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Batman: Detective Comics 1 - Il Quartiere, recensione: i vicini di casa del Cavaliere Oscuro

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Il biennio 2020/21 è stato foriero di grandi cambiamenti per Batman e le collane a lui dedicate. Già nel 2019 Tom King, con la conclusione del suo lungo ciclo sul personaggio, aveva dato un significativo scossone allo status quo del personaggio. Durante la saga City of Bane, infatti, avevamo assistito all’assassinio del fidato maggiordomo Alfred Pennyworth da parte dell’implacabile villain. Ma il successore di King su Batman, James Tynion IV, avrebbe osato ancora di più. Nella saga Joker War del 2020 il Principe Pagliaccio del Crimine decide di chiudere i conti con Batman. I duelli infiniti contro il suo eterno rivale non lo divertono più e, dimostrando di conoscere da sempre l’identità segreta del Cavaliere Oscuro, Joker sferra un attacco decisivo tanto contro Batman quanto contro Bruce Wayne, riuscendo a sottrargli una consistente parte del suo ingente patrimonio.

Dovendo rinunciare anche a Villa Wayne e alla Bat-Caverna, il finale della saga ha quindi fornito a Batman e a Bruce Wayne un nuovo starting point. Una situazione narrativa fresca, anche se non del tutto inedita, di cui hanno beneficiato i team creativi che nel 2021, nell’ambito dell’iniziativa Infinite Frontier, hanno preso le redini di Batman e Detective Comics. Se la prima ha visto ancora all’opera James Tynion IV, coadiuvato ai disegni dalla giovane stella Jorge Jimenez, Detective Comics è passata nelle mani di un nuovo team creativo formato da Mariko Tamaki (testi) e Dan Mora (disegni). La Tamaki ha un interessante background di autrice indie, con al suo attivo opere intimiste moto acclamate dalla critica come E la chiamano estate, arrivata anche da noi qualche anno fa grazie a Bao Publishing. Mora, invece, è semplicemente la rising star del momento, la giovane stella del tavolo da disegno su cui la DC sta puntando maggiormente e questo volume rappresenta il suo primo incarico di prestigio per l’editore.

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La saga di debutto del nuovo team di autori si chiama Il Quartiere e il titolo non è messo lì a caso, ma suggerisce già il nuovo setting in cui si troverà ad operare il Cavaliere Oscuro. Anche il clima a Gotham è diverso dal solito ed è diventato ostile nei confronti dei suoi vigilanti mascherati: gli eventi di City of Bane e di Joker War hanno messo a ferro e fuoco la città e hanno esasperato i cittadini. Il clima avverso nei confronti di Batman e dei suoi alleati è stato funzionale all’ascesa a sindaco di David Nakano, un ex agente di polizia il cui compagno di pattuglia è stato ucciso a margine di uno scontro tra il Crociato Incappucciato e la sua nemesi. Il nuovo sindaco non fa quasi distinzione tra eroi e criminali, ritenuti due facce della stessa medaglia, e la sua politica è quella di osteggiare l’attività delle “maschere”. Batman si trova improvvisamente a dover fare a meno di due tradizionali assi nella manica a sua disposizione: la collaborazione con le forze dell’ordine, che a seguito del nuovo corso politico in città non può proseguire come prima, e la smisurata ricchezza di Bruce Wayne che, come dicevamo sopra, ha subito un pesante ridimensionamento e non può più finanziare in modo illimitato le attività del suo alter-ego. Ma intendiamoci, anche se il suo patrimonio ha subito un duro colpo, Bruce Wayne non è di certo diventato povero. È ancora in grado, infatti di potersi permettere un appartamento a Fort Graye, un quartiere residenziale di Gotham dove vive l’alta borghesia un po’ snob della città.

