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Mario Aragrande

Mario Aragrande

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Marvel's The Punisher: la recensione della seconda stagione della serie Netflix

Qual è il momento in cui un vigilante prende coscienza delle proprie motivazioni e decide di dedicare la sua vita alla propria missione di giustizia, per quanto distorta possa essere? La seconda stagione di The Punisher, serie Netflix spin-off di Daredevil, tratta dal celebre fumetto Marvel, risponde a questa domanda, riprendendo le fila del racconto delle gesta di Frank Castle da dove si era fermata la prima stagione, e correggendone i piccoli difetti che avevano lasciato un po' con l'amaro in bocca i fan più duri e puri del fumetto.

Per la sua prima avventura, infatti, Netflix aveva deciso di rileggere in chiave moderna l'origine del Punitore, inserendolo in una sorta di spy story in cui il protagonista scopriva solo alla fine i veri responsabili dell’esecuzione della sua famiglia e spiegando le sue motivazioni attraverso la tematica del disturbo da stress post traumatico dei reduci di guerra, che, pur essendo originale, verosimile e ben rappresentata, lasciava nel fan del fumetto un senso di incompletezza poiché si aveva l’impressione che il personaggio non fosse ancora diventato quello che il comic book aveva insegnato ad amare: un vigilante  determinato, al limite della psicopatia, a portare a termine la sua missione, cioè punire i criminali.

La seconda stagione, sviluppata dallo showrunner Steve Lightfoot, prova quindi a colmare questa lacuna, portando a compimento il processo di maturazione di Frank e mostrando finalmente il volto del personaggio più caro ai fan dei comics che, a questo punto, sperano che il serial non subisca la stessa sorte toccata alle altre serie Marvel sviluppate da Netflix (Iron Fist, Luke Cage e lo splendido gioiello Daredevil, sono state infatti cancellate a seguito di non meglio precisati dissidi tra le due case di produzione, ma dovuti probabilmente alla decisione della Marvel di riappropriarsi in prima persona della gestione dei propri personaggi, in vista dell’imminente lancio della piattaforma streaming Disney+, concorrente di Netflix, o del loro arrivo su Hulu, oggi di proprietà della Disney), per poter vedere finalmente il loro pupillo fare strage di nemici, nella versione resa famosa dai fumetti.

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Nel primo episodio, di gran lunga il più bello, Frank  Castle (ribattezzatosi Pete Castiglione grazie alla nuova identità fornirgli dall'Homeland Security), interpretato da Jon Benthal, è ancora alle prese con le conseguenze della sua prima avventura: dopo aver frequentato un gruppo di sostegno per veterani e con la voglia di ricominciare la sua vita lontano dalle tragedie che ha vissuto e dalla vendetta portata a termine contro i suoi ex commilitoni e, in particolare, contro il suo ex migliore amico Billy Russo (Ben Barnes), il nostro eroe è un uomo in viaggio per gli Stati Uniti alla ricerca di sé stesso.
In un bar sperduto nel mezzo del paese, incontra anche una donna, sola con un figlio, e sembra davvero che ci sia una seconda possibilità per lui. Ma le sue ossessioni non sono ancora superate e basta solo un pretesto per farle esplodere nuovamente: nello stesso bar, infatti, incappa in Amy (Giorgia Wigham), una ragazzina in fuga da una banda di loschi assassini, che la vogliono uccidere per recuperare delle foto compromettenti in suo possesso. Frank non si lascia pregare (anzi, come gli fa notare Amy, sembra che non stesse aspettando altro) e interviene per proteggere la ragazza, provocando una strage nel bar, ferendo indirettamente anche la donna con cui aveva avuto una storia e bruciando la sua ultima possibilità di avere una vita normale.

