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Leonardo Cantone

Leonardo Cantone

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L'Uomo d'Acciaio secondo Max Landis, la recensione di Superman - Alieno Americano

Ogni lettore di fumetti, specie di quelli supereroistici americani, almeno una volta, ha immaginato una storia con il suo personaggio preferito. Ha immaginato gli scontri, i drammi, i conflitti, si è domandato – trovando risposta – come il suo eroe avesse risolto un problema. Max Landis – figlio del regista John Landis, padre di capolavori cinematografici come Blues Brothers o Un lupo mannaro americano a Londra – è ai testi di quello che potremmo definire come un grande omaggio, un atto d’amore, del giovane sceneggiatore, di un “nerd”, per il suo personaggio preferito: Superman.
Landis ha dato prova di essere uno sceneggiatore abbastanza poliedrico, passando dalla fantascienza da cinecomics con Chronicle, all’horror vittoriano di Victor – La storia segreta del Dottor. Frankenstein fino alla surreale serie Dirk Gently, riuscendo a dare un’ottima prova anche con il medium fumetto grazie a Superman – Alieno Americano, ricevendo, difatti, una nomination ai premi Eisner come miglior sceneggiatore.

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Il pericolo che, da fan, Landis potesse non avere la stessa sapienza narrativa fumettistica era molto alto, ma la sceneggiatura ammiccante, scorrevole e citazionista di questo graphic novel, dissipa ogni dubbio.
Quello che il lettore si trova a leggere è una sorta di “storia delle origini”: non c’è, però, l’abusato racconto del missile che cade dallo spazio, non c’è il solito fiero gesto eroico giovanile di Clark Kent che dimostra la sua purezza da futuro eroe, manca anche il dramma forte e palese della perdita di un genitore. Quello che l'autore offre al lettore è il conflitto quotidiano dell’essere Superman, la scoperta dei poteri senza che nessuno ti dia aiuto – come in Chronicle, ad esempio – oppure la problematica gestione maldestra, perché inconsapevole, di genitori che non sanno come affrontare la giovinezza e l’adolescenza di un alieno. Landis divide la storia in capitoli, ben distinti tra loro – marcatamente separati anche dal tratto grafico affidato a disegnatori diversi – che vanno ad indagare episodi sconosciuti della vita di Clark. Momenti, questi, che hanno, però, fortemente inciso nella vita del supereroe: il conflitto con se stessi per la propria diversità – divertente ed intelligente il paragone con il tenero alieno E.T. di Steven Spielberg oppure il primo drammatico conflitto con il crimine, l’incontro con altri futuri supereroi – come Oliver Queen in due momenti fortemente distinti della sua vita – e il conflittuale incontro con uno dei suoi futuri e più stretti partner eroici, Batman, e l’immancabile conoscenza con la sua più grande nemesi, Lex Luthor.

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Il punto di forza di questo graphic novel risiede nella quotidianità mostrata nel racconto: Superman è l’eroe puro di cuore, forte e irreprensibile, ma oltre il suo svolazzare nei cieli di Metropolis, è anche un “uomo”, un “americano” cresciuto nel Kansas, con amici e compagni di lavoro che non indossano necessariamente un mantello o combattono il crimine, ma che, insieme a lui, bevono birra, discutono, si divertono: il retroscena umano del primo eroe meno umano del pantheon DC Comics. Ma, da grande conoscitore e fan del personaggio, Landis inserisce tutti gli elementi riconoscibili e fondamentali di Superman: lo scontro con i “cattivi”, il costume, Lois, Smallville e Metropolis, la morale dell’eroe salvifico teso al martirio. Altra scelta intelligente dello sceneggiatore è stata quella di non legare i diversi racconti a episodi famosi accaduti al personaggio, ma di porli in sequenza tra loro in un’ampia consecutio temporum: quelli che il lettore legge sono eventi che possono essere accaduti in diversi momenti, non specifici, delle diverse età di Clark Kent. Tale intenzione rafforza la percezione di quotidianità fondante il racconto.

