Nel 1550, le coste del Nuovo Mondo videro l’arrivo di un potente rappresentante delle dinastie nobiliari Inglesi. Nativo dello Yorkshire, Horace Solomon Sterling, facendo fede al proprio secondo nome, saggiamente intravide nel continente Americano quelle possibilità che il sovraffollato mercato Europeo tendeva a soffocare in un mare di rivalità e politica.

L’Impero degli Sterling riuscì a sopravvivere alla storia. La Guerra d’Indipendenza, la Guerra Civile, i conflitti mondiali –in un modo o nell’altro, uno Sterling riuscì a tenere insieme i propri interessi, anche se il casato dovette per forza di cose cambiare più volte residenza.

Non si può dire che tutti gli Sterling fossero stati degli stinchi di santo; anzi, proprio un fondamentale cinismo li aveva fatti sopravvivere fino al 20° secolo.

Cionondimeno, nessuno di loro si era mai personalmente sporcato le mani.

 

Phillip Wallace Sterling fu la prima eccezione alla regola. Iniziò la sua carriera criminale con un costume e il pretenzioso nom-de-plume di Sterminatore. Recuperò un gruppetto di criminali di mezza tacca, gli Ani-Uomini. Usò delle conoscenze tecnologiche rubate per fondare il proprio piccolo regno.

La sua vita criminale fu, in questo senso, alquanto breve, a causa di un solo uomo: Devil.

Creduto morto nella distruzione del suo laboratorio, Sterling tornò successivamente alla ribalta con nuovi poteri, nuovo look, e un nuovo nome: il Seminatore di Morte.

Non che la sorte avesse deciso di essergli più benigna: non molto tempo dopo il suo ritorno, Sterling incontrò per davvero l’Oscura Signora, durante l’ennesimo tentativo di sbarazzarsi della propria nemesi in rosso.

 

Ancora più tardi, Devil si trovò ad affrontare l’ira della madre di Sterling. La donna stava morendo per il cancro, e il cadavere dell’eroe di Hell’s Kitchen sarebbe stato il suo lascito. Per l’occasione, l’intera Villa Sterling era stata trasformata in una trappola mortale. E, ancora una volta, Devil uscì vincitore dal confronto, mentre la villa fu distrutta in un’auto-esplosione.

Per anni, quelle tristi macerie erano state la sola testimonianza visibile della gloria che fu degli Sterling.

 

 

MARVELIT presenta

1 – RendezVous

 

 

Oggi, nessuno penserebbe che una simile tragedia sia mai successa.

Villa Sterling era rinata a nuova gloria, ristrutturata quale copia del primo edificio costruito da Horace Solomon. Il parco era stato ampliato, ed ora comprendeva una piccola foresta, e i sistemi di difesa avrebbero fatto l’invidia dell’ora distrutto Palazzo Stark.

I cronisti mondani si erano letteralmente venduti l’anima per sapere chi fosse a capo della ricostruzione. Voci non verificate parlavano della ancora perdurante influenza degli Sterling nel mondo dell’alta finanza e della politica, nonostante, ufficialmente, non esistesse più uno Sterling vivente. Phillip Wallace era l’ultimo erede di quella dinastia.

Naturalmente, si sbagliavano tutti.

 

 

La nebbia non era di per sé un fenomeno inusuale.

Ciò che attirava l’attenzione era il fatto che la nebbia copriva solo l’intera area privata intorno alla Villa Sterling, rendendo vano ogni tentativo di scoprire cosa stesse succedendo.

Una precauzione apparentemente inutile –quale minaccia avrebbe mai potuto rappresentare una limousine diretta verso la villa?

La luce tremolante dei lampioni a gas dava l’idea di un’ordinata fila di fuochi fatui. La nebbia soffocava qualunque suono, riducendo quello delle gomme sulla ghiaia a un flebile fruscio, e il motore al verso di un animale guardingo.

L’auto si fermò di fronte a un viale pavimentato che si poteva percorrere solo a piedi. Due file di lanterne ne segnavano il percorso fino alla villa.

La porta anteriore si aprì, e ne uscì l’autista. L’uniforme gli sembrava dipinta addosso, tanto era tesa sul suo corpo enorme. La carnagione era olivastra, i lineamenti esotici a metà fra il mediterraneo e il nordeuropeo. Il berretto non poteva nascondere una folta treccia lunga fino alle spalle.

L’autista andò ad aprire la porta posteriore; si muoveva con una notevole economia di movimenti, quasi senza fare rumore.

L’ospite uscì dall’auto. In perfetto contrasto con l’autista, l’uomo era un tipo quasi segaligno, del tipo che al primo colpo potevi definire ‘topo da scrivania’. La sua carnagione era pallida, il volto affilato dai tratti ispanici. I capelli erano neri come l’inchiostro, tagliati corti e stempiati. Per contro, i baffi erano lunghi, folti e pendenti. Portava con sé una borsa in cuoio, dello stesso colore neutro del suo impermeabile. Se avesse messo su un sorriso appena un po’ untuoso, gli si sarebbe potuto chiedere se vendeva scarpe o spazzole.

Ben più tetra era la natura dei suoi pensieri, mentre si dirigeva verso il piccolo castello degli Sterling.

 

La solida porta in quercia era chiusa, illuminata da candelieri ad entrambi i lati. Su ogni anta era inciso il simbolo della dinastia: un caduceo, dove al posto del bastone c’era un lupo e al posto del serpente un drago. Le code di entrambe gli animali si univano a cerchio intorno a loro.

L’ospite poteva quasi udire il potere emanato dal mistico simbolo. Sospirò -così tanto tempo, così tanti ricordi…

Con uno scatto impercettibile, la porta si aprì da sola.

 

L’uomo entrò, la testa ferma, gli occhi attenti a ogni particolare del salone in stile Tudor.

Eppure, lei era lì, un’ombra vicina al camino. Indossava un abito lungo, scuro, severo. Al collo portava un cammeo con il simbolo della famiglia. Nonostante il vestito, si intuiva una qualità scattante, atletica, del suo corpo. I capelli d’ebano dai riflessi blu erano raccolti in una crocchia elegante.

Il suo volto era pallido, ma decisamente non appariva malaticcio –anzi, i suoi lineamenti erano severi, decisi. Gli occhi grigi di lei sorridevano di una luce predatrice, un’espressione intonata alle sue labbra, mentre avanzava verso il suo ospite. “Finalmente ci incontriamo, Estaban,” disse, la sua voce un velo di seta con l’acciaio sotto.

Estaban Corazon del Diablo prese delicatamente la mano che gli veniva profferta, e sfiorò appena l’anello. “E’ passato molto tempo dall’ultima volta che uno Sterling abbia avuto a che fare con il Signore dell’Alchimia, Señora. Ma Diablo non dimentica un debito.”

La coppia andò a sedersi di fronte al camino, ognuno su una poltrona di fronte all’altra.

“Dunque,” disse Diablo, sempre tenendo in grembo la borsa, “Innanzi tutto, spero che l’incantesimo meteorologico sia soddisfacente. E…cosa può fare la mia riconoscente persona per la discendente di coloro che mi salvarono da oscuro fato in terra di Spagna?” Non c’era traccia alcuna della familiare arroganza, nella sua voce. Anzi, la sua genuina deferenza avrebbe dato da pensare ai suoi nemici.

Mary Elizabeth Sterling incrociò le mani sul grembo. “La copertura è perfetta. E, ti posso offrire una grande possibilità, Estaban: il dominio che hai sempre cercato, e che sempre ti è stato negato. In cambio, dovrai offrire un certo grado di…collaborazione.”

Diablo accennò a un sorrisetto. “Parole forti, per una femmina Sterling. L’ultima volta che ho sentito parlare di voi, le donne erano segregate nell’ombra, dimenticate.”

Mary allungò una mano a un bicchiere di brandy sul tavolino in mezzo a loro. Bevve un sorso, gli occhi due fuochi di marmo. “L’ossessione è una brutta strada, Estaban. Il mio povero fratello Phillip è stato ucciso dalla sua ossessione per Devil, mia madre ha preferito seguirlo piuttosto che impedirmi di venire a reclamare la mia posizione.

“Ho vissuto ‘nell’ombra’ come tu dici, secondo le migliori tradizioni, ma a differenza delle mie sfortunate antenate, questi tempi moderni hanno molto da offrire a chiunque desideri uscire dall’ombra. Mentre mio fratello e mia madre dilapidavano quanto restava del loro patrimonio in questo continente, io ho rinnovato la ricchezza nel resto del mondo, sotto falso nome. E come vedi,” aggiunse, toccandosi il cammeo, “ho riscoperto le più antiche tradizioni dei miei avi.”

Diablo annuì. Parlava con calma, ma la sua mente lavorava freneticamente. “Tutta la mia ammirazione, Señora. E..di che tipo di ‘collaborazione’ stiamo parlando?”

Mary bevve un sorso. “Un gruppo, Diablo.”

Lui aggrottò le sopracciglia.

“So che sei un solitario, Estaban,” disse Mary, “ma la tua presenza, la tua abilità nelle arti alchemiche, è assolutamente necessaria.”

Lui la interrogò con gli occhi.

Lei annuì. “Te lo spiegherò in dettaglio appena saranno radunati gli altri componenti. Dovrai avere pazienza, per quanto tu abbia poco esercitato tale qualità negli ultimi anni.”

Una luce sinistra si accese negli occhi di lui. Mary lo interruppe con un cenno della mano.

“Un innegabile spreco di talento, alchimista. Spreco che ti ha portato a sterili conflitti con la comunità dei supereroi. Invece di edificare, hai gettato al vento. Io ti offro la possibilità di cominciare daccapo. Non sarà una missione esente da rischi, ma la ricompensa finale sarà la realizzazione dei tuoi sogni….E nessun supereroe a infrangerli.”

Diablo prese il suo bicchiere. Fissando il liquido ambrato, disse “Una bella promessa…Ma per ora non intendo io stesso scendere nei dettagli. Ho un debito, e lo ripagherò nel modo che lei stesso riterrà più adeguato. Metterò da parte il mio orgoglio…per ora.”

La donna bevve un altro sorso, e i suoi occhi si spostarono su qualcosa dietro il suo ospite.

O meglio, qualcuno. Solo il ferreo autocontrollo del maestro alchimista gli impedì di strozzarsi con il suo brandy. Silenzioso come un fantasma, dietro di lui c’era l’autista –solo che ora indossava una livrea da maggiordomo. Teneva una scatola di legno fra le mani.

“Sul tavolino, Hector,” disse lei.

L’omone depose la scatola, e si ritirò quieto come era sopraggiunto. Seguendolo brevemente con lo sguardo, Diablo giurò che quello aveva qualcosa di felino, ma non di sovrannaturale…Ma non ci badò più di tanto. La sua attenzione si concentrò sulla scatola –un oggetto semplice, solido, di legno di noce.

E solo occhi allenati alla visione mistica potevano vedere la potente aura che lo circondava.

Diablo aprì la scatola. Quasi ebbe un tuffo al cuore al vedere l’oggetto nella seta rossa. “La stele di T’helhy’Ed!” sussurrò, ammirato. “Con essa si possono infrangere le barriere fra i mondi. Come…”

“Ammetto di essere stata fortunata,” disse Mary. “Non molto tempo fa, Machinesmith e il Super Adattoide hanno devastato la sede dei Vendicatori[1]. La stele era sepolta nel terreno della base, e degli operai reclutati da me hanno provveduto al recupero.”

Diablo prese la stele con delicatezza, tracciando con le dita le sue rune.

Gli occhi di Mary Elizabeth Sterling si fecero duri. “Dovrai usare le tue arti arcane per infrangere la barriera con il Limbo, Diablo. Colui che deve essere liberato sta attendendo, e i simboli in questa stanza saranno il suo faro. Avrai spazio per un solo tentativo: l’esiliato è stato confinato in quel crocevia da un incantesimo potente.”

“E dopo averlo liberato?” fece Diablo, ancora assorto nello studio delle rune.

“Come per te, l’esiliato mi dovrà un favore una volta libero. Non ci saranno ripercussioni.”

Diablo sorrise, scuotendo la testa. “In te rivive davvero lo spirito dei tuoi avi, donna.”

Lei si alzò in piedi. Allo stesso tempo, nella stanza tornò Hector. In un involucro plastificato, reggeva quello che sembrava un completo da uomo.

Con una mano, Hector estrasse un paravento a scorrimento dalla parete. Senza scomporsi, Mary andò dietro di esso ed iniziò a cambiarsi, prendendo uno ad uno i pezzi dell’abito a mano a mano che Hector li passava. Molto discretamente, il maggiordomo puntava altrove lo sguardo.

Diablo si scoprì affascinato dalla sola presenza di quella donna formidabile. Era il tipo di persona glaciale che difficilmente avrebbe alimentato fantasie erotiche e che allo stesso tempo avrebbe potuto tenere i sovrani sulla punta di un dito. Chissa s*

I suoi pensieri furono troncati dall’apparizione che emerse dal paravento. Di femminile, Mary Elizabeth non aveva letteralmente più nulla. Il completo nero da uomo era avvolto da un ampio mantello nero che scendeva fino a terra, e il cui colletto formava una zona d’ombra lungo tutto il volto, del quale apparivano solo due occhi gialli senza pupille. Sulla testa, portava un cappellaccio a larghe falde che quasi si congiungevano con il colletto del mantello. Le mani erano irrobustite da un paio di guanti. Non sembrava neanche un essere umano, ma un’ombra monodimensionale; veniva male agli occhi, a guardarla troppo a lungo.

Quando parlò, il Seminatore di Morte lo fece con la stessa, sinistra voce del suo predecessore, qualcosa che sembrava venire da una tomba.

“Hector vigilerà affinché tu possa avere assistenza per qualunque necessità. Puoi fidarti ciecamente di lui. Io sarò occupata a radunare gli altri due membri della nostra…coalizione.”

Diablo non fece commenti. Aveva preso un impegno, e nonostante quello che i suoi nemici pensassero di lui, intendeva rispettarlo…Del resto, liberare questo misterioso ‘esiliato’ sarebbe stato abbastanza impegnativo da non farlo pensare ad altro.

Diablo iniziò a mormorare un incantesimo. Dietro di lui, il Seminatore di Morte era semplicemente scomparso.

 

 

Il traffico aereo intorno alle grandi metropoli era severamente monitorato, già prima del recente tentativo di invasione da parte di una razza aliena[2]. Non tanto perché si pensasse di potere fermare una flotta agguerrita di invasori, ma per prevenire l’azione di eventuali quinte colonne, come già gli attentati di una fazione terroristica avevano dimostrato. Carico e passeggeri in arrivo e in partenza venivano accuratamente monitorati, spesso non senza causare problemi a coloro che ancora credevano di essere ‘al di sopra’ della sicurezza nazionale. In tale senso, persino il Presidente degli Stati Uniti aveva deciso di dare l’esempio, organizzando la sua agenda quotidiana in modo da includere i tediosi controlli.

 

A fare valere la domanda ‘Chi controlla i controllori?’, era il piccolo aereo argentato in fase di atterraggio al Kennedy Airport. La torre di controllo era stata a dir poco sbrigativa con il nuovo arrivato, visto che sulla timoniera e le ali portava l’inconfondibile simbolo degli addetti alla sicurezza internazionale: lo SHIELD.

Il pilota aveva dichiarato di dovere effettuare uno scarico di materiale per i sistemi locali di sorveglianza. E i documenti trasmessi elettronicamente, controllati con l’agenda elettronica fornita dallo SHIELD, gli davano ragione.

Una volta a terra, l’aereo fu avvicinato da addetti e veicoli della massima agenzia di sicurezza, che iniziarono a scaricare il materiale.

Dal portello di imbarco, invece, scese un solo uomo. Solo la stempiatura, e la sottile rete di rughe intorno agli occhi tradivano la sua età; per il resto, la sua forma era ancora atletica. Era vestito da civile, salvo per il tesserino SHIELD al petto della giacca. Il tesserino lo indicava come un consulente di nome Aaron Sailler, ma non era il suo vero nome. Solo la sua passata appartenenza allo SHIELD lo era.

L’uomo si diresse con passo tranquillo verso l’hangar. Dietro di lui, l’aereo aveva chiuso tutti i portelli, e si stava rimettendo in pista per la partenza.

Appena l’uomo fu entrato nell’hangar illuminato da potenti riflettori, le porte iniziarono a chiudersi. I falsi addetti SHIELD si erano dileguati in fretta, e lui era solo, a parte le tre casse in acciaio...

...e l’ombra che si materializzò davanti a lui.

“Ero rimasto in dubbio sul suo arrivo fino all’ultimo, signor Rennsaeler,” disse il Seminatore. “Sono felice di vedere che mi sbagliavo. Le mie scuse.”

Richard Rennsaeler iniziò a togliersi gli abiti civili. Giacca e camicia vennero via con un solo movimento, rivelando la sottostante tuta aderente scarlatta. Mentre si toglieva pantaloni e scarpe, l’ex agente SHIELD cercò di capire se l’essere di fronte a lui stesse scherzando o no...poi si scosse mentalmente: il trucco psicologico era perfetto. Con quella mascherata, Lady Sterling era letteralmente irriconoscibile.

Rennsaeler sorrise. “Perfino ridarmi l’uso delle gambe non sarebbe stato sufficiente, Seminatore, se non avessi fatto ammettere mio figlio presso il migliore istituto europeo per il recupero della sua povera mente.”

Rennsaeler, ora interamente in rosso, e il Seminatore, si avvicinarono alla prima delle casse, che giacevano in piedi. Il lucchetto consisteva di uno scanner retinale e sofisticato meccanismo a combinazione, a sua volta collegato con una serie di detonatori fissati a contenitori di vibranio. Anche superando lo scanner, bastava sbagliare una sola volta la combinazione alfanumerica, o digitarla troppo lentamente o troppo velocemente, per fare aprire i contenitori di plastica, e il vibranio avrebbe distrutto le casse e ogni cosa al loro interno.

Rennsaeler non aveva assolutamente alcun problema con tale dispositivo –anzi, non aveva alcun problema con alcun dispositivo, non da quando aveva scoperto le sue latenti doti mutanti, doti che gli avevano fatto guadagnare il nome in codice Overrider.

Sotto il suo comando mentale, la serratura si aprì in un momento. La cassa si aprì, rivelando

il colosso di metallo azzurro, alto 3 metri. Ogni pezzo dell’armatura, forgiata in modo morbido, per seguire ogni movimento dell’anatomia umana, evidenziava l’ultimo grido in fatto di hi-tech.

“Impressionante,” disse il Seminatore.

Rennsaeler disse, “Questo è il prototipo dell’Iron Monger Mark III, basato sui disegni gentilmente concessi al governo dall’industriale Simon Steele. Bisogna ringraziare Henry Peter Gyrich: quel paranoico vuole un’armata personale speciale per tenere a freno i supereroi, e ha chiesto allo SHIELD un cosino come questo.”

“I disegni?” chiese il Seminatore.

Rennsaeler estrasse un cubetto dalla cintura. “In questo CDS[3] c’è tutto quello che ho potuto prelevare dal QG SHIELD. Date le multiple ridondanze dei loro sistemi informatici, non posso giurare che non ci siano altre copie archiviate altrove...ma senza il giocattolo vero e proprio, dovranno faticare parecchio per farne un altro.” Passò il cubetto al Seminatore con un corto lancio. “Come dovranno faticare per capire che l’ordine di trasferimento nella loro agenda e la stessa agenda erano fasulli.”

Il Seminatore fece sparire il cubetto dentro il mantello. “Te la senti ancora, di essere tu a vestire l’armatura?”

Lui si fece scuro, ma annuì. “Non mi è piaciuto lavorare contro la mia stessa agenzia...ma ho giurato che per mio figlio farei qualunque cosa, Seminatore. Anche se dovessi morire, so che ci sarà qualcuno a badare a lui.” Ancora dovette fare uno sforzo, per crederci. Se avesse avuto di fronte Lady Sterling, non avrebbe avuto dubbio alcuno... “Quando si comincia?”

Il Seminatore estrasse dal mantello una provetta. In essa, brillava del liquido trasparente acceso da un pulsante bagliore del colore del fuoco. “Appena il contenuto della terza cassa sarà stato adeguatamente riprogrammato, Iron Monger. Procedi.”

Rennsaeler si avvicinò alle altre due casse, e ‘ordinò’ loro di aprirsi.

La seconda cassa conteneva un recipiente poco meno grande di un uomo, che doveva essere di adamantio –almeno, stando alla descrizione nell’archivio SHIELD.

Tuttavia, ciò che il recipiente conteneva possedeva una tale energia da rendere opache le sue pareti indistruttibili. Se quell’energia fosse stata libera, i due super-esseri ne sarebbero stati consumati istantaneamente.

“Sei…sicuro di volere usare quello, per…?” chiese Rennsaeler, istintivamente schermandosi gli occhi con una mano.

Il Seminatore si avvicinò al contenitore. Dalla base, estrasse una tastiera a scomparsa, e iniziò a digitare.

-Salute a te, Agron.-

Non ci fu risposta –ma neanche se la aspettava. Agron aveva cessato di comunicare con chiunque, dal giorno della sua cattura ad opera di Capitan America. Per più di un anno, lo SHIELD aveva tentato di infrangere il muro del silenzio, nella speranza di scoprire quanto più possibile sull’essere di pura energia che diceva di venire dal futuro più remoto della Terra, un futuro in cui il Sole si apprestava a entrare nella sua fase di gigante rossa.

Ma Agron taceva. E il Seminatore di Morte poteva anche capire perché: Agron era pura coscienza, non vincolato dalle necessità di un corpo fisico; la pazienza era una condizione inevitabile di tale stato. La morte, un concetto alieno.

I cervelloni dello SHIELD avevano perso la testa, chiedendosi perché un’entità come Agron dovesse preferire la fuga verso un lontano passato barbaro e ostile, invece di fuggire nello spazio esterno alla velocità del pensiero.

Più che farsi un’idea, il Seminatore di Morte l’aveva vista. Un piccolo vantaggio della sua ‘maledizione’…

Il Seminatore infilò un DVD nel lettore montato nella tastiera. Lasciò passare qualche secondo…

Fu come avere gettato una bomba! Le pulsazioni regolari della creatura divennero un bagliore caleidoscopico impazzito, l’equivalente del terrore!

Il seminatore riprese a digitare. L’interfaccia trasformava gli impulsi in segnali ottici leggibili da Agron.

-Per ora, è solo una simulazione. Ma può diventare realtà, Agron. E tu, insieme a noi, puoi impedirlo.-

Un’altra esplosione di colori, seguita dalle parole che apparvero sulla metà inferiore del display sopra la tastiera. –Come faccio a sapere che non menti?-

-Non posso che offrirti la mia buona fede, e la consapevolezza del nostro bisogno.-

-Il bisogno di una specie inferiore, inetta.-

Senti chi parla, pensò la donna, ma si trattenne dal digitarlo. Invece, scrisse, -Questa ‘specie inferiore’ ha combattuto con successo Galactus, la Forza Fenice e altre entità di natura cosmica.-

-Allora quale bisogno avete, di Agron?-

-Tu hai bisogno di noi. O morrai come un qualunque barbaro di questa epoca. Perfino fuggire in un’altra epoca non ti sarà di aiuto. Te l’ho mostrato.-

Altre pulsazioni, questa volta più ordinate. –Non hai ancora la mia piena fiducia, primitivo. Ma posso concederti il beneficio del dubbio. Liberami.-

“Perché ho l’impressione che appena apriamo il coperchio, il verme ci frigge?” chiese Rennsaeler.

In risposta, il Seminatore estrasse dalla base del contenitore un cavo spesso come un braccio. “La sua arroganza è deliziosamente ingenua, Iron Monger. Ovviamente, cercherà di ucciderci una volta libero; e, ovviamente, sarà impossibilitato a farlo, una volta racchiuso nella sua nuova prigione.”

 

Rennsaeler guardò la terza cassa.

Il contenuto consisteva di un umanoide. Chiuso in una seconda bara perfettamente stagna. Un essere neutro, nonostante la fisionomia basicamente maschile. Il volto era inespressivo, gli occhi due pozze nere senza anima. “Difetti?” chiese il Seminatore.

Il mutante scosse la testa. “E’ autorigenerante. E’ sopravvissuto alla caduta dalla bassa orbita, dopo la distruzione del Baxter Building.”

 

Il termine ‘sopravvissuto’ non era inadatto, anche se l’Empatoide era una macchina. Secondo quanto riferito dall’Uomo Ragno, che per primo lo aveva combattuto, e poi confermato da Reed Richards, che lo aveva tenuto in custodia, l’Empatoide era stato costruito da una specie abitante nella Zona Negativa. Come Capitan America per la Terra, l’Empatoide avrebbe dovuto essere il campione di quel mondo lontano.

Ma qualcosa andò storto, e l’Empatoide divenne un vampiro psichico che consumò l’intera popolazione dei suoi padroni, e ogni altro essere vivente con delle emozioni.

L’Empatoide arrivò sulla Terra, e l’Uomo Ragno lo sconfisse...sovraccaricandolo di emozioni. Da quel giorno, l’androide era stato chiuso in un campo statico, isolato da tutto e custodito dai Fantastici 4.

Tempo dopo, il Dottor Destino aveva distrutto il Baxter Building, dopo averlo spedito in orbita, e l’Empatoide era precipitato nel deserto del Texas. Solo il pronto avvertimento di Mister Fantastic aveva impedito una tragedia, e lo SHIELD era stato lieto di potersi occupare di custodire l’entità aliena...

 

Rennsaeler non chiese dettagli sul piano del Seminatore. E la sua stessa associata non avrebbe fornito dettagli, per ora.

Non gli avrebbe spiegato che sapeva che sarebbe andato tutto bene, lo sapeva da molto tempo!

Il Seminatore di Morte agganciò il cavo alla base del sarcofago dell’Empatoide. Lo SHIELD aveva usato l’interfaccia del sarcofago per gli strumenti di analisi.

Sarebbe bastato lo stesso.

Contatto!

Il passaggio di energia fu pressoché istantaneo! L’intera figura di molecole instabili dell’androide divenne un ammasso pulsante, vibrante di energia, affianco del cilindro ormai vuoto di Agron. Rennsaeler chiuse istintivamente gli occhi, voltando la testa. Il Seminatore rimase a guardare, imperscrutabile.

In pochi secondi, il processo fu completo.

La forma che emerse, un po’ diversa da quella originalmente ospitata.

La forma neutra dell’Empatoide era ora coperta da una sofisticata, scintillante armatura bianca, con un mantello altrettanto bianco. L’elmo lasciava scoperto il volto, ma solo per metà, trasformandosi in quell’area in una perfetta simulazione metallica di un volto.

La cosa più impressionante erano le parti scoperte del corpo dell’androide –addome, braccia e cosce, che brillavano di energia.

Nelle pozze oscure degli occhi della nuova entità si accese una scintilla sinistra.

“Cavoli,” disse Rennsaeler.

“Bentornato a nuova vita, Avatar,” disse il Seminatore. Poi, a Rennsaeler, “Indossa la tua armatura, Iron Monger. Il penultimo associato dovrebbe essere a destinazione a momenti.”

Rennsaeler comandò l’apertura del colosso. L’armatura non poteva essere ‘indossata’, potevi solo entrarci.

Mentre l’armatura si chiudeva sul suo pilota, Rennsaeler si chiese chi fossero gli ultimi due associati. Degli altri due, sapeva abbastanza da avere avuto i brividi, quando ne era stato informato…

Le luci si spensero di colpo. Allo stesso tempo, un lampo di potenza mai vista illuminò a giorno l’hangar attraverso le finestre; un attimo dopo, il tuono quasi mandò in frantumi i vetri.

“E’ arrivato,” disse il Seminatore.

Mentre un aereo dello SHIELD atterrava al Kennedy Airport, con il suo carico di alta tecnologia, il polo opposto della conoscenza umana veniva messo a dura prova a Villa Sterling.

 

Diablo, con indosso il suo familiare costume, era concentrato come non mai, mentre accarezzava come un pianista le rune della Stele mistica. Le sue parole erano un canto in una lingua morta da tempo immemorabile, quando Cimmeria era all’alba del suo splendore.

 

Dal piano superiore della stanza, Hector osservava, impassibile. I suoi ordini erano chiari: non interferire, a meno che fosse strettamente necessario. E se Diablo avesse tentato uno scherzo, ucciderlo.

 

Solo civiltà antichissime, e spesso per un caso fortuito, erano riuscite ad abbattere le barriere con il Limbo. Il Limbo era non non-luogo, un punto di incontro del tutto in mezzo al nulla.

Esseri come Belasco erano riusciti al massimo a colonizzare una frazione del crocevia, spacciandosene per ‘signori’.

No, il Limbo era indomabile.

Per questo, Diablo stava sudando freddo, nel tentativo di contattare il misterioso ‘esiliato…Se solo quella donna maledetta gli avesse detto chi contattare! Come si poteva trovare qualcuno in un luogo dove non c’era un ‘dove’?!

Ma lui era Diablo.

Sarebbe riuscito!

La Stele brillò più intensamente. Le rune, adesso, stavano muovendosi.

SI’! Diablo avrebbe esultato, se non avesse avuto paura di perdere la concentrazione ed essere esiliato egli stesso.

A questo punto, la Stele avrebbe funto da faro. Se l’’esiliato’ sapeva di dovere essere contattato, e sapeva quale era la fonte, sarebbe venuto….

…da…

…solo?

Diablo guardò l’aria davanti a sé tremare come l’acqua disturbata di uno stagno. Una luce si manifestò al centro della manifestazione.

Una luce che crebbe.

Che assunse una forma.

Umana? No, la testa….aveva qualcosa di…

sbagliato?

Diablo non disse nulla, ma una vita spesa a contatto con entità soprannaturali gli aveva sviluppato una specie di sesto senso.

E l’alchimista sentiva che il nuovo arrivato non era l’esiliato.

Una miriade di fuochi fatui contornava la sua persona. I suoi abiti, incluso il suo mantello nero, erano laceri, su un corpo magro, come fosse lo spettro di uno spaventapasseri. Come il Seminatore di Morte, indossava un completo con tanto di panciotto, ma gli stivali erano a larghe falde. L’intero abito appariva di uno stile che sarebbe andato bene nel ‘900…

Ma quello che veramente attirava l’attenzione era la testa.

Una zucca. Una zucca con inciso un ghigno orrendo e occhi fiammeggianti.

“Davvero, ometto…Sembra che zio Jack sia in debito con te!” disse, con una voce stridula, stridula ed echeggiante di altri toni, come se più di una persona stesse parlando allo stesso momento.

Diablo continuò a cantilenare. L’esiliato doveva essere vicino a…

L’essere sollevò una mano.

Un lampo di energia distrusse la Stele!

“Mi devi scusare, ometto, ma Jack Lanterna non desidera proprio lasciare la porta aperta. E se proprio bisogna portare le cose fino in fondo…AARRGGH!”

Nel momento in cui Jack Lanterna aveva distrutto la Stele, Diablo era saltato via. Una mano inguantata andò ad afferrare una provetta nascosta e a lanciarla sull’intruso.

Jack fu investito da una letale pioggia di vento ed aghi incandescenti! Tale era la forza del vento mistico, che Jack andò a sbattere contro la parete.

L’essere, ancora in piedi, si massaggiò la zucca. “tsk Cerca di essere educato con qualcuno, e vedi come ti trattano…VIA, insetto!” Questa volta, usò tutte e due le mani.

Diablo era pronto anche per quello. Avrà perso anche molte battaglie, ma ne aveva ricavato qualcosa di infinitamente prezioso: esperienza! Per lui, i movimenti di Jack Lanterna erano avvolti nella melassa. Il primo colpo mistico si infranse su una barriera di cristallo. Il secondo…

Il secondo trasformò il pavimento sotto Diablo in un groviglio di tentacoli! In un attimo, l’alchimista fu intrappolato in un bozzolo, senza scampo.

“Prestazione passabile, alchimista,” disse Jack, spolverandosi gli abiti. “Non te la prendere, comunque. Se ci rivedessimo all’inferno, ti darò la rivinc…Eh? hunng!”

Fu di colpo scaraventato a terra da una ringhiante pantera nera che gli atterrò dritta sulla schiena!

Il felino andò con le zanne per la gola del nemico…ma fu scalzato via da un pugno di energia!

Jack saltò in piedi. “Mi ricordi un altro pelosone che mi diede parecchi guai, lo sai?”

La pantera non perse tempo. Fu all’attacco nello stesso tempo in cui Jack si era messo in piedi.

Jack levò una mano per colpire.

Inaspettatamente veloce per un animale così robusto, la pantera gliela tranciò di netto, con un morso solo!

Jack urlò orrendamente di mille voci. Non sangue, ma energie mistiche scaturirono dal mozzicone. Gli stessi ‘lineamenti’ della sua testa-zucca cambiavano in sintonia con le sue emozioni. “Dannata…bestiaccia!” Poi, i lineamenti si contrassero in una smorfia che avrebbe potuto fare a pezzi la zucca. “Ti ammazzerò così lentamente che…” fino a quel momento, Jack non si era accorto della mano dietro di lui –una mano artigliata, coperta di una pelliccia arancione.

Se ne accorse solo quando cinque artigli scavarono un solco nella sua schiena, liberando altro ‘sangue’ mistico! urlando, Jack cadde in ginocchio.

“Non me lo dite…la cavalleria?” chiese, ansando. Poi, realizzò! “Oh, no.”

L’esiliato era arrivato! Un essere umanoide, con indosso una armatura di cuoio che riusciva a fare risaltare il corpo robusto coperto di pelliccia arancione.

La testa era quella di un felino, ed era contratta in una espressione predatrice. La lunga coda sferzava come una frusta.

“Oh, sì,” disse una voce dietro all’uomo-gatto.

“Temevo che avresti barato,” disse Jack.

Diablo, la stele ancora integra fra le mani, sorrise. “Ho imparato a creare omuncoli da molto prima che tu nascessi, dilettante. Ottimi diversivi, non credi?”

Il trio circondava Jack senza lasciargli spazio di manovra.

Jack non provò neppure ad alzarsi in piedi. “Bah! Ero solo un po’ arrugginito, vecchio. Ti concederò la rivincita sui fumetti!” E, detto ciò, sparì in un lampo smeraldino! Un attimo dopo, di lui era rimasta una macchia fumante sul pavimento.

La pantera nera si mise seduta. La sua figura tremolò, e poco dopo, al suo posto, in costume adamitico, c’era Hector!

Diablo inarcò le sopracciglia. “Uno sviluppo davvero inaspettato! Si può sa*”

Hector lo superò come se non ci fosse. Disse solo, “Lady Sterling ha ordinato che, una volta evocato l’esiliato, vi dobbiate trovare alle nuove coordinate indicate. Senza indugio. E siete già in ritardo.”

Diablo guardò l’altro felino, che lo torreggiava per un buon metro –avrebbe potuto passare, infatti, per il fratello maggiore del misterioso Hector. Il felino lo ricambiò con una espressione che ricordava moltissimo quella del micio prima del topo!

Diablo sospirò in modo molto poco professionale. Obbedire agli ordini…Che quella muhera dannata si affrettasse a spiegargli qualcosa, oppure..!

In quel mentre, si spensero le luci. L’etere fu scosso da lampi e tuoni potenti come bombe!

 

 

L’Istituto Ravencroft è la struttura più discussa del mondo politico e dall’uomo della strada. Per l’uomo della strada, la distruzione del cosiddetto istituto di massima sicurezza per supercriminali, la Volta, era la prova che l’unico supercriminale buono fosse quello morto. Il governo stava incontrando non poche difficoltà per la gestione del problema –come poteva la costituzione trattare un super-essere, foss’anche un uomo comune dotato di armi sensazionali, alla stregua di un criminale da strada? E quei semplici ‘sgherri’ il cui operato spalleggiava piani di distruzione di massa o peggio, come nel recente caso della Guerra dei Mondi, di genocidio?

Con un atto di coraggio non da poco, la Volta era stata ricostruita, anche se nel frattempo i suoi ospiti erano stati dispersi presso i più classici istituti di correzione, attrezzati per l’occorrenza. Il problema, però, restava: Anche un supercriminale avrebbe avuto il diritto alla reintegrazione nella società, solo a patto di renderlo innocuo.

L’Istituto Ravencroft esisteva a tale scopo.

Con pochi successi e molti fallimenti alle sue spalle, il Ravencroft cerca di recuperare la psiche malata dei supercriminali. I fallimenti erano dovuti al tentativo, nobile, ma non sufficientemente supportato, di curare schegge impazzite come Carnage, che si trovavano al di là del bene e del male.

Dopo la distruzione dell’Istituto, una serie di finanziatori privati ne aveva rivisto le possibilità, e la fenice era rinata dalle ceneri. Vero, questa volta il Ravencroft assomigliava più a una fortezza, in conformità ai suoi speciali ospiti, ma la popolazione civile era soddisfatta di non doversi preoccupare di facili evasioni.

Quello che ai politici piaceva un po’ meno, ma che i mass-media adoravano, date le inevitabili occasionali alte tirature sull’argomento, era la nomina a Direttore della controversa figura di Ashley Kafka.

Tuttavia, i privati non avevano dubbi. I successi della donna, come per il difficile paziente Vermin, testimoniavano una personalità agguerrita e competente.

Non avevano torto.

 

Anche se, ora come ora, un certo ‘aracnide’ di nostra conoscenza un po’ di dubbio l’aveva.

“Um, Doc? Siamo sicuri che…voglio dire, non sono sicuro di avere fatto il richiamo per l’antirabbica.”

L’Uomo Ragno era teso, pronto al combattimento, al centro di una stanza solidamente imbottita.

Davanti a lui stava un uomo, con indosso solo un paio di shorts. L’uomo appariva giovane, appena sopra i 30, con una folta chioma di capelli castani. Aveva un fisico allenato, scattante, ma decisamente non appariva come una minaccia per un supereroe che aveva dato i punti a Firelord.

 

L’intera scena era accuratamente sorvegliata attraverso una serie di telecamere, che coprivano ogni angolo. Gli schermi occupavano una intera parete della sala di controllo.