L’antieroe inizia così un viaggio per sfuggire agli inseguitori di Amy, un gruppo di fondamentalismi cristiani guidati da John Pilgrim (Josh Stewart) enigmatico personaggio tormentato dalla sua fede religiosa, dal suo amore per sua moglie e i suoi figli e dai fantasmi di un passato da killer della malavita, pronto a tutto pur di tutelare gli interessi di una facoltosa famiglia (la cui matriarca è Annette O'Toole, la Martha Kent di Smallville, nonché Lana Lang di Superman III), che ha intenzione di far arrivare il proprio figlio alla Casa Bianca. Proprio mentre Frank comincia a prendere coscienza del suo nuovo ruolo di vigilante, il passato torna a bussare alla sua porta: il suo vecchio nemico Billy Russo, infatti, scappa dall'ospedale psichiatrico in cui era rinchiuso, dopo la punizione subita nella prima stagione e Dinah Madani (Amber Rose Revah), contatto di Castle nell'Homeland security, ossessionata dai suoi trascorsi con Russo, che sono costati la vita al suo partner, lo richiama a New York per chiudere il conto col suo nemico. Russo a causa delle cicatrici inferte dal Punisher, ha perso parte della sua memoria, si fa chiamare Jigsaw, e intraprende una relazione malata che diventa un sodalizio criminale con la sua terapista Krista (Floriana Lima), ossessionata dai reduci di guerra a causa del suo doloroso passato.
Tornato a New York con Amy, quindi, Castle, con l'aiuto del suo amico ed ex Marine Curtis (Jason R. Moore), vivrà un'altra avventura piena di violenza e morte, che lo porterà a chiudere i conti col suo passato e ad abbracciare un futuro unicamente votato al suo “nuovo lavoro”, come lo definisce lo stesso Frank nell'ultima puntata: la guerra al crimine.

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Il filo che unisce tutti i personaggi di The Punisher è che sono alla ricerca di sé stessi e del loro posto nel mondo dopo aver subito un trauma: che sia la perdita violenta della famiglia, della memoria, degli amici, del padre o della fede, Frank, Billy Russo, Amy, Madani, Krista e John cominciano una guerra gli uni contro gli altri perché non riescono a trovare pace nella propria vita. Tutti agiscono in base a forze che cercano disperatamente di controllare e nel caos che si genera dai loro scontri, l'unica costante è la fredda determinazione di Frank che, innescata dall'incontro con Amy, supportata nell'unico momento di debolezza dell'eroe dal fugace ritorno della vecchia amica Karen Page (conosciuta sin dai tempi della seconda stagione di Daredevil), cresce puntata dopo puntata, e finisce per influenzare la vita di tutti i personaggi della serie e per diventare il segno distintivo dell'antieroe.

Per quanto riguarda i personaggi, mentre Amy non risulta particolarmente originale, avendo praticamente la stessa funzione narrativa di Micro nella prima stagione, cioè di trascinare il protagonista in una nuova avventura destinata a proteggere un innocente, più ricercato è  icuramente il lavoro effettuato su Jigsaw. Diversamente dal fumetto, il volto dell'antagonista è deturpato solo in parte (e questo ha creato non pochi malumori tra i fan), poiché la storia decide di concentrarsi più sulle cicatrici psicologiche che su quelle fisiche: il risultato finale è abbastanza convincente, nonostante l'interpretazione di Barnes zoppichi un po' in alcuni dei - forse troppo numerosi - monologhi psicotici del personaggio.
Pilgrim, da ultimo, è tremendamente efficace nell’incutere timore e inquietudine nello spettatore, grazie al volto impassibile e al portamento compassato di Josh Stewart, che nascondono una brutalità quasi allo stesso livello di quella del Punisher e sfociano in uno scontro finale cruento e al cardiopalma che incolla letteralmente allo schermo.

La seconda stagione di The Punisher non tradisce, quindi, le attese dei fan e si propone come la serie Marvel sviluppata da Netflix più bella dopo Daredevil, grazie ad un ritmo che, pur non raggiungendo mai picchi vertiginosi, non annoia mai, alla rappresentazione dell'eroe finalmente fedele a quella del fumetto e, soprattutto, alla performance del suo protagonista: Jon Benthal, infatti, con la fisicità e l’espressività cui ormai ci ha abituato, vale metà show e riesce rendere al meglio sia il lato brutale sia quello più intimo e fragile di Frank Castle.

