ossessione, una vuota crociata la cui strada è costruita sul vuoto del
dubbio. Quel dubbio che sta nutrendo l’Altro.
“Io e
il Sacro Branco canteremo per te, Stargod. Ma dovrai ascoltarci col cuore,
capire, o morire adesso.”
Lei
scomparve, lasciandosi dietro un non meno confuso John.
E l’Altro tornò, titanico come prima –questa
volta silente, in semplice attesa.
Cosa voleva
dire, ‘canteremo per te’?
Era uno
spettacolo curioso, appena fuori dal villaggio: da una parte, un esercito,
dall’altra solo quattro individui. Apparentemente, l’idea stessa di
negoziazione era risibile. E, infatti, una delle due parti aveva ascoltato solo
per divertirsi un po’...
“Avete
la mia ammirazione, stranieri,” disse Azunbulxibar. Il Condottiero era
debitamente e sinceramente impressionato. Ma si sentiva anche abbastanza certo
che l’intero villaggio, mobilitato alle sue spalle, sarebbe stato un deterrente
sufficiente. La sua sposa stava davanti a tre dei quattro stranieri. Quello che
si faceva chiamare Seminatore di Morte stava fra lui e la donna. “Sì, vi
ammiro. Addirittura, dopo avere osato umiliare la mia famiglia in simile guisa,
vi mettete a dettare condizioni. Per
il vostro coraggio, e per avere dimostrato il vostro valore guerriero, io,
Azunbulxibar il Divino, vi concederò la grazia della vita e null’altro. Ora,
lasciatela.”
In
risposta, il Seminatore di Morte disse solo, “Grigar.”
Il
quartetto scomparve.
Il
Divino, come il suo entourage, era visibilmente soddisfatto, nel vedere che la
sua sposa era rimasta sul posto. Subito, i guerrieri in argento andarono a
liberare la donna. Che peccato, pensò
il Divino, osservando i propri guerrieri ammassati. Erano disciplinati, non
avrebbero osato respirare, senza un suo ordine, E debbo sprecare una simile forza rimandandola nelle loro case. Non
importa, vuol dire che organizzerò delle battute per trovare e distruggere le
famiglie di costoro che hanno osato*
Una sfera di mistica energia gli comparve
davanti, una sfera contenente il volto del Visir. Per la prima volta in vita
sua, il vecchio sembrava allarmato! “Divino, vi hanno ingannato! Sono entrati
qui di sorpresa, e sono ora alle gabbie delle prede!”
Grigar
calò con tutta la sua forza la sua ascia runica. Teoricamente, quella lama era
capace di intaccare ogni forma di incantesimo –eppure quasi rimbalzò contro lo
scudo eretto dal Visir intorno alla gabbia dei lupi. Una gabbia di tutto
rispetto, per giunta, capace di contenere senza tanti problemi l’intero Sacro
Branco, composto di sette esemplari appena più piccoli dell’alfa femmina.
Avvertendo
la liberazione vicina, il branco stesso era irrequieto, pur comportandosi in
modo molto disciplinato, come a non volere aggiungere un eccessivo nervosismo
alla battaglia in corso...o ad aspettarne fatalisticamente il risultato. Per
contro, gli animali nelle altre gabbie –un assortimento di creature che avrebbe
mandato in fibrillazione uno zoologo terrestre- era decisamente meno
interessato a mantenere l’ordine...
Il
Visir non ebbe fatto in tempo a finire di avvertire il Divino, che un tremendo
ruggito si levò tutt’intorno, e l’intero villaggio andò all’attacco con una
furia degna dei terribili Berserker
norvegesi! I primi colpi di energia dalle lame avrebbero da soli fatto un
macello, se, prudentemente, il Seminatore non avesse preordinato ad Iron Monger
di estendere un campo di forza. Naturalmente, questo non fece nulla per
scoraggiare la carica.
Mary
Elizabeth Sterling maledì fra sé, poi, “Avatar.”
Entrambi
decollarono.
Il
sintezoide concepito nella Zona Negativa era originariamente noto come l’Empatoide, ed era un vampiro psichico, che trovava forza
dalle emozioni altrui. Il suo limite consisteva nella quantità delle emozioni
che poteva assorbire, ma adesso, potenziato dalla simbiosi con il malefico
essere di energia vivente noto come Agron,
quel limite era stato a tutti gli effetti annullato.
Le
emozioni investirono Avatar come un’ondata. L’energia visibile nelle sue
braccia e gambe risplendette improvvisamente brillante come un Sole. A quel
punto, persino una folla isterica avrebbe avuto come un’esitazione...Ma non i
guerrieri di Azunbulxibar, nati per la lotta e desiderosi di morire solo per
essa!
E
Avatar li accontentò! La piastra metallica che copriva metà del volto si aprì.
Osservandolo,
il Seminatore pregò per gli sfortunati guerrieri.
Lo Sguardo di Medusa investì le vittime
come un torrente dotato di propria vita, un fiume letale e tentacolare che
colpì quasi a casaccio, falciando senza scampo! Come venivano colpiti, dei
prodi guerrieri non restavano che ossa disseccate e carni carbonizzate. Il
metallo di armi ed armature fu ridotto a poltiglia informe.
Il
Visir stesso ebbe un improvviso crollo di morale, di fronte al massacro –fu
sufficiente perché la sua magia ne venisse indebolita, e con essa la propria
protezione.
Grigar
ne approfittò per colpirlo con un potente colpo dei propri artigli! Gridando il
proprio dolore, il Visir cadde reggendosi l’addome.
“Mioddio,”
fece Iron Monger, inorridito. “Tutta quella gente..!”
Ma,
apparentemente, la scia di distruzione generata da un singolo straniero fu
prova di forza sufficiente, perché Azunbulxibar diede l’ordine ai suoi
guerrieri di fermarsi. E come un sol uomo, essi lo fecero –una disciplina che
anche il più feroce dittatore terrestre avrebbe invidiato.
“Un
lavoro indubbiamente efficace.”
“Efficace?
Ha massacrato quelle persone a sangue
freddo, e...” una mano guantata di nero si posò sull’armatura. Rennsaeler,
prudentemente, tacque. Ma decise che la questione sarebbe stata affrontata, e
presto!
Azunbulxibar avanzò fra due ali di guerrieri,
osservando con cinico distacco i resti dei caduti. Fissando il Seminatore,
disse, “Mai nella mia vita ho dovuto testimoniare un simile prodigio. Abbiamo
combattuto contro le armate di esseri soprannaturali, e nessuno di essi è mai
riuscito, da solo, a causare una simile distruzione. E Azunbulxibar riconosce
la virtù della forza...
“Per questo ho fatto cessare i combattimenti,
Per congratularmi personalmente con voi, prima della battaglia di tutte le battaglie,
con la quale intingerò per sempre di rosso questi campi...”
In quel momento, sui cieli del villaggio elfico,
apparve un’astronave, una specie di guscio ovoidale rosso e bianco angolato,
con il retro piatto e accecante dei gruppi propulsori. Lentamente, ma
inesorabilmente, la nave, grande quanto una piazza d’armi, arrivò a fermarsi
sulla verticale del villaggio.
A terra, gli abitanti si limitavano a guardare,
impotenti, consapevoli delle loro inesistenti chance contro un attacco,
nonostante il supporto dei Decani Lambert e Tajrra. Non ci fu neppure un
tentativo di evacuazione –i Tok avrebbero allevato tutti coloro che non si
fossero opposti a loro. I loro nemici sarebbero stati, per contro, sterminati
senza pietà e senza distinzione di età o sesso.
Una paratia nel muso della nave si aprì, e ne
vennero espulse decine di Sky Troopers.
Poco dopo, seguì una specie di ‘uovo’ cromato e irto di acuminate lame fuse
aerodinamicamente alla sua struttura. Propulso dal suo gruppo anti-G, che aveva
l’aspetto di una banda ruotante lungo il centro del guscio, l’’uovo’, scortato
dagli ST, scese
fino
alla piazza del tempio. Il villaggio di Woodgard
era una struttura incredibile, allo stesso tempo una fortezza imponente e parte
della foresta nella quale era stato costruito. Le mura erano di tronchi più
alti e solidi delle più alte e solide sequoie. Le abitazioni erano state
ricavate nei tronchi, e tutte le abitazioni erano collegate da giochi di strade
e piattaforme sospese su più livelli, ma mai senza toccare il suolo. Di fatto,
in quel villaggio si poteva toccare terra solo per uscirne o entrarne.
L’’uovo’
si fermò al centro di un cerchio di Sky Troopers, a loro volta guardati a vista
da ogni membro del villaggio.
Un
portello scorse via, mentre dalla base della fessura si estendeva una scaletta.
Vestito
solamente da una cintura ricca di tasche, Il Principe Ssylak uscì, talmente
sicuro di sé da non avere occhi che per il tempio, totalmente indifferente ai
nativi…
Due
figure gli si pararono davanti. Lui emise un sibilo infastidito. “Spostatevi,
mammiferi.”
Lambert
e Tajrra non solo non si mossero, ma lei si mise in posa da combattimento,
pugnali alla mano, mentre Lambert tesseva con voce impercettibile un incantesimo…
Le
prime armi si levarono fra le file degli elfi. Contro un’astronave potevano
poco, vero, ma durante l’Era dell’Oscurità, di draghi ne avevano combattuti, e
con molti successi..!
I
Troopers levarono le armi a loro volta.
Tajrra
attaccò. Senza dire una parola, silenziosa come un’ombra e veloce come il vento
–le qualità che rendevano gli elfi i guerrieri fra i più temuti. E i Tok erano
per loro natura guerrieri più brutali che veloci, nel corpo a corpo...
Disgraziatamente,
Ssylak era il Principe per la propria superiorità genetica. La velocità
con cui reagì non era che la normalità, per lui. Vibrò un semplice schiaffo,
ma fu come una violenta mazzata irta di aculei e lame!
Le lame
di lei furono sbriciolate come vetro, la mano sinistra tranciata di netto
all’altezza del polso! I suoi riflessi le salvarono l’osso del collo, lasciando
che il braccio destro assorbisse in pieno l’impatto dell’arto. Non perse quel
braccio, ma ogni osso ne fu spezzato in più punti!
Il
resto dell’energia di quel colpo la mandò, pietosamente priva di sensi, oltre
la balaustra. Fu tutto talmente rapido, che i guerrieri arborei non poterono
che stare a guardare, inorriditi. Lambert stesso dimenticò di completare
l’incantesimo.
Ssylak
lo spinse bruscamente da parte, trattandolo per quello che era: un vecchio
mammifero senza mani, indegna preda di un guerriero! E ora...
Ssylak
entrò nel tempio. Dietro di lui, si udivano i primi suoni della nuova
battaglia...Ma era ben altro che lo preoccupava. Il suo senso di trionfo si era
trasformato in orrore!
La
figura di Stargod era ormai all’80% trasformata in una finestra sullo spazio!
Il
Principe Tok dovette farsi forza, per resistere all’impulso di fuggire. Una
parte di lui era certa che la fine era vicina, che questo fertile mondo sarebbe
stato spazzato via come la loro patria...
Entrò.
Lui era il predestinato al trono, il continuatore della Stirpe Reale! Niente
lo avrebbe fermato.
Dalla cintura, Ssylak estrasse due sfere. Ne
dispose una ai piedi di Stargod, l’altra alla testa. Le premette, e un campo di
stasi avvolse la figura. Pregò solo di essere in tempo...
Ormai
l’Altro riempiva ogni angolo del limbo personale di John. Ancora poco, e
sarebbe stato assorbito da quel titano, il suo corpo e il suo potere violati
per...
