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Nuova "storiona" di Zerocalcare in arrivo

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Di Zerocalcare tutto si può dire tranne che stia fermo. Dopo il successo del volume Dimentica il mio nome, l'autore romano è andato al confine fra Siria e Turchia, a Kobane per la precisione, la cittadina curda assediata dall'Isis che resiste da oltre 70 giorni. Zero avvisa, così, che non aggiornerà il blog per un po' per lavorare a un reportage (meglio dire una "storiona") per raccontare la sua esperienza. La storia dovrebbe uscire prima di Natale.

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Intanto, di seguito potete vedere il video in cui l'autore partecipa, in diretta da Kobane, alla trasmissione Rai Gazebo.

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Zerocalcare realizzerà un murales per la metro di Rebibbia

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Prendete un quartiere conosciuto solo per la presenza di un carcere. Perfetto. Adesso, provate a portarlo alla ribalta, cercando di cancellare ogni sorta di stereotipo e mostrandone esclusivamente gli aspetti che hanno influenzato la propria crescita.

Ecco, questo è ciò di cui è stato capace Michele Rech, al secolo Zerocalcare, abitante del quartiere romano di Rebibbia. All'interno dell'evento Più libri più liberi, che si terrà presso il Palazzo dei Congressi di Roma, da giovedì 4 dicembre a lunedì 8 dicembre, Zerocalcare disegnerà un murales nella stazione della metropolitani di Rebibbia.

L'iniziativa, realizzata in collaborazione con l'ATAC, azienda di trasporto locale, prenderà vita il 2 e 3 dicembre, insieme ad altri interventi di artisti del mondo del fumetto tra cui Gipi e Makkox.

Non solo mammut, ma anche arte, finalmente, a Rebibbia.

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Dimentica il mio nome: intervista a Zerocalcare

Al Lucca Comics & Games 2014 abbiamo avuto occasione di scambiare quattro chiacchiere con Zerocalcare: si è parlato della sua ultima fatica, Dimentica il mio nome (che abbiamo recensito all'uscita), e di altro ancora.

Ciao Zero e bentornato su Comicus.
Ciao a voi!

Partiamo dalla struttura narrativa di Dimentica il mio nome, che è forse l’aspetto più saliente della tua opera. L’anno scorso parlammo di Dodici e ci rivelasti che questo era una sorta di allenamento in funzione di una prova futura ben più impegnativa.
Quanto è stato difficile scrivere un libro così stratificato sotto il profilo narrativo e qual è il suo difetto?

Ho avuto delle semplificazioni per questo libro che sono dettate dal fatto che, in verità, la storia non l’ho scritta io, nel senso che mi è stata consegnata dalla vita, dalla mia famiglia. Siccome la storia vera è anch’essa molto rocambolesca e ricca di colpi di scena, questa cosa mi ha aiutato molto nella stesura del libro. La parte in cui mi sono arenato, cosa che mi ha poi portato a prendermi una pausa di alcuni mesi nei quali ho scritto Dodici, è stata la difficoltà di gestire una storia lunga e omogenea, per cui a un certo punto ho deciso di spezzettarla in piccoli capitoli, perché mi sono reso conto che, come linguaggio, mi annoiavo di meno a farlo; e se mi annoiavo di meno a farlo, la gente probabilmente si sarebbe annoiata di meno a leggerla. Nel libro, a voler essere onesti, vedo delle “maldestrità”, nel senso che a volte questi capitoli brevi forse interrompono un po’ lo slancio narrativo. Sono però consapevole che, in questo momento della mia vita, non avrei potuto realizzare una cosa diversa da questa.

Chi o cosa ti ha ispirato per la realizzazione di Dimentica il mio nome? Sappiamo che Portugal di Cyril Pedrosa ti è stato di riferimento: in cosa?
Il lavoro di Pedrosa mi ha ispirato per le tematiche, in quanto raccontava segreti di famiglia e riscoperte: aveva quel "mood" un po’ nostalgico che era un po’ quello che avevo in testa anche io. Poi, in realtà, lui è riuscito a fare una cosa super poetica alla quale io nemmeno mi avvicino. Tra le cose che mi ero letto e mi hanno ispirato c’è anche La breve e favolosa vita di Oscar Wao di Junot Diaz, premio Pulitzer, che narra la storia di intere generazioni di una dinastia di portoricani, fornendo una visione molto accurata della dittatura sull’isola: è una bellissima biografia dei familiari del protagonista, e anche lì ci sono tantissimi elementi che mi hanno ispirato. Ma anche qui parliamo di un capolavoro inarrivabile.

