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Antonio Ausilio

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Superman, recensione: la nuova vita del DCEU

  • Pubblicato in Screen

Comunque vada a finire in termini di successo al botteghino o di accoglienza della critica, a James Gunn bisogna almeno riconoscere il merito di essere riuscito a fare in modo che l’uscita di un film dedicato a Superman venisse di nuovo considerato un evento da non perdere. In effetti, complice anche la generale stanchezza verso i cinecomic, mostrata negli ultimi anni dagli spettatori, l’Uomo d’Acciaio pareva non essere più un personaggio in grado di spingere il pubblico a riempire le sale cinematografiche. Molti hanno accusato di questo il povero Zack Snyder, la cui visione troppo dark di Superman e soci (che, per inciso, a noi non è mai piaciuta) è stata, tuttavia, una precisa scelta stilistica, perfettamente in linea con le sue opere precedenti. In realtà, i veri colpevoli sui quali puntare il dito sono i dirigenti della DC Films, per l’approccio a dir poco dilettantesco con cui hanno cercato di fronteggiare i successi dei Marvel Studios, rischiando seriamente di ridimensionare pesantemente l’importanza di uno degli universi fumettistici più noti al mondo.

Tra i fattori che di sicuro hanno giocato a favore di Gunn ci sono la fama acquisita con i tre film dei Guardiani della Galassia e il buon lavoro svolto nelle sue prime incursioni in casa DC (il lungometraggio The Suicide Squad – Missione suicida e la serie televisiva di Peacemaker), ma non bisogna neppure sottovalutare l’accorta e intelligente campagna promozionale, che ha trovato nei coinvolgenti trailer usciti negli ultimi mesi la sua massima espressione. Proprio i trailer, però, hanno messo in evidenza una potenziale criticità della pellicola, dato che, anche gli osservatori meno attenti, per quanto distratti dalle trascinanti musiche di John Murphy e David Fleming (che omaggiano in maniera chiara quelle composte da John Williams e Hans Zimmer per le precedenti trasposizioni su grande schermo dell’Uomo d’Acciaio) hanno notato le brevi scene in cui compaiono altri supereroi in azione, il che ha ingenerato in alcuni il timore che il regista americano non riesca a fare a meno di utilizzare nelle sue storie un numero elevato di comprimari, con la conseguenza di annacquare la vicenda principale, pur di concedere un minimo di spazio a tutti. Qualche perplessità l’ha suscitata anche la presenza di Krypto, il cane di Superman, che è sembrato suggerire un tono del film eccessivamente leggero. Due motivi di preoccupazione che, purtroppo, vista la pellicola in anteprima, hanno realmente pesato negativamente sul risultato finale.

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Per quanto riguarda il primo punto, Mr. Terrific, la Lanterna Verde Guy Gardner, Hawkgirl (personaggio che nella trama non ha nessuna ragion d’essere) e Metamorpho vengono inseriti nella narrazione in maniera del tutto pretestuosa e senza una valida giustificazione, se non quella di permettere a Gunn di divertirsi con i suoi soliti siparietti comici, facendo apparire alcuni passaggi come una versione in salsa kryptoniana di Star-Lord e compagnia. Il paradosso è che a farne le spese è la redazione del Daily Planet, dove, tolti Lois Lane e Jimmy Olsen, altri comprimari storici – Perry White incluso - vengono mostrati quasi solo per accontentare i fan. A proposito di Krypto, invece, le sue scorribande faranno di sicuro la felicità dei bambini e forse sorridere qualche adulto di bocca buona, ma il minutaggio a lui dedicato doveva essere senz’altro inferiore. Tali mancanze, tuttavia, potrebbero essere considerate secondarie se la trama nel suo complesso dimostrasse di possedere uno spessore più elevato. Qualità che, al contrario, si palesa solo a tratti. Quando c’è da mettere il cuore davanti ai muscoli oppure occorre far emergere la purezza d’animo e il senso di giustizia del protagonista, Gunn torna a essere il fuoriclasse che conosciamo e stilare un elenco dei momenti della pellicola dove sono i sentimenti a farla da padroni sarebbe persino troppo lungo. Basti citare il commuovente finale, che non lascerà indifferenti neppure i più cinici tra gli spettatori.