Improvvisamente,
la figura dell’Altro iniziò a tremolare, a farsi sfocata...Come se
stesse perdendo coerenza...
Ma,
ancora, John non riusciva a reclamare il possesso del proprio corpo!
“Il
dubbio avanza, e con esso la paura di non riuscire..”
John si
trovò circondato dai lupi! Per la precisione, sedevano intorno a lui, in un
cerchio compatto, fissandolo imperscrutabili. Accanto a lui, stava la femmina
alfa. In quel cerchio, improvvisamente, ogni timore sembrò scomparire, era come
trovarsi in un’oasi di quiete apparsa nel più burrascoso dei mari...
“Di che
dubbi parli?” chiese alla lupa. “Io non voglio restare in questo stato,
io voglio tornare a difendere Altro Regno! Lo voglio da quando Antesys
in persona...”
“Allora,
perché continui a rifiutare il lupo in te?”
“...”
La lupa
posò la testa sulla spalla di John. “Hai accettato le tue nuove responsabilità,
ma c’è ancora timore per quello che sei. Per questo ti vedi in modo così
limitato, univoco. Ed ora, maschio, ascolta la canzone. Impara.”
E il
Branco cantò. Uno a uno, levarono le teste al cielo, le bocche appena aperte,
le voci modulate in un coro più antico di ogni civiltà umana.
Il
canto cominciò da toni bassi, che alcuni lupi mantennero, mentre altri
elevarono le proprie voci in quel gospel irripetibile, splendido,
echeggiante...
Cantiamo per il Dio/
Cantiamo per il Lupo/
Cantiamo per ogni fratello e
sorella / ovunque essi siano
Ascolta la voce delle Stelle
Ascolta il loro pulsare /
che pulsa in te / che pulsa in ogni mondo
Siamo noi e te / Cacciatori
e Prede /
Senza rancori / Senza abusi
Lascia cantare il lupo / Che
è parte di te / Che è parte delle stelle / Come te
Come me
Ama il mondo che vedi / Ama
le sue creature / Ama te stesso
Vivi
Vivremo con te / Moriremo
con te
Per Te
E Tu per Noi
Con Noi
John si
perse nella canzone, le barriere che si era imposto, le barriere forgiate da
una vita vissuta da un solo lato della barricata, caddero una ad una. Fino alla
realizzazione.
E John
vide. Vide in cosa aveva sbagliato. E la sua immagine iniziò a cambiare sotto
la luce della verità.
No, lui
non era un uomo...
Non era
solo un uomo.
Non era
una bestia.
Era
entrambi.
Era di
più!
Ed era ora di
accettarlo!
Ssylak annuì, soddisfatto. Il campo di stasi aveva
perlomeno arrestato l’evoluzione del male. Adesso, sarebbe solo stata questione
di*
Di colpo, la figura di Stargod tornò alla sua
perfetta integrità, come se quel terribile fenomeno fosse stata una mera
illusione...
Il bianco Dio-lupo aprì gli occhi!
Ssylak arretrò appena in tempo, mentre il campo di
stasi veniva dissolto in un’abbagliante esplosione dal terribile potere della
Godstone!
Il Principe annuì. Emise un sibilo, e dalla cintura
estrasse un’impugnatura. Una pressione, e una sciabola frastagliata di energia
coerente aggiunse la propria luminosità alla stanza. “Da vivo, in stasi,
saresti stato un ottimo soggetto di studi, blasfemo. Da morto, sarai solo una
minaccia in meno per il Dominion. Questa lama distruggerà ogni nanita con cui
venisse in contatto, e cauterizzerà le tue ferite prevenendo lo spargimento del
male. Ti garantisco una morte rapida, degna di un avversario del Principe
Ssylak.”
A sua volta, Stargod estrasse la propria spada e la
levò, incrociando appena la lama di energia. La sua voce era profonda,
determinata. “Ti farò capire, Principe degli Invasori, che non è del ‘male’ che
dovrai preoccuparti...”
Episodio 8 - Wolffight!
Villaggio di Woodgard, Altro Regno, Microverso. T:
-5m 32s
Ogni abitante di quel mondo,
ogni abitante degno di definirsi tale, viveva per il Dio Incarnato, per il Protettore.
Era molto più di una regola, era l’essenza stessa della vita di un Realmita!
Coloro che, in passato o nel presente, tentavano di abusare di tale rapporto,
cercando di piegare la volontà divina ai propri, meschini desideri, avevano
implacabilmente assaporato l’amaro sapore della sconfitta.
Tajrra,
l’elfica maga di Woodgard, incarnava questo credo in una sola parola: sacrificio.
Sapeva di avere ben poche
possibilità, mentre, pugnali alla mano, saltava addosso al maschio alieno, al
rettiliano Tok la cui statura e
armatura naturale erano ben più poderose di quelle dei soldati che
l’accompagnavano. Se fosse stata fortunata, avrebbe potuto vibrare un singolo
fendente in un occhio, raggiungere il cervello...
Purtroppo per lei, il
colosso dalle scaglie acuminate possedeva una velocità non inferiore alla sua
potenza fisica. Gli bastò un solo schiaffo,
per distruggere la lama di lei. Il polso sinistro fu tranciato di netto, il
braccio destro distrutto fino alla spalla. Tajrra era già svenuta, mentre
volava oltre il parapetto della piazza principale, verso il suolo a decine di
metri in basso...
Non si accorse di un paio di
potenti braccia dalle scaglie blu avvolgerla in abbraccio protettivo, frenare
la caduta. Non percepì il fetore della carne cauterizzata da una coppia di
raggi termici intenti ad arrestare l’emorragia...
In compenso, tutti i
presenti, che fossero gli elfi di Woodgard armati fino ai denti, o i soldati
Tok che li fronteggiavano, tutti guardarono in alto, verso il nuovo, inaspettato
intruso...
...Un drago antropomorfo azzurro, una figura alta quasi 3 metri, dalla
cresta bianca, elegante e guizzante di muscoli attraversati da piccoli archi
voltaici.
I suoi occhi dalle pupille
dorate scintillarono a evidenziare la sua fredda espressione d’ira, dalle zanne
snudate e pulsanti di elettroni, la cresta irta. “Esseri ignobili,” sibilò Max ai Tok. “E osate definirvi miei ‘fratelli’? Neppure il più vile dei miei
veri fratelli ha mai osato fare del
male a un elfo!”
I soldati esitavano,
combattuti fra l’istintivo desiderio di rispondere con i fatti al tono
minaccioso e il rispetto culturale per una creatura a loro sacra...
Durò poco. Un attimo dopo,
come uno solo, puntarono su Max le armi, veri e propri cannoni portatili, e
tutti insieme fecero fuoco!
Scariche al plasma
sufficienti a demolire interi palazzi si infransero come getti d’acqua contro
la barriera elettromagnetica del drago. Si infransero, ma non si estinsero.
Come proiettili impazziti, colpirono bersagli più indifesi e numerosi
tutt’intorno –i millenari alberi su cui Woodgard era stato costruito!
Ignorando i primi incendi,
Max stese il collo, spalancò la bocca e sputò fulmini! Le prime saette
ramificate colpirono tre Tok, proiettandoli oltre il parapetto, il petto
squarciato e fumante.
Dal cielo, iniziò a cadere
un’intensa coltre di pioggia. Max imprecò mentalmente –le sue raffiche
elettriche avrebbero messo in pericolo l’intero villaggio, adesso! Subito scese
sulla piazza, dove depositò delicatamente Tajrra al suolo...
Questa volta, le nuove
raffiche lo colpirono in pieno. Ruggì, più per la sorpresa che per il dolore, e
vacillò, ma non cadde. In questa forma, la sua densità corporea era
proporzionalmente più alta che nella sua forma naturale, anche se ciò non gli
aveva impedito di subire delle belle bruciature al petto e alla spalla
destra...
I soldati Tok, radunati in
formazione compatta, avevano l’opportunità della loro vita per finirlo, ma
esitarono.
Gli occhi di Max brillarono.
I cristallini focalizzarono l’energia elettrica, trasformando elettroni liberi
in un doppio fascio laser!
L’intera squadra fu
praticamente fatta a pezzi dal fascio a ventaglio!
Un improvviso lampo di luce
alle sue spalle spinse Max a voltarsi. E capì perché i nemici avevano esitato
–avrebbero potuto colpire il tempio
proprio dietro di lui. Il tempio, e chiunque vi fosse dentro.
Là dentro, con lo Stargod..!
Max fece per precipitarsi
verso il tempio...
“Non sarà necessario, mio
scaglioso amico,” disse una voce sopra di lui. Max si fermò, e voltò il collo
serpentino, sibilando.
Seduto a mezz’aria, a gambe
incrociate, un sorriso di superiorità stampato in volto, stava Diablo. Il maestro alchimista disse, “Ti
posso assicurare che in questo momento, chiunque sia stato così sciocco da
cercare di eliminare l’uomo-lupo sta per pagare caro il suo errore...O forse,
non nutri abbastanza fiducia nel tuo Salvatore?”
Max sibilò nuovamente, ma
non fece un passo. Poco distante, alcuni elfi si stavano prodigando per aiutare
Tajrra. Gli altri si tenevano pronti a loro volta all’ingresso del tempio,
pronti a intervenire solo se il Salvatore lo avesse esplicitamente richiesto...
...E, per ora, non sembrava
una necessità impellente.
Il Principe Ssylak era, dopo suo padre, il migliore prodotto genetico
dei Tok. Un supersoldato, agile e forte tanto nel corpo quanto nella mente. La
sciabola di energia solida nella sua mano guizzava senza sosta, eclettica e
letale, riempiendo l’aria di ozono e lasciando un’impressione luminosa
nell’occhio dello spettatore, quasi stesse impugnando una striscia di luce.
Per conto suo, John Jameson, Stargod, riusciva a parare
e contrattaccare solo facendo affidamento al proprio istinto e riflessi di
lupo. In qualche modo, pur non avendo impugnato una spada in vita sua se non la
prima volta che arrivò su Altro Regno, conosceva le mosse come se le avesse
studiate per una vita. Gli venivano alla mente inconsciamente, forse trasmesse
dalla pietra vivente che portava alla gola, la Godstone, che altresì lo forniva di un potere apparentemente
illimitato.
Di sicuro, non gli stava nutrendo
la stamina. Ogni colpo del principe-guerriero possedeva una forza
impressionante, e lo stava spingendo verso il limite. Consciamente, Stargod
iniziò a concentrarsi per dissetarsi al potere della pietra scarlatta...
<NO!>
Sobbalzò. Per un secondo, si
fermò, incerto.
Fu sufficiente: la lama di
luce affondò nel braccio che reggeva la spada! Un ruggito/ululato di dolore
lupino sfuggì dalle fauci spalancate, mentre la spada cadeva dalla mano inerte.
Stargod si ritrasse, e la lama uscì dalla carne martoriata. Il puzzo di carne e
sangue bruciati era orrendo ai sensi sviluppati del dio, ma non una goccia era
stata spillata. La ferita era poco più di un segno carbonizzato. Se la lama
fosse penetrata orizzontalmente, il braccio sarebbe stato staccato di netto!
Ssylak sibilò, soddisfatto.
“Goffo e dilettantesco…E tu osi fregiarti del titolo di emissario di Antesys?”
Ma in quel momento, ne’ le
parole del principe, ne’ il suo incedere erano al centro dell’attenzione
dell’uomo-lupo dalla bianca pelliccia.