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La schiera di disegnatori al servizio di Landis è folta e permette a ogni racconto di avere vita propria: Nick Dragotta ha il compito di narrare con leggerezza e con un tratto cartoonesco la tenera scoperta dei propri poteri da parte di un piccolo Clark, il tratto sporco e nervoso di Tommy Lee Edwards serve a mostrare il primo incontro del giovane eroe adolescente con la bruttura e la cattiveria dell’umanità, Joelle Jones invece regala al Clark più adulto la sua prima supereroica vacanza, Jae Lee presta il suo tratto elegante all’incontro/scontro di Superman con Batman, Francis Manapul illustra le embrionali gesta di un acerbo Superman, Jonathan Case esplora le dinamiche relazionali di Clark con gli amici di Smallville e, in ultimo, a Jock è affidato il compito di chiudere il graphic novel mostrando lo scontro di Superman, ormai eroe “affermato”, con l’alieno Lobo ed esplorare così anche l’universo affettivo di Clark. Da segnalare la straordinaria tavola con le matite di Mark Buckingham dedicata all’alieno dal nome impronunciabile Mxyzptlk, una deliziosa pagina di intelligente metanarratività sul concetto stesso di personaggio a fumetti.

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Un racconto articolato, dunque, frutto dell’amore dello sceneggiatore per il personaggio, coadiuvato dalla grande professionalità di autori DC che sul kryptoniano hanno già lavorato. Una lettura adatta a ogni lettore, da quello storico a quello occasionale, che riesce a ritrovare tutte le coordinate che hanno reso Superman uno dei più grandi supereroi del fumetto.

Francis, alla ricerca della propria identità, intervista a Jessica Cioffi, in arte Loputyn

Jessica Cioffi, in arte Loputyn, è la giovane e affermata artista, creatrice del grande successo di Cotton Tales, e ora, nelle fumetterie, con una nuova pubblicazione: Francis, edita da Shockdom, di cui vi proponiamo la recensione qui. Allontanandosi dal contenuto, ma non nell’estetica grafica, del suo precedente lavoro, Cioffi racconta la storia di una giovane strega, Metilla, che si scontra con il complesso mondo degli adulti, in cui si fanno pese le tematiche della crescita, delle scelte e delle aspettative delle persone che la circondano. Tematiche, queste, che nel tratto elegante e sinuoso della fumettista, sono capaci di raccogliere un consenso trasversale ad ogni fascia d’età.
Sabato 27 maggio, abbiamo avuto modo di intervistarla, ospite alla fumetteria Stregomics di Benevento.

(Intervista realizzata da Leonardo Cantone. Domande di Leonardo Cantone e Giorgio Parma).

Francis è il tuo ultimo lavoro edito dalla Shockdom: magia, streghe, demoni sono lo spunto per parlare di autoriflessione e crescita personale. Come nasce questo progetto?
Nasce da esperienze personali, come la maggior parte delle mie storie, dei miei disegni. Preferisco raccontare qualcosa che conosco, che ho vissuto, per rendere i fatti nella maniera più fedele possibile. E anche in questo caso sono partita dall’esigenza di raccontare una situazione personale che, poi, ha preso un’altra piega, attraverso l’utilizzo dei metafore per raccontare un esperienza e, quindi, esorcizzarla.

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Come per Cotton Tales, anche in Francis si respira un’atmosfera “letteraria”, da romanzo anglosassone di fine’800. Hai utilizzato dei riferimenti letterari e artistici per questo lavoro?
Non particolarmente, non volutamente. Nel senso che quando disegno, anche una singola illustrazione, non penso mai a rifarmi a qualcosa che ho visto, perché lo trovo un limite stilistico. Non sono riferimenti volutamente inseriti o ripresi, ma emergono al livello inconscio. Leggo tanto, vedo tanti film, leggo tanti fumetti, in modo che io possa filtrare ciò che mi piace e, poi, quando mi metto a lavoro, le cose escono in modo naturale.

