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Andrea Fiamma

Andrea Fiamma

Star Wars VII: riprese iniziate, novità sul cast

L'Hollywood Reporter ha diffuso la notizia che Peter Mayhew potrebbe tornare a vestire i panni di Chewbacca nel nuovo episodio della saga di Guerre stellari. Mayhew sarebbe dovuto apparire alla convention Comicpalooza in Texas, che si tiene dal 23 al 26 maggio, ma il suo staff ha cancellato l'apparizione dichiarando che l'attore sarà impegnato a girare un film. La Lucasfilm non ha commentato la notizia.

Parlando a THR, Alan Horn ha rivelato che il casting del film è quasi completo e che le riprese, inizialmente previste a partire dal 14 maggio in Marocco secondo Badass Digest, sono già iniziate. Horn ha confermato che una  troupe è già al lavoro, riferendosi quasi sicuramente alla seconda unità, incaricata di girare fondali o inserti che non richiedono la presenza del cast principale.

È probabile che il 4 maggio, lo Star Wars Day in America, la Disney rivelerà maggiori dettagli sul cast del film.

The Sinister Six, aggiornamenti sul regista

SuperheroHype riporta che Drew Goddard ha ufficialmente iniziato le negoziazioni per dirigere lo spin-off di Spider-Man, The Sinister Six. Goddard è già coinvolto in un altro progetto Marvel, dato che scriverà e dirigerà il primo episodio della serie televisiva Daredevil.

La data di uscita del film non è ancora stata annunciata, ma pare che la pellicola non vedrà la luce prima del 2016, anno d'uscita di The Amazing Spider-Man 3.

40 anni di Lupo Alberto: intervista a Mirco Maselli

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maselli caricatMirco Maselli ha contribuito a scrivere per Lupo Alberto insieme al gruppo di autori radunati da Silver. Attivo principalmente su Cattivik, negli anni duemila ha firmato diverse storie del Lupo, finendo per diventarne uno degli autori principali. Padovano, grafico, illustratore, vignettistista e sceneggiatore, Maselli ha iniziato nel settore dei fumetti per poi spostarsi sui libri illustrati.

Con lui abbiamo discusso del successo del personaggio e di come la sua carriera di sceneggiatore sia stata plasmato dal suo lavoro sulla creatura di Silver.

Lupo Alberto compie 40 anni di attività. Cosa comporta, secondo te, un traguardo del genere?
Intanto comporta l'accensione di un cero votivo al santo protettore dei fumettari. In Italia è raro che un personaggio umoristico prodotto da un Editore di nicchia sia così longevo. Qualcosa vorrà pur dire! Per esempio che se si ha coraggio e si crede in sé stessi e nel lavoro di qualità che si svolge, sopportando e superando gli ostacoli con perseveranza, ce la si può fare anche fuori dai sentieri più battuti.

Torniamo all'inizio. Da dove nasce la passione per i fumetti e dove si possono collocare i tuoi esordi?
Nasce dalle elementari, quando inventavo e disegnavo storielline di Paperino e company per la maestra. Ricordo ancor oggi il giorno in cui, a otto anni, ho disegnato le prime due vignette e poi, guardando tutte le pagine previste, ancora bianche e intonse, mi sono chiesto: "e mo'?"
Ho continuato così, scrivendo e disegnando alla cieca e senza programmazione, fino al liceo artistico, finché mi sono imposto una certa autodisciplina, per imparare davvero (da solo) come si fa, senza limitarmi a improvvisare. A 24 anni presentai una prima storia completa al Premio Pierlambicchi di Prato, allora l'unico concorso nazionale per fumettisti esordienti. Una vetrina di una certa rilevanza quindi, dalla quale uscirono anche autori poi divenuti di fama internazionale. Ne ricordo uno fra tutti, l'amico Stefano Tamiazzo, che oggi dirige anche la Scuola Internazionale dei Comics di Padova. Insomma, nel lontano 1989 ci provai anch'io e ottenni il secondo premio. Non male come esordio di un dilettante assoluto. Cominciai a crederci davvero e di li a due anni fui notato da Moreno Burattini, talent scout allora in giuria a Prato, collega su Cattivik e oggi coordinatore di Zagor alla Bonelli.