No, la sua attenzione era
concentrata sul proprietario della voce mentale che lo aveva interrotto…
…Per la precisione, una
femmina di lupo, bianca come il suo antropomorfo simile, sdraiata all’interno
di una tana alla base di un albero. Un animale grosso quasi il doppio di un
lupo terrestre, il muso era contratto in un’espressione di concentrazione quasi
umana. <I parassiti che infestano la Godstone sono stati riportati allo stato
quiescente dalla tua rinnovata volontà[iv],
ma non rimossi. Se userai di nuovo la Godstone, li risveglierai.>
Accanto a lei, stava un
maschio dal pelo fulvo, intento a leccarle le ferite causate dai cacciatori[v].
<E un’altra cosa: è da umani, fare ricorso al potere superiore a fronte di
ogni minima difficoltà. Devi imparare a fidarti di più del tuo corpo, per
sconfiggere questo avversario, o la tua debolezza interiore non sarà mai
vinta.>
Dall’esterno, provenivano i
suoni di un’aspra battaglia. Cento voci tuonavano insieme, urlavano di
esaltazione e di dolore. mescolate al tintinnare delle armi, alle esplosioni di
energia e al ringhiare del suo branco che avrebbe difeso la femmina alfa fino
alla morte ed oltre…
Distrattamente, Stargod si
chiese come facesse l’Uomo Ragno a
combattere e sparare battute a raffica allo stesso tempo! Gli sembrava
incredibile già di riuscire a respirare.
Ssylak era tornato
all’attacco, ulteriormente ringalluzzito dal vantaggio. Era una macchina
instancabile, ma adesso l’agilità lupina tornava a vantaggio della sua ‘preda’
–e a discapito dell’arredamento e delle pareti.
Ma quelle manovre eclettiche
avevano uno scopo preciso –come Man-Wolf,
John si era ripetutamente scontrato con l’Uomo Ragno ed altri supercriminali.
Aveva imparato ad usare la propria agilità naturale
per avvicinarsi
progressivamente
e colpire! I suoi potenti artigli squarciarono la pelle corazzata del
fianco del principe Tok. Una ferita che avrebbe messo fuori combattimento anche
l’arrampicamuri…ma che ottenne solo l’effetto di fare ulteriormente inferocire
il principe, che reagì con un colpo della coda acuminata.
Stargod fu colpito alla
tempia, e rotolò fino all’altro capo della stanza., finendo ripetutamente sul
braccio ferito. Si mise in ginocchio, ansando, la lingua penzoloni, sangue
corrergli lungo la guancia e lungo l’armatura. Vedeva le stelle, ed era
sorpreso di essere ancora cosciente…
Ssylak si passò una mano sul
fianco sanguinante, e si fissò il palmo impregnato con un che di stupore. La
lingua forcuta saettò sul sangue. Poi, lo sguardo si spostò sul dio-lupo. “Mi
hai ferito…” Lo disse piano, con un
tono di incredulità perfettamente identico all’espressione negli occhi.
Nessun mammifero era mai riuscito neppure a mettergli una zampa addosso.
Era un suo punto d’onore, l’avere dovuto spargere il proprio sangue solo di
fronte a un avversario manifestamente superiore…
Da una parte, quella ferita
era un insulto, un oltraggio ineguagliabile.
Ma era anche la prova che
questo blasfemo era un guerriero nato. Un degno
avversario…
Sì, era finalmente giunto il
momento di alzare il tono della battaglia!
Improvvisamente, un’intera
sezione della parete del tempio esplose.
Fra il fumo e i detriti, una sola figura scorsero gli occhi di Max: quella di
Stargod, volare via, inerte, oltre la piazza, verso il vuoto “Mio Signore!”
Max volò a recuperare il Dio.
Non fece assolutamente caso all’espressione interessata di Diablo, che stava
soppesando quell’inaspettato sviluppo –aveva ben visto il teriomorfo assorbire
in sé un’esplosione nucleare. E quel
colpo psicocinetico non poteva essere certo peggio…
Qualunque cosa stesse
succedendo, prometteva bene…
Con i piedi prensili, Max
afferrò Stargod per le spalle. “Salvatore, cosa ti hanno fatto?
Come…KRRYYYKKK!!!”
Il drago si irrigidì sotto
il violento attacco mentale di Ssylak. Un rivolo di sangue uscì dalle narici,
ma Max non mollò la presa.
Non mollò la presa, vero, ma
non riuscì neppure a concentrarsi sul battito delle ali. E caddero entrambi,
accompagnati dal suono dei rami che si schiantavano sotto il loro peso…almeno,
fino a quando alcuni rami non si provarono troppo robusti. I corpi dei due
malcapitati vi rimbalzarono come bambole rotte, fino a quando non si
arrestarono contro un gruppo di fronde troppo robuste.
Giacquero, inerti, sfiniti,
consci solo del dolore, del vento e dell’odore del proprio sangue.
Un odore che, finalmente,
raggiunse le narici del principe Ssylak, che si sporgeva da quanto restava
della balconata.
Il senso di trionfo divenne
orrore puro.
Sangue.
L’infezione! Sacro Antesys, cosa aveva fatto?
Adesso, i naniti nel corpo di Stargod stavano scorrendo via insieme al suo
fluido vitale!
Freneticamente, guardò verso
il cielo. Lassù, stava S’shadz, il loro nido-fortezza. Ma la sua arma
definitiva, il Volter Cannon, avrebbe
richiesto non meno di 2 minuti, per essere attivato. Senza contare il tempo
necessario per portarsi sulla verticale del bersaglio…
Troppo. Aveva smesso di
piovere, ma il vento a quell’altezza era ancora abbastanza forte da mettere al
sicuro almeno uno di quei mostri tecnologici…
Con un’espressione degna di
una sfinge, Ssylak mise mano al suo solo indumento, una spessa cintura
multifunzione. Da una tasca, estrasse un oggetto metallico ovoidale. Aveva
commesso il più grave errore, ed immolarsi
per correggerlo era il minimo che potesse fare!
Ssylak spalancò le ali, e si
gettò dietro alle sue prede.
Osservandolo, Diablo annuì,
soddisfatto. Aveva spento l’incendio, e agli occhi dei testimoni sarebbe
bastato come ‘sforzo di buona volontà’. Adesso, era ora di mettersi al sicuro,
e prepararsi a raccogliere da solo i frutti del suo patto con il dragone delle
foreste...Del resto, non ci sarebbero certo stati testimoni a tradirlo...
Il tempo si era dilatato, i
secondi lunghi come minuti, i minuti come ore, mentre Stargod ondeggiava
sull’orlo del precipizio dell’incoscienza…
Era troppo stanco. Troppo
stanco per aprire gli occhi. Troppo stanco dentro per avere il coraggio di
riaprire gli occhi…<Sto sbagliando tutto, vero?>
Non fu la voce mentale della
lupa, a rispondergli, ma la canzone cosmica di Antesys, che si rivolgeva
direttamente al suo spirito.
°Continui a credere che la
Godstone sia la tua sola fonte di potere. Ti sbagli, figlio.
°Immisi una frazione della
mia essenza nella pietra a suggello del patto che feci con il tuo primo
antenato, il primo figlio del mio amore con un lupo di questo mondo. Ma quella
progenie era già di divina natura,
John Jameson.°
<?>
°Sei mio figlio come i tuoi
predecessori. La Canzone del Lupo contiene una verità letterale, lo hai
compreso nel momento in cui hai fatto risorgere la tua volontà. Il mio seme
scorre nei tuoi geni. Sei una sola cosa con questo mondo, con le sue creature,
con la luce del sole che riscalda Altro Regno…La tua forza è la loro forza, e
viceversa…°
Il corpo di Stargod iniziò a
brillare di luce propria, una delicata aura che iniziò a spandersi come una
nuvola...
Ssylak li poteva vedere,
ormai. Bersagli facili, inerti. Si sarebbe avvicinato il più possibile, e
avrebbe fatto detonare la granata nucleare. La sfera di fuoco e le radiazioni
avrebbero annientato ogni nanomacchina nel raggio di almeno 4 chilometri.
Per il Dominion, Padre!
La voce di Antesys era
melodia pura, una brezza rigenerante che gli fece dimenticare ogni dolore e
stanchezza, mentre pronunciava il suo nome nella lingua che un umano non poteva
comprendere o imitare.
°Nobile Furia, dominatore
degli elementi del cielo, sei uno dei pochi che si siano rivelati degni di
rappresentarmi su questo mondo, e sono fiera di te. Ora apri la tua mente al
Dio, donagli il tuo vigore come lui ti donerà il suo. Unitevi, per difendere
questo mondo e per suggellare la nuova alleanza.°
Il corpo di Max iniziò a
brillare di luce propria, una delicata aura che iniziò a spandersi come una
nuvola...
Era vicino a sufficienza.
Ssylak fece per premere il
detonatore… “Cosa..?”
Improvvisamente, la foresta,
tutto scomparve, per essere sostituito da un orizzonte di pianeti,
nebulose e stelle –un insieme pulsante e di immensa, terribile bellezza al di
là della comprensione...
E’ così che onori il mio
nome, Principe Ssylak? Uccidendo mio figlio?
Ssylak dimenticò la sua
granata, la sua missione, dimenticò sé stesso –tutto il suo essere era
concentrato sulla testa dell’immenso drago cosmico che torreggiava su di
lui, fissandolo con occhi di supernova.
La gloria dell’Essere
Supremo, nella cui voce vibrava un giudizio di implacabile severità. Ssylak
avrebbe desiderato urlare che era un trucco, un trucco ben congegnato,
perfetto...
Ma come poteva razionalmente
combattere contro la voce che veniva dal cuore stesso del proprio essere, dalla
sua anima?
Troppo tardi, si accorse di
una stella del corpo del grande Antesys, una stella che sembrò esplodere
proprio sotto di lui in un raggio abbagliante...
La visione si dissolse,
riempita dal bagliore stellare...
Ssylak urlò. La sua mano
lasciò andare la granata, mentre lui stesso veniva spinto via, in alto, come un
pulcino in preda a un uragano...
Diablo vide la colonna di
luce levarsi improvvisa, e capì di avere commesso un grave errore!
A bordo della nave di
appoggio del Principe, gli allarmi scattarono nel momento in cui fu registrato
il primo picco di energia dalla foresta.
Il Generale Viskajj
ebbe solo il tempo di diramare l’ordine di spostarsi...
Prima che la nave venisse
colpita a prua dalla manifestazione luminosa! Il vascello ondeggiò. I caccia si
sparpagliarono, circondando l’area del villaggio, pronti a far fuoco ma
esitanti per paura di coinvolgere il Reale.
Dalla foresta, emerse
saettando una figura alata –una creatura antropomorfa dal corpo scaglioso
azzurro, gli avambracci e le caviglie coperte di bianca pelliccia. La testa
mostrava due affilati corni bianchi, e la cresta candida si fondeva con un paio
di basette. Il muso scaglioso era indubbiamente lupesco, dai canini a sciabola.
Come per un Tok, le scaglie corporee formavano una vera e propria armatura.
E la Godstone brillava sulla
sua gola.
Viskajj indicò il nemico
sullo schermo. “A tutte le postazioni di fuoco: abbattetelo!”
Rapidamente, varie sezioni
delle pareti della nave si aprirono, per farne uscire altrettante torrette da
fuoco.
Subito, la nave si trasformò
in un riccio dagli aculei infuocati, tutti concentrati su un solo,
apparentemente insignificante bersaglio...
...Un bersaglio che volava
in quella tempesta di fuoco anticipando ogni colpo, ad una velocità tale da
risultare sfocato all’occhio.
Un bersaglio diretto come un
missile contro la nave!
A poche decine di metri
dall’impatto, il drago/lupo stese le braccia in avanti, si avvolse nelle ampie
ali, ed iniziò a girare su sé stesso. Fulmini iniziarono a danzare sul siluro
rotante vivente. I colpi di plasma furono praticamente assorbiti, trasformati
in altro ‘carburante’...