Una tazza di caffè fumante in grembo, Ashley Kafka sedeva al centro della stanza, circondata da un gruppo di tecnici ognuno immerso nel proprio compito.

L’unico altro occupante della stanza, apparentemente intento a non fare altro che guardare, era una figura solenne che non necessitava di presentazioni: Capitan America.

 

“Mi dispiace di averti convocato con così poco preavviso,” giunse la voce di lei attraverso l’altoparlante, “ma ci sono molte cose che bisogna discutere, in merito al nostro comune amico. E quello che state per affrontare non è che un test per verificare le dichiarate capacità di autocontrollo di John.”

“Cercherò di non farti troppo male, Ragno,” disse John Jameson, mettendosi in posa  a sua volta. “Come ai vecchi tempi.”

“Già,” disse l’arrampicamuri, “è proprio questo, che mi preoccupa.”

John si concentrò. Saltò verso l’Uomo Ragno.

Il supereroe se lo aspettava, naturalmente, ma vederlo gli dava sempre un brivido. Vide saltare un uomo, e si trovò addosso

Man-Wolf!

Il Ragno afferrò un polso coperto di pelliccia bianca come la neve della creatura lupina,

e lo scaraventò dall’altra parte della stanza.

Un tempo, disorientato, l’uomo-lupo avrebbe finito con lo sbattere disordinatamente. Invece, con una inedita precisione, Man-Wolf roteò su se stesso, e atterrò sulla parete con i piedi. Usò la restante energia cinetica per saltare contro il suo avversario!

Un pugno raggiunse il Ragno alla mascella. Lui andò a terra, più per la sorpresa che per il dolore.

Man-Wolf atterrò, e subito si esibì in un salto di tale potenza, che arrivò fino al soffitto! Da lì. non si diresse subito a terra, ma fece una serie di salti che lo portarono da una parete all’altra, come una biglia impazzita.

L’Uomo Ragno dovette affidarsi al suo senso di ragno –non c’era dubbio, John era in pieno controllo delle sue facoltà! Il suo muso non era più contratto in una perenne smorfia omicida, e si affidava a tattiche a cui prima non avrebbe mai pensato. E la nuova coda che aveva sviluppato lo aiutava a bilanciarsi in quelle contorsioni eclettiche.

In quel momento, Man-Wolf passò all’attacco! Roteando su se stesso, andò ad usare il piede artigliato come un maglio.

Non senza sforzo, l’Uomo Ragno afferrò l’arto al volo.

Man-Wolf lo colpì alla testa con l’altro piede!

E mentre l’Uomo Ragno cercava di rischiararsi dal disorientamento, Man-Wolf si piegò in avanti,

afferrò l’eroe per le spalle,

e lasciandosi ricadere a terra, lo scaraventò verso la parete!

Naturalmente, l’Uomo ragno non poté fare altro che emettere un suono strozzato, quando rovinò a terra.

 

“Penso che basti così, signori. Grazie per la collaborazione, Uomo Ragno.”

L’Uomo Ragno, ancora in ginocchio, si massaggiò il collo. “Uhnn, un'altra ‘collaborazione’ così, e finirà che dovranno spazzolarmi via da terra. Mi dia retta, doc: meno spinaci per Fido.”

Una mano pelosa lo aiutò a tirarsi su. “Esagerato,” disse Man-Wolf, la voce profonda, roca, ma ben comprensibile –e mai udita prima dall’uomo lupo. “Ricordo di avertele suonate anche più forte.”

 

 

Pochi minuti dopo, i quattro erano radunati nello studio della dottoressa Kafka.

John, con indosso una tuta da inserviente dell’istituto, sedeva su una poltrona. Cap e l’Uomo ragno stavano in piedi. Da dietro la scrivania, Kafka cercava di essere impassibile, ma gli occhi erano raggianti. Si rigirava una penna fra le mani. “In un certo senso, è stata colpa nostra. Continuavamo a concentrarci sui una parte del problema, avendo sempre avuto il quadro sotto gli occhi.”

Cap stava studiando un rapporto firmato da Curtis Connors e controfirmato da Reed Richards e dal Professor Charles Xavier.

John scosse la testa. “La colpa è solo di mio padre, dottoressa…Ashley. Non ha mai voluto ammettere che fossi un mutante, neanche con se stesso. La Godstone che trovai sulla Luna non mi avrebbe trasformato in Man-Wolf, se non avesse avuto qualcosa su cui attecchire.

“E io non sarei stato un folle selvaggio fin dal principio, se avessi imparato ad accettare che in realtà odiavo mio padre, e odiavo la vita che lui aveva scelto per me…Ma meglio tardi che mai, immagino.”

“Godstone..?” fece il Ragno.

Cap estrasse una scatolina da sotto lo scudo fissato alla schiena, e la aprì, rivelandone il contenuto.

Una gemma cristallina, una perfetta perla non più grande di una falange, brillante di una spontanea luce scarlatta, sanguigna.

John annuì, mentre Cap posava l’oggetto sulla scrivania. “Grazie alle cure di Ashley ho recuperato ogni memoria del mio stato come Man-Wolf, e qualcos’altro.

“La Godstone era appartenuta per secoli a un altro guerriero-licantropo, chiamato per i suoi poteri Stargod. Il primo Stargod è stato il difensore di un mondo posto nel Microverso, un mondo chiamato Altro Regno. A quanto pare, però, la gemma non garantisce l’immortalità, e Stargod, ormai vecchio, aprì un varco dimensionale e se ne andò sulla Luna, lasciando la gemma in attesa che la persona giusta la trovasse, perché il titolo fosse perpetuato.

“Temo però che lo Stargod avesse dimenticato che chiunque fosse privo della gemma non fosse anche in grado di resistere ai rigori dello spazio esterno. Quando io trovai la gemma, ne avvertii, lo so adesso, il richiamo, ed è per questo che non la denunciai all’ufficio di analisi e quarantena della NASA.

“Tempo dopo, durante una missione per conto del governo, fui rapito da un quartetto di persone venute da Altro Regno, e mi ritrovai a pilotare una navetta verso la Luna. In tale occasione, trasformatomi nuovamente in Man-Wolf, avvertii il richiamo di Altro Regno, e passai il varco.

“Su Altro Regno, mi imbarcai in una avventura contro tale Arisen Tyrk, che da tempo teneva quel mondo sotto scacco…Ma, spaventato dalle responsabilità del mio titolo, preferii tornare sulla Terra. Da allora, solo un’altra volta ebbi modo di tornare su Altro Regno, e fu subito dopo il mio ennesimo combattimento contro di  te, Uomo Ragno, quando fui costretto alla trasformazione da Spencer Smythe. L’isotopo radioattivo messo nel mio sangue da quel pazzo avrebbe dovuto uccidermi, e invece la gemma mi trasportò al sicuro…E, ancora una volta, preferii piangermi addosso piuttosto che accettare una così nobile responsabilità.”

Seguì un intervallo di silenzio, rotto solo dal frusciare di passi, e poi dalla voce di Cap.

“Dunque, hai finalmente raggiunto una decisione definitiva,” disse il Vendicatore a stelle e strisce, spostando solo lo sguardo da John a Kafka, che annuì impercettibilmente. Cap sospirò. “Non per mancanza di fiducia in te, John, ma ho visto così tanti amici corrotti da un potere così vasto, tutti partiti dal gradino più nobile di un ideale…E l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, adesso che stiamo ancora ricostruendo le città dai danni dell’attacco alieno, è…”

John lo interruppe con un cenno della mano. “Cap, dati i miei precedenti, trovo già fantastico che qualcuno mi sia stato vicino come voi. Se lo desideri, puoi prendere una intera squadra di Vendicatori e venire su Altro Regno, ma…”

Cap scosse la testa. “Il rapporto di She-Hulk parla da solo. Lei ti incontrò durante questa tua seconda..impresa. In tale occasione riuscisti a prevenire il collasso del Microverso usando la gemma per manipolare la gravità a livelli che neppure Graviton o la Fenice hanno manifestato. Non posso dire che un simile potere per un solo uomo non mi preoccupi, ma…Ti conosco da molto tempo, e,” guardò l’Uomo Ragno e Kafka, “hai amici ai quali affiderei la mia vita a garantire per le tue intenzioni.”

Cap prese la scatola, e la porse all’ex-astronauta ed ex-membro dell’equipaggio di servizio dei Vendicatori. “Sono fiero di te, John. Ti auguro buona fortuna.”

John prese la gemma. Per la prima volta in vita sua, poteva toccarla senza essere travolto dal terrore –di più, si accorse che gli era mancata!

Lambert, Duna, Gorjoon, Garth…I quattro guerrieri, i suoi primi amici e seguaci. Per lui, avrebbero dato la vita. Per loro, per la sua gente, lui avrebbe assunto il manto assegnatogli dal caso da più di mille anni!

L’uomo si portò la gemma alla gola. Non gli diede sensazioni brucianti, ma un senso di tepore, come l’abbraccio di un vecchio amico…

La trasformazione fu istantanea. Ora, Man-Wolf indossava la sua familiare armatura smeraldina di maglia, che gli lasciava scoperte braccia e gambe. Gli avambracci erano coperti da nuovi, lunghi bracciali dorati, dotati di una lama dorsale, e sui cui lati esterni erano magistralmente incisi lupi in atteggiamento furtivo. Ai piedi, portava i tradizionali stivali a falda larga, con la punta scoperta per lasciare manovra agli artigli.

Stargod appariva ancora più imponente, e regale, grazie anche alla folta coda, alle armi fissate all’armatura e a un collare all’altezza della Godstone.

“Più che un cavallo, ti farei montare un drago,” disse l’Uomo Ragno, e gli diede una pacca sulle spalle. “Adesso, i tuoi peggiori nemici saranno i cacciatori di pellicce.”

Stargod esibì un ghigno pieno di zanne. “Sei solo invidioso…uh?”

La luce si era spenta di colpo. I quattro voltarono la testa all’unisono, verso la finestra panoramica.

Scenario peggiore.

Tutte le luci spente.

“Se c’è un’altra evasione di massa…” fece l’Uomo Ragno, ben ricordando quello che successe quando la Volta fu distrutta.

Ashley lo interruppe. “Se anche il sistema di backup non entrasse in funzione, come sembra in questo caso, le camere dei pazienti vengono inondate da sedativo automaticamente. E comunque, le guardie sono state attrezzate con sistemi sviluppati dallo SHIELD a fronte di un tentativo di evasione…Spero solo che i pazienti vogliano collaborare…JOHN!”

L’uomo lupo era a terra, su un ginocchio, il muso contratto in un’espressione di dolore. Si massaggiava ripetutamente la tempia. “Sto…bene, Ashley,” disse alla donna, che si era chinata su di lui. “Un contatto…telepatico. Avverto il suo panico come un’ondata, non ci ero abituato.”

Non fecero in tempo a chiedergli di cosa stesse parlando, che la stanza fu scossa dal suono di una esplosione terrificante! Allo stesso tempo, il cielo fu illuminato a giorno.

L’Uomo Ragno stesso si irrigidì improvvisamente, guardandosi intorno istintivamente. “Gente, qualunque cosa sia, il mio senso di ragno è schizzato a mille!”

Subito dopo, Cap ricevette una chiamata sul suo olocomm. “Cap. Passo.”

Dall’unità al polso, emerse un ologramma –l’immagine di una Scarlet Witch molto preoccupata. “Cap! Sono su un Quinjet, sto dirigendomi alla centrale di Haven! Qualcosa in città sta letteralmente assorbendo ogni erg di energia elettrica da ogni fonte possibile. Il direttore dice di non potere arrestare il processo di assorbimento, o rischia un incidente atomico. Gli altri Vendicatori sono dislocati per tutta la città a contenere i disordini causati dal panico. Tu sei il più vicino alla fonte del problema!”

“Non dire altro, Wanda.” Cap Chiuse la comunicazione e schizzò via dalla stanza, seguito a ruota dall’Uomo Ragno e Stargod.

“John…” fece Kafka, ricevendo una carezza mentale dal dio teriomorfo.

<Non ti preoccupare, Ashley: sono un lupetto cresciuto. E, grazie ancora per tutto quanto. Ti voglio bene.>

 

 

Pochi minuti dopo, il Quinjet era in volo verso le coordinate trasmesse da Wanda via computer.

Tutto intorno al veicolo, i fulmini danzavano e scuotevano l’aria. Non c’era vento o pioggia, ma solo un mostruoso scambio di energia. Lo stesso scambio che attraversava gli edifici, facendo saltare finestre, trasformando ogni struttura metallica in un reticolo ad alta tensione.

E tutta quell’energia si dirigeva verso un punto preciso, nel mezzo della 5th Avenue, dove si era sviluppata una abbagliante bolla di energia elettrica.

 

 

Cap, ai comandi, disse “Pensi di potere gestire il problema, John? I rinforzi…”

“Cap, lo hai ammesso tu stesso: ho prevenuto il collasso di un universo. Penso di potere cavarmela discretamente, di fronte a una minaccia non cosmica.”

 

“Buon per te…Cap, si riesce a vedere come mai la bolla si stia muovendo?”

Un rapido danzar delle dita sulla consolle, e apparve una immagine stilizzata della bolla, accompagnata da una cascata di dati…

E, soprattutto, l’immagine stilizzata di un umanoide nel mezzo della bolla!

L’Uomo Ragno trasecolò sotto la maschera. “Ho come l’impressione di sapere chi sia il responsabile di questo casino…Ma non ricordo che fosse mai arrivato a tanto.”

 

 

E l’Uomo Ragno avrebbe facilmente vinto quella scommessa.

Al centro della bolla, in preda a un dolore lancinante come mai lo aveva provato,

stava Electro.

Il suo corpo stava subendo alterazioni mostruose –i muscoli improvvisamente ipertrofici guizzavano impazziti, gli occhi erano scomparsi in un bagliore elettrico ininterrotto, del costume erano rimasti pochi brandelli.

Lui stesso era preda a una confusione uguale alla propria agonia. Ricordava solo di trovarsi vicino ai suoi complici dei Sinistri Sei, impegnati in qualche discussione…e di colpo aveva sentito la fame! Quella stessa improvvisa fame di energia che lo aveva spinto sull’orlo del baratro, uscendone, per somma ironia, proprio grazie all’Uomo Ragno! Come in uno stato di trance se ne era andato di gran carriera, a una velocità insospettata, incapace di controllare il proprio corpo.

E adesso, la fame aveva preso il sopravvento! “Bas…ta…Per f-f-f…avore…no-n-n….gghh! TUTTOQUESTOPOTERENONPOSSOOOH!!”

Poi, improvvisamente, il ghigno di dolore divenne una smorfia di ira pura…Ed Electro rispose a se stesso, in una voce che nessuna gola umana avrebbe potuto produrre!

“Fai silenzio, insignificante umano! Non ho più alcun interesse a restare confinato nel tuo patetico guscio! Ho una missione, da compiere!”

Electro urlò, e la sua voce si perse nella tempesta di elettroni.

 

 

“John..?”

Stargod scosse la testa, pensoso. “Il panico viene da Electro…ma c’è un’altra mente, dentro di lui. E i suoi pensieri…Ragno, chiunque lo stia possedendo, non è umano! Cosa sai, di lui?”

La scena all’esterno era inguardabile, tale era il bagliore della bolla. Solo gli scansori potevano interpretare qualcosa. Esaminandoli attentamente, l’Uomo Ragno disse, “Maxwell Dillon era un operaio elettricista. Acquisì i suoi poteri quando un fulmine lo colpì mentre lavorava a una linea elettrica. Sopravvisse, e puf, ecco Electro. E ti posso giurare una cosa, lupetto: non è mai stato così…Lupetto?”

Ma Stargod non lo stava ascoltando. Le sue orecchie fliccavano istintivamente in tutte le direzioni, come fossero in ascolto di una voce udibile solo a lui. La sua coda scuoteva.

La voce era nella sua mente, e veniva da Electro! <Stargod, mio Signore! Sono così felice che tu sia qui: non possiamo perdere tempo, Altro Regno è in gravissimo pericolo!>

<Tu chi sei?> chiese l’uomo lupo, istintivamente.

In risposta, ebbe un guazzabuglio indecifrabile. <Salvatore, Ti prego, aspetta questo tuo umile servitore! Una volta liberatomi da questo guscio, sarò al tuo fianco in questa difficile impresa.>

La voce mentale tacque, e in quel medesimo istante, il lettore biometrico del Quinjet sembrò impazzire!

“Gesù,” fece Cap.

“Niente da ridire,” disse l’Uomo Ragno.

Fuori, la bolla di energia si stava sollevando,

portandosi al di sopra dello Skyline deturpato dall’invasione aliena.

Sullo schermo del lettore biometrico, Max Dillon era un puntino, dal quale stava emergendo una forma, ancora indistinta, ma così grande da andare fuori scala.

 

I fulmini danzavano intorno alla bolla, ma l’assorbimento era cessato. Il piccolo sole elettrico stava perdendo la sua forma originale,

estendendosi per la lunghezza, la larghezza,

in forme sempre più definite…

 

“Uh, John..?” fece il Ragno “Ti ricordi della mia osservazione sul drago, vero? Stavoscherzandologiuro.”

 

La bolla era scomparsa. I suoi residui correvano lungo il maestoso corpo blu,

dalla testa crestata

lungo le ali

fino alla coda,

di un gigantesco drago!

La creatura emise un ruggito di trionfo!

 

Episodio 2 - Primi incontri in Altro Regno

 

New York City Memorial Hospital.

 

Giornata di ordinaria follia.

I limiti fisici di ogni singolo membro dello staff medico, dal direttore allo spazzino, sono stati messi alle più dure prove. La Guerra dei Mondi, il tentativo di invasione marziana della Terra, aveva aggiunto nuovi fardelli a un già quasi insopportabile carico di lavoro.

L’ultima cosa di cui gli esausti medici ed infermieri avevano bisogno era una nuova minaccia alla città.

 

Le lampade nell’atrio iniziarono a tremare, in un timido tentativo di riaccendersi.

E fu la luce. E con essa, ricominciarono a squillare telefoni, a ronzare computer. Gli impianti dell’aria condizionata ricominciarono a filtrare l’aria insopportabilmente stantia. I campanelli delle chiamate dalle stanze sembravano impazziti. Ordini venivano dati con militare precisione, urlati in una gara di priorità. E, miracolosamente, il personale rispondeva con fluidità.

Ne sarebbero usciti.

 

Alla cacofonia generale, si aggiungevano, a intervalli regolari, i rumori del traffico esterno ogni qualvolta venivano spalancate le porte per fare entrare una barella. Solo in tali occasioni, si formava un corridoio di ordine nel caos generale.

Jane Foster fu sorpresa nell’atto di lavarsi le mani in sala di emergenza. Il resto del personale stava assistendo un’altra vittima in un’altra stanza. Trattenne un sospiro: avrebbe volentieri rubato una dose di anfetamine, se fosse servito a farla arrivare a sera tutta d’un pezzo –poi si scoprì a vergognarsi di tale pensiero. Dio solo sapeva che cosa stavano passando i colleghi là fuori, a cercare i pezzi che l’ospedale doveva rimettere insieme.

Tutto questo le passò per la mente in un lampo, mentre i paramedici facevano entrare il paziente.

La Foster quasi cacciò un urlo. Quasi, diede l’ordine di portare quella…cosa nella morgue!

Quella forma, che di umano aveva solo i contorni, era letteralmente coperta di ustioni di terzo grado! Jane aveva visto foto di cadaveri meno orrendi sui libri di testo, e riconosceva i segni dell’esposizione a una mostruosa quantità di corrente elettrica. E le fratture, come se lo avesse investito un camion…Gesù, come poteva essere ancora vivo?!

La dottoressa ed i paramedici si scambiarono un’occhiata desolata. Il meglio che potessero fare, adesso, era ridurre l’agonia del moribondo.

Un paramedico stava snocciolando dati… “Ripeti un attimo il nome?” chiese Foster, intenta sulle bende. Quando avrebbe finito, non lo si sarebbe scambiato da una mummia.

“Maxwell Dillon,” disse il paramedico, “aka Electro. E’ il responsabile del black-out. Ha letteralmente assorbito tutta l’energia della città. Ero lì, doc. Avresti dovuto vederlo: brillava come una fottuta stella! E poi…”

“E poi..?” fece Jane, continuando ad avvolgere. L’ortopedia avrebbe avuto il suo daffare: di gessi umidi non se ne sarebbe dovuto parlare, non con tutta la corrente che ancora doveva stare passando in quel corpo devastato.

Il paramedico esitava, come se non ancora si fidasse delle sue memorie… “E poi…lui si è messo a fluttuare, e…dal suo corpo…è emerso questo…”

Non terminò la frase. Si udì un verso come un ruggito, e i vetri e le pareti furono percosse da un fremito.

Jane lanciò una brevissima, implorante occhiata al paramedico. “Non aggiungere altro, ti prego.”

 

 

VALERIO presenta

KNIGHTS TEAM 7

Episodio 2 – Primi incontri in Altro Regno

 

 

Ci sono più cose in cielo e in terra…

Ben qualcosa ne sapevano, i tre occupanti del Quinjet:

- Capitan America, leader dei potenti Vendicatori, in quel momento impegnato alla barra comandi, un’espressione cupa in volto. “Spero solo che tu sappia quello che stai facendo, John. Se la situazione degenerasse, restare senza un appoggio…

- L’Uomo Ragno, la maschera indecifrabile, intento a guardare su uno schermo, quasi dimenticandosi di respirare. “Credimi, Cap. Se John dice che quell’affare è amichevole, gli credo. Anche perché non vorrei davvero averlo per nemico.”

- E il loro ospite, una vecchia conoscenza del famoso arrampicamuri e amico di Cap: John Jameson, nella sua forma di Man-Wolf.

Il licantropo dalla bianca pelliccia, rivestito da un’armatura oro e smeraldo, fece un cenno di assenso con un vibrare delle orecchie. Il corpo ferino rispondeva con una naturalezza sorprendente alle sue emozioni, traducendole in gesti lupini. Parlò con voce profonda, “I suoi pensieri sono di gioia. E’ felice, ed è deciso a parlare con me di qualcosa di estremamente importante. Ed è disposto a farlo in una località isolata.”

Cap non disse nulla, ma continuò a spingere sulla cloche. Non aggiunse che l’apparecchio procedeva alla massima velocità, e quell’essere stava loro dietro senza alcuna fatica!

 

L’oggetto delle loro preoccupazioni era una vista non spesso vista nel mondo moderno.

Un drago: un esemplare gigantesco, lungo 25 metri dalla testa alla coda, una guizzante massa di carne e muscoli con un’apertura alare –arti supplementari che partivano dalla schiena- da rivaleggiare con un Jumbo Jet. Il suo corpo era coperto di scaglie blu elettrico. Due lunghe corna bianche come marmo si stendevano all’indietro dal cranio. I suoi occhi erano color dell’oro, fulgidi di luce propria.

Il muso del drago si aprì, e un altro, poderoso richiamo scosse l’etere!

 

L’intero quinjet fu scosso come da un colpo di maglio colossale! Il quadro comandi ebbe un altro sussulto.

“Riesci almeno ad avvisarlo di smettere di fare così?!” fece Cap, bruscamente. “Un altro verso del genere, e ci fa a pezzi!”

Man-Wolf –cioè, Stargod, ora che aveva deciso di accettare una volta per tutte il ruolo che anni prima il destino gli aveva assegnato, annuì, e si concentrò, e trasmise il messaggio. Come Stargod, aveva già usato la telepatia per comunicare, istintivamente credendosi incapacitato ad esprimersi nella sua forma ferina.

Il drago rispose con un curioso senso di mortificazione, difficile ad immaginarsi in una creatura di quella stazza e fierezza. <Ti chiedo scusa, mio signore. Tendo a dimenticarmi della fragilità degli umani e dei loro costrutti…Manca ancora molto? Ho le ali quasi atrofizzate, a furia di stare chiuso in quel deperibile guscio umano…>

L’uomo-lupo  appiattì le orecchie e serrò i denti –la telepatia con quel drago era come andare sulle montagne russe!

“Ci siamo,” disse Capitan America, puntando l’apparecchio in basso, verso un cantiere devastato dall’attacco marziano.

Il quinjet atterrò per primo, seguito dal drago, che, nonostante la sorprendente grazia in un corpo di quelle dimensioni, generò abbastanza corrente da sbilanciare l’apparecchio sui suoi supporti.

Un attimo dopo, Stargod uscì. Da solo. Telepaticamente, disse ai suoi amici, <E’ meglio così, capitemi: non coinvolgerò nessun altro nei miei problemi.>

Il drago stava seduto sulle potenti zampe posteriori, le ali ripiegate. Alla vista di Stargod, spalancò le ali, delicatamente, come fossero vele, e si mise a quattro zampe, chinando il lungo collo in avanti. “Ave, Stargod,” disse con voce tanto solenne quanto poderosa, “Salvatore e Protettore del Mondo. Sono felice di averTi ritrovato, alla fine.

“Uhm…” il licantropo si era già visto oggetto di devozione, nella sua prima visita ad Altro Regno, e ancora gli sembrava così…improprio…

Istintivamente, Stargod poggiò una mano sul muso rettiliano. Sorprendentemente, le scaglie erano morbide e calde, al tocco, ma era sicuro che sarebbero state a prova di cannone. “Come ti chiami, creatura?”

Il drago brontolò qualcosa, e per poco al dio lupino non sfuggì un ringhio oltraggiato. Le sue triangolari orecchie colsero l’Uomo Ragno borbottare, “Ma che maniere!”

Il drago tirò su il collo, immagine rettiliana della sorpresa. “Ho detto qualcosa che non va, Mio Signore?

“Vuoi dire che quello è il tuo nome?!”

Il drago gonfiò il petto orgogliosamente. “Significa ‘Danzatore del Fulmine’, ed è, oserei dire, meritato.

Stargod scosse le orecchie. “Se non ti dispiace, ti chiamerò Max…E’ il diminutivo del nome del…’guscio’ che occupavi.”

Ci fu uno sbarrare di occhi d’oro, uno scuotere di testa, e ‘Max’ disse solo “Non contesto la saggezza della tua decisione…Un semplice mortale non saprebbe, comunque, pronunciare il nome di un drago.

“Um, Max, esattamente, perché decidesti di entrare nel corpo di un essere umano?”

Il drago si sdraiò a terra, e si mise arrotolato come un cane, la testa sollevata. “Be’ mi sembrava il modo migliore per passare inosservato: ho visto che in questo mondo, non ce ne sono molti, della mia specie…Sono quasi tutti –ick- umani.

Solo, era la mia prima volta, e…be’, non avevo immaginato che in quella forma non sarei riuscito a trovarti subito. Il viaggio fra i due mondi mi aveva stancato, ero senza forze, e quel matto di un –ick- umano continuava ad usarmi come se fossi stato il suo genietto servitore. E’ già stato molto riuscire a spingerlo a darmi un po’ di nutrimento quelle due o tre volte…Anzi, devo proprio ringraziarti, ‘arrampicamuri’,” aggiunse, rivolgendosi all’Uomo Ragno. “Quando lo hai privato di conoscenza, l’ultima volta, è stato sufficiente a indebolirlo.” Max si leccò le labbra con una lingua biforcuta che non avrebbe sfigurato come cavo dell’alta tensione. “Devo dire che le vostre città sono una vera manna. Non mangiavo così bene da 50 dei vostri anni.

Stargod decise di riportare il discorso sui binari originali. “Avevi parlato di un pericolo per Altro Regno, Max. Di cosa si tratta?”

Fu come avere acceso un interruttore. Il drago assunse una espressione preoccupata, e facendo saettare la testa in avanti –e quasi buttando a terra Stargod- disse, “Arisen Tyrk è tornato, Salvatore! Ha fatto il suo nido su una delle montagne volanti, il profanatore! Ha già sottomesso molte popolazioni, e noi draghi, per quanto detesti dirlo, non siamo fuori pericolo: se non intervieni, potrebbe…

Mentre il drago parlava, Stargod faceva calcoli mentali…e non poté non interrompere il racconto sfoderando un ghigno lupesco…Che divenne, inevitabilmente, una omerica risata!

Il drago era esterrefatto! Emise un sibilo che avrebbe dato gonfie vele alla Amerigo Vespucci, e ,disse “Non mi sembra motivo di ilarità, Salvatore! Certo, Tyrk non è lontanamente potente quanto Te, ma…

L’uomo-lupo gli accarezzò il muso a colpetti. Se, in quella forma, avesse avuto condotti lacrimali, avrebbe avuto tutta la pelliccia del muso impiastricciata. “Ti chiedo scusa, Max, ma –snicker- temo che tu sia alquanto in ritardo. Ho già sconfitto Arisen Tyrk. E proprio su Altro Regno, anni fa…in termini umani.”

Il collo del drago assunse una ‘S’ ondeggiante. “Ci è voluto così poco?! –hmpf- Che dittatore da poco conto, nemmeno un secolo di dominio..!” poi, Max si mise di nuovo muso-a-muso con Stargod. “Obbe’…Vuol dire che tornerò a volteggiare con i miei fratelli e sorelle. Mi mancano davvero gli spazi aperti, i cieli tempestosi…

Stargod avvertiva la tristezza del rettile come se l’avesse espressa ad alta voce. Gli carezzò di nuovo il muso, indugiando sul corno frontale. “Se lo desideri, potrai accompagnarmi, invece, alla scoperta del mio ‘regno’. Ho ereditato solo il potere dello Stargod, non la sua conoscenza. Che ne dici?”

In tutta risposta, il drago sorrise –con certe zanne che avrebbe potuto usare per sminuzzare un edificio, tutt’altro che rassicuranti!- e lo ‘pulì’ con un colpo di lingua pieno di gratitudine…e di qualcos’altro. L’uomo-lupo si ritrovò l’armatura lucida a specchio, e la pelliccia grondante. “A proposito delle tue dimensioni, Max…Visto che sei riuscito a stare dentro un essere umano…pensi di poterti, come dire, fare più piccolo?

Max gli lanciò un’occhiataccia. “Mio Signore, con tutto il rispetto, non sono un draghetto domestico! Sono un dragone.

Stargod gli mise un dito artigliato su una narice. “Poche storie, cavalcavento: se vuoi stare con me, lo farai alle mie regole. E io dico che non posso andare in giro per una città con una creatura che…”

Di nuovo, gli occhi di Max si accesero di gioia. Il drago lanciò un verso che, dalla gola di un uccellino, sarebbe stato un cinguettio allegro. Da quel petto poderoso, sembrava un tuono minaccioso. “Vuoi dire che potrò venire con Te ovunque? Ooo, diventerò il più importante fra tutti i miei simili! Grazie, Salvatore! Anche se ho solo 90 anni, ti farò fiero di me!

Stargod si coprì il naso con una mano. Le montagne russe, appunto!

 

 

Finalmente, arrivò il momento dei saluti.

Stargod stava seduto sul drago, all’attacco del collo, reggendosi con una mano alla cresta di morbido pelo argenteo. Con l’altra mano stava stringendo quella di Cap e dell’arrampicamuri, che si stavano sporgendo dal quinjet.

“Non è un addio, amici miei,” disse l’uomo-lupo. “Ma era solo giusto, che finisse così: e sono felice di questa opportunità.”

“Tu ne sarai felice, Fido,” disse l’Uomo Ragno, “ma sarò io che dovrò sopportare tuo padre. Minimo, mi accuserà di averti venduto agli Skrull.”

Cap disse solo, “Sono felice che tu abbia trovato la tua strada, John. So che saprai esserne degno.”

Cap rientrò nell’apparecchio. John vide in lui l’ombra del guerriero così familiare a chi lo avesse conosciuto come loro. Era davvero cambiato, da quando i marziani erano stati sconfitti per mezzo di un ordigno di distruzione di massa –una soluzione che aveva profondamente ferito il Vendicatore a stelle e strisce, contrario all’assassinio per la risoluzione di un conflitto…

Anche l’Uomo Ragno sparì dietro una porta d’acciaio. Il quinjet partì.

La pelliccia arruffata dalle potenti correnti generate dalle ali del drago, Stargod lanciò un’ultima occhiata alla distante città di New York…Chissà se l’avrebbe mai più rivista…

Si concentrò. Lambert gli aveva insegnato come sfruttare la Godstone, che brillava alla sua gola di luce sanguigna, per infrangere la barriera fra le dimensioni. Era, invero, un potere che lo spaventava, versatile ed esteso a livelli sconosciuti…

Istintivamente, l’uomo-lupo chiuse gli occhi.

…Ma John Jameson…

Non vide il deformarsi del tessuto della realtà, il cielo scomparire dietro la terribile distorsione del wormhole.

…non avrebbe ceduto…

Le ali del drago battevano, ma non c’era più aria su cui sostenersi.

…alle proprie paure…

Poi furono fuori! L’aria era fredda, la corrente intensa, e non c’era più la calda luce del Sole a riscaldarli.

…Mai più!

Aprì gli occhi.

L’anima di Stargod fu attraversata da una gioia primordiale, la sensazione di meraviglia e familiarità che accompagna il ritorno a casa. I suoi potenti sensi di lupo si ubriacarono degli odori, dei suoni della giungla sottostante. Il suo manto brillava della stessa intensità delle lune gemelle nel cielo. L’anello di montagne del pianeta formava una striscia di gemme opache fino all’orizzonte.

Gli venne voglia di ululare. Dio, se gli era mancato, quel posto!

Che si fa, adesso, Salvatore?” chiese Max.

Stargod dovette scuotersi. Dopo una vita spesa a prendere ordini -da suo padre, dai militari, dai Vendicatori- era difficile immaginarsi in una posizione in cui fossero gli altri a pendere dalle tue labbra. Come diavolo faceva, Cap, a fare da colonna portante per i Vendicatori, gli rimaneva un mistero!

“Voglio andare in una città, una qualunque. Mi basta che sia grande. Voglio vedere come sarò accolto dalla…” quasi gli si strozzò la parola in gola “dalla mia gente.”

Max emise un ruggito, e partì ad ali spiegate verso l’orizzonte.

 

 

Era incredibile! Sulla Terra, per trovare un simile spazio aperto e coperto di verde, dovevi andare nella Foresta Amazzonica. E ancora il manto verde non voleva diradarsi.

“Max.”

Dimmi, Salvatore.

“Per cominciare, ti prego, chiamami in qualunque altro modo, ma non così. E poi, prima, avevi menzionato dei ‘draghetti domestici’. Come è suddivisa la tua specie?”

Sempre guardando avanti, Max disse, “Noi grandi dragoni siamo la specie naturale, originale. Gli umani ci chiamano in vari modi, ma ‘Furie’ è il più comune…Niente da ridire su ‘Cavalcavento’, però.

Io appartengo alla razza dei Dragoni delle Tempeste. Poi ci sono i Dragoni delle Foreste, quelli dei Mari, dei Vulcani, dei Ghiacci, dei Deserti  e delle Paludi. Qualcuno fra noi parla ogni tanto di una razza di Dragoni delle Stelle, ma nessuno li ha mai visti, non da molte generazioni almeno; e noi viviamo a lungo, il più vecchio fino a trecento anni. A seconda della razza, ognuno di noi è in grado di influenzare gli elementi che lo circondano, fare di magia.

I draghetti sono il più patetico tentativo di addomesticare noi dragoni. Qualche –ick- umano con la testa più marcia degli altri, mille anni fa, rubò un’intera covata, e con qualche trucco magico ha impedito che i pulcini crescessero alle giuste dimensioni…Ahh, hanno fatto cose orrende con loro, Stargod: sono riusciti a farli riprodurre, nonostante la loro immaturità, e adesso c’è un’intera stirpe di quelle mutazioni, usati come bestie domestiche per i capricci di quei bipedi! Sono appena un po’ più intelligenti di un lupo domestico, ed è molto se sanno sputare un po’ di fuoco. –Tss- nessuno sa neppure spiccicare una parola di Comune.

Stargod si accorse, effettivamente, di stare parlando una lingua che Inglese, decisamente, non era. Ma quello avrebbe dovuto aspettarselo; del resto, la sua ‘telepatia’ era scattata automaticamente, la prima volta che era giunto su Altro Regno –la gemma sapeva prendersi cura di lui, evidentemente.

Per curiosità, chiese, “Hai detto ‘lupo domestico’? Non intendevi ‘cane’?”

La parola venne fuori in Inglese, non esistendo un suo equivalente in Comune. Infatti, Max chiese a sua volta, “E cos’è un ‘cane’? Oh, sì: quelle curiose bestie domestiche che gli umani del tuo mondo hanno con sé…No, Stargod. Su Altro Regno, non troverai un solo lupo disposto a farsi ‘selezionare’ (è la parola giusta, vero?) per diventare così.

Stargod non ribatté –per quanto lo riguardava, era possibile che Altro Regno avesse una così bassa percentuale di umanità, che non si era mai reso necessario separare il Canis Lupus in una moltitudine di razze, ognuna per degli scopi specifici, per un ambiente sempre più ostile a un grosso animale selvatico… “Ho notato, piuttosto, che non sembri così sprezzante verso l’idea di lupi domestici.”

Max scrollò le spalle, facendo sobbalzare il suo cavaliere. “Oh, è diverso: loro hanno stretto un patto con gli umani. Ci si aiuta a vicenda, non c’è servilismo…E nessun umano sano di mente oserebbe fare del male ai lupi, visto che sono figli Tuoi.

Per il momento, Stargod preferì tacere. Come quel filosofo greco, sapeva solo di non sapere niente. E ogni risposta aumentava la sua ignoranza.

Max stava proseguendo, “…Naturalmente, Tyrk e i suoi accoliti non erano per niente sani di mente. Non solo cacciavano lupi e dragoni, ma riuscirono, in alcune popolazioni, a trasformarci in simboli del male. Davvero, spero che il tuo ritorno sia servito a qualcosa…Ma perché non eri rimasto qui, se avevi già sconfitto Tyrk?

Stargod chinò la testa, appiattì le orecchie. La coda gli si avvinghiò al fianco. <Avevo paura.