Dei tanti aspetti e tematiche presenti in Dimentica il mio nome, vorremmo focalizzarci su uno: il concetto di armatura, i cui pezzi vengono forgiati dalla perdita e dal dolore. All’interno dell’armatura siamo più protetti, ma allo stesso tempo rimaniamo sempre più distanti e isolati dal mondo fuori. Come si fa a uscire dall’armatura, se si può? E quanto il poter fare ciò che piace come lavoro nella vita, nel tuo caso il fumetto, può aiutare a uscirne?
Ti direi che non se ne esce, nel senso che ci si assuefa in qualche modo al dolore. L’abitudine si cementifica sulla scorza, su quella parte esterna che poi diventa un’armatura che ti blocca le emozioni. Basandomi sulla mia vita, credo sia una delle cose brutte che il crescere comporta. E l’unico modo per non passarci è sperare di avere meno dolori possibili. Lo scrivere fumetti non mi ha aiutato a uscire dall’armatura, ma mi ha aiutato a penetrarla: nello scrivere questo libro e La profezia dell’Armadillo mi sono trovato a dover affrontare un dolore che non ero ancora riuscito a metabolizzare, ad affrontare nel mio quotidiano.

Parliamo di Rebibbia, elemento sempre presente nelle tue opere, e per la quale manifesti un forte senso di appartenenza. Cosa sarebbe Zerocalcare se non fosse nato a Rebibbia?
Non lo so, devo confessare razionalmente che, per quanto io ami Rebibbiba, e la consideri il Paradiso sulla Terra, il posto dal quale non me ne andrei mai nella vita, non è che il quartiere abbia questa caratteristiche peculiari che mi hanno formato. Penso che una qualsiasi borgata romana avrebbe avuto lo stesso effetto su di me. Però a me è toccata Rebibbia, e questa me la porto fino alla morte.

Affrontiamo ora l’aspetto grafico e visivo di Dimentica il mio nome: non si può non evidenziare un netto miglioramento nel disegno. A questo proposito, come si è evoluta la tua tecnica? Che ruolo ha il digitale in tutto questo?
Faccio tutto a matita come da tradizione, anche se, quando il libro era già chiuso, ho provato a specchiare orizzontalmente alcune tavole: in queste i miei personaggi sembravano tutti deformati, con la testa gigante, strabici, un vero orrore grafico! Quindi mi sono messo a ritoccarli uno a uno e questo lavoro ha portato a un conseguente miglioramento nella tecnica.

Stai già pensando al prossimo progetto?
Non lo so, per adesso ho il vuoto cosmico davanti, non so neanche proprio cosa farò nella vita… Boh…

C’è anche il film de La Profezia dell’Armadillo in lavorazione, progetto che un minimo ti coinvolgerà.
Ma chissà quando esce! La sceneggiatura è pronta, ma c’è tutto il discorso della produzione ancora da affrontare.

Esuliamo per un attimo dalle allegre atmosfere lucchesi: pochi giorni fa è giunta la notizia dell’assoluzione in appello degli esponenti delle forze dell’ordine coinvolti nella morte di Stefano Cucchi. Cosa pensi di tutto questo?
In realtà, lo davo per scontato. Nel senso che lo Stato ha sempre assolto se stesso in questi casi, e non avevo alcuna fiducia che questa volta sarebbe andata diversamente. La cosa non mi stupisce, anche se mi fa ribollire il sangue.

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Dimentica il mio nome

Già dopo aver letto la prima manciata di pagine di Dimentica il mio nome, quinto libro a fumetti di Zerocalcare edito da BAO Publishing, ci si rende conto di avere di fronte un’opera di grande intensità emotiva.

Subito il racconto si fa forte, aprendosi con l’evento principale della storia, un lutto raccontato in modo così intimo e diretto da colpire il lettore come una pallonata in pieno diaframma, di quelle che spezzano il fiato. Un evento sì personale, ma che, allo stesso tempo, ci accomuna tutti inevitabilmente: subito quindi avviene quella sensazionale sincronizzazione fra autore e lettore, che consente di trovare subito un senso di fisiologica familiarità.
Si entra immediatamente in un labirinto fatto di malinconia e ricordi, di perdita e mancanza, raccontati con semplicità, senza che Zero rinunci al suo taglio ironico e alle sue bombe di cultura pop che lo hanno reso famoso in tutto il Paese.