Se si vuole proprio trovare un difetto alla serie (e il discorso vale per tutta la collaborazione Marvel/Netflix, che sta volgendo ormai al termine), lo si deve cercare nell'eccessivo realismo, che finisce col sacrificare il senso di meraviglia che dovrebbe accompagnare un'opera televisiva tratta da un fumetto: le serie, infatti, portano all'estremo l'insegnamento del "Cavaliere Oscuro" e calano le gesta degli eroi più urbani della Casa delle Idee in un contesto talmente reale che sacrifica addirittura i costumi degli eroi e, come nel caso del Punitore, la loro essenza, per una stagione intera. Questa scelta può risultare ottima per attrarre nuovo pubblico, ma può anche essere troppo eccessiva agli occhi degli amanti dei fumetti, finendo con l'allontanarli.
Questo potrà essere un ottimo elemento da cui la Marvel potrà ripartire, quando sarà il momento di ideare la prossima incarnazione del Punisher e degli altri eroi urbani.

1985, recensione: Quando i criminali Marvel invasero il nostro mondo

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Il fumetto è una passione che riempie la vita di grandi e piccini e, nel caso di Toby Goodman, protagonista di 1985, questa non è solo una metafora. 1985, saga in sei parti di Mark Millar e Tommy Lee Edwards, pubblicata per la prima volta nel 2008 e riproposta da poco in volume da Panini Comics, esplora il sogno segreto di ogni amante dei fumetti: come sarebbe la nostra vita se i personaggi dei fumetti prendessero vita nel mondo reale? E cosa succederebbe se, invece, a prendere vita fossero solo i supercriminali? Partendo da questa variazione sul tema dei supereroi che irrompono nella vita reale, già sperimentata in forme diverse in Marvels di Kurt Busiek e Alex Ross, gli autori creano un'avventura che ha l'intento di celebrare l'arte del fumetto, i supereroi Marvel e la bellezza di un passatempo che molti bollano superficialmente come uno svago da nerd,  ma che in realtà è molto di più poiché, come scoprono i protagonisti del racconto, un comic-book può cambiarti la vita.

Toby è un ragazzino nel 1985. La sua vita si divide  tra la scuola e la sua unica passione: i fumetti Marvel. Il suo hobby è un porto sicuro in cui rifugiarsi ed è un bene che ci sia, perché la sua vita non è delle più semplici: i suoi genitori sono separati e al ragazzo tocca vivere con una madre che non approva il suo amore per i comics e col suo nuovo compagno, un tipo che non potrà mai sostituire nel suo cuore il suo più grande eroe, cioè suo padre. Jerry Goodman, ritratto con la fisionomia di Jeff Bridges ne iI Grande Lebonsky, condivide col protagonista del grande film dei Fratelli Cohen l’indole pigra: è un uomo dalle grandi doti, ma ama vivere alla giornata e si perde dietro i suoi demoni d'infanzia. Vuole un gran bene a suo figlio Toby e gli ha trasmesso il suo amore per i fumetti, nato molti anni prima e condiviso col suo amico di infanzia, Clyde Wyncham. Proprio quest'ultimo e la sua casa nascondono un oscuro segreto di  cui Jerry è rimasto unico custode. Clyde, invece, ha avuto un terribile incidente che lo ha reso un vegetale.

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Così, proprio nel momento in cui esce Secret Wars, il primo crossover della casa delle idee pubblicato a metà degli anni '80 e la sua esaltazione per il suo hobby arriva all'apice, tutti i nodi della vita di Toby vengono al pettine: infatti, nella sua città partono strani avvistamenti di uomini vestiti di verde che volano con ali enormi sui tetti e lo stesso Toby si accorge della presenza di strani personaggi che osservano dalla finestra della casa di Clyde e sembrano tramare nell'ombra. L'unico che capisce cosa sta succedendo è il protagonista: i criminali dell'universo Marvel stanno prendendo vita proprio nella sua città, solo che nessuno crede ad un ragazzino con la testa tra le nuvole. Toby dovrà, quindi, intraprendere un viaggio - aiutato da suo padre- che lo porterà ad esplorare, letteralmente, nuovi mondi, per salvare il suo, risolvere i misteri del passato di Jerry e Clyde e scendere a patti con i problemi della sua famiglia, entrando cosi, in una maniera che mai avrebbe immaginato, nell'età della maturità.