L'incontro con Lupo Alberto, invece, quando avviene?
Come lettore già ai tempi delle scuole Medie. Furono proprio i fumetti della magica coppia Bonvi-Silver a ispirarmi la passione per il fumetto umoristico e la ricerca continua della gag ironica, che ancor oggi è una mia caratteristica, mutuata anche da tanta commedia cinematografica all'italiana dei vari Monicelli, Risi, Scola, ecc.
Poi proprio Burattini fece il mio nome a Silver, che nel 1992 mi chiamò a far parte della sua equipe di giovani fumettari. Mi occupai per una decina d'anni delle storie di Cattivik e sporadicamente delle Sturmtruppen. Entrambi lasciati a Silver dal povero Bonvi, nel frattempo mancato nel tragico incidente stradale del 1995. Passai a Lupo Alberto solo dopo la chiusura del mensile Cattivik, avvenuta nel 2004.

Tra tutti i personaggi della fattoria McKenzie secondo te qual è il più difficile da sceneggiare? E quello con cui ti ritrovi più facilmente?
Mah... Sinceramente non è stato difficile con nessuno dei personaggi. Mi sono sempre e solo divertito un sacco: "Sempre meglio che lavorare" mi dicevo!
Il passaggio da Cattivik a Lupo Alberto mi ha profondamente arricchito come autore, dandomi proprio le basi per l'elaborazione creativa di varie psicologie individuali e dei rapporti fra loro, dovuto appunto alla struttura corale del fumetto del Lupo. Basi che sono state decisive per me, consentendomi il passaggio alla letteratura per ragazzi, dove appunto si devono fare i conti con la varietà di caratteri e la costruzione di trame, situazioni e personaggi a tutto tondo. Una volta partito con la prima storia corale, ho simpatizzato presto con tutti i personaggi della fattoria. E devo dire che mi sono tutti simpatici allo stesso modo. Il più divertente però è sicuramente il buon vecchio Glicerina, poraccio!
Con Cattivik in fondo si trattava invece di vestire sempre i panni dello stesso personaggio, quasi letteralmente, e dirsi: "ecco, ora sono qui in questa situazione, come mi comporterei se fossi il genio del male sfigato?". Divertentissimo sì, ma alla fin fine sempre la stessa minestra. Ricordo che negli ultimi anni in cui facevo Cattivik, dopo aver scritto un sacco di storie, il mio maggiore assillo era: "E ora dove cavolo lo faccio andare a far danni 'sto mostriciattolo nero?".

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Ha scritto e illustrato fumetti, libri per l'infanzia (tra cui La storia dell'immondizia, una cronistoria comica sulla spazzatura prodotta dall'uomo). Come cambia il linguaggio e il tuo modo di lavorare nei vari ambiti?
Devo dire onestamente che, nel cambiare il settore e il linguaggio creativo, mi sono portato appresso il metodo e gli strumenti che mi ero costruito durante la lunga permanenza nella "bottega del fumetto". Quando mi frulla in testa un'idea per un libro, faccio esattamente come facevo per le storie a fumetti. Cerco una ambiente tranquillo, per esempio il bellissimo parco vicino a casa mia, dove alterno passeggiate e sedute su tavoli improvvisati, per fantasticare e muovere personaggi, prima mentalmente e poi scribacchiando e scarabocchiando su foglietti volanti, per fermare il flusso di idee che prima o poi arriva inarrestabile (se non arriva cambiate mestiere, non l'ha ordinato il dottore!). Poi a casa cerco di decifrare quel coacervo di segni e "simboli esoterici" e sistemarli in modo più chiaro e codificato nel computer. E così via, in vari passaggi, di testo e disegno, sempre più raffinati, fino a ottenere qualcosa di presentabile a un editore. Personalmente quindi non è cambiato molto, se ci mettiamo anche il fatto che io unisco sempre, anche nei progetti di libro, scrittura e disegno in modo complementare. La narrazione procede insieme e in forma armonica, dal testo al disegno e viceversa. Proprio come prima nel fumetto.

In un lavoro creativo c’è sempre questa alchimia tra il “flusso di idee” di cui parli e un metodo di lavoro più rigoroso. Secondo te, quindi, la costanza, la pratica, il mettersi sul tavolo e sforzarsi di scrivere può bastare a crearsi una carriera o è necessario quella scintilla di talento innato?
No, è assolutamente necessaria la scintilla! Poi è ovvio che c'è anche mestiere, tecnica, metodi empirici, individuali o mutuati da altri, per fare in modo che le idee escano e prendano forma. Ma le idee devi averle prima. Devi sentirle scalpitare dentro di te, stimolate da quella sorta di reminiscenza che qualche elemento esterno ha ispirato. È un pescare nel pozzo del tuo inconscio un elemento che ti contraddistingue: quell'essenza, quel qualcosa che è solo tuo e che ti permette di dare a un lavoro creativo quel pizzico di originalità che distilla una nuova alchimia, anche se stai trattando temi e motivi trattati da migliaia di artisti prima di te. Io non riduco la costruzione di un'opera creativa allo strutturalismo, non sono uno che parte dalla tecnica per assemblare nuove opere, come se stessi shakerando un nuovo cocktail. No, l'ho fatto in passato... E anche spesso, per esigenze di mercato e per i tempi di lavorazione che imponevano ritmo e velocità. Molte mie storie di Cattivik sono nate così, per esempio.
Ma io credo nelle idee innate e nella loro forza, che è la sola che si può definire davvero arte. Arte secondo me è quando si fa qualcosa permeandola di un elemento innato, una sorta di additivo spirituale che appartiene solo all'autore. La tecnica è alla portata di tutti (certo in modi individuali e diversificati) e viene dopo.