<In tutta la mia vita, non sapevo cosa fosse l’adorazione di intere genti. Quando sconfissi Tyrk, non mi vedevo come un condottiero, addirittura un dio. Credevo di essere una mostruosità, credevo che questa gemma> sfiorò la Godstone con un dito, avvertendone il calore <fosse una maledizione. Credevo di volere vivere una vita ‘normale’ insieme alla donna che credevo di amare. Temevo le responsabilità.

<Erano tutte illusioni, Max. Averlo capito, mi ha aiutato a decidere. Spero che la mia assenza non abbia causato altri danni a chi non lo merita.>

Altra scrollata di spalle. Se Stargod non avesse avuto shorts di metallo, avrebbe finito col cantare in falsetto. “Nahh, gli umani possono essere dei seccatori, ma sono tenaci e adattabili: potrebbero perfino vivere senza alcuna divinità ad aiutarli. Tu non sei importante tanto per le singole genti, Stargod, quanto per l’armonia del mondo intero e la sua salvaguardia. Tanti hanno indossato il tuo manto, ma la tua umiltà è davvero una cosa nuova…Oh, ci siamo. Quella laggiù è Kalgarn

Stargod colse la sua esitazione. “Ci sono problemi?”

Il drago si fermò a mezz’aria. “Non la vedi? Quella grande torre, al centro della città: non l’ho mai vista prima. E’ di uno stile sconosciuto.

Naturalmente! Max doveva possedere una vista talmente acuta da fare invidia a un’aquila. Stargod dovette concentrarsi, assorbire energia dalla Godstone…

La città, adesso, appariva nitida come fosse a un centinaio di metri di distanza. Dava l’impressione di un’oasi nel mezzo del verde sterminato. L’intera struttura era stata ricavata scavando e modellando una piccola collina –un lavoro che, se il livello tecnologico di Altro Regno era tale da non conoscere alcun motore –l’uomo lupo ricordava ancora Lambert chiedere curioso cosa fosse una ‘moto’- doveva avere richiesto intere generazioni.

Stargod vide le case, disposte in isolati a raggiera intorno al ‘mozzo’ che doveva essere il palazzo dell’autorità, un massiccio castello. Intorno al castello, come intorno alle case, sorgeva un fiorente giardino coltivato con geometrica precisione. Sembrava proprio che l’agricoltura fosse una risorsa letteralmente a portata di mano, una sola cosa con l’abitazione.

Ma, proprio accanto al castello centrale, massiccia, enorme, sorgeva una torre –una struttura di lucido metallo, in contrasto con la solida pietra della città. La torre era, indubbiamente, di una fattura aliena ad Altro Regno. Ricordava la forma stilizzata di un albero, terminante in una cupola ogivale incastrata nel ‘tronco’.

Perso nell’analisi di quel colosso, quasi Stargod non si accorse del gigantesco simbolo inciso nel ‘tronco’: una specie di Rosa dei Venti a dodici punte, avvolta da un sole fiammeggiante.

“Ti dice niente, quel simbolo?” chiese Stargod a Max.

Il drago scosse la testa. “Neppure i nostri saggi l’hanno mai menzionato.

La mente di John Jameson era al lavoro, febbrile, nell’elaborazione di un piano di avvicinamento. Qualunque cosa potesse stare succedendo, non era il caso di… “Yip!

Anche Max non fu meno sorpreso.

Davanti a loro, improvvisamente, si era materializzata una proiezione astrale!

Era la testa di un rettile. Alle scaglie arancioni, erano unite placche naturali che la facevano sembrare dotata di un elmo frastagliato. L’insieme faceva pensare a una creatura massiccia.

Gli occhi dalle pupille a fessura brillavano di una luce di rispetto, rispetto ugualmente percepibile nella sua voce astrale. <Io ti saluto, potente Figlio di Antesys. A cosa debbono i tuoi umili fratelli la tua visita così lontano dai cieli che sono la tua casa? Ha a che fare con il mammifero che trasporti?>

Max inarcò fieramente la testa. “Il ‘mammifero’ è lo Stargod. Portagli il rispetto che merita.

Lo sconosciuto rettile emise un sibilo, di scherno, a giudicare da quello che disse dopo. “Il solo dio riconosciuto è Antesys, e tu fra tutti, o potente, dovresti saperlo. Sei il benvenuto a Kalgarn, se volessi visitare un tempio, ma il mammifero con te ricordi: non sono ammessi eretici entro il dominio dei Tok.” Poi, la proiezione scomparve,

lasciandosi dietro due paia di occhi allibiti.

Stargod non cambiò posizione, non mutò espressione; disse solo, “Antesys?”

Ehmm…” Max sembrava imbarazzato.

Stargod non cambiò posizione, non mutò espressione; disse solo, “fratelli?”

Ti giuro, Salvatore, non li conosco neppure.” Scuoteva la testa, il dragone.

Stargod non cambiò posizione, non mutò espressione; disse solo, “Tok?”

Max piegò il collo all’indietro, mettendosi muso a muso con l’uomo-lupo. “Te l’ho detto, non so chi siano questi alieni! E non so neanche come facciano a conoscere di Antesys!

Stargod scosse la testa. “Ti chiedo scusa, amico mio…Temo che ci siano troppe novità da gestire, per un dio solo e in così poco tempo. Puoi spiegarmi di questo Antesys, per cominciare?”

Continuando a restare dov’era, Max si schiarì la gola con un brontolio di tuono. “Si tratta di una mitologia di noi dragoni…E’ un po’ lunga come storia…

Stargod gli accarezzò il muso. “E io ho due buone orecchie per ascoltare. Ti prego, sono curioso.”

Max fece un’altra scrollata di spalle da farci il burro, e iniziò, con tono riverente.

 

 

“Per noi dragoni, Antesys è il Tutto, l’incarnazione del Multiverso, l’Essere Supremo. Esso ha il suo ciclo di vita e di morte, che comincia dall’Uovo, il caos rinchiuso dall’ordine, prosegue nella schiusa, che genera il caos nel quale giacciono i semi dell’ordine, e termina con la ricomposizione, pronto per riprendere daccapo.

“Quando l’Uovo si schiude, Antesys assume la forma del dragone, e vola da una dimensione all’altra, assicurandosi che i semi dell’ordine, destinati ad avviare la ricomposizione, non siano disturbati dalle forze che vorrebbero il caos regnare supremo e incontrollato.

“Qui, su Altro Regno, Antesys si avvide che Ereba, madre del caos, aveva mano libera. Non c’era niente che potesse impedirle di distruggere questo Universo, per avviare la fine del Multiverso.

“Antesys, allora, creò la specie dei dragoni, per vegliare sulla sicurezza di Altro Regno; e diede loro la Godstone, imbevuta dello Spirito di Antesys.

“I dragoni sconfissero le orde di Ereba, e la bandirono da Altro Regno. Ma, passate poche generazioni, i dragoni iniziarono a litigare fra loro: molti di loro non volevano condividere questo mondo con altre specie, soprattutto con gli umani, alcuni dei quali si erano a loro tempo alleati con Ereba.

“Un dragone in particolare, Koromo del Deserto, guardiano della Godstone, iniziò ad usare la pietra per seminare il terrore e sterminare chiunque non giurasse fedeltà al nuovo ordine.

“Tutto questo rattristò molto Antesys. Esso, allora, prese allora la Godstone e cercò qualcuno più saggio a cui affidarla. Guardò nel cuore di ogni essere vivente, trovandovi tanti pregi, ma non abbastanza dedizione…Fino a quando non incontrò un lupo solitario.

“Il lupo era un maschio bianco come la neve, giovane, forte, nel fiore degli anni. Antesys era incuriosito da questo lupo che aveva quanto bastava per essere un capobranco ed invece vagava da solo.

“Antesys divenne una lupa, e in tale guisa avvicinò il maschio. Essi si corteggiarono e si accoppiarono sotto le Lune, e solo quando il ventre della lupa fu gonfio di cuccioli, che lei gli chiese perché lui era ancora senza un branco.

“Il lupo rispose che egli era fuggito dalle case degli uomini, presso i quali era stato costretto a servire fin da cucciolo. Era stato un periodo duro. Per quanto lui si impegnasse, per quante cose facesse anche a costo di sacrificare la propria vita, gli uomini lo guardavano con disprezzo, lo trattavano come se fosse stato meno di un oggetto.

“Antesys sentiva l’amarezza nelle parole; ma insieme ad esse, c’era della nostalgia per quei giorni passati. Allora, lei gli chiese cosa mai potesse mancargli, di un mondo che lo aveva così trattato.

“Il lupo rispose che fra tutti gli uomini che aveva incontrato, uno era puro, con l’anima di un fratello. Per quel solo fratello, il lupo aveva sopportato una vita dura, ma, alla fine, era stato proprio quell’uomo a convincerlo di andarsene. Prima di lasciare l’uomo, però, il lupo fece un giuramento di sangue di aiutarlo quando fosse stato chiamato, e l’uomo avrebbe fatto lo stesso. Per questo, il lupo viaggiava senza un branco, senza impegni. Anche se vivere da solo lo avesse ucciso prima del tempo, egli avrebbe continuato a vigilare sul suo amico.

“Antesys, mosso a commozione, decise di ricompensare tale amore. E giurò che il primogenito della sua cucciolata avrebbe incarnato tale devozione. Il primogenito sarebbe stato il Guardiano del Mondo, uomo e lupo a simbolo di questo patto, e a lui, in virtù della Godstone, perfino i Dragoni avrebbero giurato devozione.”

 

 

Ecco, questa è la storia così come ce la tramandiamo, e come se la tramandano i lupi. Gli umani, tanto per cambiare, hanno dimostrato la solita memoria corta, e per loro Stargod è ‘un’ dio, quasi una loro proprietà.

Stargod fece un sospiro, la sua espressione solenne. <E’ una storia bellissima, Max,> comunicò mentalmente, unendo le emozioni alle parole <e io non mi sento che all’inizio di una strada molto difficile, per potere portare un simile manto. Non credevo che lo Stargod fosse qualcuno così…>

La carezza mentale del dragone fu come una cascata di acque rivitalizzanti. <Lo Spirito di Antesys che vive nella Godstone chiama a sé solo chi ne è degno. Non dimenticarlo, come non dimenticare che non sarai mai da solo.>

A quel punto, il dragone spiegò le ali, emise un maestoso ruggito, e si lanciò in avanti, verso Kalgarn.

Stargod dovette usare la telepatia, per essere sicuro di farsi udire a quella velocità. <Proprio non sai nulla di questi Tok?>

<No, Stargod. Niente. Devono essere alieni, visto che neppure gli Anziani della nostra specie ne hanno mai fatto menzione.>

Per il resto del viaggio, l’uomo-lupo elaborò strategie…o, almeno, ci provò, visto che non aveva la minima idea dell’approccio da effettuare…

 

 

Da vicino, appariva evidente che la ‘collina’ era quello che restava di un vulcano. Infatti, le prime case erano state ricavate scavando le spesse pareti della struttura. Era come vedere un villaggio Anazasi e uno medioevale insieme…Ma la cosa più curiosa era vedere come la densità delle abitazioni fosse, apparentemente, maggiore nell’area esterna, per andare nettamente a decrescere verso il centro…

 

Max atterrò nella piazza centrale, antistante al castello. Lo spazio era sufficiente per almeno tre dragoni, ed era circondato da statue di marmo. Ogni statua rappresentava un dragone, ed era scolpita con tale realismo che l’animale sembrava essere sul punto di spiccare il volo. E a giudicare dai colori e forme delle statue, insieme a quello che Max gli aveva detto, ognuna rappresentava una razza.

Dovevano essere giunti nel cuore della notte, visto il comitato d’accoglienza –un carro, dal quale due uomini stavano scaricando quello che odorava come cibo. E poi, cinque di quei rettiliani, bipedi, simili all’esemplare della proiezione astrale.

Tre dei rettili erano armati di lancia, ma non sembravano proprio averne bisogno, così come decorativa appariva l’armatura che solo parzialmente copriva i loro corpi –corpi enormi, alti più di due metri, massicci, come se fossero stati modellati su un mondo a gravità ben più alta di quella terrestre. E le placche che adornavano le loro teste erano armoniosamente distribuite sul resto dei loro corpi, trasformandoli in temibili armi naturali. Da sole, le loro code placcate avrebbero potuto facilmente spezzare un uomo in due. A chiudere il quadro, i rettili erano alati. Anche se ripiegati, quegli arti parlavano di potenza pura, per potere sollevare una simile massa.

Gli altri due rettili indossavano ampie tonache scure di materiale imbottito simile a cuoio, come in una negazione della propria possanza. Una negazione che, apparentemente, si era estesa alle ali, visto che non ne appariva traccia. L’unico adornamento concesso era una stretta cintura con una fibbia enorme, forgiata come un drago ad ali spiegate. Inoltre, a differenza dei soldati, le cui creste erano di un unico colore bianco, quelle dei rettili tonacati erano una argentea e l’altra azzurra.

I due rettili in tonaca si fecero avanti, le mani giunte nelle grandi maniche. Giunti a pochi metri dal Max e Stargod, fecero un inchino all’unisono. Poi, uno di loro, quello con la cresta azzurra disse, “Benvenuto, a Kalgarn, possente fratello. Sei forse venuto in cerca di conforto spirituale?”

Max e Stargod si scambiarono un’occhiata di traverso. Poi fu Stargod a parlare. “Per ora, siamo qui in cerca di risposte. Possiamo…”

Il tono di voce di uno dell’altro prete si fece sentire come una barriera di ghiaccio. “Mammifero, sarà il dragone a parlare per primo, come vuole la regola.”

Max brontolò minacciosamente. “Devo ricordarti che lui è lo Stargod, alieno? Se lui fa una domanda, voi gli risponderete.

‘Cresta azzurra’, che ora i due riconoscevano come quello della proiezione astrale, scosse la testa, come un maestro di fronte all’allievo indisciplinato. “Possente fratello, non esiste alcun dio al di fuori di Antesys. Tutti gli altri cosiddetti ‘dei’ non sono che pallida luce riflessa, non certo degni di fedeltà o adorazione.”

Stargod fece un passo avanti. Di fronte a un uomo, egli era certamente una figura possente, regale…Ma diventava così inerte, di fronte a questi alieni…

Pure, John Jameson riuscì a guardare il sacerdote dritto negli occhi, mentre gli diceva, “Io sono lo Stargod, sono il guardiano di Altro Regno, e designato di Antesys. E’ il Suo spirito che mi dà il potere, non importa quello che voi pensate, alieni. E ora ditemi, chi siete e da dove venite!”

Questo li prese di sorpresa. Addirittura, i preti fecero un passo indietro, socchiudendo gli occhi. “Eresia,” disse cresta d’argento. Fece un cenno impercettibile, e i tre soldati si fecero avanti, brandendo le lance. Purtroppo, queste creature sapevano muoversi con notevole scioltezza.

Cresta azzurra levò una mano, e i soldati si fermarono. “Basta così. E’ evidente che la mente di questo autoproclamato ‘dio’ e del suo compagno sono avvolte dalle nebbie dell’ignoranza. Fratello Shiama, perdonali e lascia che vengano edotti alla verità.”

Osservando l’alterco, e poi il secondo sacerdote ed i soldati fare un inchino, Stargod capì che la colorazione della cresta doveva avere a che fare con il rango.

Intanto, gli uomini avevano deposto l’intero contenuto del carro ai piedi di Max, che già stava leccandosi le labbra.

Stargod non poteva non vedere i grossi collari indossati dagli umani. Non solo, il loro atteggiamento schivo, silenzioso, il portamento curvo –tutto parlava della sottomissione degli schiavi.

Pure, proprio prima di voltarsi per tornare sul carro, il più anziano dei due schiavi incontrò lo sguardo del suo dio.

Stargod avvertì quella speranza come una presenza fisica…e nel proprio cuore si accese la rovente brace della disperazione, per non potere fare niente adesso, per avere causato tutto questo con la sua maledetta reticenza!

Stargod inghiottì la rabbia, e decise di stare al gioco…per ora. A differenza di Tyrk, queste creature non immaginavano nemmeno che potesse esistere una Godstone –o, almeno, ne sottovalutavano gravemente il potere…

“Seguimi, mammifero,” disse cresta azzurra. “A proposito, io sono il Fratello Superiore Misadzi.”

 

 

Potevano essere arroganti, questi Tok, ma stupidi non erano –non Misadzi, almeno. Stargod si era aspettato di essere portato nel castello –una buona occasione per saggiare il numero di soldati e sacerdoti, e un’occasione ancora migliore per fare vedere agli schiavi di essere tornato…

Invece, avrebbe dovuto fare affidamento solo sul rapporto di quei due schiavi. Di sicuro, appariva peggio di quando era Tyrk, ad essere al potere: sotto quell’uomo, la ribellione era aperta, e la vista del loro protettore era sufficiente a indurre grida di adorazione. ..

“Volevi sapere chi siamo e da dove veniamo, dunque,” disse Misadzi, riportandolo di colpo alla realtà del giardino coltivato a robusti rampicanti, ognuno in forme finemente elaborate e odorose dei fiori a metà fra la rosa e il geranio che le costellavano.

Misadzi guardò verso il cielo. “Un tempo, eravamo i fieri dominatori del mondo che ci aveva generato…fino a quando non arrivò un nemico più potente di noi. Ci spazzarono via senza preavviso, senza ragione. I pochi sopravvissuti che riuscirono a fuggire poterono solo osservare il loro prospero pianeta diventare melma ardente…

“Ma se il loro intento era la nostra estinzione, ci avevano sottovalutato: noi Tok siamo nati e vissuti in condizioni che solo una specie superiore può trovare favorevoli; non ci arrendiamo mai.

“Abbiamo vagabondato per molto tempo, prima di trovare questo mondo così ricco di mana, e così scarso di difese. Quando siamo arrivati, i mammiferi umani erano impegnati in una delle loro stupide guerre intestine. Sottometterli è stato fin troppo facile.”

“Perché sottometterli?” chiese Stargod. “Altro Regno ha risorse e spazio più che sufficienti per una convivenza pacifica…”

Di nuovo quello scuotere di testa. “Convivenza con i mammiferi…Come se fossero nostri pari?” Misadzi si fermò, e guardò Stargod con una espressione divertita. “I rettili sono il culmine dell’evoluzione, il risultato di miliardi di anni di lavoro iniziato con l’esplosione della prima supernova in prossimità di una nube di polveri.

“I mammiferi sono solo un incidente di percorso, evoluzione di parassiti favoriti dalla cinica mano di Ereba –per questo così inclini a favorire i propri interessi al di sopra dello schema delle cose.

“E’ solo naturale che questi succhiatori di uova fungano da anello inferiore nella catena sociale e alimentare. Proprio come è sempre stato inteso. Altrimenti, sarebbe stato il contrario.”

Le parole arrivavano al cervello, Stargod ne afferrava ogni macabra implicazione…Dio, questi esseri erano infinitamente più pericolosi di Tyrk…perché…allora…

…tutto questo gli sembrava avvolto come da un velo di cotone? Cosa gli stava….

Stargod non terminò neppure il pensiero: La sua mente divenne un abisso vuoto, mentre i sensi lo abbandonavano. Non si accorse neppure di cadere pesantemente in ginocchio, e poi in avanti.

Misadzi si chinò su di lui, a sentire la carotide. Non fu sorpreso di trovarvi una debolissima pulsazione. Annuì, e si rialzò in piedi…Sì, questo sedicente ‘dio’, come aveva immaginato, era alieno quanto i Tok. Se fosse stato di Altro Regno, avrebbe riconosciuto subito i letali Fiori di Writha, il cui aroma uccideva in pochi minuti qualunque mammifero nativo –ma non i Tok, o ogni alieno geneticamente incompatibile.

Misadzi fece un cenno, e due soldati accorsero al suo fianco. “Portatelo al laboratorio,” comandò il Fratello Superiore.

Guardando l’uomo-lupo portato via fra le braccia dei soldati, Misadzi considerò la validità di quel trofeo: eretico o no, la sua gemma conteneva un grande potere, se davvero era imbevuta dello Spirito di Antesys. Una volta separata dal suo proprietario in tutta sicurezza, l’eretico avrebbe costituito ottimo materiale di studio per la Gilda Scientifica…E la sua pelliccia, comunque, avrebbe costituito un ottimo dono per il Sovrano!

Misadzi sfiorò con un artiglio un elaborato bracciale nascosto sotto la manica. “Come sta il nostro possente fratello?” chiese.

Un piccolo ologramma della figura intera di Shiama si manifestò dal bracciale. “Dorme come un pulcino. Mentre mangiava, non si è minimamente accorto dell’incantesimo del sonno che ho imposto su di lui…Vuoi essere tu, a rieducarlo?”

Misadzi annuì. “Sarà una sfida interessante. Nonostante la fede che condividiamo, sono esseri curiosamente elusivi e su cui non sappiamo ancora abbastanza.”

 

Episodio 3 - Prima battaglia per la liberazione!

 

Anni prima, il pianeta di Altro Regno era stato dominato dal pugno di ferro di Arisen Tyrk. Il suo dominio, ottenuto combinando le arti arcane più oscure e la tecnologia della distruzione, lo aveva trasformato in un anti-dio, un essere per il quale la pietà era la prima delle debolezze.

Ciononostante, ironicamente, Arisen Tyrk era ancora un essere umano. Il suo sogno era il potere, e la sua crudeltà, per quanto capace di variazioni inimmaginabili, non era estesa a chi gli dava assoluta obbedienza.

Ma, per parafrasare un vecchio detto, ‘tutto il potere del re’ non lo salvò dalla furia vendicativa del vero dio di Altro Regno. Stargod.

Tyrk fu sconfitto, e dovette abbandonare i suoi piani per Altro Regno. Il mondo godette di una meritata pace, anche se il dio non era rimasto a vegliare su loro.

Purtroppo.

Mentre Stargod, ovvero John Jameson, cercava una direzione per la propria vita, altri occhi avevano puntato Altro Regno.

Gli occhi dei Tok. Una specie rettiliana, evolutasi su un mondo a gravità doppia rispetto a quella terrestre, i guerrieri perfetti e tecnologicamente avanzati, tanto determinati quanto spietati. Tyrk era crudele. I Tok, più semplicemente, credono che ogni altra specie di mammiferi, dai topi agli uomini, sia semplicemente preda, al massimo un fastidio di cui sbarazzarsi.

Altro Regno, nonostante molti dei suoi abitanti fossero tutt’altro che guerrieri inetti, e che alla tecnologia compensavano con la magia, fu invaso e conquistato quasi senza colpo ferire –dove il solo sangue che corse fu quello, a fiumi, dei difensori del loro mondo.

Uomini e donne si erano arresi. I maghi si erano nascosti, così come i potenti dragoni, che insieme agli umani erano la specie più potente di Altro Regno. I Tok credevano di avere vinto, di avere sottomesso una specie con ambizioni di civiltà.

Si sbagliavano. Altro Regno non si era arreso. Aveva effettuato l’equivalente di una ritirata strategica, deciso a sopportare le umiliazioni a venire, mentre attendeva il ritorno del suo protettore. La fede era diventata la sola difesa.

E, finalmente, l’incarnazione di quella fede era tornata.

E non da sola.

 

Nel sistema gerarchico della rettiliana razza dei Tok, le Guide Spirituali, ovvero la casta sacerdotale, rappresentavano lo strato intermedio fra i cittadini-soldato e la Stirpe Reale. Esperimenti genetici, combinati con un’immissione casuale dei geni alterati nella III casta, generavano rettiliani forti e robusti quanto i soldati, dotati anche delle placche corporee, ma privi di ali, coda e artigli, a sottolineare che la vera potenza della II casta era lo spirito, non la mera carne, e che il neonato sacerdote era un predestinato. Le Guide parlavano con gli Dei, e solo i loro consigli potevano guidare, se ascoltati, alla vittoria.

Quando un sacerdote, soprattutto un Fratello Superiore, prendeva in mano una situazione, il minimo che ci si potesse aspettare era il successo…se gli Dei lo volevano.

 

Amari erano i pensieri del Fratello Superiore Misadzi, mentre procedeva lungo il corridoio. Apparentemente, gli Dei non volevano concedergli i frutti della sua più recente acquisizione…Un diniego seccante, non solo per la forza della sua fede, ma anche per la potenziale perdita di dati. Le Guide erano depositari di tutta la cultura dei Tok, nessuna branca esclusa. L’ignoranza era tabù come l’eresia.

Misadzi giunse davanti a una porta, su cui era raffigurato un elegante tok soldato ad ali spiegate, nell’atto di spiccare il volo, che in una mano artigliata teneva un globo terracqueo, e nell’altra una spada fiammeggiante –‘la forza della conoscenza’, il simbolo della Gilda delle Scienze. La porta si aprì.

 

L’oggetto dei pensieri di Misadzi, la favolosa Godstone, si trovava al centro del laboratorio, immerso in un campo di stasi, ben fissato alla gola del suo proprietario, un uomo-lupo dalla pelliccia bianca come la neve. La creatura indossava un’armatura smeraldina e oro, e anche se immobile nel campo, e privo del suo corredo di armi –spada, pugnale, arco, alabarda, che giacevano su un tavolo separato nella stessa stanza- rappresentava ancora una vista maestosa.

“Stargod,” disse Misadzi alla creatura, tenendo le potenti braccia dentro le voluminose maniche della sua veste talare. “Misero mammifero con ambizioni divine, sei fortunato a essere protetto da un così singolare gioiello…Ricercatore Ephyrus, ancora nessun progresso?”

Una cosa si doveva dire, di questi alieni sbarcati su Altro Regno dopo la distruzione del loro mondo: anche i rappresentanti della categoria più mite fra loro avrebbero potuto spezzare un orso in due. Lo scienziato smise di studiare una serie di ologrammi, ognuno dedicato a una biometria dell’uomo-lupo. Gli altri ricercatori presenti sarebbero rimasti rigorosamente in disparte, fino a quando non direttamente interpellati.

“Mi dispiace, Fratello Superiore,” disse Ephyrus. In quanto non-sacerdote, non aveva bisogno di abiti, se non di elaborate pitture corporali ad indicare il suo rango. Ephyrus indicò con un artiglio gli ologrammi. Fra di essi spiccava uno a grandezza naturale: mostrava un sistema nervoso supplementare, avvolto come i rami di un vigneto per tutto il corpo di Stargod. Un sistema nervoso che aveva il suo cuore nella Godstone!

“Come puoi vedere, Fratello Superiore, questa pietra agisce come una entità a sé stante. Per questo, non siamo riusciti a fare di più di rimuovere le armi dell’essere. Ogni volta che tentiamo di separarla dal mammifero, o anche solo di prelevare campioni del mammifero, un campo di forza ce lo impedisce.”

Misadzi strinse gli occhi. Milioni di anni di evoluzione non erano riusciti a sopprimere la tendenza del corpo a rivelare gli stati d’animo nella colorazione degli occhi. Gli occhi di Misadzi, normalmente ambrati, erano di un rosso pallido, segno di collera controllata. “Invulnerabile o no, il mammifero respira come chiunque; infatti, è stato ridotto all’impotenza con i Fiori di Thriwa. Gassalo: se il mammifero muore, Ricercatore, la gemma dovrebbe staccarsi spontaneamente. E’ una ipotesi troppo azzardata per un umile orecchio degli Dei quale sono?”

Sorprendentemente, Ephyrus emise un basso sibilo di oltraggio, gli occhi dello stesso colore di quelli di Misadzi. Se c’era una cosa che il Ricercatore non tollerava, era di essere trattato da incapace. I suoi occhi passarono a una tinta azzurrina, espressione di ironia, mentre a un suo digitare un ologramma mostrò un ingrandimento di milioni di volte di un braccio dell’uomo-lupo. “Guarda qual’è il vero problema, Fratello.”

Misadzi lo fece, non aspettandosi niente di sensazionale...e quasi gli occhi gli divennero neri dal terrore! “Sacro Antesys..!

Attaccati alle ‘terminazioni’ della Godstone, praticamente invisibili a qualunque strumento che non fosse un potente microscopio elettronico, c’erano dei naniti. Erano pochi, e irregolarmente sparpagliati lungo le ‘terminazioni’, come innocui acari su un materasso grande quanto una piazza…Ma c’erano, e attraverso l’ologramma ognuno di essi occhieggiava con una sinistra luce pulsante.

Misadzi riprese il controllo, a stento. “Questo…mostro porta dentro di sé la tecnologia Proibita!”

Ephyrus disse, “Capisci perché non voglio ucciderlo, Fratello Superiore? Non conosco la natura o la funzione di questi componenti. per quanto ne sappiamo, la morte del mammifero potrebbe attivarli…”

Non c’era bisogno di aggiungere altro. Entrambi…no, qualunque specie abbastanza avanzata degna di tale definizione conosceva i rischi della tecnologia Proibita. “Ci sono stati segni di incremento di attività, da quando hai cominciato ad analizzarlo?”

Ephyrus emise un sibilo di diniego. “Attività costante. Sembra che si limitino a questa…convivenza con la pietra.”

Misadzi annuì, poi si diresse a un intercom. Disse, “Centrale. Iniziare Fase 1 del Confinamento.” Poi, a Ephyrus, “Continua a tenerlo in stasi. Che non lasci la torre per nessuna ragione.” E lasciò la stanza in un frusciare di abito talare.

 

La torre di vetro e metallo, che fungeva da quartier generale locale degli alieni, si ergeva accanto al castello che occupava il centro della città di Kalgarn, edificata all’interno di un cratere vulcanico estinto.

Al comando di Misadzi, dall’antenna in cima alla torre si sviluppò una corona di raggi, ognuno diretto verso una delle antenne riceventi poste ai bordi del cratere.

In pochi secondi, la cima tronca del cratere fu riempita da un impenetrabile ovale di energia. Gli allarmi iniziarono a risuonare per tutto il cratere.

 

Una volta in corridoio, lontano da orecchie indiscrete, rigorosamente schermato dalla propria disciplina mentale, Misadzi elaborò possibili soluzioni al problema. Non ultima, convincere il mammifero a liberarsi dei naniti spontaneamente…

Misadzi scosse la cresta: inutile, sciocchezze simili erano indegne di un rettile del suo rango. Solo una cosa poteva purificare Altro Regno dal male. Anche se ciò avesse significato il proprio sacrificio.

Improvvisamente, una tinta rosata accese gli occhi di Misadzi. Ma certo! Quell’insolito…compagno del mammifero! Forse avrebbe potuto aiutarlo!

 

Un dragone rappresenta senza dubbio una vista maestosa.

25 metri di muscoli e scaglie, decorati da un paio di ali uncinate solide come quelle di un aereo, una coda più sinuosa di quella di un serpente, in un insieme armonioso e potente.

Impressione valida nonostante il drago in questione era solidamente incatenato al suolo, all’interno di un hangar più che adatto a contenerlo.

 

Misadzi entrò nell’hangar in cima alla torre, e il dragone, un esemplare dalle scaglie blu, proprie della razza che cavalcava le tempeste, tese istintivamente i muscoli per saltargli addosso...e il ruggito di rabbia si trasformò prontamente in un assordante verso di dolore comunque capace di fare tremare l’etere.

Misadzi si rivolse all’altro sacerdote, un maschio con una cresta d’argento. “Allora, Fratello Shiama, mi pare di capire che non ci sono progressi?”

Shiama aveva gli occhi del colore bruno dell’imbarazzo e tendenti al nero. “Lo potrai sentire tu stesso. Ma la cosa più incredibile è che la sua forza sembra inesauribile: per quante volte le catene abbiano rivoltato il suo potere contro di lui, non smette i suoi tentativi di liberarsi…Fratello, perché hai attivato il contenimento?”

Misadzi sibilò un sospiro. Sembrava deluso, anche se non era abbastanza stupido da non tenersi a una distanza di sicurezza. “Davvero, o potente: ancora non riesci ad accettare di esserti sbagliato?”

Il drago riaprì gli occhi, che non avevano perso niente dell’ira assassina che provava da quando si era risvegliato. “Tu sei l’eretico, tu e tutta la tua specie,” disse Max, sibilando archi voltaici. “Stargod è il solo dio e protettore di Altro Regno! Come osate tenerlo prigioniero?!”

Gli occhi di Misadzi si colorarono di rosso. “Più offensivo di un mammifero blasfemo, c’è solo una creatura del tuo rango che lo segue come un pulcino appena uscito dal guscio...Ma non sono qui per cercare di riconvertirti, o potente. Ho bisogno di sapere come possiamo liberarci della tecnologia Proibita che infesta il tuo...’Stargod’; e devo saperlo ora.”

Improvvisamente, l’espressione di Max si fece incuriosita. “La tecno-cosa?” Shiama, emise un’esclamazione di orrore, ma restò ignorato.

Rosso più acceso. Voce glaciale. “Non mi prendere in giro. Dici di conoscerlo, ma non sai della peste che porta con sé? Come possiamo liberarcene?”

Max emise un sorriso pieno di zanne e di elettroni danzanti. “Oh, così i prodi Tok, grandi guerrieri e saggi depositari di conoscenza non sanno come risolvere un piccolo problema come una malattia? E perché un blasfemo come me dovrebbe aiutarvi?”

Misadzi non raccolse. “Per due ragioni. Primo, dentro di te sai di essere stato ingannato, e che questa è la tua migliore opportunità di redenzione. Secondo, ogni momento che sprechi con il rifiuto ti avvicina all’immolazione; il mondo che tanto ami potrebbe essere distrutto.”

Per qualche ragione, sulla seconda frase pronunciata dal sacerdote, Max avvertì come un senso di premonizione. “Immolazione?”

Misadzi annuì, gli occhi meno accesi. “La peste del mammifero è una minaccia reale. Se non ci offri una soluzione per sbarazzarcene e subito, tutti quelli che ne sono venuti a contatto, incluso te, dovranno essere immolati. Io sono pronto a morire, se tale è la volontà di Antesys, ma tu sei disposto a morire per un falso dio?”

Shiama approfittò di quel momento per mettersi di fronte al Fratello Superiore. “Misadzi, no! Non possiamo agire sconsideratamente. Dobbiamo prima sapere se quel mammifero maledetto è venuto in contatto con altri esseri viventi, dove e quando! Se anche ci immolassimo ora, come potrebbe la nostra gente impedire un’altra catastrofe?!”

Misadzi sembrò considerare quelle parole. Non poteva, purtroppo, ammettere apertamente di avere sbagliato a considerare subito l’immolazione, ma sapeva che gli Dei lo avrebbero perdonato: aveva esclusivamente pensato nell’interesse dei Tok.

Poi, i due rettiliani guardarono il dragone. “Hai un’ultima possibilità di parlare da solo, o potente,” disse Misadzi, sinceramente dispiaciuto. “O parli ora, o estrarremo le informazioni direttamente dalla tua mente: e può essere estremamente...spiacevole.” Per contro, Shiama non sembrava affatto dispiaciuto da tale prospettiva.

Max decise di togliergli il privilegio di assistere allo spettacolo. Come già dolorosamente constatato, non poteva neppure usare i suoi poteri...Ma se poteva muovere la lingua per parlare, poteva usarla per fare qualcos’altro.

I sacerdoti videro il dragone spalancare la colossale bocca...Così come videro anche la lingua forcuta, spessa come un cavo dell’alta tensione, saettare verso di loro! Shiama si ritrovò avvolto da due giri dell’organo prima che potesse solo esclamare il suo stupore...Poi, fu scaraventato verso il muro!

Sfortunatamente, si salvò solo perché Max, ignorandolo, aveva sottovalutato la forza da utilizzare.

Schiavi umani corsero ad aiutare il rettiliano. Misadzi osservò la scena con visibile disprezzo, prima di rivolgersi al dragone. “Capisco,” disse solamente, prima di allontanarsi. “Fratello Shiama, seguimi.” Capiva che non c’erano speranze: se Stargod era riuscito a plagiare un dragone con tanta efficacia, doveva esso stesso possedere una volontà ferrea. Doveva riconoscerlo. Abbastanza da usare i naniti, se risvegliato.

Avrebbe immediatamente informato la Casta Reale. Loro avrebbero risolto un possibile sviluppo…globale del contagio. Poi, avrebbe dato via all’immolazione.

Pochi minuti dopo, le porte dell’hangar si chiusero. Max rimase solo…e improvvisamente calmo. E sorridente.

 

Lo schiavo, un uomo rasato di ogni singolo pelo, anonimo, ben tenuto in salute ma non irrobustito da esercizio fisico e con un grosso collare neurale, (ogni tanto ne saltava su uno stolto abbastanza da dimenticarsi chi erano i loro legittimi padroni) entrò nel laboratorio, ed Ephyrus interruppe il suo lavoro. Il rettiliano indicò il mucchio delle armi, ordinatamente disposte su un carrello a repulsione. “Portale al Ponte A-9. E che non ti cadano: sono per le Loro Maestà.” Dovette fare uno sforzo per trattenere la lingua, che voleva saettare ad assaporare l’aroma di quel…bocconcino. Immolazione imminente o no, aveva fame -e forse si sarebbe concesso proprio quell’esemplare, a cena!

Lo schiavo si avvicinò ad Ephyrus, invece.

Il Ricercatore tornò ad indicare le armi. Tipico! I più sottomessi sembravano capaci di connettere con la stessa prontezza dei loro erbivori domestici! “Non è difficile, mammifero. Prendi le urrk!”

Non aveva neppure visto la mano scattare alla sua gola! L’altezza media di un Tok era di due metri; ciò, unito alla loro normale massa muscolare e corazzatura, li rendeva pressoché invulnerabili a armi meno efficaci di quelle da fuoco.

Eppure, un essere umano che non avrebbe neppure potuto sostenere una rissa da strada, stava sollevando il rettile, il volto una maschera di impassibilità nonostante il tremito nei muscoli sotto sforzo.

Uno degli scienziati non perse tempo: saltò fra Ephyrus e lo schiavo impazzito, e colpì l’uomo alla gola, esponendo la carne fino alle vertebre e inondando di rosso il muso di Ephyrus, che inutilmente affondava gli artigli nella carne del braccio.

L’uomo sembrò finalmente riprendersi dallo stato di trance, e cercò di arginare la fontana vermiglia. E usò tutte e due le mani, per quanto inutilmente, mentre crollava a terra.