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Le pagine che la Tamaki dedica all’inserimento di Bruce in un nuovo e inedito contesto sociale sono senza dubbio le più interessanti del volume. In 84 anni di avventure a fumetti avevamo visto il Cavaliere Oscuro alle prese con qualsivoglia minaccia, ma mai una così apparentemente ordinaria e subdola: il vicinato. L’élite di Gotham, ricchi e rampanti imprenditori di start-up le cui vite non sono mai state toccate dalle difficoltà che vivono i cittadini dei bassifondi di Gotham. Si tratta di un setting del tutto originale, una novità assoluta nella storia di Batman, che tocca anche la geografia urbana delle sue avventure. La Gotham “dark déco” della tradizione lascia il passo ad un quartiere moderno ed elegante, ben visualizzato dalle linee dettagliate di Dan Mora. Bruce non avrà molto tempo per adattarsi alla nuova situazione, perché l’omicidio di una sua vicina costringerà Batman a entrare in azione. Teniamo presente che il nome della collana è pur sempre Detective Comics, e quindi ci ritroviamo ben presto proiettati in una storia in cui l'eroe potrà mettere a frutto le sue ben note qualità di investigatore, supportato dal ritorno di una classica eroina “urban” della DC, Huntress. In un crescendo di tensione e di ulteriori omicidi, il Cavaliere Oscuro farà la conoscenza di un nuovo e minaccioso villain che porterà la vicenda verso atmosfere horror che non sono, queste no, una novità assoluta per le collane di Batman. Seppur avvincente, lo sviluppo della vicenda mette del tutto da parte l’interessante premessa iniziale de "Il Quartiere", che dà il titolo al volume, ed è un vero peccato.

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Valore aggiunto del volume è il comparto grafico assolutamente esplosivo firmato da Dan Mora e Viktor Bogdanovic. Mora, come dicevamo in apertura, è l’artista del momento, capace di fornire una sintesi moderna tra la muscolarità classica del fumetto americano, di cui Jim Lee è il punto di riferimento massimo, e l’energia e la vivacità dei manga. L’artista costaricano ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo punto di riferimento grafico per il settore, grazie alle sue tavole dinamiche e deflagranti di azione che, però, non rinunciano mai alla cura di sfondi e dettagli. Si vedano, a tal proposito, le pagine in cui Mora visualizza con dovizia di particolari il quartiere che dà il titolo al volume. Bogdanovic, invece, è un disegnatore meno raffinato di Mora, che si rifà chiaramente allo stile di Greg Capullo ma senza mutuarne lo stesso livello di precisione nei dettagli. L’artista svizzero riempe le sue tavole di corpi dotati di una muscolarità steroidata, esagerata, che che ci riporta quasi ai tempi dello stile Image dei primi anni. Una scelta stilistica che ben si sposa con la svolta action/orrorifica della trama e che può anche compiacere il lettore, ma che perde nettamente il confronto con il tratto moderno ed elegante di Mora.

Batman: Detective Comics – Il Quartiere, presentato da Panini Comics in un solido cartonato soft-touch, è uno dei capitoli più interessanti della produzione seriale recente dedicata al Cavaliere Oscuro, e nonostante perda presto lo spunto originale che ne aveva caratterizzato la partenza, merita sicuramente la lettura.

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Batman '89, recensione: ritorno nella Gotham City di Tim Burton e Anton Furst

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Il Batman del 1989 diretto da Tim Burton, frutto di una battaglia durata dieci anni combattuta dal produttore Michael Uslan per portare sul grande schermo una versione del Cavaliere Oscuro finalmente dark e coerente con le sue origini, si rivelò a sorpresa un successo straordinario, come ricorderanno le tante persone che all’epoca si misero in fila davanti ai botteghini del cinema per assistere alla proiezione di una pellicola attesa per anni. Primo esempio di cinecomic moderno, se si esclude il pioneristico Superman del ’78 firmato da Richard Donner, e precursore di una sinergia tra cinema e una strutturatissima strategia di marketing che, grazie all’iconico logo di Batman, travolse il mondo generando una “Batmania” di lunga durata.

Le dimensioni del trionfo del film furono tali che un sequel fu inevitabile. Per girarlo Burton, che era ormai un autore riconosciuto ed affermato grazie al successo di critica di un progetto personale come Edward Mani di Forbice, pretese il controllo creativo totale che non aveva avuto per il film del 1989. Batman Returns del 1992 è un film che, rispetto al prototipo, è fatto ad immagine e somiglianza del suo regista. Pellicola cupa e pessimista che riscosse un grande successo di critica ma che sconvolse una buona fetta di pubblico, come alcune associazioni dei genitori, vivaci e pittoresche realtà dello showbiz a stelle e strisce, e gli sponsor come McDonald’s, più interessato a produrre “happy meal” ispirati al film che alla qualità del film stesso. Così le strade tra Batman e Tim Burton si separarono e, con Batman Forever del 1995, le sorti cinematografiche del Crociato Incappucciato vennero affidate a Joel Schumacher.