Non tutti gli autori di fumetti ne leggono a loro volta. Tu che genere di lettore sei? Leggi molti fumetti? Se sì, cosa ti ha colpito ultimamente della produzione del settore?
Touché! In effetti non sono un grande lettore di fumetti. Ho avuto in passato le mie preferenze. Inizialmente, come già ho detto, i vari Cattivik, Sturmtruppen, Lupo Alberto, Nick Carter, Alan Ford... Ma dal punto di vista linguistico, direi che i fumetti che mi hanno segnato di più e insegnato il mestiere, sono stati quelli della scuola franco belga. Asterix innanzitutto. Il mitico René Goscinny è stato davvero una sorta di maestro virtuale per me. La sua raffinata ironia mi è entrata dentro e la sua emulazione è sempre stata la mia più grande ambizione d'autore. Ma in generale ho imparato molto dalla scuola della "linea chiara", dai grandi maestri del passato Hergé e Jacobs, per finire al funambolico Lewis Trondheim, che ho letteralmente divorato negli anni '90. Anche la sola lettura delle loro storie è una vera scuola di fumetto che consiglio vivamente a chi si vuole cimentare seriamente nella nona arte. Oltre a questo non ho seguito altro in modo così intenso da poterlo citare. Da quando faccio libri poi, davvero, leggo e mi procuro solo opere di questo genere, degli scrittori e illustratori che più mi ispirano. In particolare i grandi Roald Dahl e Quentin Blake. Fumetti non ne leggo più da anni, ahimè!

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È un paradosso interessante; ho sempre pensato che una volta entrati in un settore si acquisisce la prospettiva del professionista che vede gli altri prodotti come concorrenti. Hai mai sentito questa competizione, anche solo rispetto ai tuoi lavori passati o a quelli degli autori del Lupo?
Non ho mai sentito il senso della competizione. Certo riconosco che ci sono autori bravi e meno bravi. Ma per me è una sorta di confraternita. Siamo come sacerdoti che servono umilmente la stessa dea: l'arte. Con molta umiltà e con spirito di collaborazione, osservo e imparo da molti, e a mia volta spero di dare qualche spunto a qualcuno. Ma non è questo che conta. Conta solo esprimere sé stessi, come si è capaci. L'arte è una bambina che se la sai prendere per il verso giusto, ti invita a danzare con lei in una allegro girotondo. È più semplice di quanto si pensi, secondo me! Basta volerlo. Al diavolo la competizione, quella appartiene all'ego. E l'ego è un tappo che non permette il flusso potente e spensierato delle idee innate.

Quali sono le ragione che ti hanno spinto a passare dal fumetto, Lupo Alberto nello specifico, ai libri illustrati?
Da una parte è stata anche la necessità, lo ammetto. Nel senso che è finito il ciclo di vita dei mensili legati a Lupo Alberto e Cattivik e quindi mi sono dovuto riciclare in un altro settore creativo. Ma in tutta sincerità sentivo già da tempo una sorta di insofferenza per il linguaggio del fumetto. Non soddisfaceva più in pieno le mie esigenze di autore. Contemporaneamente la scoperta (e riscoperta) di autori della letteratura per l'infanzia mi ha aperto un mondo che sentivo più mio... Un richiamo della foresta, se vuoi. Quando facevo fumetti mi divertivo. Oggi, invece, facendo libri illustrati, sono felice! Ogni volta che finivo un fumetto ero contento. Oggi, ogni volta che finisco un libro, provo una gioia profonda, che mi commuove. È sottilmente diverso, non trovi?