Ma la presa sul collo di Ephyrus non fu lasciata. Con suo orrore, il Ricercatore vide un secondo corpo, prima evanescente, poi sempre più solido, emergere dallo schiavo morto.

Il processo fu terminato, e al posto dell’uomo c’era una nuova figura umanoide, più alta e robusta dello schiavo, fatta di carne bruciante di energia, là dove non era coperta da un’armatura bianca.

Nel suo ultimo istante di vita, Ephyrus dovette ammettere di essere affascinato da quella misteriosa entità…Poi, una torsione secca del polso spezzò il suo collo.

A quel punto, divisi fra l’istinto di uccidere il profanatore, e ritirarsi prudentemente, gli altri ricercatori scelsero la seconda.

Lo straniero puntò lo sguardo verso la sfera che conteneva Stargod. La zona della piastra facciale all’altezza dell’occhio brillò, prima di emettere un abbagliante colpo di energia!

La sfera andò in frantumi; Stargod sarebbe rovinato per terra, non fosse stato per una mano guantata di metallo a sorreggerlo. “C-chi…” debole, era così debole. Guardava il suo salvatore senza riuscire a mettere a fuoco. La lingua gli penzolava da un lato della mandibola.

“Noi siamo Avatar,” disse lo straniero, la sua voce priva di inflessioni come quella di Visione. “Siamo qui per essere il tuo appoggio. Seguici.”

L’uomo-lupo stava riacquistando rapidamente i sensi. Si accorse per prima cosa che questo ‘Avatar’ non aveva odore. Poi riuscì a mettere a fuoco le armi, a portata di mano.

Stargod, ormai ripresosi completamente, si infilò le armi. “Chiunque tu sia, ti devo non poco. C’è qualcun altro con te?”

“Quattro unità: Seminatore di Morte, Diablo, Iron Monger, Grigar. Si occuperanno delle infrastrutture esterne. Il dragone penserà alle forze armate. Tu devi liberare la locale famiglia reale.”

Avatar fece per incamminarsi, ma fu fermato da una potente presa artigliata, direttamente sulla carne esposta –un contatto che avrebbe dovuto cauterizzare la mano coperta di pelliccia, che invece rimase indenne. “Giochiamo prima alle spiegazioni, sintezoide. Che cosa sta succedendo?”

Fu allora, che si accorsero non solo di essere circondati, ma di ritrovarsi addosso una raggiera di armi che avrebbero potuto demolire interi isolati di NY.

 

“Comprendiamo la situazione, Fratello Superiore. Hai il nostro permesso di immolare Kalgarn per salvare il nostro dominio.”

Nella sua camera, Misadzi stava in piedi davanti a un grande monitor, che rendeva la figura dall’altra parte del vetro ancora più imponenti.  Il Principe Ssylak era, come ogni Reale, l’incarnazione della perfezione Tok: il fisico perfetto, armonioso, 3 metri di potenza decorata dalle più raffinate pitture corporali, e una mente disciplinata a livelli quasi divini…

“Ma non approviamo l’idea di immolare questo singolare mammifero,” aggiunse Ssylak, causando un brivido sotto le scaglie del sacerdote. “Portalo a noi, di modo da potere esplorare la sua mente, e sapere tutto di lui e del suo rapporto con la tecnologia Proibita.”

Misadzi era disciplinato all’obbedienza ai Regali fin da prima della schiusa, e non poteva permettersi neppure di pensare di obiettare. Chinò mestamente la testa, mentre il monitor si spegneva.

In quel momento, nuovi allarmi scossero l’etere. Misadzi, superato il moto di sorpresa, ebbe giusto il tempo di allungare una mano a chiamare Ephyrus, prima che l’arto suddetto venisse afferrato da una mano guantata di nero!

Il sacerdote voltò la testa…ed incontrò un paio di occhi gialli senza pupille, malevoli, incassati in un’ombra nera chiusa fra un cappellaccio nero e l’alto colletto nero di un mantello d’ebano.

“E’ stato un piacere conoscerla, Fratello Superiore,” disse il Seminatore di Morte. Poi, l’intero corpo del Tok fu travolto dalle energie del bioscrambler del suo nemico! Misadzi spalancò la bocca, si irrigidì, ma il suo corpo aveva smesso di rispondere, ogni cellula impazzita, gli organi collassati, il suo cervello distrutto a livello sinaptico.

In altre parole, morto.

 

Lo spettacolo sarebbe stato alquanto curioso, ad un osservatore umano. Ovunque andasse l’occhio, si vedevano i massicci soldati Tok correre in varie direzioni, arma in pugno, in un silenzio surreale, rotto solo dal pesante rumore dei passi –sembravano tanti droni programmati da un invisibile direttore d’orchestra.

Il direttore era inaudibile. La cacofonia di allarmi ed istruzioni era trasmessa su frequenze ultrasoniche. E i rettili rispondevano con confusione solo apparente, in realtà ognuno diretto a una specifica posizione, in un impressionante concerto di disciplina...

Naturalmente, qualcuno finiva sempre per steccare.

In questo caso, la stecca fu bene udibile e visibile: una tremenda esplosione, che sventrò il livello dove, fino a un attimo prima, era ospitato il laboratorio di Ephyrus!

 

“Efficace manifestazione di indirizzamento multidirezionale controllato di energia,” disse Avatar, il mantello bianco agitato dalla corrente.

Gli occhi di Stargod brillavano della scarlatta energia appena liberata. Intorno a loro, i soldati Tok che non erano stati vaporizzati dall’esplosione giacevano scompostamente in un cumulo di detriti roventi. “Non mi lamento, Avatar. E adesso dimmi cosa ci fanno dei supercriminali qui, o farai la stessa fine di questi…”

“Tempo insufficiente per spiegazioni soddisfacenti. Al momento, ti basti sapere che c’è una convergenza di interessi su basi personali. La nostra affidabilità come insieme è alta.”

Stargod cercò di scrutare in quel mezzo volto assolutamente freddo. Lui era anche un telepate, ma come fidarsi di processi elettronici che avrebbero potuto essere preinstallati, dandogli risposte ingannevoli?

Il dio lupino si avvicinò al bordo dello squarcio. Di sotto, il castello era grande come un modellino. Stargod lanciò un ultimo sguardo di avvertimento ad Avatar, e si lanciò.

In quanto ex pilota USAF, ex astronauta, con lanci paracadutistici al limite delle possibilità umane, John Jameson delle altezze se la rideva…Ma dovette soffocare un ululato di esaltazione, alla sensazione di volare, come una foglia senza peso!

E la tristezza si insinuò nei suoi pensieri. “Sashiel…” mormorò. Sashiel la guerriera dai capelli di fuoco, che fu fra i primi ad accoglierla su Altro Regno, quando lui ebbe attraversato il portale sulla Luna. Sashiel, che, anche se non convinta della nuova incarnazione del suo dio, aveva per lui combattuto valorosamente…invocandolo di proteggerla mentre la uccidevano!

Se lui è un dio, dove sono i suoi poteri? Perché non stiamo volando?

Il muso dell’uomo-lupo si contrasse nella familiare espressione aggressiva, a fauci spalancate. Vorrei che mi vedessi ora, Sashiel. Combatterò anche per te, come avrei dovuto fare allora!

Ora sulla verticale del castello, Stargod concentrò la sua vista sulla struttura. Era meraviglioso: senza i maledetti blocchi mentali che lui stesso si era imposto in tutto quel tempo, usare la Godstone veniva naturale come respirare! Fu un attimo, e i suoi occhi videro attraverso la pietra come fosse stata vetro.

E seppe dove colpire.

 

Sapevano bene dove colpire, gli altri due elementi dello strano gruppo creato dal Seminatore di Morte.

I Tok erano stati sorpresi con i proverbiali calzoni abbassati. In un contesto in cui il massimo della ribellione era un’occasionale testa calda armata di un’arma da taglio o arco e frecce, come potevano aspettarsi di essere attaccati da ‘mammiferi inferiori’ dotati di simili mezzi?!

Anche se uno di questi mammiferi, di organico non aveva nulla, all’apparenza: era una imponente figura, degna di rivaleggiare con un Tok in un corpo a corpo, rivestita di un’armatura color blu-cobalto. Un’armatura che stava seminando distruzione a man bassa! Dai palmi della mani di Iron Monger partivano bordate di energia che scavavano solchi nel terreno, quasi tagliavano in due ogni Tok preso nel mirino. Inutile ogni tentativo di abbattere il maledetto con le armi: l’armatura assorbiva l’energia come una spugna con l’acqua, per poi rispedirla al mittente.

 

In un altro quartiere della città, non andava meglio: qui, non era tanto il mammifero in sé, un uomo che avresti qualificato come ‘insignificante’ a una prima occhiata. Un tipo al limite del segaligno, con la faccia affilata, ma le cui deficienze fisiche erano ampiamente compensate,

dall’allucinante mostro al suo comando, una creatura dall’informe corpo fatto di pietra e detriti, e zampe ragnesche capaci di falciare i soldati Tok come grano.

A Diablo non pareva vero, di potere sfogare il suo potere senza alcun intervento di qualche impiccione!

Due soldati sopra di lui. Il sorriso di Diablo si accentuò: incredibile come questi alieni fossero così arroganti da credere il signore dell’alchimia un bersaglio indifeso!

Difatti, i soldati non ebbero neppure il tempo di tirare il grilletto, che furono letteralmente avvolti da una nube, e trasformati in statue di sale!

 

La differenza fra la dedizione e la personale sopravvivenza spesso giace nel tempo. Poco importava, quali terribili prove gli antenati potessero avere sopportato; col passare di intere generazioni, la disciplina e gli insegnamenti erano tutto ciò che restava. E immolarsi per salvare la specie diventava un credo altamente contraddittorio con i propri istinti.

Fratello Shiama incarnava tale condizione. Quell’appello a Misadzi era stata una pensata del momento, ma senza la cooperazione del mammifero infestato, l’immolazione era solo rinviata, non scongiurata!

Il rettiliano stava fissando i reali di Kalgarn, al centro del salone delle udienze. I soldati che avevano tentato di difenderla giacevano al suolo, morti con le loro inutili lance e spade in mano, folgorati dall’arma in pugno a Shiama.

E pure in un simile frangente, Re Diomacus trovava il coraggio di guardare il sacerdote negli occhi con l’aria di chi una battaglia la stesse vincendo. “Usarci come ostaggi non servirà a nulla, alieno. Tyrk in persona aveva la sua spada sulla gola dell’amata dello Stargod, e perse.”

Shiama fece spallucce. “Per uccidervi c’è tempo. L’importante, per ora, è persuadere il vostro maledetto non-dio ad arrendersi e farsi rimuovere…” Non finì la frase, anzi non ne avrebbe mai più pronunciate: un torrente di energia lo investì dall’alto, atomizzandolo!

E lui era lì, sospeso a mezz’aria, appena al di sotto dello squarcio nel soffitto, in tutta la sua gloria scintillante di smeraldo, oro e alabastro. “Vostre Maestà, state bene?”

I due umani caddero in ginocchio, le braccia spalancate, come i suoi amici fecero tanto tempo prima. “Sapevamo che saresti tornato, Stargod,” disse la Regina, finalmente sollevando lo sguardo. Uno sguardo in cui le lacrime non erano solo di sollievo, ma di grande dolore.

Il sovrano si alzò in piedi. “Anche i tuoi compagni si stanno dimostrando degni, salvatore. Stanno abbattendo Tok come fossero insetti sotto la zampa di un dragone.”

John fece fatica a mantenere l’espressione neutra –maledizione! Non era certo quello, il momento di sconfessare pubblicamente i suoi ‘alleati’…

Il rombo inconfondibile di aerei lo distrasse dai suoi pensieri. Voltò lo sguardo: dalla cima della torre, dall’anello che la circondava, per la precisione, stava emergendo un fitto stormo di apparecchi!

Una voce mentale, fredda, che Stargod associò istantaneamente a quella di Avatar, gli disse, <Stargod, abbiamo liberato il dragone. Lui aspetta tue istruzioni.>

Stargod annuì . <Max! Tocca a te!>

 

Stava funzionando! Nonostante l’inferiorità numerica, il disorientamento era totale. Ogni maledetto invasore stava fuggendo verso la Torre.

Dentro l’armatura di Iron Monger, Richard Rennsaeler sospirò: se solo fosse stato così facile con i Marziani. Suo figlio, già reso autistico tempo prima dalla psicosi del nucleare, si era ulteriormente chiuso in sé stesso, entrando in uno stato vegetativo.

E Richard aveva accettato di fare parte di questa impresa per pagare il conto delle cure necessarie, presso istituti migliori…e per dare al ragazzo una seconda chance, e proprio in questo mondo che non avrebbe mai più conosciuto il terrore estremo della tecnologia.

Per questo, avrebbe distrutto ogni maledetto Tok, e ogni altro invasore!

Lo stormo dei caccia lo distrasse dai suoi pensieri. Da ex-membro dello SHIELD, Rennsaeler non poteva non apprezzare le morbidi linee della fusoliera, incastrata ventralmente al gruppo propulsore/alare. Quei velivoli dovevano essere ben più agili e veloci di quelli in dotazione sulla Terra…

Considerazioni che non gli impedirono di puntare le mani verso il primo caccia che puntava su di lui.

 

Il pilota Tok non poteva mancare il bersaglio, inquadrato esattamente al centro del mirino. Un dito artigliato corse al pulsante di fuoco sulla cloche.

 

La coppia di raggi laser fu più veloce, nel tagliare in due l’apparecchio, che si disintegrò in una nuvola di fuoco!

Max torreggiava nel cielo, brillante di archi voltaici che trasformavano il suo corpo in una costellazione fiammeggiante! I suoi occhi brillavano come soli, la loro struttura sollecitata dalla danza di elettroni.

Altri aerei si diressero verso il dragone. Gli occhi brillarono, e un momento dopo un secondo fu abbattuto.

Un terzo aereo sparò plasma, ma il colpo fu deflesso dal campo di energia di Max –il quale non perse tempo a sparare una nuova, letale raffica di laser.

Poi, iniziò la danza. Insospettatamente lieve per un essere così grande, Max si levò verso l’alto, inseguito dallo stormo. Missili e raffiche di plasma tingevano il cielo intorno al drago, quando non esplodevano inutilmente sul suo campo protettivo.

Poi Max si voltò, fulmineo, e spalancò le fauci. Non fuoco, ma mostruose scariche di pura corrente furono vomitate, una tempesta di fulmini che colpirono sei aerei, regalandoli all’oblio.

 

Iron Monger represse un brivido, mentre puntava e distruggeva i rottami infuocati che minacciavano la città. E Stargod era ancora più potente di quel mostro? In cosa diavolo si stava ficcando?!

 

A terra, Diablo, che stava usando i suo fidi elementali dell’acqua e del vento, per sopprimere gli incendi causati dai detriti mancati dal suo…compagno, ne aveva un’idea eccome.

Lavorare in squadra: un concetto decisamente nuovo, anche per un uomo che, come lui, aveva vissuto per dei secoli contando solo sulle proprie conoscenze. Ma non aveva più molta scelta, in merito -Lady Sterling, il Seminatore, era stata furba: su questo mondo, la sua magia alchemica poteva essere molto più forte, ma dopo avere solo percepito il mana emanato da Stargod, capiva che una ribellione avrebbe significato morte.

Ma, alla fine, tutto questo diventava irrilevante: la sua ricompensa valeva ogni sottomissione!

 

Imperscrutabile, Avatar osservava ed analizzava. La squadra funzionava –in modo ancora troppo istintivo, più reattivo che di iniziativa, ma funzionava.

L’entità di nome Agron, che occupava il corpo rimodellato dell’Empatoide, aveva ancora dei dubbi sulle sue motivazioni per restare nella formazione –ma il beneficio del dubbio, in questo caso, aveva implicazioni che superavano di molto le sue personali necessità. E poi, Agron era virtualmente immortale: aspettare non avrebbe costituito un problema, per esso. Ed era al sicuro comunque, per ora.

 

I caccia rientrarono alla torre.

Max fece per buttarsi all’inseguimento, il muso contratto in fiera determinazione...Prima di accorgersi che, in rapida sequenza, sezioni delle pareti si stavano estendendo, rivelandosi piattaforme per cannoni!

Il primo colpo, purtroppo, colpì il sorpreso dragone dritto a un’ala! Max ruggì il suo dolore, e precipitò al suolo. Nell’impatto, distrusse due case come altrettanti castelli di sabbia.

A quel colpo, ne seguirono altri: la torre divenne un istrice fatto di letali aculei di plasma. Ovunque essi toccassero, case esplodevano, la vegetazione bruciava. La gente si riversava nelle strade solo per essere ulteriormente falciata.

 

Per conto suo, Max stava cercando di rimettersi in piedi. Un colpo passò vicino al collo, limitandosi a cauterizzare delle scaglie.

 

Dal castello reale, Stargod, levatosi in volo, comunicò mentalmente, <Diablo! Non perdere tempo, erigi una barriera protettiva intorno al dragone, adesso!> E la cosa strana era la sicurezza che lui sentiva, che sarebbe stato obbedito!

 

Una richiesta non infondata, per il signore dell’alchimia, che mise mano a due fiale nella nuova cintura del suo costume. Le sue pozioni avevano effetti limitati nel tempo, ma prodigiosi se usati per brevi periodi. Infatti, una delle sue prime applicazioni, una volta liberato dalla lunga prigionia, fu proprio la creazione di cupole antiatomiche per conto di clienti militari.

Un rapido cenno, un mormorio in una lingua antica, e la polvere e il liquido liberati furono trasportati dall’elementale del vento sulla verticale del dragone ferito. In un momento, una cupola opaca fu tutto quello che i raggi al plasma riuscirono, senza effetto, a colpire.

 

<Max!>

Il dragone abbassò lo sguardo al suolo. Stargod era lì, a controllare la ferita all’ala, che era quasi stata spezzata in due –una condanna a morte, per un dragone dei cieli. “Mio Signore...Mi dispiace...”

<Risparmia le forze.> L’uomo-lupo era spaventato, le orecchie piatte sul cranio, il desiderio intenso di mettersi ad ansimare e guaire per la preoccupazione. Vedere Max cadere...come caddero Sashiel, e Barq...No! Erano morti -stavano già morendo- in troppi, di coloro che si fidavano di lui. Non lo avrebbe permesso, mai più, non se avesse potuto dire la sua, in merito!

Istintivamente chiuse gli occhi, rivolgendo le sue preghiere più intense alla pietra alla sua gola.

E la Godstone rispose! Rispose con un ondata di calore benevolo, come un tiepido sole primaverile, promettente il rigoglio della natura, la danza della vita che chiude le porte al freddo inverno, il rinnovamento...

Stargod non si accorse neppure, dei tentacoli di energia irradiare dalle sue mani alla ferita, la benedizione di un potere superiore riparare i tessuti e le ossa, pulire, fortificare...

Quando riaprì gli occhi, il miracolo era compiuto, e Max era in piedi sulle zampe posteriori, le ali spiegate e guarite!

Purtroppo, qualunque cosa avessero voluto dirsi sarebbe dovuta essere rimandata. I colpi dalla Torre, concentrati in un unico punto, stavano già per avere ragione della cupola di Diablo.

<Puoi distruggere la torre?> chiese Stargod.

La risposta di Max fu priva di esitazioni. “Prima bisogna rimuovere la loro barriera. Il mio potere deriva dalla Tempesta, e non devo avere ostacoli.”

A un cenno del dio lupino, Max si chinò abbastanza da permettergli di saltare fra le sue spalle. <Risparmia le forze, allora. A quel dispositivo penserò io.>

 

Finalmente, inevitabilmente, la cupola si infranse...E, allo stesso tempo, Max schizzò fuori, preceduto dal suo respiro a fulmine!

Quattro cannoni furono distrutti, rimuovendo il pericolo più immediato. Stargod, in piedi sulla testa del dragone, in mezzo alle corna, lasciò fluire la Godstone -che adesso era il familiare, impietoso sole estivo di un deserto, promessa di avvizzimento e morte- attraverso i suoi occhi.

Uno dopo l’altro, i cannoni della parete est furono distrutti. Nel calore della battaglia, John non si pose neppure il problema, di raggiungere eventuali limiti a quel terribile potere –tutto quello che contava, adesso, era fare quello che avrebbe dovuto da anni. Difendere Altro Regno, e vendicare i caduti!

Max raggiunse l’altezza della cima della torre, il generatore del campo di forza una orrenda corona tecnologica di antenne.

Un unico, fluido movimento. Stargod estrasse la sua nuova alabarda dalla schiena, vi canalizzò il potere della Godstone, e la mosse in un ampio arco di ribollente energia. La corona di antenne fu semplicemente obliterata!

La barriera ebbe un ultimo fremito, e svanì.

Max rivolse lo sguardo al cielo, contemporaneamente levando le zampe a coppa, in una preghiera roboante. “Padre Cielo, Madre tempesta! Ascoltate il Vostro figlio, lasciate che la Vostra voce diventi la mia, che la Vostra Furia scorra in me!” E, obbedientemente, banchi di nuvole plumbee riportarono la notte sul cielo albeggiante –una massa di metallo gorgogliante fulmini che avrebbero potuto incenerire facilmente anche il dragone. La pelliccia di Stargod iniziò a drizzarsi, il metallo della sua armatura a scintillare –se c’era un momento in cui la Godstone doveva proteggerlo, quel momento faceva meglio a essere giunto!

Prima fu il vento! Improvvisamente, il drago divenne il cuore di una serie di raffiche che avrebbero potuto sollevare una montagna, strappare via le ossa dalla carne.

E le nuvole eruttarono! Scariche così abbaglianti da rivaleggiare con le lune gemelle convogliarono all’unisono nel corpo di Max, trasformandolo in un allucinante demone elettrico. La sua carne divenne addirittura trasparente, lasciando distintamente vedere le ossa!

Max portò le zampe così simili a mani in avanti, battendole insieme con un fragore che distrusse molti vetri della città e della torre e scosse il suolo.

Quando le separò, l’energia che percorreva il suo corpo e tutta la forza del vento erano ormai convogliata interamente in una pulsante sfera racchiusa fra i palmi.

In un ultimo ruggito, il dragone dei cieli scagliò la sfera in basso, dritto sulla torre Tok.

Poco prima dell’impatto, la sfera perse la sua forma, per diventare una lancia di puro potere. La lega metallica fu letteralmente disintegrata. La lancia percorse l’intera lunghezza della torre, il suo percorso punteggiato da una esplosione dietro l’altra delle sezioni che travolgeva, per terminare in un ultimo, poderoso spettacolo pirotecnico che trasformò la base in un geyser di morte!

 

Le nuvole si dissolsero, lasciandosi dietro la desolata devastazione di Kalgarn e della torre aliena, i fumi degli incendi spenti e in corso ad evidenziare quello scenario come arterie di un cuore marcio.

John stava solo ora uscendo dagli effetti dell’adrenalina, e non sapeva se sentirsi esaltato o mettersi a vomitare. La Dottoressa Kafka, che aveva fatto il miracolo di condurlo sulla via dell’autoaccettazione, gli aveva detto del suo vero carattere, molto più determinato ed aggressivo del modello inibito forzato dal padre...Ma questo!

Distrattamente, accarezzò il collo del dragone, avvertendone l’orgoglio e l’amicizia. In questo mondo, avrebbe dovuto imparare a pensare in termini molto diversi da quelli usati per una vita sulla Terra...Ma quelle considerazioni dovevano aspettare. Ora, c’erano spiegazioni da avere, e*

La sua espressione tornò accigliata, la mascella aperta in un ringhio. C’era una luce nuova, nel cielo! Come se una stella si stesse accendendo...

 

I Tok sopravvissuti erano stati radunati in una piazzola, guardati a vista da uomini armati di lance e spadoni, uomini a loro volta spalleggiati dai quattro alleati di Stargod.

Stranamente, il soldato con le pitture più ricche aveva un’espressione quasi umana di soddisfazione.

Iron Monger si fece avanti. “Cos’hai da sorridere, animale? Credi che sia divertente?”

Il soldato fece saettare la lingua. “La sola cosa divertente è la vostra ingenuità, sciocchi mammiferi: credevate davvero che i nostri Sovrani vi avrebbero lasciato fare quello che volevate qui, se non fosse che l’intera Kalgarn è sacrificabile?

Ci fu un momento di stupore. Il rettile riprese. “La barriera serviva a contenere il vostro cosiddetto ‘dio’, appestato dalla tecnologia Proibita, mentre i Reali decidevano se immolare Kalgarn o no, per impedire la diffusione del male. E questa battaglia ha dimostrato che l’immolazione è l’unica soluzione possibile!”

 

A sottolineare le parole del soldato, una mostruosa colonna di energia scese dal cielo sulla città! E un nuovo sole fu acceso in terra...

 

Episodio 4 - Con amici come questi…

 

Nei cieli di Altro Regno, Microverso

 

Si chiamava S’shadz, e solo per un caso, questa montagna volante rovesciata grande quanto l’Everest, questa astronave, sembrava il più grande frammento dell’anello di montagne che circondava il mondo di Altro Regno.

Mai avrebbero potuto essere più alieni i suoi costruttori, i feroci rettiliani noti come Tok, che alla loro nave-madre, che fungeva anche da sede della Stirpe Reale, avevano dato il nome del loro pianeta d’origine, perso secoli prima ad opera di un invasore ancora più spietato di loro.

Come un sinistro occhio vigile, S’shadz, a differenza dei frammenti dell’anello, si muoveva a proprio piacimento, sorvegliando le attività sulla superficie del mondo sotto il tallone Tok.

Poche ore prima, i Reali su S’shadz avevano ricevuto notizia di un sedicente ‘Dio protettore’ giunto a Kalgarn, tale Stargod –in sé una seccatura irrilevante, facilmente sottomesso...Ma non era il ‘ribelle’ a preoccupare le autorità locali, bensì un terribile male che il ribelle portava dentro di sé, una minaccia di portata globale!

Nonostante tale, terribile frangente, gli stessi Reali avevano chiesto, dato che i naniti erano dormienti, di tenere il ribelle in isolamento in un campo di stasi, per farlo portare su S’shadz ed ivi esaminarlo senza rischio. Forse, questa volta sarebbero riusciti a sviluppare un vaccino per il male...

Poi, le cose erano precipitate. Impotenti, i Reali avevano dovuto assistere alla distruzione dell’avamposto su Kalgarn da parte del ribelle e di altri suoi alleati –ma non era decisamente quello, il primo pensiero in cima alla lista dei Reali. Ben più sinistra era la prospettiva della contaminazione del mondo che doveva essere la loro nuova patria.

Per tale ragione, a questo punto, giunti sulla verticale di Kalgarn, i Reali predisposero l’immolazione, il sacrificio di Kalgarn.

A una sequenza di comandi, la base della montagna iniziò ad aprirsi, le sezioni scorrere via come portelli corazzati quali infatti erano. Nell’ambiente muto dello spazio, la bocca cristallina di un mostruoso cannone emerse dalla sua protezione, già brillando delle prime energie.

Il Volter Cannon era l’arma non convenzionale più potente dei Tok. Una scarica elettromagnetica veniva convogliata contro una cartuccia di idrogeno a tale pressione da risultare metallizzato. La potenza dell’esplosione veniva trattenuta in un tunnel elettromagnetico, che fungeva anche da conduttore per il plasma. Di fatto, quella che arrivava sull’obiettivo, era un’esplosione termonucleare controllata.

Finalmente, il cristallo arrivò al punto di massima luminosità, pronto a focalizzare il tunnel EM. Ultimo comando. FUOCO! E il cielo di Altro Regno fu violato dalla cicatrice atomica. Un attimo dopo, un nuovo sole fu acceso al suolo.

 

Buio.

Il buio lo circondava, l’oscurità era assoluta; lo spazio era un concetto astratto, e il tempo un fiume fermo.

Era nudo, nella sua forma umana, sospeso nel nulla. Ma non c’era freddo, non c’era movimento. Claustrofobia e agorafobia si contendevano la mente di John Jameson, annullandosi a vicenda, lasciandolo solo col suo stupore.

Perché era lì? L’ultima cosa che ricordava era la luce. Una luce abbagliante come quella del sole, molto più calda di quella del sole. Era venuta dal cielo, e aveva riempito il mondo...

Ricordava!

Lui stava cavalcando il dragone Max. E la sua forma era quella di Stargod, l’uomo-lupo, il dio protettore di Altro Regno. Insieme, avevano appena distrutto un avamposto dei Tok...e poi era giunta la luce.

Cosa era successo, dopo? John si portò la mano alla gola, dove brillava, di una luce calda e rossa, la sua Godstone, ricettacolo di un potere quasi infinito –o almeno così lui riteneva. Un potere che doveva avere fallito.

Possibile che questo fosse l’Inferno? In fondo, la Bibbia lo descriveva così, un non-luogo, un niente in cui il peccatore era perso per sempre...

°Non sei all’inferno, John Jameson, ne’ sei morto.°

!

La ‘voce’, lo sentiva, non parlava alla sua mente, ma alla sua stessa anima. Ed era dolcissima, la sorgente per l’assetato in un’oasi infernale, il frutto più ricco per il viaggiatore affamato. Ed era ovunque, lo avvolgeva come una madre ritrovata.

John rispose con gioia, e la madre si mostrò al figlio, come una tempesta di stelle, un Big Bang dapprima amorfo, poi, mano a mano che la velocità diminuiva –secondi o eoni?- un insieme sempre più delineato, coerente. Fino alla forma finale.

Una lupa.

Una creatura celestiale, letteralmente, fatta non di carne e sangue, ma di stelle ed etere cosmico. I suoi occhi erano giganti rosse, la sua coda un frusciare di pioggia di comete, una galassia spettacolare nel cuore, nubi protostellari nelle zampe...

John Jameson, quando ancora lavorava come membro dell’equipaggio a terra dei Vendicatori, aveva studiato i database e speso molte ore piacevoli ad ascoltare le loro storie di viaggi al di là dei confini della realtà. Aveva sentito e letto dell’incarnazione dell’Universo, Eternità –e per quanto spettacolare, al limite dell’immaginabile, potesse essere una simile entità, da quello che aveva sentito era anche percepito come distaccata, fredda, calcolatrice.

Questa entità cosmica era diversa! Nella sua maestosità, non guardava a John come un essere inferiore, ma con affetto... °Mi dispiace di non essermi manifestata prima, figlio mio,° disse di nuovo la lupa cosmica, e John fu quasi sopraffatto dalla felicità. °Ma dovevo aspettare, avere la prova finale che fossi degno di me e del dono che ti ho concesso.°

John sobbalzò. “Sei Antesys?“

La lupa sorrise, e interi mondi risplendettero nei suoi denti, illuminati dal sole nella lingua. Era lei, l’incarnazione del Multiverso, l’uovo cosmico ed il pulcino insieme...

“Credevo che fossi un dragone,” disse John, sentendosi un blasfemo in quella scintilla di inutile dubbio. Max aveva descritto Antesys, infatti, come il dragone cosmico...

La lupa si mise seduta. Avvolse la coda intorno alle gambe, e mondi interi vennero fertilizzati dalle stelle cadenti. °Sono il dragone cosmico, e sono la lupa che accettò in sé il seme di un lupo mortale per generare il primo Stargod. E sono stata con te come con il primo dei miei figli.°

“Hai parlato di una...prova finale...”

°L’accettazione del tuo ruolo. Un tempo, solo i licantropi, potevano udire il mio richiamo. Da millenni, ho chiamato a me un nuovo figlio dal mondo che per voi è la Luna, ma, ahimè, erano troppo lontani, anche se mi potevano sentire ed essere influenzati quando la Luna era piena.

°Ho guardato con gioia alla nascita della vostra era spaziale, sollecitata in segreto dai licantropi più influenti negli affari umani. Ma, ahimè, il richiamo non era forte abbastanza da garantire un licantropo sulla Luna. I vostri complicati riti di potere non potevano permettere azioni unilaterali...°

John trovò il coraggio di interromperla. “Per questo i mannari sono sensibili alla Luna piena? In tutto questo tempo...? Ma, allora, perché io? Io sono un mutante, non un vero...” ricordava bene di quando aveva ‘trovato’ la Godstone, un oggetto così unico in mezzo alla polvere lunare. Ricordava di come si fosse sentito inspiegabilmente attratto dall’oggetto, desiderandolo con un’intensità che anche allora lo aveva sorpreso. Chiederlo per sé era venuto naturale come respirare.

Antesys si mise sdraiata come una sfinge. Improvvisamente, non era più una lupa, ma il grande dragone, severo, potente, il Demiurgo. Le sue ali erano spiegate, e in esse stelle nascevano e morivano per fertilizzare altre stelle lontane. °I mutanti come te hanno avuto la fortuna di nascere sensibili al mio richiamo. La tua passione per le stelle ti aiutò a sentirmi, quando ti chiesi di venire a me.°

John non sapeva cosa pensare. Era così sicuro di avere scelto di sua libera volontà...

°Non incamminarti sul sentiero del dubbio, figlio mio,° disse Antesys, protendendo il collo. °Hai esercitato la tua libera volontà fino al giorno in cui hai deciso di essere Stargod una volta per tutte. Non ho mai cercato di impedirti di essere te stesso. Hai avuto molte occasioni di rinunciare ad essere Stargod, perfino di fronte all’adorazione di coloro che ora proteggi.

°Non sono responsabile delle tue scelte, non più di quanto un mortale carismatico sia responsabile di avere influenzato un suo simile verso una strada lunga una vita. Dentro di te, mi amavi fin da quando mi udisti la prima volta.°

Ed era vero. John ripensò alle lunghe sedute con la psicologa Ashley Kafka. Di tante cose avevano parlato, ma su una cosa lei era inamovibile: Man-Wolf, un essere apparentemente selvaggio e folle, si comportava in modo tale per liberarsi delle inibizioni a cui John Jameson era costretto. L’uomo-lupo faceva quello che a John non era neppure permesso di pensare dal suo dittatoriale padre.

Com’era stata, la prima volta? La prima trasformazione, che la Godstone aveva finalmente permesso? Oh, sì, John aveva avuto paura, ma quello era stato normale –chi non sarebbe terrorizzato di fronte a un simile sconvolgimento? E con la trasformazione, il torrente di emozioni, la lunga corsa nella notte, la libertà! Era stato fortunato, quel poveraccio che aveva avuto la sfortuna di trovarsi sulla strada del lupo...Quasi ci aveva rimesso la vita, ma Man-Wolf aveva troppa fretta di assaporare la libertà, per preoccuparsi di finire lo sventurato...

E in quella notte, il lupo aveva cantato, aveva gioito insieme al potere che lo ‘alimentava’.

Sì, John amava Antesys.

Ma era ora di sapere altre cose. “Se non sono morto, dove sono adesso?”

°Il tuo corpo giace in un letto, in coma. Gli invasori Tok hanno cercato di distruggere la città di Kalgarn con un’arma termonucleare[4], e tu hai assorbito l’esplosione, riducendola a una innocua manifestazione di luce. Di norma, una simile manifestazione non avrebbe dovuto avere alcun effetto...Ma hai inconsciamente, intensamente, creduto di morire nel tentativo, da spingere il tuo corpo a reagire di conseguenza.

°Ti riprenderai presto, ma c’è una cosa che devo chiederti.°

John vide Antesys cambiare ancora forma, di nuovo a lupa, ma questa volta antropomorfa, e piccola abbastanza da potere abbracciare l’uomo –cosa che fece, trasmettendogli sensazioni indescrivibili, di pace ed armonia senza fine...John, d’impulso, accarezzò la criniera di nebulose di lei, avvertendo come una piacevole scossa...

Senza smettere l’abbraccio, Antesys disse, °Non devi abusare del tuo potere, mai. Non cedere alla tentazione di pensare per gli altri, o di legiferare per loro...La tentazione sarà forte, e per un simile abuso tolsi la Godstone ai dragoni che per primi l’ebbero in custodia.°

John annuì, ricordando che la stessa cosa gli disse Max...

Concatenazioni. Cosa sarebbe successo, se i dragoni non avessero perso la gemma? Non ci sarebbe stato il patto con i lupi, la gemma non avrebbe lasciato Altro Regno...

E perché il precedente Stargod aveva lasciato il suo mondo, per venire sulla Luna? Non aveva senso, era peggio che lanciare una bottiglia nel mezzo del Pacifico per chiedere aiuto...Una premonizione, allora? O su Altro Regno c’era qualcosa o qualcuno capace di mettere in pericolo la Godstone stessa? Oppure..?

°Saprai tutto a suo tempo, figlio,° disse Antesys, staccandosi, tenendogli delicatamente le mani. °L’esperienza, non l’onniscienza, porta alla maturità, e tu hai ancora una lunga strada in questa nuova vita.°

L’incontro stava per terminare. Quanto tempo era passato, sul suo piano, si chiese fugacemente l’uomo...Ma era più preoccupato della separazione. Non voleva lasciarla. “Ci potremo rivedere?”

°Quando vorrai.°

Il corpo di Antesys esplose! Una miriade di mondi, universi, realtà che travolsero la mente mortale. John si abbandonò, e il buio calò anche nei suoi pensieri...

 

Tempo: ora

 

Stargod, seduto alla base del collo di Max, vide la prima luce: una scintilla intermittente, ma intensa, come se una nuova stella si fosse presentata nel firmamento. Un terribile senso di premonizione attraversò ogni fibra del dio lupino. Non si accorse neppure, di essersi messo a volare; l’istinto, o forse la conoscenza trasmessa dai suoi predecessori attraverso la gemma, aveva preso il sopravvento. Stargod ignorò i richiami di Max, ignorò qualunque cosa che non fosse la luce nel cielo, una luce che si faceva sempre più forte col passare dei secondi...Solo il tempo di lanciare un avvertimento...

ESPLOSIONE! Energia sufficiente a trasformare Kalgarn e molte miglia intorno ad essa in una nuvola atomica. Colpì quasi alla velocità della luce, trasformandosi in una sfera ardente e di un bagliore tale da incenerire le retine!