Un caccia Tok cercò di
frapporsi fra il nemico e la nave, ma fu travolto come un giocattolo da una
valanga.
Viskajj indietreggiò istintivamente
dallo schermo, ora riempito dal ‘missile’...Un attimo prima che lo schermo
principale si infrangesse in un geyser di fiamme...
La nave fu penetrata
e trapassata da prua a poppa
come fosse stata fatta di cartone!
Pochi secondi dopo, gli squarci
di ingresso e uscita iniziarono a vomitare fiamme. La nave traballò. I sistemi
ausiliari entrarono in funzione, e la tennero in aria. Piccole esplosioni
interne la scossero nuovamente, prima che gli estintori e le squadre di
emergenza domassero le fiamme.
Il drago/lupo annuì
soddisfatto, e si rivolse ai caccia con una voce tonante degna dei polmoni del
migliore drago. “ASCOLTATE, TOK! SE CI TENETE AL VOSTRO PRINCIPE, NON OSATE
ATTACCARE!”
Detto ciò, scese in
picchiata verso Woodgard.
Ssylak era ustionato,
dolorante, molte delle sue placche corazzate spezzate –ma quelle ferite erano
nulla, in confronto al tormento che agitava il suo spirito.
Il Principe-guerriero emerse
dalle rovine del tempio dove era stato proiettato, reggendosi un braccio rotto.
Una delle sue poderose ali era pietosamente spezzata.
Con occhi pieni di un
inimmaginabile odio, Ssylak guardò planare davanti a lui il suo nemico.
“Uccidimi, blasfemo. Ho combattuto onorevolmente contro di te, ho il diritto
di una morte da guerriero!”
L’essere gli tese una zampa
scagliosa dal palmo coperto di soffici cuscinetti. “Basta morte, Vostra
Altezza,” disse con voce insospettatamente dolce. “Hai avuto la prova che la
vostra Fede è malriposta. Questo mondo è benedetto da Antesys come lo fu la
vostra patria, e io ne sono il guardiano.
“Nonostante le atrocità che
potete avere commesso, ti prego di accettare la mia offerta di pace, sotto
l’ala protettiva di Antesys.”
E, sotto gli occhi
sbalorditi di Ssylak, dietro al corpo del drago/lupo, apparve la figura cosmica
rampante dell’Essere Supremo!
Per un momento, solo per un
momento, una luce nuova brillò negli occhi del Principe...prima che il suo
raziocinio prendesse il sopravvento –quell’essere che osava profanare
la fede dei Tok era avvelenato, portava in sé il seme della fine non solo di
Altro Regno, ma forse dell’intero universo conosciuto!
La sua navetta a uovo
personale si avvicinò al bordo della piazza. Una scaletta si estese dal fianco,
e Ssylak vi salì. Con tutto il disprezzo che il suo debole corpo poteva
generare, disse, “Sei un potente guerriero, blasfemo, e solo per questo
risparmierò la vita a questo insignificante villaggio di cibo. La prossima
volta che ci incontreremo, ti strapperò il cuore.”
Il drago/lupo scosse
tristemente la testa, guardandolo salire a bordo. La navetta decollò verso la
nave di appoggio. Pochi minuti dopo, seguita dai caccia, anche questa si
diresse verso l’alto, fino a sparire all’occhio.
Non potevo ucciderlo, Antesys,
pensò fra sé e sé l’essere. Da Capitan
America aveva imparato il valore
di ogni singola vita. Quante volte il leader dei Vendicatori e gli altri
eroi avevano avuto simili occasioni, e non avevano calato il colpo di grazia?
Quante volte lui stesso aveva meritato di morire per le morti causate nel suo
delirio come Man-Wolf?
No,
non sarebbe stato giudice, giuria ed esecutore. Non se avrebbe potuto evitarlo.
Se era davvero solo una questione di fede a muovere i Tok, come lui aveva
percepito dalla mente di Ssylak, allora avrebbero potuto vedere la verità, un
giorno. Forse.
Un
ululato mentale, carico di angoscia, lo riportò bruscamente all’immediata
realtà! Era la femmina! <Cosa succede?>
<Salvatore,
i tuoi alleati non riescono a contenere la furia del nemico! Abbiamo bisogno di
te!>
Non
aveva mai avvertito il panico nelle emozioni proiettate dalla saggia creatura,
e fu come un colpo di frusta.
Il
drago/lupo decollò, verso una nuova battaglia...
Diablo
lo vide allontanarsi come un missile. L’alchimista guardò verso il villaggio.
Era
meglio pensare a qualcosa e in fretta, o il prossimo a fare una brutta fine
sarebbe stato lui!
Episodio 9 - Un amaro
ritorno
Città orbitale di S’shadz,
Altro Regno, Microverso.
L’astronave era
l’equivalente di una portaerei terrestre. La sua forma ovoidale angolare, bianca
e rossa, piatta all’altezza del gruppo propulsore, mostrava le cicatrici della
recente battaglia: due fori ai lati opposti del suo scafo.
Un boccaporto si aprì nella
fiancata della colossale ‘montagna’ che era l’astronave-madre della Flotta
di Colonizzazione dei conquistatori di Altro Regno: i rettiliani Tok.
Nel silenzio del vuoto, la
nave attraccò con grazia lungo i binari a repulsione, al fianco delle sue
cinque sorelle nell’immane hangar –questi uno solo dei venti, destinati a
coppie ognuna a una classe di vascelli.
Il portello a rosa si
richiuse, e solo a quel punto un numero di tubi, come spine di un istrice, si
infilarono nelle fiancate della nave. Poco dopo, come uno sciame di api
laboriose intorno alla regina, soldati-tecnici in armatura pressurizzata
iniziava a lavorare in microgravità sull’esterno della nave.
Dai tre portelli maggiori
della nave, furono fatti uscire i caccia danneggiati.
Attraverso i condotti
pressurizzati, invece, il personale ausiliario provvedeva al rifornimento
vivande, medico, cambio ed assistenza al personale, raccolta unità stoccaggio
dati e tutte quelle altre attività che richiedevano la presenza di un essere vivente.
I Tok facevano molto affidamento sulla tecnologia più avanzata, ma era un loro
punto fermo di ricorrere il meno possibile a supporti robotici o anche a
schiavi per il loro lavoro manuale –quello era al massimo un capriccio di pochi
eccentrici, o una necessità strategica in caso di guerra.
Le sole operazioni
automatizzate erano il rifornimento ai gruppi propulsori e il lavoro nelle zone
‘calde’, le unità nucleari e gli armamenti. Una visibile eccezione fu fatta per
una navetta a uovo, dal guscio-scafo bianco, propulsa da un’unità antigravitazionale
che correva come le pale di una turbina lungo il fianco, trasversalmente.
Uno sciame di droni delle
forme più bizzarre entrò lungo il boccaporto principale della navetta. Pochi
istanti dopo, ne uscirono con il carico stesso della navetta, steso su una
barella magnetica.
Si trattava dell’unico
passeggero, un maschio Tok che, anche nel suo miserabile stato, ricoperto di
ferite ed ustioni, era stupendo, degno ancora di essere chiamato ‘Principe’. La
sua ala destra era spezzata, parte delle sue scaglie corazzate spezzate o fuse
da un tremendo calore –e doveva esserlo, perché l’evoluzione aveva fatto del
corpo di ogni Tok un’arma quasi invincibile, degna di vivere all’ombra dei
vulcani più feroci del loro mondo natale che fu.
Ma erano di ben più cupa
natura, i pensieri che affollavano la mente del Principe Ssylak. Ancora
cosciente per pura forza di volontà, l’alieno stava soffrendo più per
l’umiliazione che per le ferite fisiche. Era stato sconfitto, disonorato! E,
peggio della sconfitta, ad opera di un eretico che osava innalzarsi a Dio, era
la terribile scintilla di dubbio.
L’essere chiamato Stargod
era, almeno secondo le apparenze, protetto da Antesys in persona! Ssylak
non poteva negare di avere percepito la presenza dell’Onnipotente al
fianco stesso del blasfemo. Com’era possibile? La più sottile delle finzioni
non poteva ingannare un Tok, la cui fedeltà era indiscussa…
I droni, rilevando la sua
agitazione, iniziarono ad immettere sedativi nel suo corpo. La coscienza di
Ssylak iniziò ad ondeggiare. Coerentemente, il suo ultimo pensiero fu che, alla
luce di quanto avvenuto, la sua sconfitta non poteva essere interpretata come
sua colpa. Doveva vivere, continuare a lottare fino a fare luce sulla verità.
Fino alla morte del
blasfemo.
Per ora, il ‘blasfemo’ in
questione era occupato con ben altre preoccupazioni, che gli alieni invasori.
Fiero nella sua armatura oro
e smeraldo, l’uomo-lupo dalla bianca pelliccia sedeva fra le spalle di un
gigantesco drago azzurro, il cui impronunciabile nome era, per gli amici, Max.
La foresta vergine scorreva
sotto di loro a una velocità fantastica, considerando che il drago non era
certo un mezzo a motore. Ad ogni battito d’ala, il tappeto verde sotto di loro
si increspava come acqua.
“Siamo vicini, Max. Tieniti
pronto al mio segnale.”
Anche senza dovere usare la Godstone
che, incastonata in un elaborato collare, luccicava alla sua gola come una
goccia di sangue, Stargod possedeva poteri mentali e spirituali la cui portata
ancora non aveva esplorato a fondo –poteri che facevano parte del suo retaggio
divino dal momento in cui Antesys lo aveva riconosciuto come suo prediletto. La
pietra serviva ‘solo’ ad aumentare tali poteri a livello cosmico per
controllare il tessuto della realtà. Ed era ben contento di non doverla usare!
Anche se aveva messo ‘a nanna’ la coscienza collettiva dello sciame di naniti
simbiotizzati alla Godstone, essi dovevano essere ancora rimossi…
Ma era un problema di cui si
sarebbe occupato dopo.
Le sue labbra si ritirarono
in un’espressione feroce.
Se ne sarebbe occupato dopo
avere annientato questo nuovo nemico!
Sarebbe stato difficile,
mancarlo, persino volando ciechi. Il rumore della battaglia da solo era una
guida infallibile.
Una battaglia volta alla
disfatta, per una delle due fazioni –il vero miracolo era che la fazione
perdente fosse riuscita a durare così a lungo!
Anche se si trattava di ben
quattro super-esseri terrestri e un branco di lupi!
I loro avversari erano,
letteralmente, un esercito. Uomini e donne nel pieno del vigore fisico,
preda della furia guerriera, un animale collettivo irto di ogni arma che braccio
potesse reggere. La terra già grondava sangue, e il puzzo della morte investì
Stargod come un’onda fisica. Vide che i suoi quattro compagni stavano bene, ma
già due lupi del branco che aveva cantato per la salvezza della sua anima[vi]
erano caduti, i fianchi deturpati da squarci anneriti. E la bianca pelliccia
della femmina alfa era striata di sangue.
Fu sufficiente. La mente di
Stargod lanciò un solo comando. <COLPISCI!>
Distavano ancora circa un
chilometro dal campo di battaglia. Bastava. Max tuonò un ruggito di guerra e la
voragine della bocca spalancata si illuminò di energia abbagliante.
Energia che fu sparata sotto
forma di una raffica di fulmini globulari!
Non fu neppure necessario
prendere la mira –i colpi esplosero nelle file nemiche, trasformando a dozzine
le vittime in altrettanti fuochi artificiali. Inoltre, tutto il metallo delle
loro armature fungeva da conduttore, mietendo vittime anche dove i fulmini non
avevano colpito direttamente.