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La curiosità di sapere come sarebbero andate le cose se il regista di Burbank fosse rimasto alle redini del franchise cinematografico del Pipistrello di Gotham City non ha mai abbandonato i fan delle prime due pellicole. A questo interrogativo risponde Batman ’89, miniserie scritta dallo sceneggiatore della prima pellicola di Burton, Sam Hamm, e illustrata da Joe Quinones, vero promotore dell’iniziativa. Nel 2016 alcune “concept art” realizzate da Quinones per un pitch riguardante un'eventuale serie denominata Batman ’89, scritta da Kate Leth e disegnata da lui, fecero capolino su internet e sui social. L’artista, grande fan della pellicola, sperava che la DC Comics, sull’onda del successo di un’ altra serie nostalgica come Batman ’66, desse il via libera al progetto ma così non fu. O almeno non subito. Lo scorso anno l’editore si è convinto a dare il semaforo verde alla serie sotto forma di mini di sei numeri, che arriva finalmente sugli scaffali delle fumetterie italiane grazie a Panini Comics.

Rispetto al pitch del 2016 il progetto ha acquistato ulteriore spessore, grazie al coinvolgimento di Sam Hamm che sostituisce la Leth ai testi. Non si tratta della prima volta in cui lo sceneggiatore si cimenta col mondo del fumetto: proprio nel 1989, per festeggiare i 600 numeri di Detective Comics, aveva scritto una importante saga in tre parti disegnata da Denys Cowan, Blind Justice, che aveva introdotto il personaggio di Henri Ducard, vecchio mentore di Bruce Wayne.

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Batman ’89 inizia dove Tim Burton ci aveva lasciato. È passato un anno dagli eventi di Batman – Il Ritorno e la città è di nuovo sotto attacco della criminalità. Bande di seguaci del Joker, defunto al termine del primo film, mettono a segno un colpo dopo l’altro tra cui un audace colpo ad un blindato porta valori sventato da Batman, ma non senza danni a cose e a persone. Il procuratore distrettuale Harvey Dent decide di prendere in mano la situazione, aiutato dalla fidanzata Barbara, figlia del Commissario Jim Gordon e poliziotta essa stessa col grado di sergente. Mosso non solo dal desiderio di servire la legge, ma anche da una discreta dose di ambizione personale, Dent si imbarca in una crociata anticrimine e anti-vigilante al tempo stesso, individuando nella figura di Batman un'inaccettabile anomalia di autoproclamato giustiziere. Per il Cavaliere Oscuro si prospetteranno tempi duri, non potendo più contare sul dimissionario Gordon, e dovrà affrontare Dent in una doppia veste: prima in quella di infaticabile servitore della legge e successivamente, come da copione, in quella criminale di Due Facce. Anche in Batman ’89, infatti, il destino del procuratore distrettuale è segnato, e un incidente lo sfigura orribilmente, minandone la salute mentale. Bruce, mai nei guai come in questo momento, potrà contare solo sull’aiuto del fidato Alfred e di Drake Winston, una ragazzo dei bassifondi esperto di motori che ha già iniziato in segreto una carriera di vigilante notturno. Una sentinella della notte che forse, in un altro universo, avremmo potuto chiamare Robin.

Batman ’89 non si limita a giocare su un ovvio elemento nostalgico. Hamm e Quinones, pur nella cornice fornita dal classico di Tim Burton, realizzano una storia perfettamente autonoma e fruibile anche da chi non ricorda ogni singola battuta del film. Lo scrittore si diverte ad introdurre elementi classici del fumetto (come Barbara Gordon, Robin o il ghetto di Burnside) nel contesto dell’universo della pellicola dell’89, adeguandoli al suo stile e al suo contesto. È un adattamento del materiale originale, secondo un’ottica che già all’epoca guardava più alla possibile resa sullo schermo che alla fedeltà pedissequa al materiale cartaceo, come nel caso dei cambiamenti apportati al personaggio di Robin o la scelta di Billy Dee Williams e Marlon Wayans, due attori afroamericani, per la parte di Harvey Dent e dello stesso Robin. Proprio la presenza di questo personaggio rappresenta forse la curiosità maggiore del volume. Sam Hamm aveva effettivamente previsto la presenza di Robin nel primo lungometraggio ma il personaggio venne tagliato per non appesantire una pellicola già molto lunga (i tempi delle maratone cinematografiche targate MCU erano ancora molto di là da venire).