Il tuo tratto è estremamente riconoscibile, per le linee sinuose, gentili, o per i colori che virano spesso verso un forte cromatismo di matrice illustrativa, così come per l’intero impianto grafico dei tuoi lavori. Per Francis che tecnica di disegno hai utilizzato?
Una tecnica mista. Come sempre le matite sono tradizionali, così come alcuni interventi ad acquerello, mentre ho realizzato le tinte piatte con Photoshop. Ho voluto rifarmi, come idea, ai libri antichi – dato il racconto incentrato sulle streghe – suggerendo, quindi, un effetto “anticato”. Così come la scelta della carta, segue lo stesso principio.

Hai quindi lavorato su una carta specifica?
Sì. La carta, di per sé, era ruvida e, in digitale, sono intervenuta per esaltarne l’invecchiamento.

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Dato il tipo di sviluppo narrativo, sarebbe giusto definire Francis una sorta di “romanzo di formazione”?
Sì. Ma, ovviamente, c’è un risvolto finale che non è propriamente “classico”: il personaggio, la protagonista, svolge un percorso che la porta a scoprire il suo “io” negativo e non positivo, rimanendo, comunque, fedele a se stessa. Potremmo parlare della “formazione di un antagonista”.

Come mai, a questo punto, hai deciso di far intraprendere a Metilla un percorso che la conduce a porsi come antagonista? A scoprire un’identità negativa?
Perché le mie storie tendono tutte a ritrovarsi sempre “buoni”. Invece, ci sono persone che non sono buone, sono meschine, e mi sembrava giusto raccontare una storia con un personaggio che, non per forza, doveva intraprendere un percorso che l’avrebbe fatta diventare ciò che non è. Lei è così, se ne prende la responsabilità, e va avanti per quello che è.

Da dove nasce la scelta di voler utilizzare la metafora delle Streghe per raccontare la crisi della crescita?
Per me le streghe rappresentano un universo totalmente femminile. La strega rappresenta la donna e, infatti, anche il clan, composto di sole donne, rappresenta un mondo chiuso, non intaccato da fattori esterni. Francis, quindi, rappresenta la figura maschile, esterna, che interviene per creare il caos in questo mondo al femminile.

Quindi, nella tua storia, la figura maschile è disturbante, distraente…
Si, ma non nel senso totalizzante: nella vita reale non trovo l’universo maschile “negativo”. Nel mondo che ho rappresentato in Francis, abbiamo due opposti: l’universo femminile come forza creatrice mentre quello maschile come forza distruttrice. Le due forze, però, si vanno a completare perché Metilla trova in Francis lo stimolo a trovare la propria strada. Nel momento in cui lei accoglie questa forza distruttrice, ritrova anche se stessa.

Il volume si conclude con un’apertura verso un possibile prosieguo del percorso di crescita ed identitario di Metilla. Hai intenzione di sviluppare la storia del volume? O è un progetto autoconclusivo?
Penso che i personaggi si ripresenteranno in altre storie. Magari non un seguito strettamente legato a questo, ma ho intenzione di portare avanti i personaggi.

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Passando ad altro, nel progetto Timed realizzerai una storia su sceneggiatura di Marco Rincione. Come ti sei approcciata a questo lavoro? Che stile adotterai? Ti allontanerai da quanto visto finora nelle tue produzioni?
Questo è uno dei primi tentativi di lavorare con qualcun altro, quindi un’esperienza del tutto nuova per me. Di base sono partita con la curiosità di provare qualcosa che potrebbe stravolgere la mia routine. Però, per non creare una situazione in cui potesse essere per me difficile – dopotutto Timed ha dei personaggi che sono lontani dalle mie produzioni – Marco ha voluto trovare un punto di incontro mostrandomi il lato più intimo del personaggio, elemento, questo, che più si avvicina al genere introspettivo dei miei racconti. Infatti, in tal senso, stiamo cercando di venirci incontro. Nei lavori di Marco Ricnione mi sono sempre ritrovata perché racconta la sofferenza e le vicissitudini interiori del personaggio.

Tra i tuoi lavori futuri troviamo anche un volume della serie Roberto Recchioni presenta I maestri del mistero, in particolare Giro di Vite su sceneggiatura di Dario Sicchio. Puoi dirci qualcosa a riguardo? Hai già visto la sceneggiatura? Come ti sei trovata a lavorare con un soggetto scritto da altri e come hai adattato il tuo stile?
Si, ma questo è ancora top secret, non posso dire nulla.