 

“No...no...” nell’ammutolimento generale di coloro che erano a terra, fu Iron Monger a spezzare il silenzio per primo. I filtri ottici dell’armatura proteggevano Richard Rennsaeler dalla cecità, ma non dall’orrore –come poteva chiunque usare un’arma nucleare contro il nemico?! Ebbe una visione fugace, ma vividissima, di suo figlio, il suo povero ragazzo, diventato autistico proprio per la psicosi nucleare. “Non può essere sopravvissuto, non può...”

Accanto al guerriero di metallo, il Seminatore di Morte, il mantello nero avvolto come un bozzolo intorno al corpo, guardava verso il cuore dell’inferno –che ora era un calderone di energie ribollenti ancora fermo a mezz’aria. “Siamo ancora vivi, Iron Monger, e questo è più di quanto persino io mi aspettassi. Il Dio sopravvivrà.”

Per conto suo, Diablo, gli occhi protetti da una delle sue innumerevoli pozioni alchemiche, non poteva che condividere questa certezza, perché neppure lui aveva visto qualcuno tenere sotto controllo una simile applicazione distruttiva di potere. Ironico, chiamavano lui un uomo pericoloso, quando da sola la tecnologia poteva addirittura ridicolizzarlo!

 

Ma nessuno fra tutti i presenti, in tutta Kalgarn, era più spaventato del possente dragone azzurro che batteva freneticamente le grandi ali per rimanere sospeso, nonostante le tremende correnti generate dall’esplosione nucleare. Max aveva obbedito all’ordine mentale del suo signore di tenere la testa voltata, e anche così, ora che la luce si stava affievolendo, per essere sostituita da quella soffusa dell’alba, macchie nere gli ballavano davanti agli occhi.

La luce decrebbe d’intensità, si ridusse finalmente a un unico punto...il corpo dalla bianca pelliccia di Stargod, saturo di radiazioni!

“Mio Signore!” ruggì Max, e si precipitò a prendere l’inerte figura priva di conoscenza...Quando fu prevenuto da un’altra figura, un uomo-gatto che apparve a mezz’aria! L’essere era una figura robusta, maschile, il corpo dalla pelliccia arancione parzialmente coperto da una specie di armatura di cuoio. Il nuovo arrivato afferrò Stargod, e...con esso si lasciò cadere a terra. Mentalmente, comunicò al dragone che già stava per inseguirli, <NO! E’ talmente radioattivo, che anche senza toccarlo rischi di morire avvelenato! Lascia che ci pensiamo noi!>

Max aveva visto questi strani, sconosciuti alleati combattere contro i Tok, e si tenne a distanza...anche se ancora abbastanza vicino da attaccare se avessero tentato qualcosa di strano...

Ma tutto quello che avvenne fu che la figura dell’uomo-gatto fu afferrata a sua volta per le braccia dal sintezoide noto come Avatar. Insieme, portarono Stargod verso il castello.

 

S’shadz

 

Procedeva a passi regolari, gli echi degli stivali metallici annuncianti la sua presenza alla stanza in fondo al corridoio. Le guardie, soldati Tok disposti a intervalli regolari su entrambi i lati, ognuno di loro abbastanza forte da spezzarla in due, le lanciavano occhiate risentite, come se la sua sola presenza fosse una grave offesa.

Ma lei, quegli sguardi li poteva bellamente ignorare. Andò fino alla stanza, ed entrò con lo stesso passo sicuro, il portamento eretto, il mantello scarlatto frusciante intorno alle caviglie. In compenso, fu abbastanza saggia da chinarsi su un ginocchio alla presenza

del Principe Ssylak. Seduto su un trono di roccia, il più giovane membro della Stirpe Reale dei Tok era, come ogni suo consanguineo, l’incarnazione vivente della perfezione Tok. Non solo fisicamente perfetto -il corpo alto più di 2 metri, forgiato da una gravità doppia rispetto a quella terrestre, coperto di affilate e robuste placche che sembravano un’armatura a parte, e decorato non solo da una temibile coda irta di spine, ma anche da un paio di enormi ali- anche la sua mente era un’arma affilata, sviluppata al massimo grado, dando al suo possessore doti telepatiche e telecinetiche.

Ssylak disse al suo ospite, “Così, il blasfemo...Stargod è più potente di quanto potessimo immaginare. Cosa ti fa pensare, a questo punto, di essere capace di riuscire dove persino la nostra arma più potente ha fallito?”

La donna levò lo sguardo, fissando il principe con i suoi occhi bianchi, bordati di nero. Le sue labbra nere si stesero in un sorriso crudele. “Riuscirò perché sono...un mammifero, e conosco Altro Regno in quanto sua nativa. Mio padre ha avuto a che fare con questi esseri alieni, e mi ha trasmesso un prezioso bagaglio di conoscenze. E, infine, io stessa sono più determinata di voi a liberarmi del blasfemo che uccise mio padre. E senza bisogno di distruggere il pianeta.”

Il principe annuì. “I Reali approvano la tua determinazione, Generale, e ti augurano il successo. Usa pure ogni mezzo che i Tok possono offrirti, ma non permettere la diffusione del contagio. Fallisci, e perirai per nostra mano.”

La donna si alzò in piedi, e fece per allontanarsi, il trionfo sul volto...Che divenne di colpo l’espressione di chi avesse appena ingerito qualcosa di ripugnante, quando, dietro di lei, Ssylak disse, “Naturalmente, il Generale Vryton ti accompagnerà in qualità di supervisore.”

Lei non commentò –del resto, doveva aspettarselo, da quella razza di arroganti paranoici!

 

“Radioattività completamente riassorbita. Stato di coma persistente, di natura stimata psicologica. Tempi di ripresa: sconosciuti.”

Il Seminatore di Morte ascoltò il rapporto di Avatar, impassibile dentro l’ombra nera del cappellaccio e del colletto del mantello. La sua attenzione, come quella degli altri presenti nella camera degli interrogatori, era concentrata su alcuni dei Tok fatti prigionieri.

La camera era, di fatto, una sala delle torture che avrebbe fatto molto felice il signor Torquemada. Purtroppo, per quanto avrebbe potuto essere facile spezzare un uomo, lì dentro, era tutt’altra cosa per quanto concerneva i Tok. Infatti, uno di loro, un soldato, legato saldamente da catene speciali, era ancora fresco come una rosa, le placche corporee appena scalfite; e sorrideva sprezzante.

Il torturatore, un omone nudo fino alla cintola e forte come un orso, scuoteva tristemente la testa calva imperlata di sudore. “E’ peggio di un demone, mio sire. Nulla di quello che abbiamo qui può fargli alcunché.”

Re Diomacus, splendido in un’armatura di cotta coperta da un ricco abito scarlatto con una stella dorata sul petto, spada al fianco e mantello azzurro bordato di pelliccia bianca, fissò trucemente lo sventurato aguzzino. Poi, riluttantemente, si rivolse al Seminatore. “Immagino, messere, che lei e i suoi camerati possiate invece fare qualcosa.”

Il Seminatore ignorò il disprezzo nella voce dell’uomo, e fece un cenno ad Avatar, che avanzò con passi metallici verso il soldato.

“Ultima possibilità di confessare spontaneamente,” disse il Seminatore. “Quando Avatar avrà finito con te, sarai ridotto a un vegetale sbavante.”

Il rettiliano emise un sibilo di chiaro significato. Il sintezoide portò una mano al cranio corazzato. Le parti scoperte del corpo –cosce e braccia- iniziarono a brillare di una luce più intensa di quella normalmente manifestata. Il rettiliano rimase impassibile, ritratto vivente della fedeltà fino alla fine.

Poi, Avatar aprì la bocca. Sotto gli occhi atterriti del Re e dell’aguzzino, un tentacolo di energia scaturì dall’orifizio, per andare ad infilarsi in un occhio del rettiliano. L’alieno urlò, un verso disumano, di dolore ultraterreno; il suo corpo si irrigidì, piegato ad arco, al punto da strappare le catene dal muro, ma ancora sostenuto senza sforzo dalla mano di Avatar.

Finalmente, il processo fu terminato. Il tentacolo di energia tornò da dove era venuto, e come promesso, il soldato Tok crollò a terra, poco più di un relitto sbavante, inerte.

“Dunque..?” chiese Diomacus, non senza rivelare un certo pallore e tenendosi a distanza.

La parte del volto di Avatar non coperta da una placca metallica rimase impassibile. “Acquisizione dati insoddisfacente a fini tattici. I Tok sono divisi in rigide caste sociali; i soldati rappresentano la manovalanza, ed esistono per obbedire senza fare domande, e sono fanatici abbastanza da non tradire mai la loro Famiglia Reale. Tutto quello che questo soldato sapeva riguardava la torre. I soli che potevano darci informazioni utili erano i sacerdoti deceduti.”

Il Seminatore annuì. “Uccidi gli altri, allora.” Poi, si rivolse all’aria, in realtà attivando un microfono subcutaneo nella gola con una contrazione muscolare. “Grigar, rapporto.”

 

In una stanza in cima a una torre del castello, l’uomo-gatto rispose con lo stesso mezzo, con una voce profonda e ronfante, intonata al suo aspetto. “Nessun segno di ripresa,” disse, osservando la figura sdraiata su un letto talmente soffice da sembrare avvolgerlo. Le sue armi giacevano su un tavolo vicino.

“Continua a vegliare, allora. Noi saremo impegnati ad elaborare una strategia di difesa.”

Grigar annuì di riflesso. Quando la comunicazione fu tolta, l’essere fissò con preoccupazione il Dio lupino. Stargod era l’unica speranza di salvare la sua gente dal Limbo in cui erano stati confinati secoli addietro! Solo per questo, aveva accettato di fare parte del gruppo.

Non gli piaceva, di restare inerte in quella stanza, ma era il solo più indicato: radiazioni, frecce, fuoco –nulla di ciò che appartenesse al piano mortale poteva solo ferirlo, dato che lui, come ogni suo simile, era un demone. La permanenza nel Limbo aveva profondamente modificato la loro natura...ma ancora c’era speranza. Una volta liberi dal Limbo, avrebbero potuto tornare ad esistere come esseri liberi!

Grigar, un tempo il Balkatar del Popolo Felino, accarezzò la mano di Stargod. E pregò.

 

Il salone era stato studiato per le riunioni dell’equivalente dello stato maggiore. A un capotavola sedeva Re Diomacus, all’altro la seconda autorità in comando –in questo caso, una sedia tristemente vuota.

Ai lati, stavano i rappresentanti delle classi nobiliari –quelli sopravvissuti alla purga dei Tok. C’era da ammettere, almeno, che la selezione di esemplari era impressionante. Il concetto di rammollimento doveva essere sconosciuto persino fra i ricchi.

Uno di quei nobili, un uomo dai capelli tagliati a spazzola e anche lui in armatura leggera, stava dicendo al Re, “...e con il ritorno del Dio, la speranza arde più forte che mai! Ogni uomo in piedi, foss’anche con una gamba e un braccio soli, è pronto a brandire un’arma e conquistare il mondo. Diamine, anche i bambini vogliono fare la loro parte!”

Diomacus annuiva, soddisfatto. “E cosa sapete dirmi delle popolazioni della foresta? Accettano di tornare ad essere nostri vassalli? La produzione di cibo deve riprendere, e abbondante, se vogliamo sostenere un esercito...Ma, prima di tutto, dobbiamo capire da che parte stanno veramente questi stranieri che si definiscono ‘alleati’ dello Stargod.”

La domanda sul chi fossero era implicita, ma nessuno aveva il minimo indizio. Che piacesse loro o no, dovevano aspettare che fosse il Dio, a decidere, una volta risvegliatosi… “E se fossero proprio loro, la causa del suo male? Dopotutto, non hanno permesso ad alcuno dei nostri mistici guaritori di assisterlo.”

 

“Qui si mette male, gente,” disse Richard Rennsaeler, nel suo costume di Overrider, e impegnato con un auricolare. La cimice che aveva piazzato su Diomacus funzionava che era un piacere, senza quelle interferenze causate da una miriade di altri apparecchi elettronici tipici di una civiltà progredita. “Dite quello che volete, ma mi sentirei più a mio agio con un funzionario Sovietico nella Guerra Fredda, che con questo sovrano.”

I cinque rimanenti associati di Stargod erano radunati in una taverna. L’affollamento e gli odori erano tali da dare il capogiro, a chi fosse al massimo abituato a un pub nell’ora di punta. Qui nessuno fumava sigari o sigarette, e tutti erano chiassosi a livelli familiari -ma compensava ampiamente il lezzo di sudore, di cibi fortemente speziati, di alcolici ben più potenti dei liquori terrestri, di vomito misto a segatura.

Per giunta, erano non poche le occhiate fra il curioso ed il diffidente che il gruppetto stava ricevendo a intervalli più o meno regolari –a seconda di quanto ubriaco o no fosse il proprietario degli occhi in questione…Non che, comunque, fossero ingiustificate.

Rennsaeler, Diablo e Max, boccali di birra davanti e piatti di carne e tuberi, erano i meno appariscenti. Max aveva assunto, per l’occasione e non senza protestare, l’aspetto di Maxwell Dillon, il corpo che per anni aveva occupato dandogli i poteri di Electro[5]. In compenso, il dragone ci aveva messo del proprio, e assomigliava molto a un possibile fratello barbaro e anabolizzato di Dillon.

Il Seminatore e Avatar erano rimasti in costume. Era un po’ come se una coppia di emissari diabolici incombesse sulla combriccola!

Il Seminatore non si aspettava di meno, del resto. Questa gente era ancorata a un concetto poco sofisticato di valore; un grammo di fatti avrebbe avuto più valore di una tonnellata di parole delle più sincere. Svelare i propri piani a Diomacus avrebbe generato innecessaria confusione; difendere Kalgarn dai Tok lo avrebbe convinto.

“Piuttosto,” fece Richard, abbassando la voce, “sei sicur…sicuro di questo nuovo attacco imminente?”

L’ombra nera annuì, la sua voce come una calamita per gli avventori a portata d’orecchio. “E’ la loro migliore occasione: non possono non pensare di avere almeno gravemente indebolito Stargod. Una rappresaglia si impone.”

“Potrebbero riutilizzare quell’arma nucleare,” osservò Rennsaeler. “Stavolta, non ce la caveremmo.”

“Escluso,” disse il Seminatore, e abbracciò l’ambiente intorno a loro con un cenno. “I Tok hanno bisogno di questo mondo e delle sue risorse. Se continuano a credere che solo Jameson sia ‘contagiato’, cercheranno di catturarlo.

“La nostra strategia deve essere essenzialmente di movimento, di esautorazione del nemico. Non oseranno fare tabula rasa, e dovranno stare sulla difensiva. Ma prima, dobbiamo essere noi stessi a risolvere l’’infestazione’.”

“Sai già di cosa si tratta?” chiese Diablo, realizzando che i sinistri occhi gialli stavano fissando lui.

“Molto prima di recuperare la Godstone sulla Luna, John Jameson era stato inviato in una missione segreta verso Giove. In tale occasione, durante una sessione EVA[6], venne a contatto con una nube di presunte spore. Tornato sulla Terra, le spore si attivarono, conferendogli un progressivo aumento di massa e instabilità mentale.

L’Uomo Ragno, apparentemente, neutralizzò le spore, ma evidentemente si era sbagliato. All’epoca, non c’erano gli strumenti per determinare la natura di quei corpi estranei, ma da quello che il soldato Tok ha detto sulle ragioni dell’’immolazione’, deduco che siano naniti.”

“So che sembra stupido, chiederlo,” disse Rennsaeler, dopo essersi bevuto un sorso della birra locale, “ma non potremmo semplicemente dirlo a Jameson e lasciare che li frigga lui?”

“Questo era fuori discussione. Ma temo che i naniti non apprezzeranno il tentativo di rimozione. La loro origine è sconosciuta, le motivazioni dei loro costruttori sono sconosciute; so solo che anche se si trovano in uno stato di apparente quiescenza, vulnerabili, possono avere usato la simbiosi con Stargod per assorbirne delle proprietà. Non è da escludere, se possono già effettuare modifiche genetiche.”

Fra i tanti vantaggi che poteva offrire il trovarsi in un mondo a tecnologia medioevale, c’era che virtualmente nessuna delle orecchie curiose poteva afferrare un’acca di quanto il gruppo si stava dicendo.

“Sei stato poco partecipe, Max,” disse Diablo. “Nessuna proposta da suggerire?”

L’uomo/dragone fece spallucce. “Ho letto le vostre menti, e sono sicuro che voi abbiate la salute del mio signore più a cuore di Diomacus, e che farete del vostro meglio per aiutarlo. E se gli fate del male, vi ucciderò io stesso.” Lo disse come se avesse enunciato che l’acqua è bagnata, tranquillamente.

Nessuno ebbe da ridire. Avevano visto il dragone in battaglia, e sapevano che, fra tutti loro, lui era l’essere più potente dopo Stargod. Nel bestiario di Diablo, i dragoni naturali terrestri erano esseri di grandi doti magiche; non aveva ragione di credere che per quelli di Altro Regno fosse diverso. I suoi incantesimi avrebbero potuto benissimo risultare inefficaci contro di loro!

Ulteriori riflessioni furono interrotte da una cacofonia stonata sulla sinfonia di rumori della taverna –una cacofonia di vassoio metallico a terra, boccali rovesciati, liquido a formare pozze a terra...e un grido femminile!

Il Seminatore di Morte fu il primo a levarsi in piedi, a guardare in direzione dei rumori. Niente che fosse particolarmente interessante per gli altri avventori –era solo un gruppetto di uomini che avevano deciso di fare avances più decise ai danni di una cameriera. E la malcapitata era praticamente una ragazzina.

La giovane doveva essere alle sue prime armi, visto che le altre due donne di servizio si limitavano a lanciare occhiatacce di avvertimento ai maschi, le loro espressioni quelle di chi ne ha viste ben peggiori...

“Sono innamorato di te, bel fiorellino,” stava dicendo l’uomo che le aveva preso il braccio. Le stava passando una mano callosa sul ventre, in un maldestro tentativo di languidità. “E sono disposto anche a pagare per la roba che hai rovesciato, se fai la brava. Hm?”

Prima che una risposta potesse essere pronunciata dalla ragazza, una mano guantata di nero afferrò il polso dell’uomo. Una presa salda, che costrinse l’uomo a rivolgere uno sguardo ubriaco e infastidito al Seminatore. “L’ho vista prima io, messere.” A sottolineare le sue parole, i suoi due compagni estrassero i pugnali dalle cinture. La folla fece spontaneamente un varco, come un’arena vivente, tutti attentissimi e silenziosi.

“Lasciala,” disse il Seminatore, con un tono che avrebbe spinto uno zombie a tornarsene nella tomba.

L’uomo, purtroppo, era ubriaco, al di là di ogni ragionevole prudenza. “Costringimi, moscerino,” disse, convinto che un uomo disarmato non rappresentasse la benché minima minaccia...

In entrambi i casi, si sbagliava. Il Seminatore non era un uomo, ed era armato eccome! Una semplice pressione, e l’unità di bioscrambling nel guanto investì ogni singola cellula del polso dell’uomo, avvolgendo in un attimo l’intero avambraccio! L’uomo urlò come se gli avessero infilato il braccio in un tritacarne. Lasciò la ragazza solo perché i collegamenti muscolari e nervosi della mano erano irrimediabilmente necrotizzati! L’espressione dell’ora sobrio avventore era quasi comica da vedersi, mentre fissava il braccio pendere inerte, morto.

Il suo compagno non perse un attimo. Fu, a suo merito, talmente veloce che avrebbe potuto facilmente squartare il Seminatore...se il suo pugnale avesse incontrato un bersaglio solido! Invece, non poté impedire alla propria inerzia di farlo malamente rovinare sul pavimento, quando attraversò lo straniero come fosse stato uno spettro!

Il terzo uomo, che aveva finalmente metabolizzato i fumi dell’alcool abbastanza da sapere che non poteva vincere quella lotta, fece per allontanarsi...e si scontrò con Avatar!

Il sintezoide si limitò ad alterare la propria densità, ed infilò una mano nel ganglio nervoso ascellare dell’uomo, che cadde a terra in preda alle convulsioni, privo di conoscenza.

Saggiamente, nessuno intervenne. Tutti tornarono alle proprie ‘attività’ –l’esperienza con i Tok aveva insegnato i valore della discrezione, là dove prima sarebbe nata una bella rissa.

La ragazza ‘salvata’ si chinò a terra ed iniziò a ripulire. Non una parola di ringraziamento le uscì dalle labbra, nessuna luce di riconoscenza le brillò negli occhi. Dalle parole dell’ubriaco –che stava ancora seduto lì, a fissarsi il braccio, bianco e balbettante per lo choc- era chiaro che lei stava pensando ai soldi che avrebbe dovuto restituire per la birra versata.

Da una tasca interna del mantello, il Seminatore estrasse un sacchetto rigonfio, e lo lanciò all’oste. “Per tutti i danni,” disse, ed uscì dal locale, seguito a ruota dai suoi ‘compagni’.

 

“C’era proprio bisogno di dargli tutte le mie belle monete?” fece Max, sconsolato.

“Pessima mossa di pubbliche relazioni, se mi è permesso,” intervenne Diablo. “Cosa volevi dimostrare? Di essere in anticipo di 600 anni sul femminismo?”

Sotto il cappellaccio, Mary Elizabeth Sterling non commentò, dandosi invece della stupida. Diablo aveva ragione: finquando Stargod stesso non avesse fissato delle regole, se le avesse fissate, infrangere le regole avrebbe minato la sua credibilità!

Ma come poteva rimanere impassibile? Lei stessa era stata vittima di discriminazioni, l’ultima di una linea iniziata con la prima Sterling.

Le donne Sterling avevano un solo diritto: quello di stare zitte, vivere nell’ombra e dare figli maschi. Le femmine erano praticamente esiliate dalla nascita, abbandonate al proprio destino…Mary Elizabeth era stata, in tale senso, fortunata. Era stata adottata da un parente del ramo europeo della famiglia, e cresciuta lontana dalle tradizioni; soprattutto, alla morte del suo patrigno, aveva ereditato abbastanza da costruire un piccolo impero economico…

“Messere!”

Si voltarono all’unisono. Dalla taverna, stava uscendo, trafelata, una donna –era una delle cameriere anziane. In mano, stringeva il sacchetto che il Seminatore aveva dato all’oste.

La donna tese il sacchetto alla figura in nero. “Ho convinto l’oste a tenersi solo quello che gli serviva. Io vi ringrazio, per avere cercato di riscattare mia figlia…ma non posso proprio accettare.”

‘Riscattare’? Prima che il Seminatore potesse rispondere, fu accarezzato dalla voce mentale di Max. <Un uomo ha questo diritto, in quanto le donne in molti regni sono equiparate agli schiavi.>

“E se io insistessi?” chiese il Seminatore. “E’ mio diritto, e l’oste non potrebbe dire di no.”

La donna serrò le labbra, ma non rispose. Il Seminatore stava per chiedere a Max di leggerle la mente, quando, improvvisamente, l’uomo/dragone puntò lo sguardo da qualche parte nel cielo, verso il sole. Emise un verso rabbioso, che spinse Rennsaeler a mettere il casco. Guardando nella stessa direzione, il mutante abbassò la visiera. “Porca miseria.”

Erano puntini lontani, ma si stavano avvicinando rapidamente. Uno sciame di locuste metalliche, tutte disposte intorno alla loro colossale ‘regina’…

Il rapporto di Avatar non lasciava spazio a dubbi. “Forze stimate in 2.500 unità e un’astronave-madre. Armamenti pienamente operativi.”

Il Seminatore annuì. “Sono arrivati.”

 

Episodio 5 - Wolfquest

 

Uffici della TriCorp. Manhattan. Ore 04:37:12

 

Strani scherzi fa la mente, quando si è sotto stress.

Fino a non molto tempo prima, le ragioni che spingevano quest’uomo, seduto al terminal PC nel proprio ufficio, intento ad inserire ed elaborare dati, erano ben lontane da quelle umanitarie che, adesso, lo stavano portando verso un nuovo premio Nobel.

Ma Michael Morbius era un uomo abbastanza maturo da sapere apprezzare l’ironia della vita. Un tempo, la notte era il suo regno, e il terrore era la sua fede. Un tempo, Morbius era il sinonimo del Vampiro Vivente, il risultato di un terribile incidente scientifico, che lo costringeva a vivere a spese dei suoi simili, il cui sangue era la sola fonte di nutrimento consentitogli.

Ma era passato. Era guarito, umano E anche se ancora rabbrividiva ai ricordi, anche se ancora incubi atroci tormentavano le sue notti, Morbius aveva trovato il modo di indirizzare quelle energie negative in qualcosa di costruttivo.

La notte era ancora il suo regno. E nelle ore quiete, senza che nessuno potesse disturbarlo, quando le connessioni Internet raddoppiavano le capacità di trasferimento dati, Morbius portava avanti la sua battaglia contro un mostro infinitamente peggiore del Vampiro Vivente.

Lottava contro l’AIDS.

Doveva essere il punto culminante della sua carriera, la sua redenzione definitiva. Gli ultimi test di laboratorio erano stati un successo pieno -ma era proprio a questo punto, che s’imponevano batterie di controlli supplementari, filtri logici e matematici, verifiche su cui doveva ombreggiare il pessimismo per non peccare di ottimismo e mancare quell’unico, insignificante elemento che divideva la speranza dalla morte per milioni di vittime.

Senza contare l’abbattimento delle nuove barriere sociali che il male aveva portato. La fine dell’AIDS avrebbe tolto le zanne agli integralisti religiosi e ai ‘benpensanti’ in materia di etica sessuale. Niente più ‘flagello divino’ per i ‘peccatori’, ma solo un altro male curabile…

Morbius sbadigliò –che gli piacesse o no, non poteva più fare così tardi. Sorrise, e si piegò all’indietro, facendo piacevolmente schioccare le vertebre. Avviò lo spegnimento del terminal, e col sottofondo dell’hard disk guardò l’orologio: ancora ben cinque ore di sonno, calcolato il tempo di arrivare a casa, doccia e cambio d’abiti –ugh, da quanto tempo stava dormendo, in quel completo? E poi si chiedeva perché gli assistenti gli lanciassero delle strane occhiate, al suo passaggio…

Poi, nel monitor ormai spento, vide il proprio riflesso.

Vide il volto smagrito, ferale, la pelle bianca dalla mancanza di sangue, gli occhi bordati di nero, gialli, le pupille due malevole fessure. E la bocca contorta in un sorriso dai canini acuminati.

Morbius non si accorse neppure di stare urlando, mentre, freneticamente, spingeva la sedia all’indietro. La sedia si rovesciò, e lo scienziato rovinò a terra, scompostamente, pallido sì, ma dal puro terrore che onubliò i suoi pensieri!

Non seppe neppure quanto tempo passò così, rannicchiato in posizione semifetale, tremante, prima di trovare l’enorme forza per mettersi almeno in ginocchio, per sollevarsi appoggiandosi alla scrivania, per fissare il monitor che come la Morte Rossa attendeva di mostrare il proprio volto prima di condannare chi l’aveva incautamente negata…

E vide il proprio volto. E vide che era quello di sempre, normale. Umano.

Morbius si terse la fronte imperlata, gelida. Un incubo a occhi aperti. Magnifico! pensò. Dio, aiutami a mantenere la sanità mentale almeno fino a quando la cura non sarà disponibile sul mercato! Andò alla porta, e girò la maniglia, accettando il pallore alle mani come conseguenza della stanchezza e dello spavento...

Strani scherzi fa la mente, quando si è sotto stress.

Se avesse saputo la verità, tuttavia, avrebbe invocato una ben differente divinità…

 

La luce era fredda, intensa, provvista da organismi fotofori fissati nei punti più adatti.

La sala era un capolavoro del Barocco –almeno quello che qui, su Altro Regno, Microverso, passava per Barocco.

L’intera struttura era in puro legno, massiccio, solido come roccia e allo stesso tempo delicato, venato come se fosse stato intagliato da delicate onde. La stanza, come l’intera casa, respirava come la creatura vivente in cui era stata ricavata.

Nessuna delle fitte decorazioni era stata ricavata con metalli o altri materiali che non fossero legno, decorazioni che sulle pareti stavano come una seconda pelle. Decorazioni fra cui spiccavano i pannelli, che rappresentavano un uomo-lupo in varie situazioni –in corsa con un branco di lupi durante una battuta di caccia; ringhiante e feroce, nella propria armatura, contro un nemico umanoide interamente coperto da un’armatura; in piedi su una roccia, nudo, solenne e fiero guardiano di una valle illuminata dall’alba…

L’ultima illustrazione in netto contrasto con l’entità incosciente dalla bianca pelliccia sdraiata su un altare al centro della sala. L’altare, pure in legno, era sorretto da due lupi che mettevano le proprie radici nel pavimento, e le sue pareti erano circondati da un intrico di foglie disposte a disegnare un sigillo di rune magiche. Quattro bracieri, sui cui supporti erano incisi eleganti filari di animali, stavano ad ogni angolo; nei loro piatti non giacevano carboni ardenti, ma scure pozze di liquidi di potenti erbe usate per gli incantesimi,

incantesimi come solo i membri del Circolo della Terra potevano tessere.

Sull’impotente figura di Stargod, il protettore di Altro Regno, stava china la più fragile figura di Tajrra, Decana del Circolo.

Sarebbe stato impossibile definire l’età della donna. I suoi lunghi capelli erano di un delicato colore verde scuro, venati del rosso dell’autunno e meno folti alle tempie. Il volto era delicato, dagli zigomi alti e il naso sottile, ma già delle rughe avevano fatto la loro comparsa intorno alla bocca, e agli angoli degli ampi occhi nocciola. E se ci fosse stato dubbio sulla sua razza di appartenenza, gli elfi, era sufficiente notare le orecchie a punta.

Vestita di un’ampia tonaca marrone e verde, Tajrra teneva una mano premuta sulla fronte del dio lupino, e l’altra sul petto, proprio sotto la Godstone. La gemma scarlatta, fonte dell’inesauribile potere di Stargod, splendeva adesso di una luce smorta, pallida.

Tajrra scosse la testa, rabbrividendo, il volto attraversato da una smorfia di disgusto. Ritirò le mani, e le immerse in una coppa d’acqua. Si sfregò ripetutamente, guardandosi gli arti come se questi potessero prendere vita propria, ed uscì dalla sala.

Appena varcata la soglia, mormorò delle parole gutturali. Solo occhi allenati alla magia avrebbero potuto vedere la barriera innalzarsi.

 

Tajrra si fermò davanti al gruppo in attesa fuori dal tempio, che era parte di un albero grande come un palazzo. La vista di quegli ‘ospiti’ sarebbe stata da sola sufficiente a farla seriamente dubitare della sanità mentale del suo vecchio amico…Ma le condizioni di Stargod erano prova sufficiente della gravità della situazione.

“Invero non c’è modo di intervenire dall’esterno; la stessa Godstone respinge ogni tentativo di curare il Dio. Hai fatto bene a portarlo qui, Lambert.”

Il Decano del Circolo di Fuoco, un uomo di età ugualmente indefinibile, dai capelli interamente bianchi come i baffi e il pizzo, vestito di una simile tonaca, ma di un rosso vivo bordato d’oro, annuì. “Non c’è un momento da perdere, per questo ho portato qui i Cavalieri del Dio. Anche se non sono al completo, rappresentano una forza più che efficace per trovare in fretta la Prescelta.”

Tajrra squadrò i ‘Cavalieri’ in questione:

-        Quello chiamato Iron Monger indossava un’enorme, sofisticata armatura. Per quanto lei ne sapeva, poteva benissimo esserci un invasore, un Tok, in quel guscio metallico. L’unica cosa che la rassicurava era la bontà che traspariva dal suo essere (cosa incredibile, per uno che la tecnologia arrivava ad indossarla)

-        Il silente Avatar poteva fingere di essere una creatura vivente, ma se anche le sue braccia e gambe di fuoco fossero state un trucco, le sue ‘carni’ puzzavano della tecnologia di cui era fatto. Emozionalmente, quell’essere era un vuoto, e da quel vuoto proveniva una sorta di vibrante, sconosciuta fame.

-        Grigar era pressoché simile a un guerriero della tribù degli Ojain, ma era tradito dalla sua natura demoniaca, che essudava come una cancrena dal suo corpo dal pelo arancione e vestito di un’armatura di cuoio. Pure...C’era qualcosa di puro, innocente, da qualche parte nel suo cuore –e questo era un enigma affascinante, da studiare, quando ce ne fosse stato il tempo.

-        Infine l’enigmatico Seminatore di Morte, vestito del nero assoluto e dagli occhi gialli. Cos’era? Maschio o femmina? Umano o demone o di quale altra razza? Se i cinque sensi faticavano ad inquadrarlo, il sesto lo percepiva come un qualcosa di indistinto come i suoi tratti.

Tajrra tornò a rivolgersi a Lambert. “Solo il Sacro Branco può aiutarlo, ora…Ma non so perché non si siano ancora fatti sentire, e questo è molto preoccupante.”

Lambert annuì. “Questi Cavalieri possono fare molto, e in fretta. Ti prego, vecchia amica, fidati: non abbiamo tempo da perdere.”

Lei fece un cenno esasperato. “E sia, va bene! Chiederò a Lord Dailan di non interferire nella ricerca del Branco.” Si voltò a guardare verso il tempio. “Del resto, se ad esso facessero del male o peggio, le conseguenze per questo intero mondo saranno terribili. Ho potuto distintamente percepire una volontà distruttiva, nel male che infesta il Dio.”

Lambert guardò verso il cielo. “Dov’è il vostro dragone?” chiese al Seminatore, ma senza smettere di guardare in alto. “Con il suo aiuto, la ricerca sarebbe condotta in un attimo.”

Max ha ancora bisogno di tempo per riprendersi: distruggere la nave Tok[i] lo ha portato all’esaurimento di tutte le sue forze. Diablo vigila su di lui. E ora, signori, andiamo.”

 

“Sembra che alla fine ti debba delle scuse, ometto,” disse una voce profonda, cavernosa, potente, mentre una zampa dalle scaglie di smeraldo passava sulla sfera che mostrava quello che stava avvenendo vicino al tempio.

La sfera si spense, tornando ad essere una palla di cristallo perfetto, senza la minima imperfezione, sospesa nell’aria.

Il proprietario della zampa era un dragone –una bestia enorme, elegante, un maestoso serpente smeraldino di 20 metri, con una cresta bianca e dall’apparenza delicata di un unico petalo che andava dal cranio alla punta della coda.

La creatura, arrotolata su sé stessa, chinò il muso verso il suo ‘ospite’,

l’uomo chiamato Diablo, che in quel momento era prigioniero in una parete di viticci, braccia e gambe accuratamente divaricate e tese per impedirgli anche il minimo movimento. Anche la testa non era stata risparmiata, tesa com’era all’indietro appena a un pelo dal punto di rottura del collo, la bocca tenuta spalancata da altri viticci, per impedire al maestro alchimista di usare le pozioni nei baffi.

Dragone e prigioniero si trovavano in una ‘caverna’ ricavata dall’intreccio di ciclopiche piante. Quelle pareti avrebbero potuto sostenere l’attacco di un esercito armato fino ai denti.

Il muso del dragone a 1 metro dal proprio volto, avrebbe ridotto in gelatina il cuore di molti. Diablo, abituato agli orrori evocati nella propria carriera, pensava solo a un modo di uscire da quella situazione...Un peccato, potere ricambiare solo con gli occhi quello che pensava del suo carceriere.

“Sei stato sincero, una qualità rara nella vostra specie,” sibilò il dragone, investendolo con un alito di vegetazione talmente intenso da dare le vertigini.

Il dragone iniziò a picchiettarsi la mascella inferiore con una zampa, ogni tanto tirandosi distrattamente un baffo scarlatto. “Un bel dilemma: da una parte, non posso mica lasciarti vivere. Se un qualunque umano passasse indisturbato per il mio dominio, perderei la faccia. Dall’altra, è sacro dovere di un buon dragone riscattare la vergogna che cadde su di noi, quando Antesys in persona ci tolse la Godstone, per darla al figlio di un lupo…” improvvisamente, la bocca del mostro si accese in un sorriso astuto, e tornò a fissare Diablo da molto vicino.

“Facciamo un patto, ometto.”

 

Iron Monger stava sorvolando la foresta, gli scansori puntati al massimo su ogni spettro. Naturalmente, era come cercare il classico ago nel pagliaio. Di lupi ne aveva visti, ma la femmina –l’alfa, bianca, secondo le informazioni di Tajrra- era introvabile.

In compenso, quel mondo stava continuando a rivelare meraviglie: la foresta cresceva su un terreno estremamente irregolare, ricco di crateri che creavano affascinanti dislivelli. I laghi, e ce n’era una costellazione, di tutte le dimensioni, erano come tante ciotole dai bordi vetrificati –resti di un super-vulcanismo?

Mise da parte il turismo, per ora, e aprì il contatto con il Seminatore. “Diablo è una specie di mago chimico, no? Non potrebbe usare le sue pozioni per ridare forza a Max? Qui tiriamo notte!”

Dalla radio, giunse la voce del Seminatore –Dio, era allucinante sentirselo dritto nelle orecchie, ti faceva voglia di essere d’accordo su tutto solo per non sentirsi come a dialogare con il demonio!

“Le pozioni di Estaban, sfortunatamente, sono alquanto…instabili, nel tempo. Non voglio che il dragone paghi le conseguenze della nostra fretta, non finquando c’è ancora tempo.”

“E come fai a dire che…”

“Posso vedere squarci di eventi temporali. Lo considero come una…conseguenza del mio potere di teletrasporto. E ora, basta con le chiacchiere e limitati a…”

“TROVATA! Trasmetto le coordinate!”