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Si tentò di inserire Robin anche in Batman Returns, tre anni dopo, ma il personaggio venne nuovamente tagliato per gli stessi motivi, nonostante il giovane Wayans fosse stato già scritturato per il ruolo e avesse firmato un contratto per interpretare l’aiutate di Batman in più film. Cosa che non accadde mai, ma il contratto dell’attore venne onorato facendo si che Wayans ricevette il suo regolare compenso senza aver mai indossato il costume di Robin. Una mancanza a cui Batman ’89 rimedia, rendendo questo Robin alternativo il personaggio più interessante di tutta la miniserie. Hamm porta a conclusione l’arco narrativo dell’Harvey Dent di Billy Dee Williams e la sua trasformazione in Due Facce, sviluppo prevedibile che non aveva fatto in tempo a compiersi sul grande schermo, oltre a riportare in scena un personaggio indimenticabile come la Catwoman di Michelle Pfeiffer, il tutto reso dai disegni plastici di Joe Quinones. Il disegnatore fornisce la prova migliore della sua giovane carriera, dimostrando tutta la passione riversata nel progetto da lui tanto voluto. L’artista riesce a fondere l’iconografia ormai classica delle pellicole di Batman, dalle fattezze degli attori alle indimenticabili scenografie della Gotham cinematografica firmate dal compianto Anton Furst, con uno storytelling adrenalinico e moderno che non potrà fare a meno di avvincere il lettore. Perfettamente complementare ai disegni di Joe Quinones è la palette scelta dal colorista Leonardo Ito, dove domina quel colore viola che, oltre ad essere il colore chiave del film dell’89 e del Joker di Jack Nicholson, era anche la tonalità prevalente della classica movie adaptation colorata da Steve Oliff.

Nonostante siano tanti gli elementi che richiamano gli anni in cui uscirono il film e il suo seguito, come le reali rivolte nei ghetti che allora erano all’ordine del giorno e che vengono ricordate anche dagli autori nel corso della trama, Batman ’89 non è solo la rievocazione nostalgica di un tempo ormai perduto, è - soprattutto - un’ottima storia del Cavaliere Oscuro che merita di essere letta anche da chi non era ancora nato negli anni in cui Tim Burton dirigeva le sue indimenticabili bat-pellicole.

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Le prime pagine di Batman/Spawn #1

  • Pubblicato in News

Esce oggi in USA lo speciale Batman/Spawn #1, team-up di 48 pagine scritto da Todd McFarlane e disegnato da Greg Capullo in cui vedremo la società segreta de la Corte dei Gufi assoldare Spawn per uccidere il Cavaliere Oscuro.

L'albo vede i due personaggi insieme dopo 28 anni dall'ultima volta, ovvero da Batman/Spawn: War Devil del 1994, scritto da Doug Moench, Alan Grant e Chuck Dixon e illustrato da Klaus Johnson. Il loro primo incontro, invece, è avvenuto in Spawn/Batman, scritto da Frank Miller e illustrato da Todd McFarlane.

Di seguito potete leggere le prime tavole di Batman/Spawn #1.

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Lucifer 1 - Il Diavolo sulla soglia, recensione: il Demonio Ribelle di Mike Carey

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L’etichetta Vertigo, il marchio della DC Comics rivolto ad un pubblico più sofisticato e maturo di quello interessato solamente ai supereroi, ha lasciato una traccia indelebile nella storia del fumetto americano nonostante sia stata chiusa da qualche anno per scelta editoriale, venendo soppiantata dalla divisione Black Label.
Creata da Karen Berger, redattrice e figura fondamentale nella storia della DC Comics, la Vertigo è stata la casa degli esponenti principali della “British Invasion” come Neil Gaiman, Peter Milligan, Grant Morrison, Garth Ennis e, in generale, del fumetto di qualità.