Mark Millar, autore di cicli memorabili tra cui citiamo su tutti Ultimates e Civil War, si cimenta con 1985 in un progetto diverso da tutto quello che aveva proposto fino a quel momento  (che, nell’idea iniziale dell'autore, doveva essere molto più sperimentale, ovvero sotto forma fotoromanzo) per la Casa delle Idee: siamo di fronte ad una storia volutamente leggera, che esplora il senso di meraviglia e di avventura presente nell'essenza dell'universo e dei personaggi della Marvel, ad un racconto lontano dalle tematiche politiche, di critica sociale ed, in generale, da quell'approccio più maturo al media del fumetto, da sempre cifra stilistica dei lavori dell'autore scozzese.
La mano di Millar però c'è eccome: la si nota bene nello stile decompresso della narrazione, nei dialoghi taglienti, nella costruzione delle scene in modo che potrebbero essere adatte all'inquadratura di una cinepresa, oltre che alla penna di un disegnatore, nell’uso sapiente di colpi di scena e di dettagli realistici che lasciano il lettore col fiato sospeso e in attesa del numero successivo.

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Tommy Lee Edwards dal canto suo, come si è accennato prima, salito a bordo del progetto dopo che la Marvel non ha avallato le prime prove del fotoromanzo che Millar aveva in mente, pare sforzarsi particolarmente per rimanere fedele all’idea originaria dell'autore scozzese: le sue tavole non sono mai particolarmente dinamiche  e sembrano volersi concentrare soprattutto sulla caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo sui primi piani, piuttosto che sulla costruzione di scene di azione che rimangano impresse nella testa del lettore, proprio come se i soggetti fossero cristallizzati in fotografie. Questo effetto è aumentato dall'uso di una colorazione sfumata (arricchita da un giusto dosaggio dei chiaroscuri) che sembra realizzata con i pastelli e cambia di tonalità a seconda del mondo in cui è ambientata la storia (più cupa nella realtà priva di supereroi di Toby, più illuminata nella realtà dell’universo Marvel, quasi a simboleggiare la capacità dei personaggi di quell'universo di portare luce nella vita delle persone) e dal frequente utilizzo delle splash-page per presentare i personaggi (soprattutto i cattivi) dei fumetti, ritratti in pose statiche, che sembrano destinate a solennizzare la loro figura, come fossero delle statue.

Da ultimo, si sottolinea come i due autori si siano divertiti ad inserire easter egg  e a citare scene e personaggi storici dei fumetti, con l'intento di aumentare l’effetto nostalgia del senso di meraviglia e ingenuità che si respirava nelle storie dei primi anni '80 della Casa delle Idee, rimasto immutato nonostante il passare degli anni e il cambiamento delle modalità di narrazione delle storie a fumetti e del gusto dei lettori.

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1985 è un graphic novel che, pur non raggiungendo le vette delle opere migliori di Millar, di certo non può scontentare né i fan dell'autore scozzese né i fan della Marvel, a cui è  esplicitamente rivolta: oltre a costituire una lode splendidamente confezionata al fumetto e a chi ne è innamorato, contiene anche un significato di fondo, che si coglie proprio alla fine del racconto, una lunga avventura di formazione dei due protagonisti, Toby e Jerry. Così, alla fine, proprio come i due personaggi, capiamo che il segreto della felicità, forse, è crescere rimanendo un po' bambini: il modo più giusto di scendere a patti con la vita adulta è tenere vive le passioni e le gioie di quando si era bambini, tra le quali, naturalmente, trova un posto speciale l'amore per il fumetto.

Aquaman, la recensione del film: l'ora del riscatto per il DCEU

Aquaman è il cinecomic che non ti aspetti: sesto capitolo del DC Estended Universe, deve affrontare la diffidenza di pubblico e critica già prima della sua uscita, vista la fredda accoglienza ricevuta dai film che lo hanno preceduto, incentrati su personaggi (Superman e Batman su tutti) ben più famosi dell'alter ego di Arthur Curry. Ma come insegna Ant-man, sono i personaggi minori che regalano le sorprese più impreviste se si trova una chiave narrativa vincente per adattarne la storia sul grande schermo: così, mentre per l’Avenger in miniatura, per esempio, si è puntato sull’ironia, per l’atlantideo la scelta è ricaduta sull’avventura, raccontata con un pizzico di kitsch, ed in entrambi i casi si è fatto centro.