“È arrivata la cavalleria!”
disse Iron Monger. Anche se la mark II della sua massiccia armatura era
alimentata da energia nucleare, non osava permettersi di sprecarne, almeno fino
a quando non avrebbe trovato adeguate fonti di alimentazione su quel mondo
rimasto fermo all’equivalente del medioevo! E darci dentro di soli muscoli
aveva ridotto di molto la sua efficienza a difendere i suoi compagni.
“Ne dubitavi, umano?” disse Grigar,
ex Balkatar del demoniaco Popolo Felino, intento a macinare nemici con
gli artigli e la sua scure runica. Era ancora vivo solo perché niente
che non fosse di natura mistica poteva ucciderlo o solo ferirlo. Purtroppo,
anche lui era limitato dal raggio d’azione del suo corpo. Come per Iron Monger,
bastava un nucleo di soldati per tenerlo impegnato.
“Signori, cerchiamo di non
perdere la calma proprio adesso.” La voce sepolcrale del Seminatore di Morte
mascherava la crescente preoccupazione. Grazie al suo potere di fasamento
rispetto al tessuto spaziotemporale, era convinto di riuscire a raggiungere ed
uccidere il leader dell’esercito, Azunbulxibar…Purtroppo, doveva toccare materialmente il
suo bersaglio per potere riuscire, e ogni volta che si materializzava, lo
stesso guerriero quasi gli staccava l’arto in questione con un’invidiabile
prontezza di riflessi. Così, il Seminatore di Morte aveva dovuto arretrare per
difendere il branco di lupi, uccidendo i nemici che si stessero avvicinando
troppo…
Il
solo che fino a quel momento poteva materialmente riuscire ad eliminare il
leader-guerriero e la sua misteriosa moglie-amazzone dai capelli rossi era Avatar. La creatura artificiale riuniva in sé qualità e
poteri dell’Empatoide, il sintezoide creato nella Zona Negativa, e di Agron,
un essere di energia vivente che si dichiarava provenire da una Terra di un
futuro remoto.
Avatar non aveva problemi di
‘rifornimento’, perché la sua forza derivava dall’assorbimento delle energie
empatiche…Ma una serie di interruttori di software mys-tech gli impediva
di dare a fondo a tutto il suo potenziale –una misura cautelativa che adesso
costringeva il sintezoide a mantenere una posizione difensiva a favore dei
lupi. Almeno, non poteva stancarsi, e qualunque danno infertogli veniva
prontamente riparato. Alla fine, sarebbe stato indubbio che ne sarebbe uscito
vittorioso per semplice consunzione delle forze nemiche…Se i lupi o i suoi
compagni avrebbero potuto dire lo stesso, era un altro discorso!
Le cose, per giunta, non
erano facilitate dalla presenza di armi a lungo raggio! Con tutta la buona
volontà, era alquanto difficile prevenire gragnole di colpi di plasma, elettrici,
o di semplici proiettili. Ironicamente, era solo il gran numero di cadaveri
dietro cui farsi scudo,o alcuni degli stessi aggressori che si mettevano in
mezzo in un impeto di cieca foga, a parare molti dei colpi.
Il tonante ruggito di Max, e
i colpi che erano seguiti, avevano improvvisamente invertito la tendenza! Nuove
saette piovvero sui malcapitati aggressori, le cui retrovie iniziarono a
sfaldarsi. Il fronte, anche se pesantemente decimato, restava compatto.
Azunbulxibar e la sua compagna restavano in piedi, combattevano, e tanto bastava
a galvanizzare un popolo che credeva nel suo leader come in un dio.
Max passò sopra le loro
teste a volo radente, facendo volare via più d’uno con la sua sola scia, e
tranciandone molti con le sue zampe come un aratro fende il morbido terreno.
Stargod saltò giù a spada sguainata.
L’uomo-lupo atterrò
magistralmente, terminando il suo movimento in una falciata che decapitò due
soldati che erano riusciti a filtrare fino a una coppia di maschi. Queste
creature erano grandi almeno il doppio di un normale lupo terrestre, e potevano
sopportare ferite che avrebbero già ucciso i loro simili più piccoli.
Subito Stargod fu avvicinato
dalla lupa bianca, che ansava per la fatica. <Sono felice di vederti. Sapevo
che saresti venuto.> Poteva essere stanca, ma la sua voce non aveva perso
una nota della sua regale solennità.
Il dio-lupo antropomorfo
abbracciò la sua ‘sorella’, macchiandosi del suo sangue. <Riposate, adesso.
Ora è la mia battaglia.>
“Sei tu, dunque, il
cosiddetto dio-protettore di questo mondo?” fece Azunbulxibar in persona, la
lama della spada rigata di sangue. “Aspettavo con impazienza il tuo arrivo. Il
sangue scorso fertilizzerà la memoria delle genti. Sul tuo corpo, erigerò
personalmente un tempio a memoria di questo giorno.”
Stargod non disse nulla, ma
al suo naso giunse l’odore del sangue sulla lama. Sangue di lupo!
Il dio si alzò in piedi, il
muso contratto nella familiare espressione battagliera che aveva accompagnato i
suoi giorni come il selvaggio Man-Wolf.
In altre parole, ora sì che
erano dolori!
‘Guarda dentro di te’, gli
disse una volta Lambert, quando le forze del diabolico Arisen Tryk
sembravano preponderanti, in uno scontro nella sua stessa tana[vii].
Allora, John Jameson lo fece, e credette di attingere alla mistica pietra.
Gli occhi di Stargod
iniziarono a brillare di energia scarlatta. Ora sapeva meglio. Lui e il pianeta
che doveva proteggere erano una sola cosa, e la stessa forza che attraverso la
Godstone lui poteva dare ad Altro Regno, quel mondo la poteva donare a lui.
Simbiosi perfetta.
Decine di soldati,
Azunbulxibar in testa, si buttarono su di lui come un sol uomo. Fu l’ultima
cosa che fecero, da vivi.
E ora, non aveva restrizioni
o timori, ad impedirgli di usare quella forza!
Un fascio di energia si
sprigionò, inarrestabile, dagli occhi dell’animalesco dio! Più efficacemente
del famoso ‘raggio ottico’ dell’X-Man Ciclope, il colpo investì gli
sventurati, incenerendoli sul proprio cammino, tracciando un fossato di morte
nelle fila dell’esercito.
Fu sufficiente. La vista del
leader investito da quel terribile potere raffreddò gli entusiasmi in un
attimo. I pochi facinorosi nelle retrovie, che ancora non avevano compreso bene
gli eventi della prima linea, furono neutralizzati da poche scariche elettriche
di Max…
Invece, miracolosamente, o
più semplicemente grazie alla sua prontezza di riflessi, Azunbulxibar era
sopravvissuto –ma a caro prezzo! Il suo braccio e la gamba sinistri erano stati
letteralmente vaporizzati, ed i moncherini erano rimasti perfettamente
cicatrizzati dall’energia. Il suo fianco sinistro era un’unica ustione. Solo la
sua insostenibile forza di volontà lo teneva cosciente. Addirittura, stava
cercando di rialzarsi usando la lama della spada come appoggio!
Stargod gli si avvicinò. Allungò
una mano ed afferrò il suo nemico per il braccio. “Persino il Principe Ssylak
ha dimostrato di possedere un senso dell’onore. La sua arroganza e crudeltà
sono solo un effetto della sua fede malriposta…Ma a differenza di te, non è
completamente pazzo. Non credo che farebbe neppure una guerra, se non
fosse necessario, mentre…tu…miserabile…assassino…” ormai il suo muso
ringhiante era praticamente a contatto con la faccia di Azunbulxibar, la cui
voce era ridotta a un rantolo.
“Uccidimi…E’ tuo dovere farlo.
Hai vinto…uccidimi…Non lasciarmi così…”
“Ma che gli è preso, a
questi?” fece Iron Monger. Sotto i suoi occhi, l’esercito nemico era come
caduto in trance. Se ne stavano lì, fermi, immobili, a fissare quell’osceno
duetto con una quasi aspettativa negli occhi, ignorando bellamente i
caduti ai loro piedi, o le loro ferite.
“Il capo ha perso,” rispose
Grigar. “Il mito è crollato, la fede in lui non ha più ragione di essere.
Qualunque cosa succeda, Azunbulxibar non ha più un futuro. Qualunque decisione
debba essere presa per loro, sarà un problema per il prossimo dio-guerriero.”
Stargod riprese a
concentrarsi. “Ucciderti? No, sarebbe la soluzione semplice: da dove vengo, ho
imparato che la morte è un concetto relativo, soprattutto per quanto riguarda
le carogne come te. Per il male che hai commesso, dovrai soffrire un altro tipo
di punizione.”
Gli occhi dell’uomo e quelli
del lupo si specchiarono l’uno nell’altro…E l’uomo vide in quegli occhi la
propria morte, l’eterno tormento, dolori e sofferenze proporzionati ai crimini
perpetrati in nome di una gloria folle.
Azunbulxibar vide la propria
anima, e ne fu inorridito.
Tutti videro l’uomo emettere
un gorgoglio, la bocca schiumante. Il corpo mutilato tremò in preda
all’epilessia…Poi l’uomo-lupo lo lasciò cadere a terra, un fagotto ormai
inerte.
Giustizia era fatta. Il
criminale viveva, ma in uno stato peggiore della morte stessa, condannato, alla
meglio, in un corpo che solo tecniche avanzatissime, sconosciute a questo
mondo, avrebbero potuto restituire alla funzionalità. Un corpo senza una mente,
lobotomizzato senza recupero.
Stargod fece un cenno alla
lupa e al resto del suo branco. Max li avrebbe portati al sicuro, dove avrebbe
potuto curarli delle ferite. Per ora…
“Stargod.”
La tensione nelle fila
nemiche tornò palpabile. I cinque Cavalieri e il loro leader si tesero per una
nuova battaglia…
Ma non ce n’era bisogno. La
figura che avanzò fra due ali di guerrieri fece loro cenno di stare fermi.
La moglie di Azunbulxibar si
avvicinò all’uomo-lupo. “Così, ‘Salvatore’, ce l’hai fatta ad assumerti le tue
responsabilità, alla fine.”
Stargod sobbalzò. Armatura o
no, e se anche le sue affinate orecchie potevano essere ingannate, l’odore
della donna era unico, inconfondibile!
La donna si tolse l’elmo,
con studiata calma…
Quella donna la cui morte
era pesata come un macigno sulla sua coscienza fin dai suoi primi giorni su
Altro Regno. La scettica, all’apparenza, che aveva trovato la fede nel momento
del suo trapasso…
Ma la morte era un concetto
relativo, lo aveva detto lui stesso. E il volto duro, anche se deturpato da
diverse cicatrici, era quello di <Sashiel?>
Lei
annuì brevemente col capo. “Sono altresì felice che tu ti ricorda di me,
‘Salvatore’…Anche se non fosti altrettanto lesto a ricordarti di salvarmi, quel
giorno fatale.”
Quel
giorno.
Oh,
Stargod non lo avrebbe mai dimenticato: la prima battaglia contro i non-morti
di Tyrk, orrende parodie di uomini dalla carne putrefatta e nudi teschi senza
mandibola come teste.
Erano
lui, Lambert –che allora possedeva le sue mani- Sashiel, Duna, Barq,
Gorjoon e Garth. Erano in sei, ma i soli ad avere poteri erano
Lambert e Stargod, che lottava al meglio delle sue sole forze fisiche, eccitato
dallo scontro, terrorizzato da quell’ambiente nuovo, dalle responsabilità che gli
venivano scaricate addosso senza lasciargli il tempo di pensare. Di fatto,
l’uomo-lupo non usava neppure una frazione del suo potere, col risultato che,
soverchiati dalla cavalleria di Tyrk, lui fu quasi ucciso, e Barq il muto e
Sashiel furono uccisi per davvero…
Ma
come poteva essere? L’aveva vista morta, il suo cadavere innaturalmente
spezzato dalla caduta, gli occhi vuoti…
“Avatar,
cosa sai dirmi? Si tratta di una proiezione mentale?” chiese il Seminatore di
Morte.