Il grande successo di una serie come il Sandman di Gaiman portò al consolidamento dell’etichetta e all’arrivo di una successiva ondata di autori inglesi nella seconda metà degli anni ’90. Sceneggiatori come Mike Carey, proveniente dalla fucina britannica di 2000 A.D., che debuttò nel 1999 in DC/Vertigo con una miniserie di tre numeri (seguita da una serie regolare) dedicata a Lucifer, il diavolo androgino che era stato presentato proprio nei primissimi numeri di Sandman. Costretto a recarsi all’inferno per recuperare l’elmo facente parte dei suoi paramenti reali, Morfeo si era imbattuto in “Lucifer Morningstar”, immaginato da Gaiman e da Sam Kieth, autori della storia, con le fattezze di David Bowie, il “rebel” per eccellenza della cultura pop/rock britannica. Paradigma dell’autodeterminazione, Lucifero lascerà anche l’Inferno per seguire la propria strada. Che vuol dire, nel suo caso diventare il proprietario di un piano bar a Los Angeles. È in questa veste che lo ritroviamo all’inizio di Lucifer vol.1 – Il Diavolo sulla soglia, il primo di una serie di volumi brossurati con cui Panini Comics inizia la ristampa della serie culto dedicata a colui che era stato il più luminoso tra gli angeli, prima della sua caduta.

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Il volume è suddiviso in tre capitoli. Il primo corrisponde alla miniserie del 1999, in cui ritroviamo Lucifer alle prese con la sua nuova vita. Si è dimesso dall’inferno e gestisce un club a Los Angeles, situazione che ritroviamo anche nella serie tv che si ispira al fumetto solo superficialmente, senza mutuarne trame e spessore. Il Paradiso, nonostante gli antichi dissapori, lo contatta comunque per affidargli un incarico: rintracciare e fermare una pericolosa entità capace di realizzare qualsiasi desiderio concepito dagli esseri umani. Lo accompagnerà una giovane di origine indiana, Rachel, la cui vita è stata irrimediabilmente travolta da un desiderio esaudito e che scoprirà ben presto cosa voglia dire avere a che fare col Diavolo in persona. Il secondo capitolo coincide con l’inizio della serie regolare originale e vede Lucifer recarsi ad Amburgo e più precisamente nel quartiere di St. Pauli, culla del movimento punk tedesco, brulicante di vita, locali ma anche di naziskin e prostituzione. L’Astro del Mattino va alla ricerca di Meleos, un angelo che vive tra gli umani camuffandosi da libraio. Una vecchia conoscenza di Lucifer, esperto di divinazione e tarocchi. E il Diavolo vuole da Meleos proprio questo, una risposta su quali siano i piani del Paradiso e su cosa gli riservi il futuro. Nell’ultima storia del volume facciamo la conoscenza di Elaine Belloc, una bambina che ha la capacità di parlare con i defunti, che deve indagare sull’assassinio della sua amica Mona. L’incontro con Lucifer darà la svolta alla vicenda.

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Ponendosi sul solco tracciato da Neil Gaiman e dal suo Sandman, Mike Carey usa questi primi episodi per presentare i personaggi e gli elementi che costituiranno l’architrave del suo ciclo, un lavoro di worldbuilding efficace che ci trascina subito nel mood della serie. Come in molte storie a marchio Vertigo, entità ancestrali sostanzialmente indifferenti al destino degli uomini incrociano il cammino di un’umanità alla deriva. Un Inferno che gli uomini si costruiscono da soli e di cui Lucifero, ironicamente, non è responsabile, preso dal suo processo di emancipazione da un destino già tracciato. Un enigmatico osservatore delle miserie umane, che interviene solo quando il caos rischia di travolgere tutto e tutti. Carey delinea una figura misteriosa e insondabile, magnetica e carica di fascino ambiguo, che inizia qui il percorso di protagonista di una serie di settantaquattro numeri che sarà acclamata da pubblico e critica.

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Sul fronte grafico, si alternano tre artisti sinonimo di fumetto d’autore. Apre le danze Scott Hampton, che con i suoi acquarelli che trascina il lettore in atmosfere rarefatte ed evocative. Il segmento ambientato ad Amburgo, invece, si avvale delle matite di stampo realista dell’inglese Chris Weston, un nume tutelare della Vertigo di quegli anni che avremmo rivisto anche su alcuni numeri di Hellblazer e, soprattutto, su The Filth in coppia con Grant Morrison. Al contrario dei pennelli di Hampton, il tratto di Weston gioca su un nero molto marcato e amplificato dalle chine realizzate dello stesso autore in coppia con James Hodgkins, altro habitué dei fumetti Vertigo come il colorista Daniel Vozzo, che concorrono ad un risultato finale classico e di forte impatto. Il capitolo finale ci regala un altro cambio di registro, dovuto alla storia che Carey vuole raccontare, una vicenda di fantasmi per la quale il tratto stilizzato di Dean Ormston e Warren Pleece è perfetto nel trasmettere brividi e suggestioni.

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