Le difficoltà dietro al progetto di un film dedicato ad Aquaman erano molteplici fin dall’inizio: a differenza del Marvel Cinematic Universe, infatti, i film ispirati all’universo a fumetti della DC  Batman vs Superman: Dawn of Justice, Justice League, Suicide Squad, ma non per esempio Wonder Woman e Superman: Man of Steel) sono stati segnati da grandi difficoltà e compromessi in fase di produzione, che ne hanno leso la riuscita finale; in generale, poi, scontano una minore capacità di programmazione a lungo termine della Warner Bros. rispetto ai Marvel Studios, che non consente di avere una visione chiara degli obiettivi e dei messaggi che si vogliono trasmettere con la trasposizione dei personaggi dei fumetti al cinema; inoltre, il personaggio di Aquaman non è conosciuto come i suoi colleghi della Justice League ed è dotato di poteri (l’abilità di parlare con i pesci su tutti) e di una storia che spesso, per usare un eufemismo, risultano poco accattivanti per il grande pubblico, se non addirittura ridicole (nota, ad esempio, l'ironia fatta in The Big Bang Theory in cui viene apostrofato con un non certo lusinghiero “Aquamansucks”).

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La sfida di superare queste difficoltà è stata accettata dal regista James Wan, già autore di film horror quali Saw e The Conjuring, che decide di portare sul grande schermo la sua visione di un nuovo mondo, Atlantide, prendendo liberamente spunto (complice il soggetto concepito da Geoff Johns, direttore creativo responsabile della DC Comics), da diversi archi narrativi contenuti nel rilancio di Aquaman avvenuto nel 2011 sotto il reboot New 52. Il cineasta è affiancato da Jason Mamoa, attore di serie tv quali Game of Thrones e Baywatch, già apparso nei panni di Arthur Curry in Justice League, e da altri grandi nomi, come Nicole Kidman nei panni di Atlanna, madre dell’eroe e regina di Atlantide, William Defoe che impersona Vulko, mentore dell’eroe, Amber Heard, splendida principessa Mera, compagna di avventura e fiamma di Aquaman, Patrick Wilson interprete di Orm fratellastro di Arthur e Dolph Lundgren, cioè Re Nereus, padre di Mera e alleato di Orm nel tentativo di conquista del titolo di Ocean Master.

La trama del film non punta certo sull’originalità, ma è solida nel suo tentativo di esplorare il viaggio di formazione di un eroe riluttante. Arthur è figlio dell’unione tra due mondi lontani: suo padre è Tom, umile guardiano di un faro, e sua madre è Atlanna, regina di Atlantide che, fuggita da un matrimonio combinato, viene salvata dall’umano, di cui finisce per innamorarsi. L’idillio domestico ha breve durata, perché il passato di Atlanna ritorna a minacciarla e per non mettere in pericolo la sua famiglia, la donna accetta di tornare al suo ruolo di regina di Atlantide, dal quale sarà però allontanata dal re per punire il suo tradimento, dopo aver dato alla luce un altro figlio, Orm. Il fato di Atlanna, esiliata nel più feroce dei regni sottomarini, sembra segnato, mentre Arthur cresce nella speranza di rivederla e impara con l’addestramento di Vulko, consigliere del re, i segreti di Atlantide. Scosso dalla notizia del fato della madre, Arthur preferisce vivere lontano dal mondo sommerso, ma la sua sete di avventure lo porta a diventare un eroe legato al mare: per esempio, salva un sottomarino da un team di pirati, lasciando morire per spacconaggine uno di loro e attirandosi il desiderio di vendetta del figlio, che finisce per diventare il criminale Black Manta, alleandosi con il fratellastro di Arthur. Intanto la figlia di Re Nereus, Mera, già vista in Justice League, cerca di convincere Arthur ad abbracciare la sua eredità e a diventare re di Atlantide destituendo suo fratello, per scongiurare la guerra che questi vuole muovere al mondo di superficie, colpevole di inquinare e deturpare i sette mari. Ma per riuscire in questo intento Arthur dovrà ritrovare il perduto tridente di Atlan, attraverso una non facile ricerca negli angoli più remoti del pianeta, prendere coscienza di sé e scendere a patti col suo passato.