L’occhio
nero della metà scoperta del volto del sintezoide scintillò. Parlò con voce
distaccata, impersonale. “Negativo. Non sono presenti forze telepatiche.”
“Balkatar?
Influenze mistiche?”
Il
felinoide demone scosse la testa. “Se è un mago, la sua abilità è a dir poco formidabile.
L’etere fra loro o intorno alla donna non è turbato.”
Il
volto del Seminatore, nascosto nell’ombra perenne creata dal cappellaccio a
falda larga e dall’alto bavero del mantello, si contrasse in una smorfia. Maledizione! Pensò. La
determinazione di Stargod può venire gravemente scossa da questo sviluppo!
“Devo
ammetterlo, ‘Salvatore’, io stessa sono a volte sorpresa di essere ancora
viva,” stava dicendo Sashiel. “Fui molto fortunata, tutto qui. Furono gli
alberi, a spezzare la mia caduta. Ricordo ancora il terribile dolore delle mie
ossa spezzarsi come vetro, i miei organi lacerarsi…Anche la mia testa aveva
preso dei colpi, e quando finalmente terminai la mia caduta sull’erba, non era
ridotta meglio del mio povero…marito.” Guardò con disprezzo quello che restava
di Azunbulxibar.
“Se
ti fossi degnato di usare i tuoi sensi per studiarmi come hai fatto con quell’animale,” e indicò rabbiosamente la lupa bianca,
“avresti saputo la verità…No, tu preferisti lasciarmi lì, come un ostacolo
appena rimosso dalla tua strada della gloria!”
Stargod
piegò le orecchie all’indietro, scodinzolando nervosamente. “Sai che non è
vero! Non avevo familiarità con il mio dono, non sapevo neppure chi o cosa ero! E nei miei pensieri c’eri tu,quando lo usai per la prima volta!”
Ma
Sashiel era al di là della comprensione. “Furono gli esploratori di
Azunbulxibar, a trovarmi. Impressionati dal fatto che fossi ancora viva, mi
portarono nel loro villaggio, dove fui curata ed accudita. Azunbulxibar in
persona si occupò di farmi tornare una guerriera, ed il suo amore è stato a suo
modo sincero. I nostri figli sono il suggello di tale devozione: mai a un estraneo
al villaggio era stato permesso un simile onore.”
“Figli...?”
Come la parola fosse stata un segnale, altre due figure, in armatura d’argento
e cotta, avanzarono solennemente, in perfetta sincronia. Due giovani, uno dai
capelli rossi e l’altro neri, scolpiti come il padre, ma i cui volti
riflettevano quello volitivo della madre.
“Ma
com’è possibile? Sono adulti,
e il tempo…”
“Azunbulxibar
non tollera i cuccioli inetti, Stargod,” disse Sashiel. “Uno dei compiti del
nostro Visir è quello di fare
crescere i bambini in fretta.”
“Per
questo potete permettervi simili perdite senza battere ciglio, unitamente a una
fedeltà incrollabile nel vostro ‘dio’,” disse il Seminatore, che dentro di sé
doveva davvero fare sforzi erculei per controllarsi. “Immagino che tale
‘prestazione’ del Visir valga anche per i feti...Donne ridotte a fabbriche di
soldati incolti, bambini ipertrofici plagiati dalla più tenera età.
“O,
dovrei dire, ‘valesse’. Se gli artigli di Grigar non hanno mancato il
bersaglio, adesso il tuo Visir...”
Ma
Sashiel fece spallucce. “Conoscendo quel vecchio pazzo, neppure la
decapitazione gli può avere impedito di salvarsi...Ma torniamo a noi,
‘Salvatore’.” La donna gli passò un dito sotto il muso, lentamente, come stesse
facendo un grattino a un gatto. “Cosa farai, adesso? Mi ucciderai o mi
trasformerai in un vegetale come con il mio stolto marito?
“Sapevo
che mettendo in pericolo i tuoi bestiali simili avrei avuto la tua attenzione,
e che ti saresti sbarazzata di quello sciocco. Sotto la mia guida, questo
popolo farà quello che tu più temi: ucciderà, perseguiterà i tuoi amici e
coloro che ami. Non avrò pace fino a quando non ti avrò ucciso dentro,
‘Salvatore’.
“Sono
stata costretta ad essere una tua devota
dai miei stessi genitori, che hanno sacrificato tutto per farmi diventare una
guerriera, come loro lo furono dai loro genitori, e così via per generazioni.
Il minimo che possa fare per ricambiare la tua nefasta influenza, è dimostrare
ad Altro Regno la tua debolezza.”
Fu
a quel punto, che una mano artigliata le afferrò il polso. Due paia di occhi si
fissarono con eguale ardore. <Quando ti conobbi, non sapevo nulla di te o
dei tuoi amici. Scelsi di combattere per Altro Regno perché credevo davvero che
fosse la cosa giusta.
Sono tornato per restare perché ho finalmente compreso che è così.
<Mi
dispiace davvero, Sashiel, ma se per la sicurezza di coloro che amo devo
rimuovere la tua minaccia, allora lo farò. Le tue parole, le tue emozioni, per
quanto infondate, mi fanno capire che non c’è altra scelta.>
Emozioni.
Niente come un contatto mentale può fare comprendere la pienezza dello stato
emotivo dell’interlocutore, la sua sincerità.
Sashiel
capì di avere commesso un grave errore! La sua determinazione si incrinò
visibilmente, sul suo volto.
Stargod
guardò l’esercito, immobile, in attesa. Il Seminatore aveva detto bene: un
branco di bambini, nei cui pensieri non c’era che la fedeltà cieca al prossimo
dio-guerriero come verso il proprio padre. Era qualcosa di osceno! I Tok erano
una civiltà evoluta, capace di maturare ancora. Per questi poveretti senza
futuro, persino la morte poteva...essere...
L’illuminazione
lo colpì come un fulmine a ciel sereno.
L’uomo-lupo
tornò a rivolgersi alla donna. Sorrideva, un’espressione che mai lei gli aveva
visto sfoggiare. “Abbiamo un’espressione, sulla Terra: ‘salvare capra e
cavoli’. Seminatore.”
“Cosa..?”
fece Sashiel...un attimo prima di sentire la mano guantata di nero posarsi
sulla sua spalla. Il bio-scrambler
mandò in cortocircuito ogni cellula del suo corpo. Sashiel si afflosciò come un
sacco vuoto fra le braccia di Stargod.
Il
Seminatore di Morte aveva fatto come mentalmente comandato. La donna sarebbe
rimasta in coma per un po’, ma si sarebbe ripresa –un grave errore, secondo il
Seminatore, ma non avrebbe sfidato l’ira del dio. No, non quando aveva già corso
un rischio sufficiente mettendo in pericolo il branco di lupi, quando avrebbe potuto
farli mettere in salvo!
Stargod
si rivolse a Grigar. “Hai combattuto contro questo ‘Visir’. Lo percepisci?”
Passarono
dei secondi in un silenzio innaturale, poi il demone felino disse, “No. La sua
aura non è più presente nel villaggio.”
Stargod
sospirò. “Capisco.” Poi, tenendo in braccio la figura esanime di Sashiel,
Stargod, nella sua piena solennità, si rivolse all’esercito. “Ascoltatemi!” ululò. “Da questo momento,
sarò io il vostro nuovo dio! Darete la vostra forza e la vostra fedeltà
ad Altro Regno come a me. Combatteremo insieme per la liberazione dal Dominio
dei Tok!”
Non ci fu bisogno d’altro.
Una foresta di lame, trasformate dal sole in appendici infuocate, salutò
contemporaneamente a un coro ruggente il nuovo leader.
I figli di Sashiel si
inginocchiarono in segno di rispetto, ma nei loro occhi brillava una luce di
tutt’altro che approvazione.
Il Seminatore annuì
impercettibilmente. Le cose, alla fine, andavano come previsto...
Episodio 10 - Esplorazioni
Caverne dell’Abisso della
Disperazione, Altro Regno, Microverso
L’Abisso nasce qui, nel
cuore di una regione vulcanica attiva in prossimità del polo nord di Altro
Regno. I mari sono flagellati da tempeste di una potenza che la Terra può avere
visto solo dai tempi del Grande Disgelo. Le correnti portate qui dalla forza di
Coriolis si scontrano con il calore generato da oltre dieci vulcani attivi.
Il gioco di pressioni genera
uragani sufficienti a radere al suolo intere metropoli. La nuda roccia è
sterile, quello che resta dopo il gioco di erosioni dei venti e delle acque
acide di zolfo è la parte più forte, affilata come una spada. La lava si muove
come le dita di un’immane mano infuocata dal centro della regione. Si unisce al
mare, e genera un’impenetrabile cortina di vapori mefitici.
Parlare di vita, in questo
luogo che ben merita la sua fama, sembra essere inutile. Solo i batteri estremofili
potrebbero sopravvivere in questo inferno sulla terra.
Un punto di vista non
condiviso dai Realmiti, che conoscono bene i veri padroni di questo
luogo.
Un potente ruggito scosse le
pareti accese da un calore degno di una fonderia. Getti di lava precipitavano
dentro un lago magmatico, dalla cui superficie accecante svettavano stalattiti
di indistruttibile cristallo.
Accucciato sulla sua
piattaforma cristallina, stava il signore assoluto dell’Abisso: un Drago
Rosso, una creatura che misurava non meno di 35 metri, talmente robusto da
fare impallidire qualunque suo simile in un confronto di pura forza. La sua
pelle era solida roccia finemente cesellata, al punto da dargli un’ingannevole
apparenza di eleganza e morbidezza. Un’apparenza tradita dai candidi spunzoni
alle articolazioni, e dalla coda le cui scaglie erano come lamelle
affilatissime. Le sue ali erano spiegate a bere del calore ambientale.
La sua testa, ornata da una
splendida corona di corna, puntò verso un serfita –un draghetto
elementale di fuoco, una creatura dotata di vita propria ma nata dalla magia.
Il muso del dragone, ornato da una barba rossa come le sue scaglie, esprimeva
disappunto.
“Così, Veganny è
riuscito a chiedere aiuto...” la sua voce, per gli standard di un dragone, era
suadente, le fusa di un gatto pronto ad assaporare la preda. Per un uomo, era
un tuono da fare tremare le ossa.
Il maschio chiamato Satranius
sorrise. “Il suo piano è...intrigante, lo vedo. Per questo, lo lascerò
vivere...Per ora. Per qualche ragione, Stargod è meno potente di prima;
la sua debolezza sarà la mia forza. Vai, figlio mio, e continua a riferire fedelmente.”
Il Serfita si trasformò in
una sfera infuocata, e schizzò via attraverso il condotto magmatico del
vulcano.
Goditi i tuoi ultimi momenti
di pace, Stargod! Pensò il dragone. Un giorno, saranno i membri della mia specie, a riprendersi
il posto che meritano!
La sua risata causò
l’eruzione di un vulcano vicino.
Così tante cose da fare.
Così tanti fili in sospeso.
Ogni giorno che passava,
portava con sé nuovi enigmi, nuovi tesori di sapere e scrigni di dolore.
Combattere stava diventando normale come respirare...