C'è un gran fermento nel mondo dei fumetti per un progressivo allargamento verso il pubblico generalista, grazie anche alla riscoperta del "graphic novel" da parte dei reparti di marketing. Come trovi l'attuale panorama fumettistico italiano?
Ecco vedi, sono la persona meno adatta a dire qualcosa che abbia un senso compiuto su questo aspetto. Dico solo che, in fondo, il mio modo di fare libri per ragazzi somiglia molto a quella che viene definita oggi la "graphic novel". Un ibrido tra fumetto e letteratura che, per la verità, aveva già messo radici molti anni fa con le grandi opere di Hugo Pratt e Moebius, tanto per citare due mostri sacri. Ma se una cosa devo dirla su quanto vedo nel fumetto contemporaneo italiano, è che non posso non rimanere colpito dalla straordinaria perfezione stilistica dei disegnatori. Davvero oggi ci sono degli autori che disegnano come dei dell'Olimpo... Io li invidio visceralmente per la loro mostruosa bravura, non hanno nulla di umano. Mi fanno paura! Ma da quale pianeta provengono?

40 anni di Lupo Alberto: intervista a Francesco Artibani

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la artibaniFrancesco Artibani
ha lasciato il segno sull'animazione e il fumetto di fina anni novanta e duemila. Animatore e sceneggiatore, Artibani è stato autore su serie come PKNA, W.I.T.C.H., Winx e Tommy & Oscar, nonché creatore di Monster Allergy e Kylion. E, ovviamente, Lupo Alberto, di cui ha curato sia le storie su carta che l'adattamento televisivo. Abbiamo parlato di questo e di molto altro con l'interessato.

Prima di iniziare a lavorarci, qual è stato il tuo primo contatto con Lupo Alberto?
Da bambino! Ho un primissimo ricordo molto vago di un cartonato più o meno quadrato con una gag che mi faceva molto ridere (Enrico non riesce a vedere la tv e poi si scopre che, fuori dalla sua tana, c’è Mosè che si gratta la schiena con l’antenna della talpa). Anni dopo ho ritrovato il lupo e i suoi personaggi nei pocket di Eureka e da lì non ci siamo più lasciati.

Professionalmente, invece, come e quando hai iniziato a lavorare sul personaggio di Silver?
Nei primissimi anni Novanta lavoravo come assistente animatore nello studio VLR di Vito Lo Russo dove, tra le altre cose, si stavano realizzando dei test di animazione per Lupo Alberto in previsione di una possibile serie che sarebbe venuta solo qualche anno dopo. In quel momento si stavano mettendo in cantiere molte iniziative editoriali per il personaggio e Silver cercava nuovi collaboratori dovendo far fronte a una produzione che andava necessariamente incrementata. Bruno Cannucciari, immenso disegnatore del Lupo (oltre che di mille altre cose) venne in studio per tenere una sorta di corso di formazione accelerato. Scrissi e disegnai delle pagine di prova; i disegni non convinsero Silver ma la storia gli piacque e mi chiese di provare di scriverne altre... E da lì è cominciata la mia collaborazione con Lupo Alberto, una delle gioie più grandi che questo lavoro mi ha dato.

Sei stato uno dei principali sceneggiatori della serie tv del Lupo. Le notizie che circondano quel progetto si perdono in un'era pre-internet. Come è nata l'idea di fare diventare il personaggio un cartone animato?
La produzione delle due serie di Lupo Alberto venne seguita da The Animation Band, società milanese guidata da Giuseppe Laganà. Silver mi chiese di partecipare come autore, adattando per il piccolo schermo delle storie nate per i fumetti e scrivendone di nuove. Lo sbarco di Lupo Alberto in tv era l’approdo naturale per il personaggio, il coronamento di una carriera tutta in crescendo e la Rai sostenne l’iniziativa con entusiasmo. Il mio ricordo è quello di un’esperienza bella e importante; lo sforzo della casa di produzione è stato significativo e alla fine siamo riusciti a portare a casa 52 episodi di buon livello.

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“Il tesoro dei McKenzie” è il frutto della collaborazione tra te, Tito Faraci e il disegnatore ospite Giorgio Cavazzano. Come è nata questa storia-evento? E, dovendo lavorare con un altro sceneggiatore, come sono stati suddivisi i compiti?
L’idea è nata da un incontro tra Silver e Giorgio Cavazzano nel corso di “Acquaviva nei fumetti”, una bella manifestazione organizzata da Michele Rossi nel piccolo comune di Acquaviva Picena, nelle Marche. Da un incontro conviviale è spuntata fuori così l’intenzione di fare qualcosa di speciale e con Tito ci siamo messi subito al lavoro. La scrittura del Tesoro dei McKenzie è stata una specie di impresa mistica, perché ci siamo chiusi per alcuni giorni nella casa al lago di Tito scrivendo in maniera intensiva, alternandoci alla tastiera e discutendo ogni singola battuta, ogni sequenza e ogni gag. Non c’è stata una suddivisione dei compiti ma è stata un’esperienza “totale”, una sorta di sceneggiatura scritta in simbiosi. Ci siamo divertiti molto (e un po’ forse si vede).