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Non potendo contare, come detto, sulla trama, piuttosto scontata, e sull’interesse per il personaggio, Wan decide di stupire il pubblico costruendo un mondo nuovo, il regno di Atlantide, caratterizzato da un’ambientazione subacquea maestosa e credibile, al contempo tradizionale e futuribile e attenta a rendere i movimenti, le espressioni e le interazioni degli esseri umani nel mondo sotterraneo (e anche i loro poteri), assolutamente realistici e, per questo, coinvolgenti. Il regista si concede anche (con un omaggio riuscitissimo, che non stona nel generale tono avventuroso della pellicola) una breve incursione nel genere che lo ha reso famoso al grande pubblico, l’horror, con una sequenza breve sul finale del film, nella quale il protagonista e Mera affrontano il popolo sottomarino che protegge l’accesso al tridente di re Atlan.

Altro elemento su cui Wan gioca splendidamente le sue carte è il tema della formazione dell’eroe, che all’inizio si presenta come un adolescente dotato, ma capriccioso e riluttante ad assumersi le sue responsabilità: questo classico topos letterario è declinato in chiave avventurosa, e il risultato è una pellicola piena di azione, che omaggia anche i classici del genere e restituisce, soprattutto nel finale, una sfumatura di epicità al personaggio, che trova una marcia in più per compiere le sue imprese eroiche proprio in quell'elemento che lo rende, agli occhi del pubblico, più ridicolo.

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Da notare la scelta di stemperare la generale lunghezza del film e delle sequenze d’azione con l’inserimento di alcuni elementi decisamente kitsch: per quanto siano spettacolari le sue imprese, infatti, Aquaman trova il tempo di flirtare in maniera davvero rozza in una Sicilia troppo stereotipata per essere vera, di lanciarsi in una avventura all’Indiana Jones nel deserto del Sahara sulle note di un remix di Africa dei Toto di dubbio gusto e di fare battute da ragazzino in gita scolastica di fronte a reperti archeologici di inestimabile valore. Per quanto possa sembrare incredibile, questa scelta non disturba, anzi contribuisce a rendere più umano e credibile il personaggio, differenziando il tipo di comicità dell'opera da quella presente nei film Marvel, meno colorita e sopra le righe.

Quanto al cast, se la scelta di Mamoa e di Amber Heard è particolarmente azzeccata, poiché entrambi gli attori risultano credibili nei panni l'uno dell'eroe protagonista, grazie alla sua fisicità esplosiva e a quella sua aria da spaccone, anche un po' scemo, che tuttavia nasconde la sua paura dell’inadeguatezza e la sua riluttanza ad accettare il proprio ruolo, in un mondo che gli ha sottratto il suo affetto più caro, e l'altra della principessa guerriera, più sveglia e risoluta del suo compagno di viaggio, e decisa a guidarlo nella sua odissea attraverso il mondo per salvare il suo regno, mentre cerca di non innamorarsi di lui (regalando così un po' di pepe al lato romantico del film). Un po' sprecata appaiono le presenze di Nicole Kidman e Willem Dafoe, relegati a ruoli di secondo piano (nel caso di quest'ultimo, tra l'altro, lontani dalla rappresentazione cartacea) che non rendono giustizia al loro talento. Avrebbero sicuramente meritato più spazio e un maggiore approfondimento dei loro personaggi.

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Funzionano invece i due nemici, in particolare Patrick Wilson nei panni di Orm, grazie soprattutto - oltre alla bravura dell'attore, che può vantare una collaborazione di lunga data con il regista - alla sceneggiatura che, al contrario dei precedenti film DC, delinea un cattivo a tutto tondo, mosso da motivazioni convincenti e antitetiche rispetto a quelle del protagonista, che arrivano quasi a toccare la critica sociale per l'inquinamento degli oceani da parte del mondo di superficie. Black Manta, interpretato da Yahya Abdul-Maten II, invece, trova poco spazio, anche se quasi sicuramente tornerà nel sequel.