Il villaggio-fortezza di Azunbulxibar
era stato conquistato da Stargod ed i suoi Cavalieri venuti dalla Terra. Con i
loro leader ridotti all’incapacità totale, gli abitanti di quel villaggio
avevano bisogno di una nuova guida. Erano nati per obbedire e combattere,
programmati in tal senso, e lasciarli alo sbando sarebbe stato a dir poco uno
spreco di forze.
Stargod si era imposto quale
nuovo leader. Questa sua bizzarra armata avrebbe sparso la sua fama su Altro
Regno, e più in fretta di un numero inesauribile di singole azioni sparse a
casaccio su un territorio che lui imparava a conoscere solo giorno per giorno.
L’uomo-lupo
dall’armatura smeraldo e oro stava su una collinetta, il vento scompigliargli
gentilmente la sua pelliccia bianca come la neve, il corpo avvolto come da
un’aura dal tramonto infuocato.
Momenti di pace. Preziosi.
Un dono che i suoi compagni gli avevano fatto per permettergli di tornare in
piena forma, guarito dentro come fuori.
In un angolino della sua
mente, Stargod era a disagio: i suoi compagni erano alla meglio dei personaggi
ambigui, mossi da una propria agenda che per qualche ragione coincideva con la
protezione di Altro Regno...
Sorrise di sé, e sospirò
–stava cascandoci di nuovo, come suo padre! No, doveva dare loro fiducia...Se
non altro, per ripagare i rischi che avevano corso per aiutarlo.
Fra loro, solo uno
era qualcuno di completamente affidabile, fedele fino alla morte ed oltre. Un
amico...e qualcosa di più...
E lo vide arrivare. Una
forma maestosa fra le due lune appena sorte, ad ali spiegate come un angelo. Ma
questo angelo era un drago. Un drago dei cieli, lungo 25 metri dalla testa alla
coda, dalle scaglie azzurre e le eleganti forme di un dominatore del suo
elemento. A rompere l’uniformità azzurra del suo corpo, erano le due lunghe
corna bianche che partivano dal retro del cranio, e una folta cresta candida
che correva lungo il collo fino alle spalle.
Il suo nome era un po’
ostico da pronunciare, e così si faceva chiamare Max, come Maxwell
Dillon –cioè Electro, l’uomo che aveva posseduto e a cui aveva donato i
propri poteri.
Stargod si fece prestare un
po’ di potere dal mondo con cui condivideva un legame spirituale, e levitò
dolcemente fino ad incontrare il drago. Allo stesso tempo, Max iniziò a
rimpicciolire; la sua forma mutò, fino a quando, una volta che ebbe raggiunto
le dimensioni di Stargod, ne condivise l’antropomorfità.
Si fissarono. Occhi ambrati
contro occhi luminescenti. Comunicazione senza parole. Emozioni pure.
Si abbracciarono.
Il lupo assaporò le scaglie
morbide e tiepide, il battito di due cuori, la forza pura espressa in una
stretta gentile, quasi timorosa. Il drago si perse nella morbidezza della
pelliccia, la quiete in un corpo capace di gestire un potere tale da
distruggere un mondo. C’era condivisione pura, in quell’abbraccio, pura
dedizione dell’uno verso l’altro. I loro musi posti l’uno al fianco dell’altro,
parlarono come uno solo.
“Un solo corpo.”
“Una sola mente.”
“Un solo cuore.”
“Un solo spirito.”
“L’unione perfetta benedetta
da Antesys.”
John Jameson aveva avuto una
vita a dir poco movimentata, da quando Antesys, l’incarnazione vivente
del Multiverso, lo aveva scelto, attraverso la Godstone, per essere il
nuovo Protettore di Altro Regno. Ma, al di fuori della sua carriera di astronauta
e selvaggio Man-Wolf, John aveva tentato di costruirsi una vita ‘normale’...E
sempre sotto l’ombra oppressiva di suo padre, perfino nella scelta di Kristine
Saunders –una ragazza piacente, sottomessa come si addiceva alla futura moglie
di un eroe americano, buon partito, ma niente di più.
Durante la sua lunga terapia
sotto la Dottoressa Ashley Kafka, John era finalmente giunto ad
accettare perché non avesse funzionato. Perché lui non avesse davvero tentato
di comprendere Kristine, spingendola infine a lasciarlo.
Perché, inconsciamente, John
la detestasse al punto di attaccarla come Man-Wolf. Perché ogni sforzo fra loro
fosse destinato al fallimento.
L’omosessualità repressa era
un fardello molto duro da sopportare!
Sessualità repressa,
tensione sfogata combattendo. Essere Man-Wolf era liberatorio, poteva identificarsi
con l’animale che più ammirava fin da bambino...
Certo, non aveva mai
immaginato di giungere a questo esatto momento. Ma era anche vero che non c’era
descrizione, non c’era poesia che potesse avvicinarsi allo stato di beatitudine
apportato dalla perfetta fusione fisica e mentale provata poche ore prima[viii].
Drago e lupo erano diventati uno, ed il legame che si era forgiato fra loro era
di rara potenza. Ognuno era indissolubilmente presente nel cuore dell’altro. Ed
era meraviglioso.
Si staccarono, ma restando
abbastanza vicini da tenersi per le mani.
“Fino a domani, il nostro
tempo sarà solo nostro,” disse Stargod. “Voglio conoscere di più di questo
mondo, voglio essere lontano dall’ombra della guerra.”
Il drago annuì. “Ed io ti
guiderò per questo Percorso del Cielo Chiaro.”
Max si lanciò verso l’alto.
Assunse in un attimo la sua forma originaria. Stargod saltò sulle sue spalle, e
si lasciò trasportare verso l’orizzonte...
Dal villaggio, gli occhi
gialli del Seminatore di Morte seguirono il grande rettile confondersi
con le stelle con un ultimo ruggito di gioia.
I nativi continuavano nei
loro affari, cercando di riprendersi dallo scontro che li aveva decimati. Con
il Visir –consigliere e stregone- del villaggio scomparso, non ci
sarebbero state altre nascite veloci e crescite altrettanto veloci. La natura
avrebbe ripreso il suo posto, fra i neo-fedeli di Stargod.
“In questi momenti, sento di
non avere venduto la mia anima al diavolo,” disse una voce accanto all’essere
vestito di nero.
La voce di Richard
Rennsaeler, un uomo apparentemente troppo vecchio per fare l’eroe, anche se
il suo corpo vestito di un costume rosso mostrava ancora i segni di una vita di
allenamento intenso. Le rughe sul volto evidenziavano la natura intensa di
quella vita –vita che sperava di essersi lasciato alle spalle. “La cosa più
terribile che feci da solo, come Overrider, fu di tentare il disarmo unilaterale
degli Stati Uniti[ix]...Volevo
portare il mondo verso la pace, senza che fosse versato altro sangue...” gli
scappò una risatina triste. “Illuso, che ero. Ho rischiato la fine del mondo
per il bene di mio figlio.
“Credevo che unirmi a voi
avrebbe fatto per lui quello che da solo non ero riuscito a fare...E invece,
sono tornato ad uccidere, a lordare la mia...”
“Basta così, Rennsaeler,”
disse il Seminatore, con la sua voce asessuata, sepolcrale come quella di un
angelo della morte. “Sai che sei libero di andartene quando vuoi. La Stele
di T’helhy’Ed è ancora utilizzabile.”
“Non è questo, il
punto,” scattò il mutante. “Il punto è che voglio sapere cosa dovremmo
aspettarci, il perché dobbiamo uccidere quelli con cui combattiamo...Insomma,
sono stato un Agente SHIELD per tutta la mia vita, e anche se ho partecipato a
innumerevoli missioni ‘nere’, almeno non è mai stato per uccidere il vicino
della porta accanto! Su questo mondo, invece, sembra di stare in un racconto di
Howard...”
“Questo mondo, Rennsaeler, è
ancora all’equivalente del nostro medioevo. La violenza, qui, non è un
atto gratuito, ma parte integrante della cultura di queste genti. La ‘civiltà’
come la concepiamo è ancora l’eccezione che conferma la regola. Ed ora,
scusami,” la figura oscura del Seminatore sbiadì rapidamente, fino a scomparire
del tutto.
Rennsaeler si morse il
labbro inferiore. Forse, doveva cominciare davvero a pensare di lasciare questa
follia..!
Il Seminatore riapparve in
un punto fuori del villaggio, fuori dalla portata di orecchie indiscrete.
“Confido che tu abbia una solida ragione, per la tua defezione in queste ultime
ore, Estaban.”
Estaban Corazon del Diablo, o Diablo per gli amici
ed i nemici, inghiottì fiele e disse, “Sono stato fatto prigioniero da un drago
locale. Ero alla sua mercé...” e a quel punto raccontò tutto, incluso il patto
che era stato costretto ad accettare anche a nome del gruppo –almeno, questa versione, la più vicina alla realtà, fu quella che
diede. L’importante era che fosse il Seminatore a riferire a Stargod...
Potere
elementare, puro!
Come
i suoi simili, Max era una creatura elegante come un uccello, ma fino ad ora
non c’era stato il tempo di cavalcarlo per il solo piacere di farlo, per godere
delle sue acrobazie! Sotto di loro, la foresta vergine era coperta da un velo
d’argento prodotto dalle lune gemelle. I tanti laghi della regione brillavano
come altrettanti gioielli. Mai Stargod aveva visto un mondo così vivo; poteva quasi sentire battere il suo verde cuore.
Era
un mondo dal passato tormentato. Chissà quali forze erano state scatenate, per
giustificare l’esistenza di tutti quei crateri riempiti dalle acque tanto tempo
prima..?
Sempre
più in alto. Sembrava di potere toccare le lune con un dito, adesso. Ai
crateri, si alternavano venature laviche e mari tempestati di luce. Sotto,
l’orizzonte con il blu dell’oceano mostrava ancora un ultima traccia del sole
che, se fossero scesi più in basso, sarebbe già scomparso.
Max
era tornato a planare dolcemente. Stargod si mise in piedi, fissando
quell’orizzonte...E lo vide. Per un brevissimo istante, il raggio verde salutò
l’ostinazione dello spettatore, regalando la sua presenza per un breve istante.
Il
ritmo delle ali di Max cambiò. Stargod si rimise seduto, reggendosi alla
cresta.
Le
ali si piegarono. Improvvisamente, Max scese in picchiata! Il drago precipitò a
una tale velocità da fischiare come un aereo. Chiunque lo sentisse, avrebbe ben
avuto ragione di temere.
Stargod
guardò la foresta avvicinarsi, sempre di più...Istintivamente, gli si
drizzarono i peli del collo.
Proprio
all’ultimo istante, Max ruggì, spalancò le ali e trasformò la caduta libera in
volo librato radente sulle cime verdeggianti!
<E’
questo, il concetto di
divertimento di un drago?> comunicò il dio-lupo mentalmente. <Saranno
morti di infarto in molti, là sotto!> In realtà, era talmente esilarato, che
proruppe in un potente ululato!
Finalmente,
Max atterrò nel mezzo di una radura. Si accucciò sulle 4 zampe, il collo
reclinato sul terreno, permettendo a Stargod di scendere da lui.
Il
dio-lupo gli abbracciò il muso. <Ti ringrazio, Max...E’ stato bello come un
sogno, non lo dimenticherò.>
Max
sollevò la testa, ed indicò verso la vegetazione. <Il branco è qui. Seguili,
corri e caccia con loro.>
Un
istintivo uggiolio. <E tu?>
<Ti
aspetterò, naturalmente. Tu sei il loro fratello, e in questa come in molte
altre notti, sentirai il loro richiamo. È naturale.>
Ed
era vero –poteva già sentire come una voce silenziosa, come le prime note di
una canzone cantata non da menti o da bocche, ma dalle foglie fruscianti e dal
vento...