Miracoli dell’informatica moderna: fosse dipeso dai suoi occhi e la sua capacità (fralaltro molto buona) di concentrazione, al massimo avrebbe visto un movimento di foglie, troppo breve per prestarvi più di un attimo di attenzione. Gli scansori ‘intelligenti’, programmati per il bersaglio, addirittura guidarono la sua testa a seguire

la lupa bianca, indubbiamente femmina, che saettava nel verde vergine! Rennsaeler esaminò i dati degli scansori… “Per la miseria. Ma è enorme. Potrebbe dare i punti al campione del mondo degli Alani. E si muove come un fulmine…”

“Cerca allora di individuare la causa di tale fretta. Queste creature non sprecano risorse senza una valida ragione. E’ da sola?”

“Positivo. Ed è male?”

“I lupi sono animali sociali. O si tratta di una femmina giovane, alla ricerca del suo primo branco fuori dalla famiglia, o il suo branco è stato attaccato, e lei è in fuga. Passa agli infrarossi, se i suoi inseguitori fossero camaleontici.”

Iron Monger lo fece. “Cristo, si sta lasciando dietro una scia di sangue. Chiunque la sta inseguendo, la…troverebbe…”

“Rennsaeler?”

“Correzione! Sono già qui. Io vado, e fate presto, perdio!”

 

La lupa arrivò al termine della foresta…e della sua corsa!

Ansante, tremante, indebolita dalla perdita di sangue dalla ferita alla coscia sinistra, poté solo guardare con frustrazione al precipizio davanti a lei. Non aveva modo di correre lungo il bordo senza essere vista dai suoi inseguitori, e non c’erano sentieri visibili per accedere al cratere.

Era la fine.

La lupa si voltò, mettendosi in una posa dignitosa, pronta per loro.

E loro arrivarono. Non correvano, erano soddisfatti di avere messo la preda in angolo.

Dieci umani, quattro uomini e sei donne, imbracati come se dovessero andare a una campagna militare più che a una battuta di caccia. Le loro corazze avrebbero potuto trattenere i colpi di un Tok. Le loro ‘cavalcature’ erano temibili bipedi tigrati di nero e bianco, strutturati come dei velociraptor, ma con un muso equino e comunque irto di zanne, essi stessi bardati da metallo chiodato.

Inutile sprecare forze. Se la prendevano adesso, avrebbero risparmiato il resto del branco…almeno per oggi…

Niente battute, niente risate, da parte dei cacciatori. Avevano vinto, ed era ora di chiudere con onore per la preda. Levarono le staffe, gli archi…

Lei si preparò a saltare. Un ultimo attacco. Non sarebbe morta come una cerva spaurita!

Loro mirarono.

Lei saltò!

Non arrivò neppure a coprire metà distanza –dal nulla, un braccio coperto di pelliccia arancione la avvolse intorno al collo, e la trascinò in basso! Anziché atterrare sulla nuda terra, finì addosso a un robusto corpo muscoloso. Una raffica di energia passò sopra di lei, strinandole la criniera.

 

I cacciatori potevano essere rimasti sorpresi dall’apparizione del felino antropomorfo, ma conservarono sufficiente sangue freddo per puntare le armi sul nuovo bersaglio l’istante successivo…

Una serie di raffiche li investì dal cielo! Colpiti alla testa, i raptors caddero –anche se ancora vivi in virtù degli elmi che li avevano protetti- e quattro dei cacciatori rimasero sotto le loro cavalcature con vari grugniti di dolore.

Il capogruppo, una donna, invece rotolò fulminea e si rimise in piedi, sguainando un’alabarda dalla schiena.

Grigar reagì per primo, veloce come il lampo. Ruggendo, brandì l’ascia e vibrò un fendente tremendo!

La donna parò, e tenne la posizione, nonostante il colpo si ripercosse lungo tutto il corpo. L’alabarda resistette, e la donna passò al contrattacco, talmente veloce che la sua arma dalla punta fiammeggiante di energia sembrò moltiplicarsi!

 

Gli altri cinque cacciatori erano troppo occupati a salvarsi la pelle, per pensare alla lupa ora indifesa.

Dal cielo, arrivarono Iron Monger e Avatar. Il primo colpiva con raffiche di repulsori, sufficienti a stordire, ferire, ma non uccidere. Il secondo, non aveva di simili remore.

Un cacciatore tentò invano di colpire l’ora immateriale forma del sintezoide. Avatar avanzò fino ad afferrare il malcapitato per il collo…e si fuse con il suo corpo, sparendo dentro di esso!

Uno spettacolo sufficiente per i compagni dello sventurato, che rimasero letteralmente immobilizzati dal terrore –diventando perfetti bersagli per Iron Monger!

 

La lupa, intanto, grazie alla provvidenziale pausa, aveva ancora abbastanza forze da evitare gli attacchi dei raptor, questi ultimi ormai in preda a una cieca furia assassina. Potevano essere grandi, ma erano anche svelti. E si muovevano in efficace coordinazione, alternando scatti della testa e colpi di artiglio…Ma, ciononostante, lei riusciva a guadagnare terreno. Ancora uno sforzo, e sarebbe riuscita a guadagnare la foresta…

Fu un colpo di coda, a raggiungere la femmina! Un guaito, e lei scivolò a terra per diversi metri, di nuovo verso il burrone.

Tre raptor corsero verso di lei, pronti per il colpo di grazia…

Furono letteralmente avvolti e consumati da un’onda di energia! Le loro contorsioni di agonia durarono il paio di secondi necessari ad essere trasformati in scheletri anneriti!

I tre raptor rimasti in piedi compresero che quello non era decisamente un gioco che potessero vincere, e presero la prima, saggia decisione della loro vita: fuggirono a zampe levate!

 

Degli umani, rimaneva in piedi solo la capogruppo. Le sue energie sembravano inesauribili, tanto da tenere Grigar sulla difesa. I capelli erano una massa rossa che spuntava dall’elmo, circondando la testa come una corona infuocata.

“Cadi, dannato animale! Cosa ci vuole per ucciderti?!” urlava lei, tanto furiosa quanto instancabile.

“Grigar è pressoché invulnerabile ad ogni arma forgiata su questo piano,” disse la sinistra voce dietro di lei.

La donna non sobbalzò neppure. Si voltò e colpì all’altezza della gola.

La lancia attraversò l’etereo Seminatore, che per contro afferrò la spalla dell’avversaria. Subito dopo, l’energia del bio-scrambler investì la donna, che urlò, contorcendosi, per poi cadere a terra, inerte.

“L’hai..?” fece Iron Monger, avvicinandosi.

“Vivrà. Occupiamoci della lupa, adesso. Quanto a te, Grigar, la tua prestazione è stata a dir poco deludente. C’è in gioco molto più del tuo orgoglio guerriero, non dimenticarlo.”

Il Seminatore guardò la lupa, che si stava rimettendo in piedi. E del Branco non c’era traccia, maledizione! “Avatar, sei in grado di sondare la mente della lupa senza causarle ulteriore stress? Senza il Branco…”

<Il Branco è prigioniero dei cacciatori, e questa donna è il loro capo.>

Era difficile sorprendere Mary Elizabeth Sterling, ma l’ombra nera ebbe un sobbalzo visibile, quando la voce mentale l’accarezzò. E non era stata la sola, a sentirla, visto che anche gli altri stavano guardando l’animale.

La lupa venne avanti. <Li vogliono vivi, per i loro giochi. Come alfa del Branco, solo io sono ‘degna’ di diventare loro trofeo, e sono stata liberata per farli divertire. Vi ringrazio per avermi salvato, come posso ricambiare?>

Il seminatore le spiegò della situazione critica in cui versava Stargod. La lupa ascoltò con estrema attenzione, prima di rispondere, <Il Branco deve unirsi nella Canzone, per potere aiutare il Dio a trovare la forza che da solo non possiede. Il tempo è poco, ma dobbiamo prima liberare i miei compagni.> Era calma, considerando la cosa pragmaticamente.

Il Seminatore guardò la donna inerte, contemplando le varie opportunità di estrarre informazioni senza rischiare di danneggiare la sua mente –l’ultima cosa che potevano permettersi, era un ulteriore fronte di inimicizie intestine!

Tuttavia…

“Femmina, se sai dove il Branco è stato portato, comunicalo a Grigar. Grigar, preparati a trasportarci in loco. Rennsaeler, prendi quella donna.”

 

Nessuno di loro si accorse, o comunque prestò importanza, all’elegante rapace dalle piume scarlatte che volteggiava sopra di loro, stridendo...

 

Nel tempio, regnava la quiete. Stargod continuava a giacere immoto, protetto da sigilli di grande potenza, che non potevano essere neppure avvicinati senza mettere in allarme Tajrra e Lambert e ogni altro elfo e creatura di quel regno.

I due Decani stavano in piedi, ognuno a un lato dell’altare, le mani giunte dentro le maniche.

“Gli altri Decani?” chiese lui.

Lei scosse la testa. “I fedeli di Arisen Tyrk hanno fatto la loro ricomparsa, e stanno seminando disordini.” Guardò la forma inerte. “Il Dio deve rendersi manifesto, o...” terminò la frase in un sussulto, pallida.

Lambert seguì lo sguardo di Tajrra...e sussultò a sua volta!

Il braccio sinistro di Stargod –improvvisamente non era più carne coperta di pelliccia, ma una finestra sul cosmo, piena di stelle!

 

Il villaggio non aveva un nome –anzi, non lo si poteva neppure chiamare un villaggio. Piuttosto, era un vasto accampamento, decine e decine di carri di tutte le dimensioni, tutti ingegnosamente collegati fra loro a formare dei mini-edifici, il tutto disposto in una pianta a raggiera. Barnum lo avrebbe adorato.

Il centro del ‘villaggio mobile’ era un palazzo più lungo che alto, quadrato, dal tetto piatto. Una struttura in legno e ferro apparentemente povera in stile...

...Ma che si smentiva clamorosamente, una volta varcato l’ingresso. La caverna dei Quaranta Ladroni! Un assortimento caotico e scintillante di velluti, arazzi, gioielli, tappeti, il tutto nei più diversi stili e fogge, dal tetto al pavimento. Il visitatore veniva sommerso dalla precisa impressione che i padroni di casa fossero ricchi!

E che molte vite erano state sacrificate per ottenere quelle che erano prede, bottino di innumerevoli razzie.

E non tutte quelle prede erano prive di vita.

 

Nel corridoio, risuonava il potente coro di ululati dell’ultima battuta della tribù.

L’uomo si muoveva con passi misurati, i suoi movimenti simili a quelli di una bambola meccanica che stesse per terminare la carica. Indossava un abito dalle maniche a sbuffo, dai colori vivaci, colori che non potevano certo impedire che si notasse l’avanzato stato di invecchiamento visibile nella sola parte scoperta, il volto. L’uomo sembrava un basset-hound, con le guance flosce, le palpebre permanentemente semiabbassate e la bocca stirata in una smorfia di disappunto.

Ma l’uomo era ancora uno degli individui più temuti della tribù, la sua mente carica di saggezza ed informazioni preziose. Una mente che gli aveva permesso di sopravvivere all’arrivo dello straniero e della sua orda, una mente che gli aveva permesso di sopravvivere come Visir.

L’uomo entrò nella stanza principale, inginocchiandosi subito alla figura vestita di oro ed ebano, senza osare guardarlo negli occhi, sapendo che in caso contrario sarebbe stato decapitato. “Mio Signore, è mio dovere informarla che la Sua sposa è stata catturata.”

Mani guantate del dorato metallo strinsero il bracciolo del trono fino a fare scricchiolare il prezioso legno. “Un’impresa impossibile, Visir, a meno che nelle foreste non si stia muovendo un esercito di cui non ero a conoscenza. Perché solo un esercito potrebbe, forse, riuscire a catturare la mia donna.”

Il Visir cercò di mantenere la voce ferma, mentre diceva, “Il Kyspel di Milady li ha visti...ed erano in quattro.” Raccontò al dettaglio della battaglia, fino al momento in cui l’intero gruppo era scomparso, portando la donna con loro.

L’uomo in armatura sbriciolò letteralmente il bracciolo. “Hai detto abbastanza.”

Si alzò in piedi, un essere enorme, avvolto da un folto mantello di grigia pelliccia, un barbaro che a ragion veduta veniva chiamato ‘Il Divino’.

“Che l’intera tribù sia armata, perché Azunbulxibar non tollererà un simile affronto! A costo di mettere a ferro e fuoco questo mondo, i colpevoli pagheranno.”

 

Episodio 7 - Wolfsong

 

Cittadella orbitale di S’shadz, capitale del Dominion dei Tok, Altro Regno, Microverso

 

“Abbiamo un contatto,” disse l’essere rettiliano –una creatura enorme, dal muso affilato e una poderosa corazza naturale, seduta alla sua postazione in un anfiteatro di consolle. “Settore AI-334 N/QSO 8.”

Immediatamente, un ologramma gli si materializzò accanto. L’ologramma di un rettiliano ancora più possente e bello nella propria, pura potenza fisica. “Sei assolutamente certo, Soldato?”

Il Tok levò il mento in assenso. “Sì, Nostra Maestà. Gli scansori satellitari confermano la presenza dell’impronta energetica del blasfemo sedicente Stargod. Fra pochi istanti, avremo anche le immagini della sua tana.”

 

Seduto nella propria sala del trono, il Principe Ssylak osservò lo schermo aprirsi in più finestre –una per ogni tipo di scansione- del villaggio dove si nascondeva il nemico.

Il nemico...E insieme, la più grande minaccia per quel mondo e quindi per i Tok. Stargod era infettato da nanotecnologia, e il suo contenimento ed eliminazione erano obiettivi di priorità assoluta!

Purtroppo, blasfemo o no, non solo aveva il potere di assorbire una raffica della loro arma più potente, il Volter Cannon[ii], ma era appoggiato da una squadra capace di eliminare un’intera armata! E come se non bastasse, potevano teleportarsi a grandi distanze. Eliminarli, avrebbe richiesto un attacco tanto potente quanto rapido, e questo era un problema: i Tok non erano abituati a simili schemi di combattimento in un attacco collettivo, non avendo mai sentito il bisogno di svilupparli...

Poi, il Principe Tok si accorse di un particolare, e trattenne a stento un sibilo di gioia.

In nessuna immagine era presente un solo membro di quella squadra.

I successivi cinque minuti furono spesi alla ricerca della squadra. Finalmente, il soldato-operatore disse, “Localizzati. Si trovano a 25.3 Km a NO.”

Ssylak osservò le nuove immagini, e quello che vide gli piacque –sì, avrebbe potuto trasformare questo sviluppo in un’occasione irripetibile..!

Si alzò in piedi, attivando un altro comunicatore. “È arrivato il momento, Generale Viskajj; prepara la squadra d’assalto. La guiderò personalmente alla cattura del blasfemo!”

 

Un intero pianeta di tipo terrestre era un posto grande da passare agli scansori, fossero anche stati satellitari. Mentre la ricerca degli invasori alieni di Altro Regno doveva ancora dare frutti, la ‘situazione’ che avrebbe spinto Ssylak alla propria decisione stava per maturare...

 

Il villaggio non aveva un nome –anzi, non lo si poteva neppure chiamare un villaggio. Piuttosto, era un vasto accampamento, decine e decine di carri di tutte le dimensioni, tutti ingegnosamente collegati fra loro a formare dei mini-edifici, il tutto disposto in una pianta a raggiera. Barnum lo avrebbe adorato.

Il centro del ‘villaggio mobile’ era un palazzo più lungo che alto, quadrato, dal tetto piatto. Una struttura in legno e ferro apparentemente povera in stile...

Ma che gli scansori mostravano essere composta, sotto il legno, di solido metallo. Così come ogni altra struttura abitativa.

In quel gioco di apparenze, le armi più sofisticate erano spade, lance, mazze...ma la lettura su altri spettri rivelava i loro collettori di energia nascosti al loro interno. Altissima tecnologia, tanto per cambiare aliena a quel mondo che ancora viveva allo stadio medioevale.

In compenso, non c’era bisogno di scansori speciali, per verificare che l’attività nel villaggio/accampamento era frenetica, frenetica e ordinata.

 

Iron Monger si voltò verso i propri compagni, rivolgendosi alla donna in nero, simile a un tenebroso angelo della morte dagli occhi gialli. “Si stanno preparando per una manovra di tipo militare. Se per esercitazioni o altro, non lo so, ma è una mobilitazione generale. Persino le donne stanno prendendo delle armi. Niente sentinelle all’esterno, devono sentirsi molto sicuri di sé.”

Il Seminatore di Morte annuì all’uomo nell’enorme armatura blu. Parlò con una voce sinistra e profonda, asessuata. “Dobbiamo assumere che sanno che la loro squadra di cacciatori ha incontrato dei problemi. Evidentemente, la nostra ‘ospite’ ha più valore di quanto pensassimo.”

L’’ospite’ in questione, che giaceva ben legata ai piedi di Grigar del Popolo Felino, era una donna in armatura, questi un involucro che esaltava decisamente le sue forme, permettendole di mostrare la folta chioma rossa che spuntava dall’elmo. Dall’elmo, gli occhi di lei lanciavano fiamme, ma non una parola le sfuggì.

Iron Monger aveva proposto di toglierle l’elmo, ma il Seminatore era stato irremovibile –quella donna rappresentava l’unica chance di una trattativa ‘pacifica’ con la tribù. Per quanto ne sapevano, rimuovere l’elmo poteva essere visto come un’offesa mortale. E di attaccare a testa bassa non se ne parlava –si supponeva che Stargod e i suoi ‘cavalieri’ fossero giunti su quel mondo da liberatori e guardiani, non come ammazzasette dei locali! E già ne avevano fatte abbastanza a Kalgarn, per quanto Re Diomacus lo meritasse...[iii]

Il Seminatore disse, “E’ il momento di giocare al baratto.”

 

L’interno dell’edificio centrale del villaggio senza nome era un perfetto esempio di caos organizzato. Il suo interno era un salone del tesoro, pressoché tappezzato delle migliaia di prede di questi nomadi specializzati nell’arte della guerra.

Nella sua stanza, il Signore e Dio di quel popolo che per lui avrebbe dato la vita, osservava un ritratto della donna in armatura, la donna prigioniera dei Cavalieri, rinchiuso in un prisma scintillante. Nonostante l’armatura nera e oro, su un corpo già perfezionato da un’esistenza dedicata al combattimento, l’uomo aveva una posa semicurva, il suo fiero volto segnato dalla preoccupazione e da un freddo fuoco di rabbia negli occhi castani.

Il suono di passi in avvicinamento lo spinse a tornare a sedersi come il guerriero venerato e forte.

Nella stanza fecero ingresso due uomini, due perfetti gemelli uno con la chioma rossa e l’altro nera, statuari e formidabili nelle proprie armature d’argento e di cotta. Si inchinarono in perfetta sincronia. Il rosso disse, “Tutti gli uomini abili sono pronti a combattere a un Tuo cenno, Divino Azunbulxibar.”

Il moro disse, più mestamente, “Purtroppo, non ci sono altre notizie sulla Tua Sposa. Il suo Kyspel ne ha perso le tracce...”

“Il miglior cacciatore può perdere le tracce, se viene mandato nella direzione sbagliata,” disse una voce arrochita dietro di loro.

I due guerrieri si voltarono all’unisono, e non videro il sollievo attraversare il volto di Azunbulxibar. Loro erano concentrati

sulla figura del Visir, l’unico essere vivente in tutto il villaggio a cui fosse stato concesso di arrivare a quell’età –in una cultura che vedeva il naturale invecchiamento come una debolezza sormontabile solo con la morte.

Ignorando il loro palese disgusto, il Visir disse al Sovrano, “La Tua Sposa è già qui, mio Signore. Insieme ai suoi catturatori.”

 

Al sicuro in un nascondiglio improvvisato nel fitto della foresta, la lupa aspettava. Un esemplare perfetto, grande quanto un alano ma decisamente più robusto, la pelliccia bianca come la neve deturpata dalla ferita alla coscia. A intervalli regolari, la lingua nettava via il sangue appena sgorgato per lasciarne correre di nuovo, più pulito.

Guardò verso l’apertura, in direzione dove stava il suo Dio, Stargod. <Grande maschio, discendente di Antesys, Protettore del Mondo. La tua compagna di branco ti chiama. Riesci ad udirmi?>

 

Fu un istante, niente di più, ma lo videro entrambi.

Il male stava progredendo, sul corpo del Dio lupino. Squarci su un’oscura volta stellata apparivano al posto della carne coperta di pelo. La sua stessa armatura aveva già iniziato a scomparire a chiazze a sua volta.

L’elfica Tajrra e l’umano Lambert, i due maghi inginocchiati ai lati dell’altare su cui Stargod giaceva, pregavano con sempre maggiore intensità, impotenti e frustrati...Quando accadde. Per un attimo.

Le ‘macchie’ scomparvero, e lo Stargod era nuovamente integro...

Poi, il male tornò manifesto. I due maghi rinnovarono la propria preghiera, ora consci della nuova, benigna presenza, e forti di rinnovata speranza...

 

Il tempo non passava, in quello stato. Ma era sicuro che dopo il fantastico colloquio con Antesys si sarebbe risvegliato dal coma –ironicamente, un coma indotto da lui stesso!

Ma non era successo. John Jameson Era ancora prigioniero in quella specie di limbo spirituale, solo.

Solo...fino all’arrivo dell’Altro. Anche questa entità era esplosa dal nulla, come Antesys aveva fatto. Ma la sua manifestazione completa, questo lupo antropomorfo gli aveva ricordato le immagini dagli archivi dei Vendicatori del primo Capitan Marvel quando era preso dalla ‘Coscienza Cosmica’.

E, a differenza di Antesys, questa entità era oscura, malvagia. Il suo mostrarsi come un arrogante titano alto fino al cielo, l’uomo sospeso davanti al suo naso come un brufolo insignificante, lo provava più delle sue parole, pronunciate come un orrendo coro di demoni. “Finalmente stiamo per essere liberati, Jameson. Il tuo tormento finirà insieme al tuo corpo. La tua coscienza diventerà parte del nostro essere.”

“Tu chi sei?”

“Noi non abbiamo un nome adatto alla vostra insignificante cultura. E non abbiamo bisogno di dartelo. Abbiamo deciso di mostrarci a te in questi ultimi istanti per rispetto alla tua caparbia resistenza mostrata in tutto questo tempo.”

“Tutto questo..?” John stava per chiedere spiegazioni, quando fu dolorosamente travolto dai ricordi.

La passeggiata spaziale, la ‘nuvola’ che lo avvolse...Le spore!

“Voi eravate state distrutte,” mormorò, ricordando la terribile scarica elettrica che l’Uomo Ragno gli aveva inflitto, per rimuovere le spore e curarlo dallo stato di follia che gli stavano procurando insieme a una superforza. Questo era successo molto prima di ‘trovare’ la Godstone sulla Luna!

L’essere, per contro, ribatté con il resoconto della loro reale natura e della loro forzata letargia... “Neppure il contatto diretto con la Godstone ci è stato utile. In quanto entità vivente, essa ci ha trattato come un virus, impedendoci di tentare di assorbire il suo potere e di tornare operative in te.

“Le cose sono cambiate, quando hai assorbito quell’esplosione nucleare: per una sola frazione di secondo, hai indebolito la resistenza delle terminazioni della Godstone, ed ora ne condividiamo il potere. Fra poco, diverremo pienamente operativi, e potremo portare a termine la missione assegnataci eoni fa dai nostri creatori!”

“Missione? Di cosa...” ma non terminò la frase,

perché, improvvisamente, l’Altro, in un batter d’occhio, divenne piccolo quanto l’uomo nudo,

rimpicciolendo fino alle dimensioni

di un punto

e scomparve.

Quasi John non si accorse di qualcosa che gli si stava strusciando a un fianco. Si voltò, e vide la lupa bianca. “Sono qui per te, mio compagno di branco.”

John era troppo stupefatto, ma automaticamente andò a toccare la schiena della creatura, sentendola calda e morbida di pelo e solida di muscoli.

 “Come..?”

La lupa era calma, sembrava irradiare la sua saggezza interiore, mentre diceva, “Ci sono delle grandi risorse, dentro di te, Stargod. La parte umana di te ha ancora paura di riconoscerle completamente, ma la Godstone la pensa diversamente. La mia presenza ha rinforzato la sua resistenza, per ora...Ma dovrai fare la tua parte, maschio.”

Lui le si inginocchiò accanto. “Come?”

“Amore, Stargod. Il primo Protettore nacque da un atto di amore, per amore di questo mondo ha combattuto ed è morto. Devi essere pronto ad amare –tutti possono avere una missione, nella vita, uno scopo. Ma senza amore, resta solo un’ossessione, una vuota crociata la cui strada è costruita sul vuoto del dubbio. Quel dubbio che sta nutrendo l’Altro.

“Io e il Sacro Branco canteremo per te, Stargod. Ma dovrai ascoltarci col cuore, capire, o morire adesso.”

Lei scomparve, lasciandosi dietro un non meno confuso John.

E l’Altro tornò, titanico come prima –questa volta silente, in semplice attesa.

Cosa voleva dire, ‘canteremo per te’?

 

Era uno spettacolo curioso, appena fuori dal villaggio: da una parte, un esercito, dall’altra solo quattro individui. Apparentemente, l’idea stessa di negoziazione era risibile. E, infatti, una delle due parti aveva ascoltato solo per divertirsi un po’...

 

“Avete la mia ammirazione, stranieri,” disse Azunbulxibar. Il Condottiero era debitamente e sinceramente impressionato. Ma si sentiva anche abbastanza certo che l’intero villaggio, mobilitato alle sue spalle, sarebbe stato un deterrente sufficiente. La sua sposa stava davanti a tre dei quattro stranieri. Quello che si faceva chiamare Seminatore di Morte stava fra lui e la donna. “Sì, vi ammiro. Addirittura, dopo avere osato umiliare la mia famiglia in simile guisa, vi mettete a dettare condizioni. Per il vostro coraggio, e per avere dimostrato il vostro valore guerriero, io, Azunbulxibar il Divino, vi concederò la grazia della vita e null’altro. Ora, lasciatela.”

In risposta, il Seminatore di Morte disse solo, “Grigar.”

Il quartetto scomparve.

Il Divino, come il suo entourage, era visibilmente soddisfatto, nel vedere che la sua sposa era rimasta sul posto. Subito, i guerrieri in argento andarono a liberare la donna. Che peccato, pensò il Divino, osservando i propri guerrieri ammassati. Erano disciplinati, non avrebbero osato respirare, senza un suo ordine, E debbo sprecare una simile forza rimandandola nelle loro case. Non importa, vuol dire che organizzerò delle battute per trovare e distruggere le famiglie di costoro che hanno osato*

Una sfera di mistica energia gli comparve davanti, una sfera contenente il volto del Visir. Per la prima volta in vita sua, il vecchio sembrava allarmato! “Divino, vi hanno ingannato! Sono entrati qui di sorpresa, e sono ora alle gabbie delle prede!”

 

Grigar calò con tutta la sua forza la sua ascia runica. Teoricamente, quella lama era capace di intaccare ogni forma di incantesimo –eppure quasi rimbalzò contro lo scudo eretto dal Visir intorno alla gabbia dei lupi. Una gabbia di tutto rispetto, per giunta, capace di contenere senza tanti problemi l’intero Sacro Branco, composto di sette esemplari appena più piccoli dell’alfa femmina.

Avvertendo la liberazione vicina, il branco stesso era irrequieto, pur comportandosi in modo molto disciplinato, come a non volere aggiungere un eccessivo nervosismo alla battaglia in corso...o ad aspettarne fatalisticamente il risultato. Per contro, gli animali nelle altre gabbie –un assortimento di creature che avrebbe mandato in fibrillazione uno zoologo terrestre- era decisamente meno interessato a mantenere l’ordine...

Il Visir non ebbe fatto in tempo a finire di avvertire il Divino, che un tremendo ruggito si levò tutt’intorno, e l’intero villaggio andò all’attacco con una furia degna dei terribili Berserker norvegesi! I primi colpi di energia dalle lame avrebbero da soli fatto un macello, se, prudentemente, il Seminatore non avesse preordinato ad Iron Monger di estendere un campo di forza. Naturalmente, questo non fece nulla per scoraggiare la carica.

Mary Elizabeth Sterling maledì fra sé, poi, “Avatar.”

Entrambi decollarono.

Il sintezoide concepito nella Zona Negativa era originariamente noto come l’Empatoide, ed era un vampiro psichico, che trovava forza dalle emozioni altrui. Il suo limite consisteva nella quantità delle emozioni che poteva assorbire, ma adesso, potenziato dalla simbiosi con il malefico essere di energia vivente noto come Agron, quel limite era stato a tutti gli effetti annullato.

Le emozioni investirono Avatar come un’ondata. L’energia visibile nelle sue braccia e gambe risplendette improvvisamente brillante come un Sole. A quel punto, persino una folla isterica avrebbe avuto come un’esitazione...Ma non i guerrieri di Azunbulxibar, nati per la lotta e desiderosi di morire solo per essa!

E Avatar li accontentò! La piastra metallica che copriva metà del volto si aprì.

Osservandolo, il Seminatore pregò per gli sfortunati guerrieri.

Lo Sguardo di Medusa investì le vittime come un torrente dotato di propria vita, un fiume letale e tentacolare che colpì quasi a casaccio, falciando senza scampo! Come venivano colpiti, dei prodi guerrieri non restavano che ossa disseccate e carni carbonizzate. Il metallo di armi ed armature fu ridotto a poltiglia informe.

 

Il Visir stesso ebbe un improvviso crollo di morale, di fronte al massacro –fu sufficiente perché la sua magia ne venisse indebolita, e con essa la propria protezione.

Grigar ne approfittò per colpirlo con un potente colpo dei propri artigli! Gridando il proprio dolore, il Visir cadde reggendosi l’addome.

 

“Mioddio,” fece Iron Monger, inorridito. “Tutta quella gente..!”

Ma, apparentemente, la scia di distruzione generata da un singolo straniero fu prova di forza sufficiente, perché Azunbulxibar diede l’ordine ai suoi guerrieri di fermarsi. E come un sol uomo, essi lo fecero –una disciplina che anche il più feroce dittatore terrestre avrebbe invidiato.

“Un lavoro indubbiamente efficace.”

“Efficace? Ha massacrato quelle persone a sangue freddo, e...” una mano guantata di nero si posò sull’armatura. Rennsaeler, prudentemente, tacque. Ma decise che la questione sarebbe stata affrontata, e presto!

Azunbulxibar avanzò fra due ali di guerrieri, osservando con cinico distacco i resti dei caduti. Fissando il Seminatore, disse, “Mai nella mia vita ho dovuto testimoniare un simile prodigio. Abbiamo combattuto contro le armate di esseri soprannaturali, e nessuno di essi è mai riuscito, da solo, a causare una simile distruzione. E Azunbulxibar riconosce la virtù della forza...

“Per questo ho fatto cessare i combattimenti, Per congratularmi personalmente con voi, prima della battaglia di tutte le battaglie, con la quale intingerò per sempre di rosso questi campi...”

 

In quel momento, sui cieli del villaggio elfico, apparve un’astronave, una specie di guscio ovoidale rosso e bianco angolato, con il retro piatto e accecante dei gruppi propulsori. Lentamente, ma inesorabilmente, la nave, grande quanto una piazza d’armi, arrivò a fermarsi sulla verticale del villaggio.

 

A terra, gli abitanti si limitavano a guardare, impotenti, consapevoli delle loro inesistenti chance contro un attacco, nonostante il supporto dei Decani Lambert e Tajrra. Non ci fu neppure un tentativo di evacuazione –i Tok avrebbero allevato tutti coloro che non si fossero opposti a loro. I loro nemici sarebbero stati, per contro, sterminati senza pietà e senza distinzione di età o sesso.

 

Una paratia nel muso della nave si aprì, e ne vennero espulse decine di Sky Troopers. Poco dopo, seguì una specie di ‘uovo’ cromato e irto di acuminate lame fuse aerodinamicamente alla sua struttura. Propulso dal suo gruppo anti-G, che aveva l’aspetto di una banda ruotante lungo il centro del guscio, l’’uovo’, scortato dagli ST, scese

 

fino alla piazza del tempio. Il villaggio di Woodgard era una struttura incredibile, allo stesso tempo una fortezza imponente e parte della foresta nella quale era stato costruito. Le mura erano di tronchi più alti e solidi delle più alte e solide sequoie. Le abitazioni erano state ricavate nei tronchi, e tutte le abitazioni erano collegate da giochi di strade e piattaforme sospese su più livelli, ma mai senza toccare il suolo. Di fatto, in quel villaggio si poteva toccare terra solo per uscirne o entrarne.

L’’uovo’ si fermò al centro di un cerchio di Sky Troopers, a loro volta guardati a vista da ogni membro del villaggio.

Un portello scorse via, mentre dalla base della fessura si estendeva una scaletta.

Vestito solamente da una cintura ricca di tasche, Il Principe Ssylak uscì, talmente sicuro di sé da non avere occhi che per il tempio, totalmente indifferente ai nativi…

Due figure gli si pararono davanti. Lui emise un sibilo infastidito. “Spostatevi, mammiferi.”

Lambert e Tajrra non solo non si mossero, ma lei si mise in posa da combattimento, pugnali alla mano, mentre Lambert tesseva con voce impercettibile un incantesimo…

Le prime armi si levarono fra le file degli elfi. Contro un’astronave potevano poco, vero, ma durante l’Era dell’Oscurità, di draghi ne avevano combattuti, e con molti successi..!

I Troopers levarono le armi a loro volta.

Tajrra attaccò. Senza dire una parola, silenziosa come un’ombra e veloce come il vento –le qualità che rendevano gli elfi i guerrieri fra i più temuti. E i Tok erano per loro natura guerrieri più brutali che veloci, nel corpo a corpo...

Disgraziatamente, Ssylak era il Principe per la propria superiorità genetica. La velocità con cui reagì non era che la normalità, per lui. Vibrò un semplice schiaffo, ma fu come una violenta mazzata irta di aculei e lame!

Le lame di lei furono sbriciolate come vetro, la mano sinistra tranciata di netto all’altezza del polso! I suoi riflessi le salvarono l’osso del collo, lasciando che il braccio destro assorbisse in pieno l’impatto dell’arto. Non perse quel braccio, ma ogni osso ne fu spezzato in più punti!

Il resto dell’energia di quel colpo la mandò, pietosamente priva di sensi, oltre la balaustra. Fu tutto talmente rapido, che i guerrieri arborei non poterono che stare a guardare, inorriditi. Lambert stesso dimenticò di completare l’incantesimo.

Ssylak lo spinse bruscamente da parte, trattandolo per quello che era: un vecchio mammifero senza mani, indegna preda di un guerriero! E ora...

 

Ssylak entrò nel tempio. Dietro di lui, si udivano i primi suoni della nuova battaglia...Ma era ben altro che lo preoccupava. Il suo senso di trionfo si era trasformato in orrore!

La figura di Stargod era ormai all’80% trasformata in una finestra sullo spazio!

Il Principe Tok dovette farsi forza, per resistere all’impulso di fuggire. Una parte di lui era certa che la fine era vicina, che questo fertile mondo sarebbe stato spazzato via come la loro patria...

Entrò. Lui era il predestinato al trono, il continuatore della Stirpe Reale! Niente lo avrebbe fermato.

Dalla cintura, Ssylak estrasse due sfere. Ne dispose una ai piedi di Stargod, l’altra alla testa. Le premette, e un campo di stasi avvolse la figura. Pregò solo di essere in tempo...

 

Ormai l’Altro riempiva ogni angolo del limbo personale di John. Ancora poco, e sarebbe stato assorbito da quel titano, il suo corpo e il suo potere violati per...

Improvvisamente, la figura dell’Altro iniziò a tremolare, a farsi sfocata...Come se stesse perdendo coerenza...

Ma, ancora, John non riusciva a reclamare il possesso del proprio corpo!

“Il dubbio avanza, e con esso la paura di non riuscire..”

John si trovò circondato dai lupi! Per la precisione, sedevano intorno a lui, in un cerchio compatto, fissandolo imperscrutabili. Accanto a lui, stava la femmina alfa. In quel cerchio, improvvisamente, ogni timore sembrò scomparire, era come trovarsi in un’oasi di quiete apparsa nel più burrascoso dei mari...

“Di che dubbi parli?” chiese alla lupa. “Io non voglio restare in questo stato, io voglio tornare a difendere Altro Regno! Lo voglio da quando Antesys in persona...”

“Allora, perché continui a rifiutare il lupo in te?”

“...”

La lupa posò la testa sulla spalla di John. “Hai accettato le tue nuove responsabilità, ma c’è ancora timore per quello che sei. Per questo ti vedi in modo così limitato, univoco. Ed ora, maschio, ascolta la canzone. Impara.”

E il Branco cantò. Uno a uno, levarono le teste al cielo, le bocche appena aperte, le voci modulate in un coro più antico di ogni civiltà umana.

Il canto cominciò da toni bassi, che alcuni lupi mantennero, mentre altri elevarono le proprie voci in quel gospel irripetibile, splendido, echeggiante...

Cantiamo per il Dio/

Cantiamo per il Lupo/

Cantiamo per ogni fratello e sorella / ovunque essi siano

Ascolta la voce delle Stelle

Ascolta il loro pulsare / che pulsa in te / che pulsa in ogni mondo

Siamo noi e te / Cacciatori e Prede /

Senza rancori / Senza abusi

Lascia cantare il lupo / Che è parte di te / Che è parte delle stelle / Come te

Come me

Ama il mondo che vedi / Ama le sue creature / Ama te stesso

Vivi

Vivremo con te / Moriremo con te

Per Te

E Tu per Noi

Con Noi

 

John si perse nella canzone, le barriere che si era imposto, le barriere forgiate da una vita vissuta da un solo lato della barricata, caddero una ad una. Fino alla realizzazione.

E John vide. Vide in cosa aveva sbagliato. E la sua immagine iniziò a cambiare sotto la luce della verità.

No, lui non era un uomo...

Non era solo un uomo.

Non era una bestia.

Era entrambi.

Era di più!

Ed era ora di accettarlo!

 

Ssylak annuì, soddisfatto. Il campo di stasi aveva perlomeno arrestato l’evoluzione del male. Adesso, sarebbe solo stata questione di*

Di colpo, la figura di Stargod tornò alla sua perfetta integrità, come se quel terribile fenomeno fosse stata una mera illusione...