Aquaman è quindi una bella sorpresa nell'ambito del DC Estended Universe che il pubblico ha già premiato come il film più redditizio dell'intero franchise. Nonostante qualche sbavatura e qualche tema che poteva essere approfondito un po' di più (per esempio quello della crescita e dell'accettazione del proprio retaggio, oppure quello dell'inquinamento dei mari) risulta essere probabilmente il miglior film DC prodotto finora, grazie alla coerenza dell'opera in generale e alle scelte stilistiche indovinate dagli autori, non ultima una colonna sonora molto eterogenea, all'interno della quale spicca la splendida She’s a mistery to me di Roy Orbison, nella sopracitata scena ambientata in Sicilia. E, anche dopo due ore e ventidue minuti di film, per la prima volta si esce dal cinema con la voglia di vedere un sequel. Altro che Aquamansucks! Aquaman è un film assolutamente consigliatissimo.

Spider-Man Collection 16 - La saga del costume alieno - Parte 2: recensione

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Il secondo dei due volumi di ristampe dedicati alla prima apparizione del costume alieno dell’Arrampicamuri, Spider-Man Collection 16, parte subito in quarta mostrandoci, già nella prima storia, la conclusione dell’arco narrativo pubblicato nel volume precedente (qui da noi recensito), che costituisce la prima fase della storia editoriale del simbionte, personaggio ripescato poi negli anni successivi per dare vita ad uno degli antagonisti più apprezzati del dell'uomo ragno: Venom.

La storia dal titolo “Finché morte non ci separi” scritta da Louise Simonson e Greg Laroque e tratta dal numero uno della serie Web of Spider-Man, terza collana del Tessiragnatele, lanciata nel 1985 per sostituire Marvel team-up e sfruttare il più possibile la popolarità del personaggio, è entrata di diritto nella leggenda di Spider-Man, inscenando la resa dei conti tra il nostro eroe e il simbionte, fuggito dalla prigione in cui era rinchiuso, costruita nella base dei Fantastici Quattro, e desideroso di tornare ad unirsi in modo permanente all’ospite umano che lo aveva respinto.
Mentre l’Uomo Ragno cerca di difendere la propria umanità e indipendenza dai tentativi del simbionte di possederlo, incappa in un improbabile gruppo di supercriminali di serie Z ispirati all’avvoltoio, chiamati i Vulturiani, e ferma il loro piano criminale senza troppa fatica. La presenza di questi personaggi serve a stemperare la tensione della storia che, invece, raggiunge il suo livello più alto quando un disperato Peter tenta il tutto per tutto per liberarsi dall’alieno ,portandosi vicino alle campane di una chiesa: il finale del racconto è noto (anche perché è stato trasposto con un fedele adattamento al cinema, in Spider-Man 3, capitolo conclusivo della trilogia di Sam Raimi) e non manca di sorprendere il lettore con un colpo di scena che conclude una storia adrenalinica e non invecchiata per nulla nel corso degli anni.

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Il volume prosegue presentando storie dal tono più soft, tutte tratte dalla collana regolare dell’uomo ragno, Amazing Spider-man, ma spesso realizzate da team creativi diversi rispetto a quello regolare della serie all’epoca (Tom Defalco e Ron Frenz). In particolare, spiccano due racconti scritti da Peter David, uno degli autori Marvel più apprezzati, che ha legato il suo nome a un lunghissimo ciclo di The Incredibile Hulk, oltre che a testate come X-Factor, Spider-Man 2099 (personaggio da lui co-creato con Rick Leonardi) e, naturalmente, Spider-Man.