Stargod
non si accorse neppure di stare trasformandosi –non era un atto di volontà, ma
una semplice risposta a quell’invito. In un attimo, la sua armatura era
svanita, e l’attimo successivo, il suo corpo aveva assunto una postura
quadrupede. La Godstone era scomparsa sotto il fitto collare di pelliccia.
Possedeva
ancora la sua mente, ma le preoccupazioni ed i desideri che caratterizzavano la
sua altra forma erano relegati in un angolo, come un’opzione poco utile...Guardò
il drago un’ultima volta, e scattò via, invigorito di nuove energie.
Essere
figli di Azunbulxibar era
un’impresa in sé. Bisognava essere all’altezza del padre, un dio della guerra,
in ogni momento; bisognava essere all’apice della forme, fisica e mentale.
Quest’ultima
opzione fortemente voluta non tanto dal padre, quanto dalla madre.
I
due giovani, uno dai capelli neri come il padre, l’altro dai capelli rossi come
la madre, erano liberi di muoversi come volevano...nella prigionia dorata delle
loro stanze. Per la prima volta nella loro vita, anche se decisamente con un
maggiore numero di beni di conforto, provavano l’umiliazione della prigionia
come l’avevano inferta agli animali da loro catturati per il proprio
divertimento.
I
pochi libri depredati non erano certo una risorsa utile per sfogare la tensione.
Non disponevano di alcun oggetto utile ad impegnarsi almeno in un finto duello.
Il cibo era stato già servito.
I
fratelli sedevano sul trono dei genitori, e fissavano con tutto l’odio di
questo mondo la loro unica via d’uscita... “Abbiamo sete,” disse Jard dai capelli rossi. Un attimo dopo, sbuffò dal naso
come un toro. “Ci hai sentito, dannato essere? Abbiamo sete!”
“L’acqua
di cui disponete è sufficiente per i vostri bisogni,” rispose una voce fredda,
sintetica.
Galjin dai neri capelli scaraventò la caraffa verso
l’ingresso. “Vogliamo vino,
non questa roba da bambocci!”
L’oggetto
metallico rimbalzò contro la porta. Uno sfogo inutile: avrebbero potuto
agonizzare lì e subito, morire, ma la sentinella dall’altra parte della porta
–il sintezoide Avatar-
non avrebbe mosso un dito...
Ottimo!
I
due gemelli, che a parte i capelli erano due gocce d’acqua, forti come il padre
e con il volto volitivo della madre, si scambiarono un’occhiata complice. Jard
riprese a camminare avanti e indietro pestando rumorosamente i piedi.
Galjin
si diresse alla finestra, dove aspettava, appollaiato tranquillamente, un
uccello predatore –una creatura dallo splendido piumaggio rosso e bianco, con
una cresta nera e il becco ugualmente nero. Era questo un kyspel, l’equivalente di un falco terrestre. Un predatore
che, una volta addomesticato, si rivelava fedele come pochi.
Galjin
legò un rotolino di carta alla zampa dell’uccello. Con pochi cenni, gli comandò
di andare alla loro casa fissa –l’unica concessione mai fatta da Azunbulxibar
alla moglie. L’uccello spiccò il volo, silente come era arrivato, senza perdere
neppure una penna.
Al
loro posto, il padre non avrebbe mai chiesto aiuto, ma non erano stati educati
dalla madre per rinunciare ad usare ogni buona occasione, per vincere...
Il
branco era in caccia.
Le
evoluzioni del dragone avevano spaventato buona parte della fauna, ma
recriminare non sarebbe servito. Si erano spostati alla ricerca delle prede in
fuga.
Il
lupo bianco correva al fianco della femmina alfa dello stesso colore –la
stagione degli accoppiamenti era lontana, e fino ad allora lei non avrebbe
sprecato tempo ed energie a scegliere un nuovo compagno. Su questo mondo, non
vi era la scarsità di risorse che affliggeva la Terra, e un lupo poteva
permettersi il lusso di restare fedele al compagno fin oltre la sua morte.
Il
maschio bianco si sentì intimidito da quella creatura selvaggia, attratto dalla
sua forza e determinazione, dai movimenti leggiadri di un corpo capace di
ottimizzare ogni briciola di energia. Era perfetta.
Ma
quei pensieri furono presto messi da parte, appena sette nasi percepirono
l’odore della preda. Un esemplare solo, vecchio, stanco, abbandonato dal suo
branco. Immediatamente il branco si disperse per coprire ogni via di fuga,
lasciando l’alfa e il bianco da soli, la femmina in testa per il primo colpo.
La
preda era un animale simile ad un cervo, ma ben più grande, una degna preda di
lupi che erano grandi a loro volta il doppio delle loro controparti terrestri.
La bestia dalla pelliccia maculata poteva essere stanca, ma possedeva ancora un
palco terminante in punte aguzze, e anche le sue zampe possedevano delle spine
d’osso. Ci sarebbe voluto davvero un’arma di buon calibro, per abbatterlo...
Il
branco agì con efficienza. Si avvicinarono lentamente, circondandolo, e ovunque
il ‘cervo’ voltasse la testa, anziché una via di fuga, incontrava una promessa
del suo imminente destino. Poteva combattere ancora, sfondare crani e rompere
ossa con i suoi potenti zoccoli...Ma sapeva che il momento era giunto. Era
solo. E non avrebbe più trovato una femmina con cui spargere il proprio seme.
La
sua vita era stata piena, tuttavia. Soddisfacente. Poteva andarsene in gloria.
Avrebbe resistito solo perché il branco potesse affinare la propria
coordinazione e forza. Chiunque fosse stato ferito da lui, avrebbe avuto solo
sé stesso di cui lamentarsi.
Attacco!
Veloce
come il fulmine, fu la femmina alfa ad aprire le danze! Nel pieno del suo
vigore, a metà del salto evitò una zoccolata al cranio, ed affondò i suoi denti
nella coscia destra. Il maschio bianco seguì a ruota, in un attacco frontale
–sbagliato! Fu ricompensato con una zampata alla spalla. Si udì il suono delle
ossa distrutte, il suo corpo fu proiettato contro un albero.
Due
beta aggredirono l’unico punto debole –il ventre. Le zanne aprirono come stoffa
la pelle tesa del petto e dell’addome. L’animale si impennò, perdendo definitivamente
il controllo, mentre altri due esemplari grigi serravano la loro presa alla
gola. L’ultimo si precipitò sulla coscia sinistra, costringendo la preda a
terra...
Il
maschio bianco era più sconfortato che sorpreso –era inesperto, e ne aveva
pagato le conseguenze. Già il suo fattore rigenerante stava entrando in
funzione, ma per quella notte, avrebbe dovuto aspettare per ultimo il suo diritto
al pasto...
Il
branco aveva abbattuto la preda, e già si stavano nutrendo. Il dolce odore
ramato del sangue riempiva l’aria. Le altre prede potevano tornare ai loro
affari, per qualche giorno ci sarebbe stata pace per loro.
Una
decina di minuti dopo, la femmina alfa si separò dal branco, per avvicinarsi al
maschio. Il suo muso era ora di un rosso acceso. Chinò la testa, spalancò le
fauci, e con pochi conati espulse dei bocconi fumanti.
Il
maschio bianco uggiolò, e si avvicinò timidamente al dono. Lei si sedette,
iniziando a leccarsi il muso e nettarselo con una zampa.
Il
maschio mangiò. L’offerta, che di solito veniva riservata ai più deboli o ai
cuccioli, poteva essere in questo caso una manifestazione di lupino sense of humour, o l’equivalente dell’offerta dell’anello
–il cibo era una risorsa preziosa, e
dividerlo era universalmente un segno di intenzioni serie...
Ma
era tutto così difficile. In questo caso, poteva anche
essere l’offerta di una fedele al suo dio. Il maschio non lasciò da parte una
briciola –qualunque cosa volesse dire l’offerta, lui era affamato!- e quando ebbe finito, si voltò per
andarsene. Per questa volta, non si era comunque dimostrato degno...Ma
l’avrebbe rivista?
Occhi
ambrati contro occhi verdi. Comunicazione senza parole. Pure emozioni.
Il
maschio bianco se ne andò di corsa. Lei sospirò, e, molto filosoficamente,
decise di aspettare cosa il destino avrebbe loro riservato...
La
paura era un sentimento pressoché sconosciuto, fra il popolo di Azunbulxibar. L’ignoto
veniva affrontato e soggiogato, o annientato. O si moriva nel tentativo. Ma non
si arretrava. Mai.
Nessuno
avrebbe osato ammettere, quindi, di essere intimamente terrorizzato, nel passare vicino a una tenda in
particolare. La tenda che era appartenuta al Visir. E che ora ospitava un ben
più sinistro inquilino...
Sedeva
al centro di un perfetto cerchio di fuoco.
Le fiamme aranciate, come vapore, a intervalli si levavano a formare altri
perfetti cerchi fiammeggianti. Nell’ambiente confinato, si era diffuso un odore
sgradevole, come di qualcosa da poco disseppellito.
Tali
erano le conseguenze di operare una magia, se si era un demone. E Grigar
non faceva eccezione –poteva ancora assomigliare ai suoi primi antenati, anche
se loro erano plantigradi mentre lui era digitigrado, e il corpo dalla
pelliccia aranciata era molto più robusto di quello della prima coppia, ma
sotto il corpo, lo spirito era corrotto. Grigar -come la sua gente, dal giorno
in cui furono confinati nel Limbo-
era stato inevitabilmente corrotto dalla permanenza in quel luogo senza tempo.
Ma,
a differenza dei suoi simili, Grigar era stato il Balkatar
del suo popolo, l’Evocato, colui che poteva uscire dal confino per servire il
suo evocatore.
Grigar
aveva conosciuto il sapore della libertà, ed era deciso a farlo sentire al suo
popolo. In un modo o nell’altro...Per questo, si era alleato con questo strano
gruppo di mortali.
E,
finalmente, stava giungendo il momento da parte loro di mantenere la promessa!
Per
troppo tempo, le barriere erano state tenute sempre più chiuse –forse una
conseguenza della dipartita di Illyana Raspuntin
dal ruolo di Signora del Limbo dopo gli eventi di Inferno-
ma ora, quelle barriere stavano tornando a cedere! Una nuova volontà si stava
imponendo nel Limbo, una volontà ancora più forte di quella della mutante
mortale[x]...E
quando le barriere fossero cadute, Stargod e i suoi alleati avrebbero
accompagnato Grigar nella liberazione del Popolo Felino.
Presto,
molto presto..!
Sazio
e pulito, il lupo bianco fu di ritorno da dove era partito. Un atto di volontà,
e Stargod tornò a camminare sulle due gambe...nudo, perfetto.
E
confuso. Si strinse nelle braccia, mentre Max si avvicinava a lui. “Non so
neppure come definirlo...Era tutto
così naturale, completo, ed una parte
di me adesso lo trova così ripugnante,
bestiale...”
Il
drago antropomorfo sciolse le sue braccia, gentilmente, come a un bambino, e lo
strinse a sé. “Non devi definirlo, John. Hai vissuto la vita di un lupo, e tu
lo sei, come sei anche un uomo. Nessuno dei due è superiore od inferiore
all’altro. Sii fiero di potere vivere in armonia. Non portare interrogativi
dove non ce ne sono.”
Stargod
si accorse di stare scodinzolando leggermente, inebriandosi dell’odore del
suo...Sì, tra poco avrebbe potuto dirlo.
Max
accettò il primo morso delicato alla base del collo...
Per
ancora qualche ora, nessun fardello sarebbe stato posato sulle spalle di questo
dio.