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Se, però, parliamo delle parti supereroistiche vere e proprie, allora il discorso cambia, tanto che l’unica scena di combattimento degna di nota si esaurisce in una convenzionale scazzottata, quasi totalmente priva di pathos. Non possiamo, poi, non segnalare la scoperta intenzione del regista di utilizzare gli avvenimenti raccontati come metafora della società occidentale o di crisi geopolitiche tuttora di attualità. Il messaggio è così chiaro e netto che non è possibile fraintenderlo, ma, per quanto i temi affrontati siano assolutamente condivisibili (l’impiego delle fake news come fattore destabilizzante delle istituzioni, il dominio incontrastato del capitale, lo sdoganamento della guerra come mezzo per risolvere le contese), la maniera con cui vengono argomentati – soprattutto i riferimenti all’invasione dell’Ucraina e alla drammatica situazione di Gaza –  ci è parsa un po’ semplicistica, a tratti pure parodistica (si pensi al ridicolo dittatore in combutta con Lex Luthor), finendo addirittura per depotenziarli invece che metterli in evidenza.

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Venendo agli interpreti, sulla bravura di Rachel Brosnahan avevamo pochi dubbi, Superman ha solamente confermato lo straordinario talento di un’attrice, per la quale è facile presagire un futuro luminoso a Hollywood. La sua recitazione priva di sbavature viene abilmente sfruttata da Gunn per far emergere la Lois Lane arguta e determinata (ma anche fragile, a volte) che abbiamo imparato ad amare nei comic book. Lo stesso dicasi per Nicholas Hoult, che ha già avuto, in passato, un’esperienza significativa nei cinecomic, avendo impersonato il mutante Bestia in due film degli X-Men. Di lui è ben nota la capacità di tratteggiare character sopra le righe, estremizzandone gli aspetti distintivi. Non sorprende, quindi, la sua fenomenale performance nei panni di Lex Luthor. Un malvagio senza speranza, visibilmente compiaciuto della sua mancanza di scrupoli. Meno scontata, invece, la prova offerta da David Corenswet. Il giovane attore di Philadelphia, però, si è rivelato una scelta azzeccatissima, esibendosi in un’interpretazione dell’Uomo d’Acciaio che definire esemplare è poco, in particolare nei tanti passaggi in cui occorreva mettere in primo piano l’umanità del personaggio.
Per quanto riguarda il resto del cast, vale la pena citare solo Edi Gathegi, che, a dispetto di una caratterizzazione un po’ stereotipata, ci regala un Mr. Terrific più che dignitoso.

Superman è un film con luci e ombre, non il capolavoro in cui molti confidavano, benché la nostra sincera speranza è che siano le prime a risaltare, altrimenti per la tanto agognata riscossa dei cinecomic bisognerà attendere ancora a lungo.

Voto: 6,5

4 Words About: The Moon is Following Us - Volume 1

  • Pubblicato in Focus

4 Words About, ovvero "Per chi apprezza il dono della sintesi".
The Moon is Following Us - Volume 1


Per salvare la propria figlioletta Penny, precipitata in un inspiegabile sonno senza fine, i coniugi Duncan e Samantha LaMarr riescono a penetrare nel mondo onirico della bambina, con l’aiuto del misterioso Tash. È l’inizio di un’incredibile avventura in un reame magico, popolato da giocattoli che prendono vita e mostri terrificanti.
La nuova opera di Daniel Warren Johnson è un fantasy anomalo in cui convivono diversi generi, ma che contiene tutti gli ingredienti tipici dei suoi lavori passati. In particolare, il brillante alternarsi di azione adrenalinica e irrefrenabile emotività. Tuttavia, benché la qualità della sua scrittura stia progressivamente migliorando, l’autore non riesce ancora a liberarsi da ingenuità varie e troppi passaggi scontati. Decisamente meglio i disegni, che Johnson ha realizzato assieme a Riley Rossmo, il quale ha contribuito soprattutto al character design dei personaggi. Lo stile dei due artisti è piuttosto differente, ma l’amalgama funziona a meraviglia.