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Parlare di se stessi, della propria vita e del proprio passato è opera ardua per chiunque decida di fare della scrittura la sua vita, perché è così facile cadere nella più scontata banalità.
Dobbiamo sottolineare come l’intera produzione precedente del fumettista romano abbia avuto come pietra angolare la sua vita, presente e passata, ma questa volta Zerocalcare decide di osare di più, addentrandosi in acque perigliose e agitate, per navigare le quali è richiesta una certa esperienza e una considerevole dose di coraggio.
Nonostante le insidie però, l'autore, da buon capitano, decide di dispiegare le vele e salpare per questo viaggio, viaggio del quale il lettore si sentirà ospite mai indesiderato.
Nel corso di questa lunga traversata, Zerocalcare ricostruirà il passato misterioso e straordinario della sua famiglia, fatto di verità nascoste o parzialmente omesse, di sofferenza e amore, di fantasmi e morte.
Attorno alla morte della nonna, c'è un racconto composto da molti piccoli tasselli, o più semplicemente capitoli, che, alla fine, andranno a comporre un mosaico meraviglioso nella sua interezza.

Dimentica il mio nome è un’opera straordinariamente complessa, che, inoltre, arricchisce ulteriormente la “mitologia” attorno al mondo di Zerocalcare: per la prima volta, ad esempio, ci vengono narrate le “origini segrete” dell’Armadillo, vera e propria coscienza del protagonista, e, oltre alla presenza di personaggi storici come Secco, Cinghiale, Mamma Cocca e altri, ritorna sempre Rebibbia, protagonista silenziosa e onnipresente nella produzione dell’artista.
Rebibbia, quartiere periferico di Roma, che è quasi un universo a sé, un microcosmo nel quale Zerocalcare si muove e verso il quale avverte un forte e chiaro senso di appartenenza.

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Interessante è anche il confronto storico fra epoche e generazioni diverse, rappresentate dalla nonna e dallo stesso Zero: il lavoro di ricerca fatto è notevole e, grazie a questo, riesce facile apprezzare a pieno le fisiologiche difficoltà di comprensione e comunicazione fra mondi diversi e distanti, separati da diversi decenni, fatti di guerra, segreti e incertezze.

Specifichiamo una cosa: nonostante i tanti che lo vedono come una sorta di “profeta generazionale”, all’autore di questa carica non gliene frega un accidente, poiché sua intenzione è semplicemente quella di raccontare una storia, quella sua e della sua famiglia.
Questo gli consente di non sfociare mai nell’ipocrisia o nella retorica, dato che Zerocalcare non si esime dall’auto-critica, dal sottolineare molteplici aspetti che lo rendono una persona come tutti, fatta anche di difetti e controsensi: l’umanità e l’onestà intellettuale con la quale ci viene presentato Dimentica il mio nome costituisce l’aspetto più prezioso dell’opera.

La tematiche presenti nel libro sono molteplici, il duplice filo rosso che però accompagna tutta la storia è quello fatto dalla paura e dal dolore, cancri dell’anima umana, che si intrecciano continuamente fra loro, attanagliando e soffocando la nostra mente.
La paura, quella strana forza che cresce dentro di noi, silenziosa e spietata, che ci paralizza nei momenti decisivi, rendendoci a posteriori vittime di rimpianti e rimorsi. “La paura uccide più della spada” sentenziava il maestro Syrio Forel ne Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin (a proposito, spassosissima la citazione di Game of Thrones), e questa frase è più vera che mai: quante volte nella nostra vita abbiamo rinunciato a qualcosa solo per paura? Paura di sbagliare, di fallire, di rischiare, di rimanere soli? Quante volte abbiamo avuto paura di vivere, quando la vita ci metteva nella scomoda posizione di dover mettere tutto in discussione?

Qui l’autore mette sul piatto tutte le sue paure, e il suo dolore, come detto. Il dolore che inevitabilmente tutti noi dobbiamo subire prima o poi, chi più, chi meno.