Sull'antologia Melagrana potremo trovare una tua storia a tema erotico. Avevi mai trattato il tema erotico in precedenza? Ha rappresentato una sfida per te questo genere? Parlaci un po' di questa storia.
In realtà… Disegno sempre donne nude, diciamocelo! Solo che le condividevo in privato o in maniera molto soft. Ovviamente, loro hanno captato questa componente più nascosta della mia produzione e mi hanno chiesto di partecipare. Per me non è stato assolutamente una sfida, anzi, è stata un’occasione per liberare questa tematica e darla al mondo. Infatti questa sarà una storia omosessuale tra ragazze.

Grazie mille delle risposte Jessica.
Grazie a te.

 

A volte basta solo una goccia, la recensione di Giardino d’Inverno

L’espressione “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” siamo soliti pensarla in maniera negativa, come un evento, una frase, una parola o solo un gesto di troppo che porta un individuo oltre il limiti della propria pazienza. Renaud Dillies ai testi e Grazia La Padula ai disegni, scelgono invece di dare una prospettiva differente a tale “goccia”, non una mera metafora ma strumento narrativo grazie al quale Sam, il protagonista del delicato graphic novel Giardino d'inverno, edito da Tunué, riesce a scoprire che nel mondo grigio, triste e piovoso che lo circonda, possa nascondersi un barlume di felicità.

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Sam è un cameriere di un locale e passa la sua monotona esistenza tra il lavoro e il suo appartamento fatiscente, costretto a una ripetitività ossessiva che sembra intrappolarlo: ha perso, o quantomeno sfugge ad ogni anelito vitale, auto-condannato a rifuggire ogni problematicità, dalla più semplice alla più complessa, che la vita gli impone. La goccia che, inesorabilmente e fastidiosamente, cade dal soffitto, potrebbe strapparlo alla sua piatta quotidianità. Perno del dramma quotidiano di Sam è la sua incapacità di vivere le relazioni, che siano sentimentali, familiari o amicali, ma desideroso che il meccanismo ripetitivo in cui è entrato si fermi per permettergli di riprendere la propria esistenza.

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La sceneggiatura di Dillies asciutta, senza fronzoli, lascia che siano i silenzi, rotti esclusivamente da ripetitivi e cadenzati rumori, ad esprimere il dramma del protagonista, sottolineando la vacuità dell’esistenza a cui sembra essere costretto. La pioggia battente, costante e oppressiva, non fa altro che amplificare il progressivo e continuo ottundimento a ogni scintilla vitale, a ogni gioia che il quotidiano, anche quello monotono e a tratti decadente, sa regalare a chi sa raccoglierla. Ma Sam, sembra non saperlo fare, o non poterlo fare, incapace di gestire le proprie emozioni che ha imparato a nascondere sotto una corazza monocromatica di freddezza. Grigia freddezza.

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I colori e il disegno, difatti, sono portanti della narrazione, evocano cromaticamente e visivamente le sensazioni che il protagonista prova o, meglio, cerca di provare. Il colore “rosso” è il colore dell’affettività, del ricordo, dell’amore, è il colore dei capelli della ragazza di Sam, Lili, della cabina telefonica che può metterlo in contatto con la sua famiglia, è il colore del drappo teatrale del palco, luogo che esprime l’aspirazione musicale del protagonista: un colore costantemente incontrato ma puntualmente rifuggito. Il disegno caricaturale, fatto di palese deformazione, di La Padula descrive l’atmosfera nevrotica, disturbante, della sceneggiatura, concedendo straordinario spazio ad ambienti estremamente dettagli e ricchi, che non possono non incantare lo sguardo del lettore. Chiunque conosca o abbia provato sulla propria pelle la vita metropolitana, ritrova un’atmosfera conosciuta: il grigiore del ritmo sclerotizzato della quotidianità. Ma la stessa persona sa che, in questo meccanismo, sa esserci lo spazio per la meraviglia, a volte piccola, spesso nascosta, ma capace di risvegliare dal torpore sonnolento anche chi si è inaridito: Sam scopre il suo Giardino d’Inverno, al lettore tocca scovare il proprio. A volte, basta solo una “goccia”.