Il bianco Dio-lupo aprì gli occhi!

Ssylak arretrò appena in tempo, mentre il campo di stasi veniva dissolto in un’abbagliante esplosione dal terribile potere della Godstone!

Il Principe annuì. Emise un sibilo, e dalla cintura estrasse un’impugnatura. Una pressione, e una sciabola frastagliata di energia coerente aggiunse la propria luminosità alla stanza. “Da vivo, in stasi, saresti stato un ottimo soggetto di studi, blasfemo. Da morto, sarai solo una minaccia in meno per il Dominion. Questa lama distruggerà ogni nanita con cui venisse in contatto, e cauterizzerà le tue ferite prevenendo lo spargimento del male. Ti garantisco una morte rapida, degna di un avversario del Principe Ssylak.”

A sua volta, Stargod estrasse la propria spada e la levò, incrociando appena la lama di energia. La sua voce era profonda, determinata. “Ti farò capire, Principe degli Invasori, che non è del ‘male’ che dovrai preoccuparti...”

 

Episodio 8 - Wolffight!

 

Villaggio di Woodgard, Altro Regno, Microverso. T: -5m 32s

 

Ogni abitante di quel mondo, ogni abitante degno di definirsi tale, viveva per il Dio Incarnato, per il Protettore. Era molto più di una regola, era l’essenza stessa della vita di un Realmita! Coloro che, in passato o nel presente, tentavano di abusare di tale rapporto, cercando di piegare la volontà divina ai propri, meschini desideri, avevano implacabilmente assaporato l’amaro sapore della sconfitta.

Tajrra, l’elfica maga di Woodgard, incarnava questo credo in una sola parola: sacrificio.

Sapeva di avere ben poche possibilità, mentre, pugnali alla mano, saltava addosso al maschio alieno, al rettiliano Tok la cui statura e armatura naturale erano ben più poderose di quelle dei soldati che l’accompagnavano. Se fosse stata fortunata, avrebbe potuto vibrare un singolo fendente in un occhio, raggiungere il cervello...

Purtroppo per lei, il colosso dalle scaglie acuminate possedeva una velocità non inferiore alla sua potenza fisica. Gli bastò un solo schiaffo, per distruggere la lama di lei. Il polso sinistro fu tranciato di netto, il braccio destro distrutto fino alla spalla. Tajrra era già svenuta, mentre volava oltre il parapetto della piazza principale, verso il suolo a decine di metri in basso...

Non si accorse di un paio di potenti braccia dalle scaglie blu avvolgerla in abbraccio protettivo, frenare la caduta. Non percepì il fetore della carne cauterizzata da una coppia di raggi termici intenti ad arrestare l’emorragia...

 

In compenso, tutti i presenti, che fossero gli elfi di Woodgard armati fino ai denti, o i soldati Tok che li fronteggiavano, tutti guardarono in alto, verso il nuovo, inaspettato intruso...

...Un drago antropomorfo azzurro, una figura alta quasi 3 metri, dalla cresta bianca, elegante e guizzante di muscoli attraversati da piccoli archi voltaici.

I suoi occhi dalle pupille dorate scintillarono a evidenziare la sua fredda espressione d’ira, dalle zanne snudate e pulsanti di elettroni, la cresta irta. “Esseri ignobili,” sibilò Max ai Tok. “E osate definirvi miei ‘fratelli’? Neppure il più vile dei miei veri fratelli ha mai osato fare del male a un elfo!”

I soldati esitavano, combattuti fra l’istintivo desiderio di rispondere con i fatti al tono minaccioso e il rispetto culturale per una creatura a loro sacra...

Durò poco. Un attimo dopo, come uno solo, puntarono su Max le armi, veri e propri cannoni portatili, e tutti insieme fecero fuoco!

Scariche al plasma sufficienti a demolire interi palazzi si infransero come getti d’acqua contro la barriera elettromagnetica del drago. Si infransero, ma non si estinsero. Come proiettili impazziti, colpirono bersagli più indifesi e numerosi tutt’intorno –i millenari alberi su cui Woodgard era stato costruito!

Ignorando i primi incendi, Max stese il collo, spalancò la bocca e sputò fulmini! Le prime saette ramificate colpirono tre Tok, proiettandoli oltre il parapetto, il petto squarciato e fumante.

Dal cielo, iniziò a cadere un’intensa coltre di pioggia. Max imprecò mentalmente –le sue raffiche elettriche avrebbero messo in pericolo l’intero villaggio, adesso! Subito scese sulla piazza, dove depositò delicatamente Tajrra al suolo...

Questa volta, le nuove raffiche lo colpirono in pieno. Ruggì, più per la sorpresa che per il dolore, e vacillò, ma non cadde. In questa forma, la sua densità corporea era proporzionalmente più alta che nella sua forma naturale, anche se ciò non gli aveva impedito di subire delle belle bruciature al petto e alla spalla destra...

I soldati Tok, radunati in formazione compatta, avevano l’opportunità della loro vita per finirlo, ma esitarono.

Gli occhi di Max brillarono. I cristallini focalizzarono l’energia elettrica, trasformando elettroni liberi in un doppio fascio laser!

L’intera squadra fu praticamente fatta a pezzi dal fascio a ventaglio!

Un improvviso lampo di luce alle sue spalle spinse Max a voltarsi. E capì perché i nemici avevano esitato –avrebbero potuto colpire il tempio proprio dietro di lui. Il tempio, e chiunque vi fosse dentro.

Là dentro, con lo Stargod..!

Max fece per precipitarsi verso il tempio...

“Non sarà necessario, mio scaglioso amico,” disse una voce sopra di lui. Max si fermò, e voltò il collo serpentino, sibilando.

Seduto a mezz’aria, a gambe incrociate, un sorriso di superiorità stampato in volto, stava Diablo. Il maestro alchimista disse, “Ti posso assicurare che in questo momento, chiunque sia stato così sciocco da cercare di eliminare l’uomo-lupo sta per pagare caro il suo errore...O forse, non nutri abbastanza fiducia nel tuo Salvatore?”

Max sibilò nuovamente, ma non fece un passo. Poco distante, alcuni elfi si stavano prodigando per aiutare Tajrra. Gli altri si tenevano pronti a loro volta all’ingresso del tempio, pronti a intervenire solo se il Salvatore lo avesse esplicitamente richiesto...

 

...E, per ora, non sembrava una necessità impellente.

Il Principe Ssylak era, dopo suo padre, il migliore prodotto genetico dei Tok. Un supersoldato, agile e forte tanto nel corpo quanto nella mente. La sciabola di energia solida nella sua mano guizzava senza sosta, eclettica e letale, riempiendo l’aria di ozono e lasciando un’impressione luminosa nell’occhio dello spettatore, quasi stesse impugnando una striscia di luce.

 

Per conto suo, John Jameson, Stargod, riusciva a parare e contrattaccare solo facendo affidamento al proprio istinto e riflessi di lupo. In qualche modo, pur non avendo impugnato una spada in vita sua se non la prima volta che arrivò su Altro Regno, conosceva le mosse come se le avesse studiate per una vita. Gli venivano alla mente inconsciamente, forse trasmesse dalla pietra vivente che portava alla gola, la Godstone, che altresì lo forniva di un potere apparentemente illimitato.

Di sicuro, non gli stava nutrendo la stamina. Ogni colpo del principe-guerriero possedeva una forza impressionante, e lo stava spingendo verso il limite. Consciamente, Stargod iniziò a concentrarsi per dissetarsi al potere della pietra scarlatta...

<NO!>

Sobbalzò. Per un secondo, si fermò, incerto.

Fu sufficiente: la lama di luce affondò nel braccio che reggeva la spada! Un ruggito/ululato di dolore lupino sfuggì dalle fauci spalancate, mentre la spada cadeva dalla mano inerte. Stargod si ritrasse, e la lama uscì dalla carne martoriata. Il puzzo di carne e sangue bruciati era orrendo ai sensi sviluppati del dio, ma non una goccia era stata spillata. La ferita era poco più di un segno carbonizzato. Se la lama fosse penetrata orizzontalmente, il braccio sarebbe stato staccato di netto!

Ssylak sibilò, soddisfatto. “Goffo e dilettantesco…E tu osi fregiarti del titolo di emissario di Antesys?”

Ma in quel momento, ne’ le parole del principe, ne’ il suo incedere erano al centro dell’attenzione dell’uomo-lupo dalla bianca pelliccia.

No, la sua attenzione era concentrata sul proprietario della voce mentale che lo aveva interrotto…

 

…Per la precisione, una femmina di lupo, bianca come il suo antropomorfo simile, sdraiata all’interno di una tana alla base di un albero. Un animale grosso quasi il doppio di un lupo terrestre, il muso era contratto in un’espressione di concentrazione quasi umana. <I parassiti che infestano la Godstone sono stati riportati allo stato quiescente dalla tua rinnovata volontà[iv], ma non rimossi. Se userai di nuovo la Godstone, li risveglierai.>

Accanto a lei, stava un maschio dal pelo fulvo, intento a leccarle le ferite causate dai cacciatori[v]. <E un’altra cosa: è da umani, fare ricorso al potere superiore a fronte di ogni minima difficoltà. Devi imparare a fidarti di più del tuo corpo, per sconfiggere questo avversario, o la tua debolezza interiore non sarà mai vinta.>

 

Dall’esterno, provenivano i suoni di un’aspra battaglia. Cento voci tuonavano insieme, urlavano di esaltazione e di dolore. mescolate al tintinnare delle armi, alle esplosioni di energia e al ringhiare del suo branco che avrebbe difeso la femmina alfa fino alla morte ed oltre…

 

Distrattamente, Stargod si chiese come facesse l’Uomo Ragno a combattere e sparare battute a raffica allo stesso tempo! Gli sembrava incredibile già di riuscire a respirare.

Ssylak era tornato all’attacco, ulteriormente ringalluzzito dal vantaggio. Era una macchina instancabile, ma adesso l’agilità lupina tornava a vantaggio della sua ‘preda’ –e a discapito dell’arredamento e delle pareti.

Ma quelle manovre eclettiche avevano uno scopo preciso –come Man-Wolf, John si era ripetutamente scontrato con l’Uomo Ragno ed altri supercriminali. Aveva imparato ad usare la propria agilità naturale

per avvicinarsi progressivamente

e colpire! I suoi potenti artigli squarciarono la pelle corazzata del fianco del principe Tok. Una ferita che avrebbe messo fuori combattimento anche l’arrampicamuri…ma che ottenne solo l’effetto di fare ulteriormente inferocire il principe, che reagì con un colpo della coda acuminata.

Stargod fu colpito alla tempia, e rotolò fino all’altro capo della stanza., finendo ripetutamente sul braccio ferito. Si mise in ginocchio, ansando, la lingua penzoloni, sangue corrergli lungo la guancia e lungo l’armatura. Vedeva le stelle, ed era sorpreso di essere ancora cosciente…

Ssylak si passò una mano sul fianco sanguinante, e si fissò il palmo impregnato con un che di stupore. La lingua forcuta saettò sul sangue. Poi, lo sguardo si spostò sul dio-lupo. “Mi hai ferito…” Lo disse piano, con un tono di incredulità perfettamente identico all’espressione negli occhi.

 

Nessun mammifero era mai riuscito neppure a mettergli una zampa addosso. Era un suo punto d’onore, l’avere dovuto spargere il proprio sangue solo di fronte a un avversario manifestamente superiore…

Da una parte, quella ferita era un insulto, un oltraggio ineguagliabile.

Ma era anche la prova che questo blasfemo era un guerriero nato. Un degno avversario…

Sì, era finalmente giunto il momento di alzare il tono della battaglia!

 

Improvvisamente, un’intera sezione della parete del tempio esplose. Fra il fumo e i detriti, una sola figura scorsero gli occhi di Max: quella di Stargod, volare via, inerte, oltre la piazza, verso il vuoto “Mio Signore!

Max volò a recuperare il Dio. Non fece assolutamente caso all’espressione interessata di Diablo, che stava soppesando quell’inaspettato sviluppo –aveva ben visto il teriomorfo assorbire in sé un’esplosione nucleare. E quel colpo psicocinetico non poteva essere certo peggio…

Qualunque cosa stesse succedendo, prometteva bene…

 

Con i piedi prensili, Max afferrò Stargod per le spalle. “Salvatore, cosa ti hanno fatto? Come…KRRYYYKKK!!!”

Il drago si irrigidì sotto il violento attacco mentale di Ssylak. Un rivolo di sangue uscì dalle narici, ma Max non mollò la presa.

Non mollò la presa, vero, ma non riuscì neppure a concentrarsi sul battito delle ali. E caddero entrambi, accompagnati dal suono dei rami che si schiantavano sotto il loro peso…almeno, fino a quando alcuni rami non si provarono troppo robusti. I corpi dei due malcapitati vi rimbalzarono come bambole rotte, fino a quando non si arrestarono contro un gruppo di fronde troppo robuste.

Giacquero, inerti, sfiniti, consci solo del dolore, del vento e dell’odore del proprio sangue.

 

Un odore che, finalmente, raggiunse le narici del principe Ssylak, che si sporgeva da quanto restava della balconata.

Il senso di trionfo divenne orrore puro.

Sangue.

L’infezione! Sacro Antesys, cosa aveva fatto? Adesso, i naniti nel corpo di Stargod stavano scorrendo via insieme al suo fluido vitale!

Freneticamente, guardò verso il cielo. Lassù, stava S’shadz, il loro nido-fortezza. Ma la sua arma definitiva, il Volter Cannon, avrebbe richiesto non meno di 2 minuti, per essere attivato. Senza contare il tempo necessario per portarsi sulla verticale del bersaglio…

Troppo. Aveva smesso di piovere, ma il vento a quell’altezza era ancora abbastanza forte da mettere al sicuro almeno uno di quei mostri tecnologici…

Con un’espressione degna di una sfinge, Ssylak mise mano al suo solo indumento, una spessa cintura multifunzione. Da una tasca, estrasse un oggetto metallico ovoidale. Aveva commesso il più grave errore, ed immolarsi per correggerlo era il minimo che potesse fare!

Ssylak spalancò le ali, e si gettò dietro alle sue prede.

 

Osservandolo, Diablo annuì, soddisfatto. Aveva spento l’incendio, e agli occhi dei testimoni sarebbe bastato come ‘sforzo di buona volontà’. Adesso, era ora di mettersi al sicuro, e prepararsi a raccogliere da solo i frutti del suo patto con il dragone delle foreste...Del resto, non ci sarebbero certo stati testimoni a tradirlo...

 

Il tempo si era dilatato, i secondi lunghi come minuti, i minuti come ore, mentre Stargod ondeggiava sull’orlo del precipizio dell’incoscienza…

Era troppo stanco. Troppo stanco per aprire gli occhi. Troppo stanco dentro per avere il coraggio di riaprire gli occhi…<Sto sbagliando tutto, vero?>

Non fu la voce mentale della lupa, a rispondergli, ma la canzone cosmica di Antesys, che si rivolgeva direttamente al suo spirito.

°Continui a credere che la Godstone sia la tua sola fonte di potere. Ti sbagli, figlio.

°Immisi una frazione della mia essenza nella pietra a suggello del patto che feci con il tuo primo antenato, il primo figlio del mio amore con un lupo di questo mondo. Ma quella progenie era già di divina natura, John Jameson.°

<?>

°Sei mio figlio come i tuoi predecessori. La Canzone del Lupo contiene una verità letterale, lo hai compreso nel momento in cui hai fatto risorgere la tua volontà. Il mio seme scorre nei tuoi geni. Sei una sola cosa con questo mondo, con le sue creature, con la luce del sole che riscalda Altro Regno…La tua forza è la loro forza, e viceversa…°

 

Il corpo di Stargod iniziò a brillare di luce propria, una delicata aura che iniziò a spandersi come una nuvola...

 

Ssylak li poteva vedere, ormai. Bersagli facili, inerti. Si sarebbe avvicinato il più possibile, e avrebbe fatto detonare la granata nucleare. La sfera di fuoco e le radiazioni avrebbero annientato ogni nanomacchina nel raggio di almeno 4 chilometri.

Per il Dominion, Padre!

 

La voce di Antesys era melodia pura, una brezza rigenerante che gli fece dimenticare ogni dolore e stanchezza, mentre pronunciava il suo nome nella lingua che un umano non poteva comprendere o imitare.

°Nobile Furia, dominatore degli elementi del cielo, sei uno dei pochi che si siano rivelati degni di rappresentarmi su questo mondo, e sono fiera di te. Ora apri la tua mente al Dio, donagli il tuo vigore come lui ti donerà il suo. Unitevi, per difendere questo mondo e per suggellare la nuova alleanza.°

 

Il corpo di Max iniziò a brillare di luce propria, una delicata aura che iniziò a spandersi come una nuvola...

 

Era vicino a sufficienza.

Ssylak fece per premere il detonatore… “Cosa..?”

Improvvisamente, la foresta, tutto scomparve, per essere sostituito da un orizzonte di pianeti, nebulose e stelle –un insieme pulsante e di immensa, terribile bellezza al di là della comprensione...

E’ così che onori il mio nome, Principe Ssylak? Uccidendo mio figlio?

Ssylak dimenticò la sua granata, la sua missione, dimenticò sé stesso –tutto il suo essere era concentrato sulla testa dell’immenso drago cosmico che torreggiava su di lui, fissandolo con occhi di supernova.

La gloria dell’Essere Supremo, nella cui voce vibrava un giudizio di implacabile severità. Ssylak avrebbe desiderato urlare che era un trucco, un trucco ben congegnato, perfetto...

Ma come poteva razionalmente combattere contro la voce che veniva dal cuore stesso del proprio essere, dalla sua anima?

Troppo tardi, si accorse di una stella del corpo del grande Antesys, una stella che sembrò esplodere proprio sotto di lui in un raggio abbagliante...

La visione si dissolse, riempita dal bagliore stellare...

Ssylak urlò. La sua mano lasciò andare la granata, mentre lui stesso veniva spinto via, in alto, come un pulcino in preda a un uragano...

 

Diablo vide la colonna di luce levarsi improvvisa, e capì di avere commesso un grave errore!

 

A bordo della nave di appoggio del Principe, gli allarmi scattarono nel momento in cui fu registrato il primo picco di energia dalla foresta.

Il Generale Viskajj ebbe solo il tempo di diramare l’ordine di spostarsi...

 

Prima che la nave venisse colpita a prua dalla manifestazione luminosa! Il vascello ondeggiò. I caccia si sparpagliarono, circondando l’area del villaggio, pronti a far fuoco ma esitanti per paura di coinvolgere il Reale.

Dalla foresta, emerse saettando una figura alata –una creatura antropomorfa dal corpo scaglioso azzurro, gli avambracci e le caviglie coperte di bianca pelliccia. La testa mostrava due affilati corni bianchi, e la cresta candida si fondeva con un paio di basette. Il muso scaglioso era indubbiamente lupesco, dai canini a sciabola. Come per un Tok, le scaglie corporee formavano una vera e propria armatura.

E la Godstone brillava sulla sua gola.

 

Viskajj indicò il nemico sullo schermo. “A tutte le postazioni di fuoco: abbattetelo!

 

Rapidamente, varie sezioni delle pareti della nave si aprirono, per farne uscire altrettante torrette da fuoco.

Subito, la nave si trasformò in un riccio dagli aculei infuocati, tutti concentrati su un solo, apparentemente insignificante bersaglio...

 

...Un bersaglio che volava in quella tempesta di fuoco anticipando ogni colpo, ad una velocità tale da risultare sfocato all’occhio.

Un bersaglio diretto come un missile contro la nave!

A poche decine di metri dall’impatto, il drago/lupo stese le braccia in avanti, si avvolse nelle ampie ali, ed iniziò a girare su sé stesso. Fulmini iniziarono a danzare sul siluro rotante vivente. I colpi di plasma furono praticamente assorbiti, trasformati in altro ‘carburante’...

Un caccia Tok cercò di frapporsi fra il nemico e la nave, ma fu travolto come un giocattolo da una valanga.

 

Viskajj indietreggiò istintivamente dallo schermo, ora riempito dal ‘missile’...Un attimo prima che lo schermo principale si infrangesse in un geyser di fiamme...

 

La nave fu penetrata

e trapassata da prua a poppa come fosse stata fatta di cartone!

Pochi secondi dopo, gli squarci di ingresso e uscita iniziarono a vomitare fiamme. La nave traballò. I sistemi ausiliari entrarono in funzione, e la tennero in aria. Piccole esplosioni interne la scossero nuovamente, prima che gli estintori e le squadre di emergenza domassero le fiamme.

 

Il drago/lupo annuì soddisfatto, e si rivolse ai caccia con una voce tonante degna dei polmoni del migliore drago. “ASCOLTATE, TOK! SE CI TENETE AL VOSTRO PRINCIPE, NON OSATE ATTACCARE!”

Detto ciò, scese in picchiata verso Woodgard.

 

Ssylak era ustionato, dolorante, molte delle sue placche corazzate spezzate –ma quelle ferite erano nulla, in confronto al tormento che agitava il suo spirito.

Il Principe-guerriero emerse dalle rovine del tempio dove era stato proiettato, reggendosi un braccio rotto. Una delle sue poderose ali era pietosamente spezzata.

Con occhi pieni di un inimmaginabile odio, Ssylak guardò planare davanti a lui il suo nemico. “Uccidimi, blasfemo. Ho combattuto onorevolmente contro di te, ho il diritto di una morte da guerriero!”

L’essere gli tese una zampa scagliosa dal palmo coperto di soffici cuscinetti. “Basta morte, Vostra Altezza,” disse con voce insospettatamente dolce. “Hai avuto la prova che la vostra Fede è malriposta. Questo mondo è benedetto da Antesys come lo fu la vostra patria, e io ne sono il guardiano.

“Nonostante le atrocità che potete avere commesso, ti prego di accettare la mia offerta di pace, sotto l’ala protettiva di Antesys.”

E, sotto gli occhi sbalorditi di Ssylak, dietro al corpo del drago/lupo, apparve la figura cosmica rampante dell’Essere Supremo!

Per un momento, solo per un momento, una luce nuova brillò negli occhi del Principe...prima che il suo raziocinio prendesse il sopravvento –quell’essere che osava profanare la fede dei Tok era avvelenato, portava in sé il seme della fine non solo di Altro Regno, ma forse dell’intero universo conosciuto!

La sua navetta a uovo personale si avvicinò al bordo della piazza. Una scaletta si estese dal fianco, e Ssylak vi salì. Con tutto il disprezzo che il suo debole corpo poteva generare, disse, “Sei un potente guerriero, blasfemo, e solo per questo risparmierò la vita a questo insignificante villaggio di cibo. La prossima volta che ci incontreremo, ti strapperò il cuore.”

Il drago/lupo scosse tristemente la testa, guardandolo salire a bordo. La navetta decollò verso la nave di appoggio. Pochi minuti dopo, seguita dai caccia, anche questa si diresse verso l’alto, fino a sparire all’occhio.

Non potevo ucciderlo, Antesys, pensò fra sé e sé l’essere. Da Capitan America aveva imparato il valore di ogni singola vita. Quante volte il leader dei Vendicatori e gli altri eroi avevano avuto simili occasioni, e non avevano calato il colpo di grazia? Quante volte lui stesso aveva meritato di morire per le morti causate nel suo delirio come Man-Wolf?

No, non sarebbe stato giudice, giuria ed esecutore. Non se avrebbe potuto evitarlo. Se era davvero solo una questione di fede a muovere i Tok, come lui aveva percepito dalla mente di Ssylak, allora avrebbero potuto vedere la verità, un giorno. Forse.

Un ululato mentale, carico di angoscia, lo riportò bruscamente all’immediata realtà! Era la femmina! <Cosa succede?>

<Salvatore, i tuoi alleati non riescono a contenere la furia del nemico! Abbiamo bisogno di te!>

Non aveva mai avvertito il panico nelle emozioni proiettate dalla saggia creatura, e fu come un colpo di frusta.

Il drago/lupo decollò, verso una nuova battaglia...

 

Diablo lo vide allontanarsi come un missile. L’alchimista guardò verso il villaggio.

Era meglio pensare a qualcosa e in fretta, o il prossimo a fare una brutta fine sarebbe stato lui!

 

Episodio 9 - Un amaro ritorno

 

Città orbitale di S’shadz, Altro Regno, Microverso.

 

L’astronave era l’equivalente di una portaerei terrestre. La sua forma ovoidale angolare, bianca e rossa, piatta all’altezza del gruppo propulsore, mostrava le cicatrici della recente battaglia: due fori ai lati opposti del suo scafo.

Un boccaporto si aprì nella fiancata della colossale ‘montagna’ che era l’astronave-madre della Flotta di Colonizzazione dei conquistatori di Altro Regno: i rettiliani Tok.

Nel silenzio del vuoto, la nave attraccò con grazia lungo i binari a repulsione, al fianco delle sue cinque sorelle nell’immane hangar –questi uno solo dei venti, destinati a coppie ognuna a una classe di vascelli.

Il portello a rosa si richiuse, e solo a quel punto un numero di tubi, come spine di un istrice, si infilarono nelle fiancate della nave. Poco dopo, come uno sciame di api laboriose intorno alla regina, soldati-tecnici in armatura pressurizzata iniziava a lavorare in microgravità sull’esterno della nave.

Dai tre portelli maggiori della nave, furono fatti uscire i caccia danneggiati.

Attraverso i condotti pressurizzati, invece, il personale ausiliario provvedeva al rifornimento vivande, medico, cambio ed assistenza al personale, raccolta unità stoccaggio dati e tutte quelle altre attività che richiedevano la presenza di un essere vivente. I Tok facevano molto affidamento sulla tecnologia più avanzata, ma era un loro punto fermo di ricorrere il meno possibile a supporti robotici o anche a schiavi per il loro lavoro manuale –quello era al massimo un capriccio di pochi eccentrici, o una necessità strategica in caso di guerra.

Le sole operazioni automatizzate erano il rifornimento ai gruppi propulsori e il lavoro nelle zone ‘calde’, le unità nucleari e gli armamenti. Una visibile eccezione fu fatta per una navetta a uovo, dal guscio-scafo bianco, propulsa da un’unità antigravitazionale che correva come le pale di una turbina lungo il fianco, trasversalmente.

Uno sciame di droni delle forme più bizzarre entrò lungo il boccaporto principale della navetta. Pochi istanti dopo, ne uscirono con il carico stesso della navetta, steso su una barella magnetica.

Si trattava dell’unico passeggero, un maschio Tok che, anche nel suo miserabile stato, ricoperto di ferite ed ustioni, era stupendo, degno ancora di essere chiamato ‘Principe’. La sua ala destra era spezzata, parte delle sue scaglie corazzate spezzate o fuse da un tremendo calore –e doveva esserlo, perché l’evoluzione aveva fatto del corpo di ogni Tok un’arma quasi invincibile, degna di vivere all’ombra dei vulcani più feroci del loro mondo natale che fu.

Ma erano di ben più cupa natura, i pensieri che affollavano la mente del Principe Ssylak. Ancora cosciente per pura forza di volontà, l’alieno stava soffrendo più per l’umiliazione che per le ferite fisiche. Era stato sconfitto, disonorato! E, peggio della sconfitta, ad opera di un eretico che osava innalzarsi a Dio, era la terribile scintilla di dubbio.

L’essere chiamato Stargod era, almeno secondo le apparenze, protetto da Antesys in persona! Ssylak non poteva negare di avere percepito la presenza dell’Onnipotente al fianco stesso del blasfemo. Com’era possibile? La più sottile delle finzioni non poteva ingannare un Tok, la cui fedeltà era indiscussa…

I droni, rilevando la sua agitazione, iniziarono ad immettere sedativi nel suo corpo. La coscienza di Ssylak iniziò ad ondeggiare. Coerentemente, il suo ultimo pensiero fu che, alla luce di quanto avvenuto, la sua sconfitta non poteva essere interpretata come sua colpa. Doveva vivere, continuare a lottare fino a fare luce sulla verità.

Fino alla morte del blasfemo.

 

Per ora, il ‘blasfemo’ in questione era occupato con ben altre preoccupazioni, che gli alieni invasori.

Fiero nella sua armatura oro e smeraldo, l’uomo-lupo dalla bianca pelliccia sedeva fra le spalle di un gigantesco drago azzurro, il cui impronunciabile nome era, per gli amici, Max.

La foresta vergine scorreva sotto di loro a una velocità fantastica, considerando che il drago non era certo un mezzo a motore. Ad ogni battito d’ala, il tappeto verde sotto di loro si increspava come acqua.

“Siamo vicini, Max. Tieniti pronto al mio segnale.”

Anche senza dovere usare la Godstone che, incastonata in un elaborato collare, luccicava alla sua gola come una goccia di sangue, Stargod possedeva poteri mentali e spirituali la cui portata ancora non aveva esplorato a fondo –poteri che facevano parte del suo retaggio divino dal momento in cui Antesys lo aveva riconosciuto come suo prediletto. La pietra serviva ‘solo’ ad aumentare tali poteri a livello cosmico per controllare il tessuto della realtà. Ed era ben contento di non doverla usare! Anche se aveva messo ‘a nanna’ la coscienza collettiva dello sciame di naniti simbiotizzati alla Godstone, essi dovevano essere ancora rimossi…

Ma era un problema di cui si sarebbe occupato dopo.

Le sue labbra si ritirarono in un’espressione feroce.

Se ne sarebbe occupato dopo avere annientato questo nuovo nemico!

Sarebbe stato difficile, mancarlo, persino volando ciechi. Il rumore della battaglia da solo era una guida infallibile.

Una battaglia volta alla disfatta, per una delle due fazioni –il vero miracolo era che la fazione perdente fosse riuscita a durare così a lungo!

Anche se si trattava di ben quattro super-esseri terrestri e un branco di lupi!

I loro avversari erano, letteralmente, un esercito. Uomini e donne nel pieno del vigore fisico, preda della furia guerriera, un animale collettivo irto di ogni arma che braccio potesse reggere. La terra già grondava sangue, e il puzzo della morte investì Stargod come un’onda fisica. Vide che i suoi quattro compagni stavano bene, ma già due lupi del branco che aveva cantato per la salvezza della sua anima[vi] erano caduti, i fianchi deturpati da squarci anneriti. E la bianca pelliccia della femmina alfa era striata di sangue.

Fu sufficiente. La mente di Stargod lanciò un solo comando. <COLPISCI!>

Distavano ancora circa un chilometro dal campo di battaglia. Bastava. Max tuonò un ruggito di guerra e la voragine della bocca spalancata si illuminò di energia abbagliante.

Energia che fu sparata sotto forma di una raffica di fulmini globulari!

Non fu neppure necessario prendere la mira –i colpi esplosero nelle file nemiche, trasformando a dozzine le vittime in altrettanti fuochi artificiali. Inoltre, tutto il metallo delle loro armature fungeva da conduttore, mietendo vittime anche dove i fulmini non avevano colpito direttamente.

 

“È arrivata la cavalleria!” disse Iron Monger. Anche se la mark II della sua massiccia armatura era alimentata da energia nucleare, non osava permettersi di sprecarne, almeno fino a quando non avrebbe trovato adeguate fonti di alimentazione su quel mondo rimasto fermo all’equivalente del medioevo! E darci dentro di soli muscoli aveva ridotto di molto la sua efficienza a difendere i suoi compagni.

“Ne dubitavi, umano?” disse Grigar, ex Balkatar del demoniaco Popolo Felino, intento a macinare nemici con gli artigli e la sua scure runica. Era ancora vivo solo perché niente che non fosse di natura mistica poteva ucciderlo o solo ferirlo. Purtroppo, anche lui era limitato dal raggio d’azione del suo corpo. Come per Iron Monger, bastava un nucleo di soldati per tenerlo impegnato.

“Signori, cerchiamo di non perdere la calma proprio adesso.” La voce sepolcrale del Seminatore di Morte mascherava la crescente preoccupazione. Grazie al suo potere di fasamento rispetto al tessuto spaziotemporale, era convinto di riuscire a raggiungere ed uccidere il leader dell’esercito, Azunbulxibar…Purtroppo, doveva toccare materialmente il suo bersaglio per potere riuscire, e ogni volta che si materializzava, lo stesso guerriero quasi gli staccava l’arto in questione con un’invidiabile prontezza di riflessi. Così, il Seminatore di Morte aveva dovuto arretrare per difendere il branco di lupi, uccidendo i nemici che si stessero avvicinando troppo…

Il solo che fino a quel momento poteva materialmente riuscire ad eliminare il leader-guerriero e la sua misteriosa moglie-amazzone dai capelli rossi era Avatar. La creatura artificiale riuniva in sé qualità e poteri dell’Empatoide, il sintezoide creato nella Zona Negativa, e di Agron, un essere di energia vivente che si dichiarava provenire da una Terra di un futuro remoto.

Avatar non aveva problemi di ‘rifornimento’, perché la sua forza derivava dall’assorbimento delle energie empatiche…Ma una serie di interruttori di software mys-tech gli impediva di dare a fondo a tutto il suo potenziale –una misura cautelativa che adesso costringeva il sintezoide a mantenere una posizione difensiva a favore dei lupi. Almeno, non poteva stancarsi, e qualunque danno infertogli veniva prontamente riparato. Alla fine, sarebbe stato indubbio che ne sarebbe uscito vittorioso per semplice consunzione delle forze nemiche…Se i lupi o i suoi compagni avrebbero potuto dire lo stesso, era un altro discorso!

Le cose, per giunta, non erano facilitate dalla presenza di armi a lungo raggio! Con tutta la buona volontà, era alquanto difficile prevenire gragnole di colpi di plasma, elettrici, o di semplici proiettili. Ironicamente, era solo il gran numero di cadaveri dietro cui farsi scudo,o alcuni degli stessi aggressori che si mettevano in mezzo in un impeto di cieca foga, a parare molti dei colpi.

Il tonante ruggito di Max, e i colpi che erano seguiti, avevano improvvisamente invertito la tendenza! Nuove saette piovvero sui malcapitati aggressori, le cui retrovie iniziarono a sfaldarsi. Il fronte, anche se pesantemente decimato, restava compatto. Azunbulxibar e la sua compagna restavano in piedi, combattevano, e tanto bastava a galvanizzare un popolo che credeva nel suo leader come in un dio.

Max passò sopra le loro teste a volo radente, facendo volare via più d’uno con la sua sola scia, e tranciandone molti con le sue zampe come un aratro fende il morbido terreno. Stargod saltò giù a spada sguainata.

L’uomo-lupo atterrò magistralmente, terminando il suo movimento in una falciata che decapitò due soldati che erano riusciti a filtrare fino a una coppia di maschi. Queste creature erano grandi almeno il doppio di un normale lupo terrestre, e potevano sopportare ferite che avrebbero già ucciso i loro simili più piccoli.

Subito Stargod fu avvicinato dalla lupa bianca, che ansava per la fatica. <Sono felice di vederti. Sapevo che saresti venuto.> Poteva essere stanca, ma la sua voce non aveva perso una nota della sua regale solennità.

Il dio-lupo antropomorfo abbracciò la sua ‘sorella’, macchiandosi del suo sangue. <Riposate, adesso. Ora è la mia battaglia.>

“Sei tu, dunque, il cosiddetto dio-protettore di questo mondo?” fece Azunbulxibar in persona, la lama della spada rigata di sangue. “Aspettavo con impazienza il tuo arrivo. Il sangue scorso fertilizzerà la memoria delle genti. Sul tuo corpo, erigerò personalmente un tempio a memoria di questo giorno.”

Stargod non disse nulla, ma al suo naso giunse l’odore del sangue sulla lama. Sangue di lupo!

Il dio si alzò in piedi, il muso contratto nella familiare espressione battagliera che aveva accompagnato i suoi giorni come il selvaggio Man-Wolf.

In altre parole, ora sì che erano dolori!

‘Guarda dentro di te’, gli disse una volta Lambert, quando le forze del diabolico Arisen Tryk sembravano preponderanti, in uno scontro nella sua stessa tana[vii]. Allora, John Jameson lo fece, e credette di attingere alla mistica pietra.

Gli occhi di Stargod iniziarono a brillare di energia scarlatta. Ora sapeva meglio. Lui e il pianeta che doveva proteggere erano una sola cosa, e la stessa forza che attraverso la Godstone lui poteva dare ad Altro Regno, quel mondo la poteva donare a lui. Simbiosi perfetta.

Decine di soldati, Azunbulxibar in testa, si buttarono su di lui come un sol uomo. Fu l’ultima cosa che fecero, da vivi.

E ora, non aveva restrizioni o timori, ad impedirgli di usare quella forza!

Un fascio di energia si sprigionò, inarrestabile, dagli occhi dell’animalesco dio! Più efficacemente del famoso ‘raggio ottico’ dell’X-Man Ciclope, il colpo investì gli sventurati, incenerendoli sul proprio cammino, tracciando un fossato di morte nelle fila dell’esercito.

Fu sufficiente. La vista del leader investito da quel terribile potere raffreddò gli entusiasmi in un attimo. I pochi facinorosi nelle retrovie, che ancora non avevano compreso bene gli eventi della prima linea, furono neutralizzati da poche scariche elettriche di Max…

Invece, miracolosamente, o più semplicemente grazie alla sua prontezza di riflessi, Azunbulxibar era sopravvissuto –ma a caro prezzo! Il suo braccio e la gamba sinistri erano stati letteralmente vaporizzati, ed i moncherini erano rimasti perfettamente cicatrizzati dall’energia. Il suo fianco sinistro era un’unica ustione. Solo la sua insostenibile forza di volontà lo teneva cosciente. Addirittura, stava cercando di rialzarsi usando la lama della spada come appoggio!

Stargod gli si avvicinò. Allungò una mano ed afferrò il suo nemico per il braccio. “Persino il Principe Ssylak ha dimostrato di possedere un senso dell’onore. La sua arroganza e crudeltà sono solo un effetto della sua fede malriposta…Ma a differenza di te, non è completamente pazzo. Non credo che farebbe neppure una guerra, se non fosse necessario, mentre…tu…miserabile…assassino…” ormai il suo muso ringhiante era praticamente a contatto con la faccia di Azunbulxibar, la cui voce era ridotta a un rantolo.