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Dati del volume
Editore: Saldapress
Autori: Testi di Daniel Warren Johnson, disegni di Daniel Warren Johnson e Riley Rossmo
Genere: Fantasy
Formato: 16,8x25,6cm, C., 120 pp., col.
ISBN: 9791254616055
Prezzo: 22€
Voto: 6,5

4 Words About: Ironheart

  • Pubblicato in Focus

4 Words About, ovvero "Per chi apprezza il dono della sintesi".
Ironheart


Ormai sembrava che di Ironheart si fossero perse le tracce. Un progetto abortito a seguito delle numerose critiche ricevute dalla Marvel Television per il bassissimo livello di molte delle sue serie. E, invece, un po’ a sorpresa, ecco che il maggio scorso è arrivato il trailer che ne annunciava l’uscita su Disney+. Di sicuro l’azienda californiana non pare aspettarsi un grande successo di pubblico, tanto da decidere di programmare l’intera (e unica?) stagione in due sole settimane.
Eppure, il tasso qualitativo è ben più alto rispetto a nefandezze come She-Hulk e Moon Knight, gli effetti speciali sono molto buoni, gli omaggi alle saghe fumettistiche sono azzeccati e nel finale compare un villain che i fan attendevano da tempo. Peccato, però, per i troppi comprimari inconsistenti, una regia sciatta e una trama dove il supereroismo viene sempre messo in secondo piano, per favorire una banalissima vicenda di riscatto e sentimenti.
In sostanza, la classica occasione mancata.

Ironheart Poster

Piattaforma: Disney+
Genere: Supereroistico
Studio: Marvel Studios
Voto: 6

Heroes Convention 2025: reportage dall'"America’s favorite comic convention"

  • Pubblicato in Focus

Quando si parla di convention americane dedicate al fumetto, non si può fare a meno di citare il notissimo Comic-Con di San Diego, ormai diventato la vetrina non solo di tutte le principali case editrici del Nuovo Continente, ma anche di studi cinematografici hollywoodiani, piattaforme online e canali televisivi, che spesso e volentieri aspettano proprio la kermesse californiana per presentare in pompa magna i loro nuovi progetti, in special modo quelli di genere supereroistico (in molti ricorderanno, per esempio, il clamoroso coup de théâtre messo in scena l’anno scorso dai Marvel Studios, con la rivelazione che sarà Robert Downey Jr. a vestire i panni del Dottor Destino nei prossimi due film degli Avengers). Da tempo, negli Stati Uniti sono nate altre convention che ricalcano la formula del Comic-Con di San Diego. Tra le più note ci sono il New York Comic Con, il Chicago Comic & Entertainment Expo e il MegaCon di Orlando. Si tratta di manifestazioni enormi e affollatissime, simili per caratteristiche alla nostrana Lucca Comics & Games, nelle quali però, per quanto irrinunciabili per gli amanti dei comic book, è andato via via perdendosi lo spirito originario che aveva animato i fondatori, maggiormente interessati a far sì che quegli eventi fossero un luogo di incontro per gli appassionati in cerca di pezzi mancanti per la propria collezione o desiderosi di conoscere i loro autori preferiti, con cui scambiare due chiacchiere e farsi firmare qualche albo.
Di convention di quest’ultimo tipo negli USA se ne trovano ancora, ma in genere si parla di raduni contenuti, che molto difficilmente riescono a ottenere un livello di notorietà tale da poter varcare i confini nazionali e catturare l’attenzione dei fan d’oltreoceano. Tuttavia, come ogni regola che si rispetti, pure questa ha le sue eccezioni, la più importante delle quali è rappresentata dalla Heroes Convention (o, più semplicemente, HeroesCon) di Charlotte, nel North Carolina, a cui abbiamo avuto il piacere di prendere parte il 21 e 22 giugno scorsi (il 20, data di apertura, eravamo in volo dall’Italia).