Tra le avventure del Lupo scritte da te compare "100 anni dopo", un divertente speciale di Gulp! con i grandi protagonisti del fumetto che si ritrovano a festeggiare nella fattoria dei McKenzie. Come è nata la storia?
La proposta è arrivata da Silver per realizzare il catalogo della mostra di cui ricordo il debutto a Ferrara. È stata una storia spericolata in cui i personaggi più celebri del fumetto mondiale facevano una lunga passerella nel mondo di Lupo Alberto. La considero una specie di personale dichiarazione d’amore per il Fumetto.

In quella storia hai sceneggiato quasi tutte le icone del fumetto mondiale. Tranne, ironicamente, la banda Disney, assente perché Mosè non riesce a risolvere le "quisquilie burocratiche" a sei zeri. Come siete riusciti a inserire tutti quei personaggi, non avete avuto problemi di diritti?
Siamo stati semplicemente incoscienti ed è andata bene (ma conoscendo la suscettibilità dei legali della Disney abbiamo preferito non osare fino in fondo).

Nel 2004 cessi la tua collaborazione con la Disney per "divergenze creative" causate da decisioni editoriali non condivise. Cosa, in particolare, non ti convinceva della gestione dell'epoca? E cosa ti ha convinto a tornare?
Non c’era particolare sintonia con la direzione di Topolino dell’epoca e dopo un lungo periodo di collaborazione soddisfacente ho preferito dedicarmi ad altro, tra fumetti e animazione come autore con Red Whale, lo studio editoriale che dirigo con mia moglie Katja Centomo. È stata Valentina De Poli nel 2010 a chiedermi di tornare; è una grande amica che conosco dall’inizio della mia avventura disneyana (che risale al 1992) ed è una persona di cui ho una stima enorme – per cui risponderle non è stato difficile!

La Disney è da un po' parte della famiglia Panini. Qual è stata la tua reazione iniziale non appena hai sentito dell'acquisizione? Pensi che potrebbe avvenire lo stesso per la McK, considerato anche lo stato di salute non ottima del Lupo e le recenti collaborazioni per le edizioni integrali di Cattivik e Lupo Alberto?
La notizia di un possibile passaggio della licenza di Topolino e di tutti gli altri periodici girava da tempo e il nome di Panini era la garanzia principale in un’operazione che qualche domanda la poneva sicuramente. Il nuovo editore ha agito nel modo migliore assicurando la continuità con la gestione precedente ma allo stesso tempo portando novità importanti nell’offerta. L’entusiasmo tra redazione è autori è notevole e non si avvertiva da tempo una voglia di fare così forte. Questo passaggio ha sicuramente portato degli effetti benefici per quello che riguarda il morale, il desiderio di mettersi in gioco e portare avanti nuove proposte per il settimanale.

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Uno dei progetti che ha fatto più parlare di sé negli ultimi tempi è stato l'Orfani targato Bonelli, calderone di riferimenti letterari, cinematografici e videoludici. Era un concept simile a Kylion; cosa secondo te non ha funzionato in quel progetto in termine di ricezione con il pubblico?
Kylion è stata una delle ragioni per cui ho interrotto la mia collaborazione con la Disney nel 2004. Il progetto è stato rivisto e rimaneggiato seguendo le indicazioni di più persone estranee alla realizzazione della serie e il risultato è stato molto confuso, un prodotto che aveva perso per strada molti dei suoi elementi originari. Comunque nessun rimpianto, è andata così.

Nasci come animatore e il lavoro nei cartoni animati ha segnato buona parte della tua carriera. Come vedi l'animazione in Italia? Recentemente L’arte della felicità ha tentato di proporre un modello diverso, ma gli ultimi sforzi, sia con l’animazione al computer sia con quella tradizionale non hanno brillato per inventiva.
In Italia il settore dell’animazione ha ancora un ampio margine di crescita e miglioramento per riuscire ad essere competitivo con le altre realtà europee ed extraeuropee. La situazione generale è complessa ed anomala, con un solo soggetto forte (la Rai) nel ruolo di produttore di riferimento, pochi spazi nella tv generalista e poca promozione per i prodotti nazionali (ad eccezione di poche fortunate realtà). Si può fare di più e si può fare meglio e io credo molto nel prodotto commerciale di buon livello capace di fare ascolti e produrre profitto con le vendite e lo sfruttamento delle licenze, così come accade all’estero.

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