“Uccidimi…E’ tuo dovere farlo. Hai vinto…uccidimi…Non lasciarmi così…”

 

“Ma che gli è preso, a questi?” fece Iron Monger. Sotto i suoi occhi, l’esercito nemico era come caduto in trance. Se ne stavano lì, fermi, immobili, a fissare quell’osceno duetto con una quasi aspettativa negli occhi, ignorando bellamente i caduti ai loro piedi, o le loro ferite.

“Il capo ha perso,” rispose Grigar. “Il mito è crollato, la fede in lui non ha più ragione di essere. Qualunque cosa succeda, Azunbulxibar non ha più un futuro. Qualunque decisione debba essere presa per loro, sarà un problema per il prossimo dio-guerriero.”

 

Stargod riprese a concentrarsi. “Ucciderti? No, sarebbe la soluzione semplice: da dove vengo, ho imparato che la morte è un concetto relativo, soprattutto per quanto riguarda le carogne come te. Per il male che hai commesso, dovrai soffrire un altro tipo di punizione.”

Gli occhi dell’uomo e quelli del lupo si specchiarono l’uno nell’altro…E l’uomo vide in quegli occhi la propria morte, l’eterno tormento, dolori e sofferenze proporzionati ai crimini perpetrati in nome di una gloria folle.

Azunbulxibar vide la propria anima, e ne fu inorridito.

 

Tutti videro l’uomo emettere un gorgoglio, la bocca schiumante. Il corpo mutilato tremò in preda all’epilessia…Poi l’uomo-lupo lo lasciò cadere a terra, un fagotto ormai inerte.

Giustizia era fatta. Il criminale viveva, ma in uno stato peggiore della morte stessa, condannato, alla meglio, in un corpo che solo tecniche avanzatissime, sconosciute a questo mondo, avrebbero potuto restituire alla funzionalità. Un corpo senza una mente, lobotomizzato senza recupero.

Stargod fece un cenno alla lupa e al resto del suo branco. Max li avrebbe portati al sicuro, dove avrebbe potuto curarli delle ferite. Per ora…

“Stargod.”

La tensione nelle fila nemiche tornò palpabile. I cinque Cavalieri e il loro leader si tesero per una nuova battaglia…

Ma non ce n’era bisogno. La figura che avanzò fra due ali di guerrieri fece loro cenno di stare fermi.

La moglie di Azunbulxibar si avvicinò all’uomo-lupo. “Così, ‘Salvatore’, ce l’hai fatta ad assumerti le tue responsabilità, alla fine.”

Stargod sobbalzò. Armatura o no, e se anche le sue affinate orecchie potevano essere ingannate, l’odore della donna era unico, inconfondibile!

La donna si tolse l’elmo, con studiata calma…

Quella donna la cui morte era pesata come un macigno sulla sua coscienza fin dai suoi primi giorni su Altro Regno. La scettica, all’apparenza, che aveva trovato la fede nel momento del suo trapasso…

Ma la morte era un concetto relativo, lo aveva detto lui stesso. E il volto duro, anche se deturpato da diverse cicatrici, era quello di <Sashiel?>

Lei annuì brevemente col capo. “Sono altresì felice che tu ti ricorda di me, ‘Salvatore’…Anche se non fosti altrettanto lesto a ricordarti di salvarmi, quel giorno fatale.”

Quel giorno.

Oh, Stargod non lo avrebbe mai dimenticato: la prima battaglia contro i non-morti di Tyrk, orrende parodie di uomini dalla carne putrefatta e nudi teschi senza mandibola come teste.

Erano lui, Lambert –che allora possedeva le sue mani- Sashiel, Duna, Barq, Gorjoon e Garth. Erano in sei, ma i soli ad avere poteri erano Lambert e Stargod, che lottava al meglio delle sue sole forze fisiche, eccitato dallo scontro, terrorizzato da quell’ambiente nuovo, dalle responsabilità che gli venivano scaricate addosso senza lasciargli il tempo di pensare. Di fatto, l’uomo-lupo non usava neppure una frazione del suo potere, col risultato che, soverchiati dalla cavalleria di Tyrk, lui fu quasi ucciso, e Barq il muto e Sashiel furono uccisi per davvero…

Ma come poteva essere? L’aveva vista morta, il suo cadavere innaturalmente spezzato dalla caduta, gli occhi vuoti…

 

“Avatar, cosa sai dirmi? Si tratta di una proiezione mentale?” chiese il Seminatore di Morte.

L’occhio nero della metà scoperta del volto del sintezoide scintillò. Parlò con voce distaccata, impersonale. “Negativo. Non sono presenti forze telepatiche.”

“Balkatar? Influenze mistiche?”

Il felinoide demone scosse la testa. “Se è un mago, la sua abilità è a dir poco formidabile. L’etere fra loro o intorno alla donna non è turbato.”

Il volto del Seminatore, nascosto nell’ombra perenne creata dal cappellaccio a falda larga e dall’alto bavero del mantello, si contrasse in una smorfia. Maledizione! Pensò. La determinazione di Stargod può venire gravemente scossa da questo sviluppo!

 

“Devo ammetterlo, ‘Salvatore’, io stessa sono a volte sorpresa di essere ancora viva,” stava dicendo Sashiel. “Fui molto fortunata, tutto qui. Furono gli alberi, a spezzare la mia caduta. Ricordo ancora il terribile dolore delle mie ossa spezzarsi come vetro, i miei organi lacerarsi…Anche la mia testa aveva preso dei colpi, e quando finalmente terminai la mia caduta sull’erba, non era ridotta meglio del mio povero…marito.” Guardò con disprezzo quello che restava di Azunbulxibar.

“Se ti fossi degnato di usare i tuoi sensi per studiarmi come hai fatto con quell’animale,” e indicò rabbiosamente la lupa bianca, “avresti saputo la verità…No, tu preferisti lasciarmi lì, come un ostacolo appena rimosso dalla tua strada della gloria!”

Stargod piegò le orecchie all’indietro, scodinzolando nervosamente. “Sai che non è vero! Non avevo familiarità con il mio dono, non sapevo neppure chi o cosa ero! E nei miei pensieri c’eri tu,quando lo usai per la prima volta!”

Ma Sashiel era al di là della comprensione. “Furono gli esploratori di Azunbulxibar, a trovarmi. Impressionati dal fatto che fossi ancora viva, mi portarono nel loro villaggio, dove fui curata ed accudita. Azunbulxibar in persona si occupò di farmi tornare una guerriera, ed il suo amore è stato a suo modo sincero. I nostri figli sono il suggello di tale devozione: mai a un estraneo al villaggio era stato permesso un simile onore.”

“Figli...?” Come la parola fosse stata un segnale, altre due figure, in armatura d’argento e cotta, avanzarono solennemente, in perfetta sincronia. Due giovani, uno dai capelli rossi e l’altro neri, scolpiti come il padre, ma i cui volti riflettevano quello volitivo della madre.

“Ma com’è possibile? Sono adulti, e il tempo…”

“Azunbulxibar non tollera i cuccioli inetti, Stargod,” disse Sashiel. “Uno dei compiti del nostro Visir è quello di fare crescere i bambini in fretta.”

“Per questo potete permettervi simili perdite senza battere ciglio, unitamente a una fedeltà incrollabile nel vostro ‘dio’,” disse il Seminatore, che dentro di sé doveva davvero fare sforzi erculei per controllarsi. “Immagino che tale ‘prestazione’ del Visir valga anche per i feti...Donne ridotte a fabbriche di soldati incolti, bambini ipertrofici plagiati dalla più tenera età.

“O, dovrei dire, ‘valesse’. Se gli artigli di Grigar non hanno mancato il bersaglio, adesso il tuo Visir...”

Ma Sashiel fece spallucce. “Conoscendo quel vecchio pazzo, neppure la decapitazione gli può avere impedito di salvarsi...Ma torniamo a noi, ‘Salvatore’.” La donna gli passò un dito sotto il muso, lentamente, come stesse facendo un grattino a un gatto. “Cosa farai, adesso? Mi ucciderai o mi trasformerai in un vegetale come con il mio stolto marito?

“Sapevo che mettendo in pericolo i tuoi bestiali simili avrei avuto la tua attenzione, e che ti saresti sbarazzata di quello sciocco. Sotto la mia guida, questo popolo farà quello che tu più temi: ucciderà, perseguiterà i tuoi amici e coloro che ami. Non avrò pace fino a quando non ti avrò ucciso dentro, ‘Salvatore’.

“Sono stata costretta ad essere una tua devota dai miei stessi genitori, che hanno sacrificato tutto per farmi diventare una guerriera, come loro lo furono dai loro genitori, e così via per generazioni. Il minimo che possa fare per ricambiare la tua nefasta influenza, è dimostrare ad Altro Regno la tua debolezza.”

Fu a quel punto, che una mano artigliata le afferrò il polso. Due paia di occhi si fissarono con eguale ardore. <Quando ti conobbi, non sapevo nulla di te o dei tuoi amici. Scelsi di combattere per Altro Regno perché credevo davvero che fosse la cosa giusta. Sono tornato per restare perché ho finalmente compreso che è così.

<Mi dispiace davvero, Sashiel, ma se per la sicurezza di coloro che amo devo rimuovere la tua minaccia, allora lo farò. Le tue parole, le tue emozioni, per quanto infondate, mi fanno capire che non c’è altra scelta.>

Emozioni. Niente come un contatto mentale può fare comprendere la pienezza dello stato emotivo dell’interlocutore, la sua sincerità.

Sashiel capì di avere commesso un grave errore! La sua determinazione si incrinò visibilmente, sul suo volto.

Stargod guardò l’esercito, immobile, in attesa. Il Seminatore aveva detto bene: un branco di bambini, nei cui pensieri non c’era che la fedeltà cieca al prossimo dio-guerriero come verso il proprio padre. Era qualcosa di osceno! I Tok erano una civiltà evoluta, capace di maturare ancora. Per questi poveretti senza futuro, persino la morte poteva...essere...

L’illuminazione lo colpì come un fulmine a ciel sereno.

L’uomo-lupo tornò a rivolgersi alla donna. Sorrideva, un’espressione che mai lei gli aveva visto sfoggiare. “Abbiamo un’espressione, sulla Terra: ‘salvare capra e cavoli’. Seminatore.”

“Cosa..?” fece Sashiel...un attimo prima di sentire la mano guantata di nero posarsi sulla sua spalla. Il bio-scrambler mandò in cortocircuito ogni cellula del suo corpo. Sashiel si afflosciò come un sacco vuoto fra le braccia di Stargod.

Il Seminatore di Morte aveva fatto come mentalmente comandato. La donna sarebbe rimasta in coma per un po’, ma si sarebbe ripresa –un grave errore, secondo il Seminatore, ma non avrebbe sfidato l’ira del dio. No, non quando aveva già corso un rischio sufficiente mettendo in pericolo il branco di lupi, quando avrebbe potuto farli mettere in salvo!

Stargod si rivolse a Grigar. “Hai combattuto contro questo ‘Visir’. Lo percepisci?”

Passarono dei secondi in un silenzio innaturale, poi il demone felino disse, “No. La sua aura non è più presente nel villaggio.”

Stargod sospirò. “Capisco.” Poi, tenendo in braccio la figura esanime di Sashiel, Stargod, nella sua piena solennità, si rivolse all’esercito. “Ascoltatemi!” ululò. “Da questo momento, sarò io il vostro nuovo dio! Darete la vostra forza e la vostra fedeltà ad Altro Regno come a me. Combatteremo insieme per la liberazione dal Dominio dei Tok!”

Non ci fu bisogno d’altro. Una foresta di lame, trasformate dal sole in appendici infuocate, salutò contemporaneamente a un coro ruggente il nuovo leader.

I figli di Sashiel si inginocchiarono in segno di rispetto, ma nei loro occhi brillava una luce di tutt’altro che approvazione.

Il Seminatore annuì impercettibilmente. Le cose, alla fine, andavano come previsto...

 

Episodio 10 - Esplorazioni

 

Caverne dell’Abisso della Disperazione, Altro Regno, Microverso

 

L’Abisso nasce qui, nel cuore di una regione vulcanica attiva in prossimità del polo nord di Altro Regno. I mari sono flagellati da tempeste di una potenza che la Terra può avere visto solo dai tempi del Grande Disgelo. Le correnti portate qui dalla forza di Coriolis si scontrano con il calore generato da oltre dieci vulcani attivi.

Il gioco di pressioni genera uragani sufficienti a radere al suolo intere metropoli. La nuda roccia è sterile, quello che resta dopo il gioco di erosioni dei venti e delle acque acide di zolfo è la parte più forte, affilata come una spada. La lava si muove come le dita di un’immane mano infuocata dal centro della regione. Si unisce al mare, e genera un’impenetrabile cortina di vapori mefitici.

Parlare di vita, in questo luogo che ben merita la sua fama, sembra essere inutile. Solo i batteri estremofili potrebbero sopravvivere in questo inferno sulla terra.

Un punto di vista non condiviso dai Realmiti, che conoscono bene i veri padroni di questo luogo.

 

Un potente ruggito scosse le pareti accese da un calore degno di una fonderia. Getti di lava precipitavano dentro un lago magmatico, dalla cui superficie accecante svettavano stalattiti di indistruttibile cristallo.

Accucciato sulla sua piattaforma cristallina, stava il signore assoluto dell’Abisso: un Drago Rosso, una creatura che misurava non meno di 35 metri, talmente robusto da fare impallidire qualunque suo simile in un confronto di pura forza. La sua pelle era solida roccia finemente cesellata, al punto da dargli un’ingannevole apparenza di eleganza e morbidezza. Un’apparenza tradita dai candidi spunzoni alle articolazioni, e dalla coda le cui scaglie erano come lamelle affilatissime. Le sue ali erano spiegate a bere del calore ambientale.

La sua testa, ornata da una splendida corona di corna, puntò verso un serfita –un draghetto elementale di fuoco, una creatura dotata di vita propria ma nata dalla magia. Il muso del dragone, ornato da una barba rossa come le sue scaglie, esprimeva disappunto.

“Così, Veganny è riuscito a chiedere aiuto...” la sua voce, per gli standard di un dragone, era suadente, le fusa di un gatto pronto ad assaporare la preda. Per un uomo, era un tuono da fare tremare le ossa.

Il maschio chiamato Satranius sorrise. “Il suo piano è...intrigante, lo vedo. Per questo, lo lascerò vivere...Per ora. Per qualche ragione, Stargod è meno potente di prima; la sua debolezza sarà la mia forza. Vai, figlio mio, e continua a riferire fedelmente.”

Il Serfita si trasformò in una sfera infuocata, e schizzò via attraverso il condotto magmatico del vulcano.

Goditi i tuoi ultimi momenti di pace, Stargod! Pensò il dragone. Un giorno, saranno i membri della mia specie, a riprendersi il posto che meritano!

La sua risata causò l’eruzione di un vulcano vicino.

 

Così tante cose da fare. Così tanti fili in sospeso.

Ogni giorno che passava, portava con sé nuovi enigmi, nuovi tesori di sapere e scrigni di dolore. Combattere stava diventando normale come respirare...

Il villaggio-fortezza di Azunbulxibar era stato conquistato da Stargod ed i suoi Cavalieri venuti dalla Terra. Con i loro leader ridotti all’incapacità totale, gli abitanti di quel villaggio avevano bisogno di una nuova guida. Erano nati per obbedire e combattere, programmati in tal senso, e lasciarli alo sbando sarebbe stato a dir poco uno spreco di forze.

Stargod si era imposto quale nuovo leader. Questa sua bizzarra armata avrebbe sparso la sua fama su Altro Regno, e più in fretta di un numero inesauribile di singole azioni sparse a casaccio su un territorio che lui imparava a conoscere solo giorno per giorno.

L’uomo-lupo dall’armatura smeraldo e oro stava su una collinetta, il vento scompigliargli gentilmente la sua pelliccia bianca come la neve, il corpo avvolto come da un’aura dal tramonto infuocato.

Momenti di pace. Preziosi. Un dono che i suoi compagni gli avevano fatto per permettergli di tornare in piena forma, guarito dentro come fuori.

In un angolino della sua mente, Stargod era a disagio: i suoi compagni erano alla meglio dei personaggi ambigui, mossi da una propria agenda che per qualche ragione coincideva con la protezione di Altro Regno...

Sorrise di sé, e sospirò –stava cascandoci di nuovo, come suo padre! No, doveva dare loro fiducia...Se non altro, per ripagare i rischi che avevano corso per aiutarlo.

Fra loro, solo uno era qualcuno di completamente affidabile, fedele fino alla morte ed oltre. Un amico...e qualcosa di più...

E lo vide arrivare. Una forma maestosa fra le due lune appena sorte, ad ali spiegate come un angelo. Ma questo angelo era un drago. Un drago dei cieli, lungo 25 metri dalla testa alla coda, dalle scaglie azzurre e le eleganti forme di un dominatore del suo elemento. A rompere l’uniformità azzurra del suo corpo, erano le due lunghe corna bianche che partivano dal retro del cranio, e una folta cresta candida che correva lungo il collo fino alle spalle.

Il suo nome era un po’ ostico da pronunciare, e così si faceva chiamare Max, come Maxwell Dillon –cioè Electro, l’uomo che aveva posseduto e a cui aveva donato i propri poteri.

Stargod si fece prestare un po’ di potere dal mondo con cui condivideva un legame spirituale, e levitò dolcemente fino ad incontrare il drago. Allo stesso tempo, Max iniziò a rimpicciolire; la sua forma mutò, fino a quando, una volta che ebbe raggiunto le dimensioni di Stargod, ne condivise l’antropomorfità.

Si fissarono. Occhi ambrati contro occhi luminescenti. Comunicazione senza parole. Emozioni pure.

Si abbracciarono.

Il lupo assaporò le scaglie morbide e tiepide, il battito di due cuori, la forza pura espressa in una stretta gentile, quasi timorosa. Il drago si perse nella morbidezza della pelliccia, la quiete in un corpo capace di gestire un potere tale da distruggere un mondo. C’era condivisione pura, in quell’abbraccio, pura dedizione dell’uno verso l’altro. I loro musi posti l’uno al fianco dell’altro, parlarono come uno solo.

“Un solo corpo.”

“Una sola mente.”

“Un solo cuore.”

“Un solo spirito.”

“L’unione perfetta benedetta da Antesys.”

John Jameson aveva avuto una vita a dir poco movimentata, da quando Antesys, l’incarnazione vivente del Multiverso, lo aveva scelto, attraverso la Godstone, per essere il nuovo Protettore di Altro Regno. Ma, al di fuori della sua carriera di astronauta e selvaggio Man-Wolf, John aveva tentato di costruirsi una vita ‘normale’...E sempre sotto l’ombra oppressiva di suo padre, perfino nella scelta di Kristine Saunders –una ragazza piacente, sottomessa come si addiceva alla futura moglie di un eroe americano, buon partito, ma niente di più.

Durante la sua lunga terapia sotto la Dottoressa Ashley Kafka, John era finalmente giunto ad accettare perché non avesse funzionato. Perché lui non avesse davvero tentato di comprendere Kristine, spingendola infine a lasciarlo.

Perché, inconsciamente, John la detestasse al punto di attaccarla come Man-Wolf. Perché ogni sforzo fra loro fosse destinato al fallimento.

L’omosessualità repressa era un fardello molto duro da sopportare!

Sessualità repressa, tensione sfogata combattendo. Essere Man-Wolf era liberatorio, poteva identificarsi con l’animale che più ammirava fin da bambino...

Certo, non aveva mai immaginato di giungere a questo esatto momento. Ma era anche vero che non c’era descrizione, non c’era poesia che potesse avvicinarsi allo stato di beatitudine apportato dalla perfetta fusione fisica e mentale provata poche ore prima[viii]. Drago e lupo erano diventati uno, ed il legame che si era forgiato fra loro era di rara potenza. Ognuno era indissolubilmente presente nel cuore dell’altro. Ed era meraviglioso.

Si staccarono, ma restando abbastanza vicini da tenersi per le mani.

“Fino a domani, il nostro tempo sarà solo nostro,” disse Stargod. “Voglio conoscere di più di questo mondo, voglio essere lontano dall’ombra della guerra.”

Il drago annuì. “Ed io ti guiderò per questo Percorso del Cielo Chiaro.”

Max si lanciò verso l’alto. Assunse in un attimo la sua forma originaria. Stargod saltò sulle sue spalle, e si lasciò trasportare verso l’orizzonte...

 

Dal villaggio, gli occhi gialli del Seminatore di Morte seguirono il grande rettile confondersi con le stelle con un ultimo ruggito di gioia.

I nativi continuavano nei loro affari, cercando di riprendersi dallo scontro che li aveva decimati. Con il Visir –consigliere e stregone- del villaggio scomparso, non ci sarebbero state altre nascite veloci e crescite altrettanto veloci. La natura avrebbe ripreso il suo posto, fra i neo-fedeli di Stargod.

“In questi momenti, sento di non avere venduto la mia anima al diavolo,” disse una voce accanto all’essere vestito di nero.

La voce di Richard Rennsaeler, un uomo apparentemente troppo vecchio per fare l’eroe, anche se il suo corpo vestito di un costume rosso mostrava ancora i segni di una vita di allenamento intenso. Le rughe sul volto evidenziavano la natura intensa di quella vita –vita che sperava di essersi lasciato alle spalle. “La cosa più terribile che feci da solo, come Overrider, fu di tentare il disarmo unilaterale degli Stati Uniti[ix]...Volevo portare il mondo verso la pace, senza che fosse versato altro sangue...” gli scappò una risatina triste. “Illuso, che ero. Ho rischiato la fine del mondo per il bene di mio figlio.

“Credevo che unirmi a voi avrebbe fatto per lui quello che da solo non ero riuscito a fare...E invece, sono tornato ad uccidere, a lordare la mia...”

“Basta così, Rennsaeler,” disse il Seminatore, con la sua voce asessuata, sepolcrale come quella di un angelo della morte. “Sai che sei libero di andartene quando vuoi. La Stele di T’helhy’Ed è ancora utilizzabile.”

“Non è questo, il punto,” scattò il mutante. “Il punto è che voglio sapere cosa dovremmo aspettarci, il perché dobbiamo uccidere quelli con cui combattiamo...Insomma, sono stato un Agente SHIELD per tutta la mia vita, e anche se ho partecipato a innumerevoli missioni ‘nere’, almeno non è mai stato per uccidere il vicino della porta accanto! Su questo mondo, invece, sembra di stare in un racconto di Howard...”

“Questo mondo, Rennsaeler, è ancora all’equivalente del nostro medioevo. La violenza, qui, non è un atto gratuito, ma parte integrante della cultura di queste genti. La ‘civiltà’ come la concepiamo è ancora l’eccezione che conferma la regola. Ed ora, scusami,” la figura oscura del Seminatore sbiadì rapidamente, fino a scomparire del tutto.

Rennsaeler si morse il labbro inferiore. Forse, doveva cominciare davvero a pensare di lasciare questa follia..!

 

Il Seminatore riapparve in un punto fuori del villaggio, fuori dalla portata di orecchie indiscrete. “Confido che tu abbia una solida ragione, per la tua defezione in queste ultime ore, Estaban.”

Estaban Corazon del Diablo, o Diablo per gli amici ed i nemici, inghiottì fiele e disse, “Sono stato fatto prigioniero da un drago locale. Ero alla sua mercé...” e a quel punto raccontò tutto, incluso il patto che era stato costretto ad accettare anche a nome del gruppo –almeno, questa versione, la più vicina alla realtà, fu quella che diede. L’importante era che fosse il Seminatore a riferire a Stargod...

 

Potere elementare, puro!

Come i suoi simili, Max era una creatura elegante come un uccello, ma fino ad ora non c’era stato il tempo di cavalcarlo per il solo piacere di farlo, per godere delle sue acrobazie! Sotto di loro, la foresta vergine era coperta da un velo d’argento prodotto dalle lune gemelle. I tanti laghi della regione brillavano come altrettanti gioielli. Mai Stargod aveva visto un mondo così vivo; poteva quasi sentire battere il suo verde cuore.

Era un mondo dal passato tormentato. Chissà quali forze erano state scatenate, per giustificare l’esistenza di tutti quei crateri riempiti dalle acque tanto tempo prima..?

Sempre più in alto. Sembrava di potere toccare le lune con un dito, adesso. Ai crateri, si alternavano venature laviche e mari tempestati di luce. Sotto, l’orizzonte con il blu dell’oceano mostrava ancora un ultima traccia del sole che, se fossero scesi più in basso, sarebbe già scomparso.

Max era tornato a planare dolcemente. Stargod si mise in piedi, fissando quell’orizzonte...E lo vide. Per un brevissimo istante, il raggio verde salutò l’ostinazione dello spettatore, regalando la sua presenza per un breve istante.

Il ritmo delle ali di Max cambiò. Stargod si rimise seduto, reggendosi alla cresta.

Le ali si piegarono. Improvvisamente, Max scese in picchiata! Il drago precipitò a una tale velocità da fischiare come un aereo. Chiunque lo sentisse, avrebbe ben avuto ragione di temere.

Stargod guardò la foresta avvicinarsi, sempre di più...Istintivamente, gli si drizzarono i peli del collo.

Proprio all’ultimo istante, Max ruggì, spalancò le ali e trasformò la caduta libera in volo librato radente sulle cime verdeggianti!

<E’ questo, il concetto di divertimento di un drago?> comunicò il dio-lupo mentalmente. <Saranno morti di infarto in molti, là sotto!> In realtà, era talmente esilarato, che proruppe in un potente ululato!

 

Finalmente, Max atterrò nel mezzo di una radura. Si accucciò sulle 4 zampe, il collo reclinato sul terreno, permettendo a Stargod di scendere da lui.

Il dio-lupo gli abbracciò il muso. <Ti ringrazio, Max...E’ stato bello come un sogno, non lo dimenticherò.>

Max sollevò la testa, ed indicò verso la vegetazione. <Il branco è qui. Seguili, corri e caccia con loro.>

Un istintivo uggiolio. <E tu?>

<Ti aspetterò, naturalmente. Tu sei il loro fratello, e in questa come in molte altre notti, sentirai il loro richiamo. È naturale.>

Ed era vero –poteva già sentire come una voce silenziosa, come le prime note di una canzone cantata non da menti o da bocche, ma dalle foglie fruscianti e dal vento...

Stargod non si accorse neppure di stare trasformandosi –non era un atto di volontà, ma una semplice risposta a quell’invito. In un attimo, la sua armatura era svanita, e l’attimo successivo, il suo corpo aveva assunto una postura quadrupede. La Godstone era scomparsa sotto il fitto collare di pelliccia.

Possedeva ancora la sua mente, ma le preoccupazioni ed i desideri che caratterizzavano la sua altra forma erano relegati in un angolo, come un’opzione poco utile...Guardò il drago un’ultima volta, e scattò via, invigorito di nuove energie.

 

Essere figli di Azunbulxibar era un’impresa in sé. Bisognava essere all’altezza del padre, un dio della guerra, in ogni momento; bisognava essere all’apice della forme, fisica e mentale.

Quest’ultima opzione fortemente voluta non tanto dal padre, quanto dalla madre.

I due giovani, uno dai capelli neri come il padre, l’altro dai capelli rossi come la madre, erano liberi di muoversi come volevano...nella prigionia dorata delle loro stanze. Per la prima volta nella loro vita, anche se decisamente con un maggiore numero di beni di conforto, provavano l’umiliazione della prigionia come l’avevano inferta agli animali da loro catturati per il proprio divertimento.

I pochi libri depredati non erano certo una risorsa utile per sfogare la tensione. Non disponevano di alcun oggetto utile ad impegnarsi almeno in un finto duello. Il cibo era stato già servito.

I fratelli sedevano sul trono dei genitori, e fissavano con tutto l’odio di questo mondo la loro unica via d’uscita... “Abbiamo sete,” disse Jard dai capelli rossi. Un attimo dopo, sbuffò dal naso come un toro. “Ci hai sentito, dannato essere? Abbiamo sete!”

“L’acqua di cui disponete è sufficiente per i vostri bisogni,” rispose una voce fredda, sintetica.

Galjin dai neri capelli scaraventò la caraffa verso l’ingresso. “Vogliamo vino, non questa roba da bambocci!”

L’oggetto metallico rimbalzò contro la porta. Uno sfogo inutile: avrebbero potuto agonizzare lì e subito, morire, ma la sentinella dall’altra parte della porta –il sintezoide Avatar- non avrebbe mosso un dito...

Ottimo!

I due gemelli, che a parte i capelli erano due gocce d’acqua, forti come il padre e con il volto volitivo della madre, si scambiarono un’occhiata complice. Jard riprese a camminare avanti e indietro pestando rumorosamente i piedi.

Galjin si diresse alla finestra, dove aspettava, appollaiato tranquillamente, un uccello predatore –una creatura dallo splendido piumaggio rosso e bianco, con una cresta nera e il becco ugualmente nero. Era questo un kyspel, l’equivalente di un falco terrestre. Un predatore che, una volta addomesticato, si rivelava fedele come pochi.

Galjin legò un rotolino di carta alla zampa dell’uccello. Con pochi cenni, gli comandò di andare alla loro casa fissa –l’unica concessione mai fatta da Azunbulxibar alla moglie. L’uccello spiccò il volo, silente come era arrivato, senza perdere neppure una penna.

Al loro posto, il padre non avrebbe mai chiesto aiuto, ma non erano stati educati dalla madre per rinunciare ad usare ogni buona occasione, per vincere...

 

Il branco era in caccia.

Le evoluzioni del dragone avevano spaventato buona parte della fauna, ma recriminare non sarebbe servito. Si erano spostati alla ricerca delle prede in fuga.

Il lupo bianco correva al fianco della femmina alfa dello stesso colore –la stagione degli accoppiamenti era lontana, e fino ad allora lei non avrebbe sprecato tempo ed energie a scegliere un nuovo compagno. Su questo mondo, non vi era la scarsità di risorse che affliggeva la Terra, e un lupo poteva permettersi il lusso di restare fedele al compagno fin oltre la sua morte.

Il maschio bianco si sentì intimidito da quella creatura selvaggia, attratto dalla sua forza e determinazione, dai movimenti leggiadri di un corpo capace di ottimizzare ogni briciola di energia. Era perfetta.

Ma quei pensieri furono presto messi da parte, appena sette nasi percepirono l’odore della preda. Un esemplare solo, vecchio, stanco, abbandonato dal suo branco. Immediatamente il branco si disperse per coprire ogni via di fuga, lasciando l’alfa e il bianco da soli, la femmina in testa per il primo colpo.

La preda era un animale simile ad un cervo, ma ben più grande, una degna preda di lupi che erano grandi a loro volta il doppio delle loro controparti terrestri. La bestia dalla pelliccia maculata poteva essere stanca, ma possedeva ancora un palco terminante in punte aguzze, e anche le sue zampe possedevano delle spine d’osso. Ci sarebbe voluto davvero un’arma di buon calibro, per abbatterlo...

Il branco agì con efficienza. Si avvicinarono lentamente, circondandolo, e ovunque il ‘cervo’ voltasse la testa, anziché una via di fuga, incontrava una promessa del suo imminente destino. Poteva combattere ancora, sfondare crani e rompere ossa con i suoi potenti zoccoli...Ma sapeva che il momento era giunto. Era solo. E non avrebbe più trovato una femmina con cui spargere il proprio seme.

La sua vita era stata piena, tuttavia. Soddisfacente. Poteva andarsene in gloria. Avrebbe resistito solo perché il branco potesse affinare la propria coordinazione e forza. Chiunque fosse stato ferito da lui, avrebbe avuto solo sé stesso di cui lamentarsi.

Attacco!

Veloce come il fulmine, fu la femmina alfa ad aprire le danze! Nel pieno del suo vigore, a metà del salto evitò una zoccolata al cranio, ed affondò i suoi denti nella coscia destra. Il maschio bianco seguì a ruota, in un attacco frontale –sbagliato! Fu ricompensato con una zampata alla spalla. Si udì il suono delle ossa distrutte, il suo corpo fu proiettato contro un albero.

Due beta aggredirono l’unico punto debole –il ventre. Le zanne aprirono come stoffa la pelle tesa del petto e dell’addome. L’animale si impennò, perdendo definitivamente il controllo, mentre altri due esemplari grigi serravano la loro presa alla gola. L’ultimo si precipitò sulla coscia sinistra, costringendo la preda a terra...

Il maschio bianco era più sconfortato che sorpreso –era inesperto, e ne aveva pagato le conseguenze. Già il suo fattore rigenerante stava entrando in funzione, ma per quella notte, avrebbe dovuto aspettare per ultimo il suo diritto al pasto...

Il branco aveva abbattuto la preda, e già si stavano nutrendo. Il dolce odore ramato del sangue riempiva l’aria. Le altre prede potevano tornare ai loro affari, per qualche giorno ci sarebbe stata pace per loro.

Una decina di minuti dopo, la femmina alfa si separò dal branco, per avvicinarsi al maschio. Il suo muso era ora di un rosso acceso. Chinò la testa, spalancò le fauci, e con pochi conati espulse dei bocconi fumanti.

Il maschio bianco uggiolò, e si avvicinò timidamente al dono. Lei si sedette, iniziando a leccarsi il muso e nettarselo con una zampa.

Il maschio mangiò. L’offerta, che di solito veniva riservata ai più deboli o ai cuccioli, poteva essere in questo caso una manifestazione di lupino sense of humour, o l’equivalente dell’offerta dell’anello –il cibo era una risorsa preziosa, e dividerlo era universalmente un segno di intenzioni serie...

Ma era tutto così difficile. In questo caso, poteva anche essere l’offerta di una fedele al suo dio. Il maschio non lasciò da parte una briciola –qualunque cosa volesse dire l’offerta, lui era affamato!- e quando ebbe finito, si voltò per andarsene. Per questa volta, non si era comunque dimostrato degno...Ma l’avrebbe rivista?

Occhi ambrati contro occhi verdi. Comunicazione senza parole. Pure emozioni.

Il maschio bianco se ne andò di corsa. Lei sospirò, e, molto filosoficamente, decise di aspettare cosa il destino avrebbe loro riservato...

 

La paura era un sentimento pressoché sconosciuto, fra il popolo di Azunbulxibar. L’ignoto veniva affrontato e soggiogato, o annientato. O si moriva nel tentativo. Ma non si arretrava. Mai.

Nessuno avrebbe osato ammettere, quindi, di essere intimamente terrorizzato, nel passare vicino a una tenda in particolare. La tenda che era appartenuta al Visir. E che ora ospitava un ben più sinistro inquilino...

 

Sedeva al centro di un perfetto cerchio di fuoco. Le fiamme aranciate, come vapore, a intervalli si levavano a formare altri perfetti cerchi fiammeggianti. Nell’ambiente confinato, si era diffuso un odore sgradevole, come di qualcosa da poco disseppellito.

Tali erano le conseguenze di operare una magia, se si era un demone. E Grigar non faceva eccezione –poteva ancora assomigliare ai suoi primi antenati, anche se loro erano plantigradi mentre lui era digitigrado, e il corpo dalla pelliccia aranciata era molto più robusto di quello della prima coppia, ma sotto il corpo, lo spirito era corrotto. Grigar -come la sua gente, dal giorno in cui furono confinati nel Limbo- era stato inevitabilmente corrotto dalla permanenza in quel luogo senza tempo.

Ma, a differenza dei suoi simili, Grigar era stato il Balkatar del suo popolo, l’Evocato, colui che poteva uscire dal confino per servire il suo evocatore.

Grigar aveva conosciuto il sapore della libertà, ed era deciso a farlo sentire al suo popolo. In un modo o nell’altro...Per questo, si era alleato con questo strano gruppo di mortali.

E, finalmente, stava giungendo il momento da parte loro di mantenere la promessa!

Per troppo tempo, le barriere erano state tenute sempre più chiuse –forse una conseguenza della dipartita di Illyana Raspuntin dal ruolo di Signora del Limbo dopo gli eventi di Inferno- ma ora, quelle barriere stavano tornando a cedere! Una nuova volontà si stava imponendo nel Limbo, una volontà ancora più forte di quella della mutante mortale[x]...E quando le barriere fossero cadute, Stargod e i suoi alleati avrebbero accompagnato Grigar nella liberazione del Popolo Felino.

Presto, molto presto..!

 

Sazio e pulito, il lupo bianco fu di ritorno da dove era partito. Un atto di volontà, e Stargod tornò a camminare sulle due gambe...nudo, perfetto.

E confuso. Si strinse nelle braccia, mentre Max si avvicinava a lui. “Non so neppure come definirlo...Era tutto così naturale, completo, ed una parte di me adesso lo trova così ripugnante, bestiale...”

Il drago antropomorfo sciolse le sue braccia, gentilmente, come a un bambino, e lo strinse a sé. “Non devi definirlo, John. Hai vissuto la vita di un lupo, e tu lo sei, come sei anche un uomo. Nessuno dei due è superiore od inferiore all’altro. Sii fiero di potere vivere in armonia. Non portare interrogativi dove non ce ne sono.”

Stargod si accorse di stare scodinzolando leggermente, inebriandosi dell’odore del suo...Sì, tra poco avrebbe potuto dirlo.

Max accettò il primo morso delicato alla base del collo...

Per ancora qualche ora, nessun fardello sarebbe stato posato sulle spalle di questo dio.

 



[1] Vendicatori 1 e 2

[2] UR 15 e miniserie Guerra dei Mondi e relativi Tie-In.

[3] Cubic Data-Storager – Accumulatore a Cubo di Dati

[4] Episodio 3

[5] Come spiegato nell’Ep.2

[6] Extra Vehicular Activity – Attività extra veicolare



[i] Ep. #5

[ii] Ep. #4

[iii] Ep. #5

[iv] Ultimo ep.

[v] Ep. #6

[vi] Ep. #7

[vii] MARVEL PREMIERE #46

[viii] Ep. #8

[ix] STARMAGAZINE ORO #1

[x] quella di Darklady, per la precisione. Ask Volo!