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Toy Story 4: un "perfetto film superfluo"

Toy Story 4: un "perfetto film superfluo"

Se già prima del nuovo millennio il concetto di sequel e di saga cinematografica esisteva e poteva contare su diversi esempi, è dopo il 2000 – ovvero nell’epoca a noi contemporanea – che questo modello di produzione è diventato tanto diffuso da divenire quasi una regola. Per gli studi cinematografici, dunque, è d’obbligo creare storie e personaggi da poter declinare in diversi capitoli cinematografici.
Non fa eccezione la Pixar che, spinta dall’esigenza di dover produrre un film all’anno, ha modificato quelle che erano le proprie intenzioni iniziali puntando molto sui sequel dei suoi successi, spesso con risultati al di sotto delle aspettative.

Toy Story, finora, rappresentava quell’eccezione in cui – raro caso – ogni nuovo capitolo della saga superava in qualità il precedente. Probabilmente, c’era un affetto sincero per questi personaggi e, considerando anche gli anni intercorsi fra una pellicola e l’altra, il lavoro che ha portato al terzo capitolo è stato impeccabile.
La grande fuga del 2010, inoltre, sembrava chiudere del tutto la storia dei giocattoli animati creata da John Lasseter nell’ormai lontano 1995. Per questo l’annuncio di un quarto capito, appena uscito nelle sale, aveva suscitato gioia e perplessità: tanto era ideale e perfetta la fine di Toy Story 3 che nessuno immaginava o sentiva l’esigenza di un sequel. Certo, c’è da chiedersi quando riteniamo opportuno o meno che una storia vada avanti, chi sia a deciderlo e, sopratutto, se sia una questione artistica o solo puramente economica.
Toy Story 4, ad ogni modo, è stato da molti definito come un capitolo superfluo, una sorta di epilogo aggiuntivo, un extra, a dirla tutta. Quasi un Toy Story 3.5. E non senza ragione.

Andando al cinema e vedendo il film, possiamo costatare una cosa: Toy Story 4 è una pellicola ottima sotto molti aspetti. È scritta bene, riesce a toccare le giuste corde (si ride quando c’è da ridere, si piange quando c’è da piangere) e tecnicamente è perfetta. Inoltre, chi temeva che questo film rovinasse o, quanto meno, mettesse in discussione quanto visto nel terzo film, può star sereno: la pellicola aggiunge un ulteriore tassello alla storia dei personaggi e lo fa in maniera coerente nonché sorprendente. Eppure, tutto questo non basta quando parliamo di Toy Story. Data l’altissima qualità dei precedenti film, infatti, questo nuovo capitolo appare come un leggero passo indietro, in quanto - scavando a fondo - presenta diverse imperfezioni che l'emotività e l'affetto che proviamo per questa saga possono celarci a una prima visione.

Partiamo dal primo punto: Toy Story 4 è incentrato interamente su Woody (e su Bo Peep). Tutti gli altri protagonisti, Buzz incluso (la cui caratterizzazione ci è qui sembrata alquanto banale) sono relegati a un ruolo secondario. Questo rende la pellicola una sorta di spin-off rispetto alla saga principale, tanto che potevano intitolarlo direttamente a lui. E, probabilmente, sarebbe stata una scelta azzeccata.

Ogni Toy Story ha uno spunto di riflessione che rappresenta il cuore della storia, che può essere tanto il tema della crescita che dell’abbandono, e così via. Anche il quarto capitolo ha una sua tematica. La storia ruota attorno a Woody che, messo in secondo piano dagli altri giocattoli nelle preferenze di Bonnie, deve ora trovare un proprio ruolo per poter crescere ulteriormente. Il legame di un giocattolo ad un bambino deve obbligatoriamente esistere, o un giocattolo può farne a meno?
Da questo spunto ruota la trama del film che diventa efficace grazie all’ingresso e al confronto con nuovi personaggi, su tutti Forky, un utensile che la creatività di Bonnie ha trasformato in giocattolo. Dunque, i nuovi personaggi portano linfa vitale alla serie, a discapito di quelli vecchi relegati sullo sfondo.

Purtroppo, a controbilanciare quest'aspetto, troviamo una certa ripetitività di idee e situazioni che rendono poco incisivo lo sviluppo del film. Il viaggio/fuga in camper, il negozio d’antiquariato, lo scontro con altri giocattoli, sembrano spunti riciclati da altri film della saga e rendono sottotono la parte centrale della storia, e le due ambientazioni luna park/negozio sembrano ridimensionare l'azione e limitarla.

Queste annotazioni rendono dunque Toy Story 4 un film sottotono o, addirittura, superfluo? Ecco, queste criticità non minano di certo la visione e la godibilità del film, né il lavoro svolto da Pixar che confezionano, di mestiere, un'ottima pellicola che non deluderà fan di vecchia data e nuovi spettatori. Inoltre, il film fa compiere un‘interessante evoluzione a uno dei protagonisti – Woody – e fa uscire lo spettatore dalla sala sazio di emozioni. Tuttavia, il paragone con i precedenti film e l’epicità raggiunta dal terzo capitolo, perfetta chiusura del cerchio, riescono a smorzare l’entusiasmo portandoci a considerare che in fondo questo film lo abbiamo visto con piacere, ma che non aggiunge più tanto alla saga. E ti fa pensare che se fosse stato sviluppato con più convinzione da una dirigenza Pixar in fase di evoluzione, e in cerca di una nuova identità, forse sarebbe stato ancora meglio. Ecco, da Toy Story non possiamo accontentarci solo di un ottimo film, vogliamo qualcosa di più. E chissà se, la Pixar non stia già pensando ad un quinto capitolo...

Ps. Un'inevitabile nota sul doppiaggio italiano che vede l'assenza del compianto Fabrizio Frizzi, sostituito da Angelo Maggi. La prova di quest'ultimo è assolutamente ottima, ma solo andando avanti ci si abitua al suo timbro. Ottimo lavoro anche delle altre star coinvolte da Luca Laurenti a Benji & Fede, passando per Corrado Guzzanti: le scelte appaiono fatte con criterio e non solo per aggiungere celebrità a caso alla pellicola.

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