Prima di ricevere l’incarico di scrivere The Spectacular Spider-Man (serie per la quale ha dato alla luce il bellissimo ciclo de La morte di Jean Dewolff, che proietta l'Uomo Ragno in un giallo con tanto di delitto all'inizio della storia, genere lontano dal tenore classico delle avventure del personaggio, ma in linea con quelle più rivoluzionarie sfornate alla fine degli anni '80), David si diverte a scrivere due storie spassose , proiettando il nostro eroe prima in un bizzarro inseguimento nei sobborghi della città per sventare un crimine di poco conto e poi nel bel mezzo di una grottesca contesa tra due supercriminali di mezza tacca, Frog la rana e Toad, e un aspirante eroe, Ragno Kid, per il ruolo di spalla (peraltro non voluta) di Spider-Man.

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I due racconti, disegnati da Bob Mcleod e da Sal Buscema assieme alla seconda storia del volume, realizzata da Craig Anderson e Paty Cockrum, incentrata anch’essa su un personaggio buffo chiamato Red 9 e sul rapporto dei supereroi e delle persone normali con la burocrazia, rappresentano un esempio di fil-in, racconti riempitivi che venivano commissionati ad autori diversi, quando quelli della serie regolare non erano in grado di rispettare le scadenze mensili, strappano al lettore più di un sorriso, mostrando che lo strumento del comic book dedicato ai supereroi può spaziare da un genere all’altro con efficacia, senza rimanere ancorato al cliché del tradizionale action.

Le restanti storie della raccolta, riprendono il ciclo di Tom De Falco e Ron Frenz di Amazing Spider-Man, nel quale i due autori continuano ad esplorare le conseguenze dell'evento Secret Wars sulla vita di Peter Parker: il nostro eroe, reduce dalla fine della sua relazione con la Gatta Nera, che gli aveva regalato una versione di stoffa del costume nero, per sostituire l’alieno rivelatosi una pericolosa minaccia, alterna le sue due uniformi e cerca di gestire le sue paure e le minacce alla città dovute al ritorno dell’Arcano sul nostro pianeta. Infatti, l’essere cosmico semidivino, attratto dalla curiosità verso il genere umano, decide di condurre esperimenti sociologici sugli abitanti della Terra, per studiarne le reazioni. Così, per esempio, trasforma in oro un intero palazzo di New York, scatenando l’avidità di Kingpin, che si vuole arricchire alle spalle della città e del governo federale, e i dilemmi morali di Spider-Man che entra in possesso di un bloc notes d’oro e non sa se trarne un vantaggio economico.
Intanto, l’Uomo Ragno deve spingersi oltre i suoi limiti per fermare Firelord, araldo di Galactus arrivato sulla Terra dallo spazio, che minaccia gli abitanti di New York per un equivoco e per sconfiggere Zarathos, demone che sfida il nostro eroe in una guerra psicologica, nell’ambito di una scommessa tra l’Arcano e il malvagio Mefisto, che ha per oggetto le sorti del mondo.

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Quanto al cast di comprimari, si nota la sempre più assidua presenza di Mary-Jane Watson che, dopo le rivelazioni dello scorso volume, costruisce con Peter un’amicizia sempre più intima, lo sforzo del Ragno per riguadagnare la fiducia di sua Zia May, rimasta delusa dalla sua decisione di abbandonare gli studi e l’incontro/scontro con la Volpe Nera, Slyde, Puma (di cui vengono approfondite le origini) e Silver Sable, mercenaria della nazione immaginaria della Symkaria, leader del Branco Selvaggio, che qui è alla sua prima apparizione.
Una menzione speciale merita la presenza di Crusher Hogan, wrestler visto solo per qualche vignetta nella prima apparizione dell’Uomo Ragno, Amazing Fantasy 15, di cui ora ci viene presentata la triste sorte. Un cameo che sicuramente fa sorridere tutti i fan di vecchia data del personaggio.

Spider-Man Collection 16 presenta un ciclo diventato ormai un classico dell’Uomo Ragno, con storie divertenti, ricche di azione che si rifanno alla tradizione supereroistica del decennio: non si tratta di una serie particolarmente innovativa, ma di sicuro è apprezzabile, poiché lo stile Marvel, creato dal recentemente scomparso Stan Lee e sinonimo di intrattenimento di qualità, è ben impresso nella mente degli autori, che lo fanno rivivere in ogni tavola, con disegni eleganti e rassicuranti nella loro classicità e testi didascalici ma solidi.

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