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Nata nel 1982, come evoluzione della Charlotte Mini-Con, una piccola mostra-mercato di un solo giorno, dedicata agli albi a fumetti da collezione, che si tiene tuttora presso il Grady Cole Center (quest’anno è andata in scena il primo di febbraio), la HeroesCon è una creatura di Shelton Drum, il vulcanico proprietario del comic shop Heroes Aren’t Hard to Find, un’autentica istituzione cittadina, che attrae molti appassionati anche dalle località circostanti. La manifestazione ha ospitato fin da subito autori di un certo rilievo (nella prima edizione erano presenti, tra gli altri, Marv Wolfman, George Pérez e Mick Zeck, ma già due anni dopo venne invitato addirittura Stan Lee), crescendo rapidamente di dimensioni e come numero di partecipanti. Ormai da parecchio tempo la sede della HeroesCon è stata spostata nel Charlotte Convention Center, i cui capienti spazi sono diventati necessari per accogliere i tanti visitatori, che nelle ultime edizioni hanno superato la considerevole cifra di 50.000 unità.
Un numero molto grande che, però, potrebbe trarre in inganno, facendo immaginare chissà quali file per riuscire a stringere la mano ai propri beniamini, oppure resse insopportabili per avvicinarsi a un determinato stand. Niente di più lontano dalla realtà, in quanto la convention di Charlotte, anche nei momenti di maggiore affluenza, rimane sempre un evento vivibile. Non che non si formino code, ma queste restano limitate a pochissime superstar e, comunque, non sono mai così lunghe da impedire l’incontro con l’autore desiderato. Ciò è reso possibile dal fatto che il pubblico della manifestazione, oltre a essere estremamente variegato e con interessi diversi, tende inevitabilmente a distribuirsi nei tavoli dei cartoonist invitati (che sono tantissimi, al punto che quelli degli ospiti di quest’anno non siamo nemmeno riusciti a visitarli tutti), arrivando al paradosso che autentiche celebrità come Don Rosa e Jim Starlin - entrambi presenti in questa edizione - si ritrovavano spesso con il banco totalmente deserto. Lo stesso dicasi per altri autori, verso i quali, benché meno noti, ci saremmo aspettati una maggiore attenzione. Ci riferiamo - giusto per menzionarne qualcuno - a Don McGregor, Tom De Falco, Dan Jurgens, Arthur Adams, Bob McLeod, Mike Baron, Lee Weeks, Ron Frenz, tutti presi d’assalto molto di rado e ben contenti di fare la nostra conoscenza. Solo Chris Claremont, John Romita Jr. e, sorprendentemente (anche se bisogna tenere in considerazione che la loro partecipazione era limitata a un giorno o poco più), due veterani come Jerry Conway e Roy Thomas avevano costantemente persone in fila presso il loro tavolo. Altre code significative si creavano nelle postazioni dove, a orari prestabiliti, comparivano alcuni artisti attualmente sulla cresta dell’onda. Stiamo parlando, soprattutto, di Daniel Warren Johnson (diventato popolarissimo con la nuova serie dei Transformers, che a breve però passerà nelle mani di Robert Kirkman e Dan Mora) e Nick Dragotta (disegnatore di Absolute Batman). Infine, pure i coniugi Mike e Laura Allred (gli autori di Madman, oltreché del manifesto di questa edizione) hanno avuto sessioni di firmacopie piuttosto affollate.

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Naturalmente, noi, che abbiamo trascorso parte della nostra giovinezza a sognare sulle loro storie, siamo stati particolarmente lieti del fatto che molti di essi fossero praticamente sempre disponibili, principalmente perché, tolti i nomi più famosi, gli altri non sono mai venuti in Italia (né probabilmente lo faranno in futuro) o ci sono stati parecchi anni fa, quando eravamo ancora troppo piccoli per iniziare a girare lo Stivale con lo scopo di visitare saloni del fumetto e appuntamenti simili.

È importante segnalare che nella convention di Charlotte è presente anche un’area denominata Indie Island dove trovano spazio minuscole case editrici indipendenti e serie autoprodotte, sebbene, quest’anno, oltre a Michel Fiffe e al suo Copra (l’unico titolo di quella sezione della manifestazione pubblicato nel nostro paese), Jim Rugg, Rich Tommaso e altri poco conosciuti artisti della scena underground americana, fossero curiosamente posizionati lì pure autori più mainstream come Charles Vess, Craig Thompson e David Petersen (il creatore della saga de La Guardia dei Topi).
In aggiunta, analogamente a quanto fatto nelle edizioni precedenti, gli organizzatori della HerosCon hanno invitato anche inchiostratori (Klaus Janson, Al Milgrom, Joe Rubinstein, Scott Hanna), coloristi (Steve Oliff, Mike Spicer) e persino editor (Ralph Macchio, Danny Fingeroth) cercando, quindi, di offrire uno sguardo il più possibile completo a tutte le figure coinvolte nel processo realizzativo di un comic book.
Da non sottovalutare nemmeno l’area dedicata al collezionismo, con tantissimi rivenditori che esponevano autentici tesori di carta, compresi alcuni albi della Golden Age, che non avremmo mai creduto di poter vedere dal vivo (ci riferiamo a fumetti della DC, della Timely e della Fawcett usciti negli anni Quaranta) e i primi numeri di Fantastic Four e Amazing Spider-Man.
Insomma, nella manifestazione di Charlotte non arrivano né case editrici importanti né attori famosi, eppure su ogni volantino o locandina che la pubblicizza campeggia la frase “America’s favorite comic convention”.
Ora possiamo dire di avere capito il perché.

Nella gallery in basso un po' di immagini scattate in giro direttamente dalla convention.

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