Luci e ombre della rèvolucion, la recensione di Castro

Non è cosa semplice realizzare una biografia di un personaggio storico: il pericolo di cadere nel verboso, nel retorico o nel facile ideologismo pro o contro il soggetto narrato, è spesso una spada di Damocle a cui gli autori cercano di sfuggire specie se poi parliamo di un personaggio importante e controverso del ‘900 come il “leader maximo” Fidel Castro.
Castro, dell’autore tedesco Reinhard Kleist, riesce, però, a sfuggire alla maggior parte di queste insidie. Ciò che Kleist rappresenta con il suo corposo graphic novel è la vita politica di Fidel, da giovane attivista fino alle sue dimissione da Presidente. La lunga, ricca e contraddittoria epopea del Comandante, capace di condizionare la vita e la politica di Cuba e di smuovere i delicati equilibri tra le grandi potenze di USA e Russia.

La narrazione messa in piedi da Kleist vede un giornalista tedesco, Karl Mertens che, da semplice inviato per il suo quotidiano, sceglie di rimanere a Cuba ed entrare nelle forze di Fidel durante i turbolenti anni della nascente Rivoluzione. L’utilizzo di un personaggio inventato come Karl, permette all’autore di essere il più obiettivo possibile nel narrare, non tanto gli eventi, quanto la figura del leader maximo: un pretesto narrativo, dunque, per parlare storicamente e politicamente di Castro, sena prendere una posizione netta sulla sua figura.

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Se, da un alto, nella parte dedicata all’ascesa al potere di Fidel, Kleist, sembra indugiare spesso nel didascalico leggermente retorico, nel raccontare, invece, il consolidamento del potere del Comandante, si apre maggiormente a delle riflessioni socio-politiche di non superficiale indagine. Una prova narrativa sottile ed intelligente, perché capace di porre il lettore nella posizione del rivoluzionario divenuto tale per disperazione, che ha visto in Fidel Castro l’unico baluardo di salvezza, per poi riflettere sugli eventi e sulle conseguenze della lotta sociale. Così come è accaduto per una parte della popolazione cubana. Senza schierarsi, dunque, Kleist riesce nel delicato compito di equilibrare le visioni dicotomiche che il mondo ha costruito attorno alla figura di Castro, dandogli pari valore narrativo ed eguale spazio di riflessione.

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Il disegno – anch’esso realizzato da Kleist – è funzionale alla narrazione. Chi racconta, in prima persona, è il giornalista Mertens, ed il lettore si lascia condurre dalla sua visione degli eventi, dalle immagini che lui riporta e dal sentimento con le quali le ha vissute. Il tratto è spesso caricaturale, non cerca il realismo fotorealistico, spesso gli sfondi sono accennati, a volte del tutto assenti, perché ciò che diventa il fulcro della narrazione, sono i contenuti più che i gesti e le azioni. Il bianco e nero delle tavole – forse, a volte, pesante da affrontare nella lettura – riesce ad essere estremamente evocativo: le ombre della giungla cubana, il denso fumo di sigaro, le stanze poco illuminate, richiamano la fuga, la paura, le cospirazioni, i piani politici e militari regalando sfumature di “colore” che solo il lettore, squisitamente, può e deve aggiungere.

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Il graphic novel di Reinhardt Kleist riesce dunque nel suo delicato compito di raccontare storicamente la biografia di Fidel Castro, e ci riesce senza rischiare di scendere in ideologismi facili ma unendo due “anime” che potrebbero sembrare contrapposti: l’anima storica che, super partes, sceglie una lettura obiettiva degli eventi e l’anima da novelliere, capace di operare attraverso l’emotività del lettore.
La riedizione del volume realizzata dalla Mondadori Comics – che con tale opera inaugura la collana Ritratti dedicata alla figure storiche – conferisce lustro alla graphic novel, grazie alla carta lucida che esalta il bicromismo dei disegni, rafforzando la forte separazione tra luce ed ombra, fondamentale per la narrazione di Kleist.

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