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Ma il dolore fortifica, o almeno così dicono. Il dolore ci permette di costruirci addosso un’armatura indistruttibile e inossidabile, che ci rende progressivamente uomini e donne vere, forti e coraggiosi. Che poi, quand'è che smettiamo di essere qualsiasi cosa eravamo prima per evolverci ad adulti manco fossimo Pokèmon? Alla fine, perché nessuno ci dice davvero che, sotto quell’armatura di granito, siamo sempre noi stessi? Perché nessuno ci dice che quell’armatura è forgiata nel distacco e nella disillusione, nella perdita di speranza e di capacità di sognare e amare?

Nessuno ci rivela questa scomoda verità perché il dolore puzza più del letame, e la cosa più comune di fronte a questo è ignorarlo e fuggire a gambe levate. Lo facciamo tutti.
E così, inesorabilmente, perdiamo qualcosa, accorgendocene sempre troppo tardi.

Questo è anche il caso del Nostro, il quale trovava rifugio nel “Pisolone”, simpatico sacco a pelo della Giochi Preziosi dalle sembianze di dolce animaletto, tanto in voga negli anni ’80. All’interno del Pisolone, Zero era al sicuro dalle sue ansie e paure, sentendosi protetto dal crudele mondo là fuori.
Ma nessuno può scappare per sempre, e, anzi, il continuo fuggire in cerca di rifugio non è altro che un modo per permettere alle paure di crescere e moltiplicarsi indisturbate, e dove si annidano le paure, si sa, crescono i mostri, pronti ad attaccarci nel momento più inaspettato.

Volendo per un attimo eliminare tutti questi elementi , per puro gioco mentale, dall’equazione generale, Dimentica il mio nome rimane comunque una storia avvincente e scorrevole, in tutte le sue 234 pagine di durata. La trama costruita da un blocco centrale, sul quale si incastrano flashback e sottotrame secondarie, si dimostra estremamente fluida e ben architettata, cosa che dimostra quanto Zerocalcare sia cresciuto anche sotto il profilo meramente tecnico dello storytelling.

Come buona parte della produzione dell’autore, anche Dimentica il mio nome è quasi interamente in bianco e nero, e a questo proposito possiamo rilevare come lo stile grafico, pur rimanendo fondamentalmente invariato, sia diventato più pulito e armonico.
Quasi interamente, si è detto, perché a dire il vero una traccia di colore (l'arancio) c’è: questa scelta dal punto di vista cromatico ha un significato molto specifico, ma non vi si può rivelare di più senza cadere vittime del “Demone dello Spoiler”.

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Si tratta di un evento davvero raro quando si riesce a ridere e piangere contemporaneamente, e leggendo questo libro ci si trova catturati proprio in uno di questi momenti.
Terminata la lettura, con gli occhi lucidi e il sorriso stampato in faccia, si avverte la quasi irresistibile pulsione di cercare, con un gesto o anche semplicemente un pensiero, tutti coloro che amiamo (o abbiamo amato) nella nostra vita, soprattutto se questi affetti non ci sono più.
Perché il ricordo è la abilità più preziosa in dotazione all’essere umano, anche se a volte fa male; e l’affetto e il calore umano, sono la cura più efficace contro la sofferenza che il vivere spesso comporta.
La malinconia è quindi quella sensazione che ci accompagna nel corso dell’intera lettura, quel vortice di sensazioni che ci scava dentro e ci fa avvertire un inspiegabile senso di vuoto che abbiamo necessità di riempire con qualcosa, per non soccombere: questa è la vita, dopotutto.

E, a questo proposito, è bellissima la metafora della vita paragonata a un albero: alla nascita è semplicemente un seme, nel tempo cresce forte e rigoglioso, ma, invecchiando “l’albero si attorciglia, il tronco si fa nodoso, contorto, le radici spaccano quello che ci sta intorno, fino a che non riesci più a capire com’era la pianta originale”.


Dimentica il mio nome
parla di crescita, attraverso la perdita, la paure e il dolore, districandosi fra rimorsi e rimpianti, riuscendo a convivere con la malinconia e imparando, a poco a poco, a percepirsi in modo diverso, comprendendo l’importanza vitale delle piccole cose.
Quest'opera è una gemma assai preziosa nel panorama fumettistico nazionale degli ultimi anni (di sicuro) e (probabilmente) di sempre.

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