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Il Pinguino, recensione: Tom King scava nel passato di Oswald Cobblepot

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Terminata la lettura de Il Pinguino (due cartonati confezionati con la consueta cura da Panini Comics, che raccolgono i dodici numeri della maxiserie dedicata all’alter ego di Oswald Cobblepot, pubblicata negli USA tra il 2023 e il 2024) viene spontaneo chiedersi che cosa abbia fatto la DC per meritarsi un autore come Tom King. La domanda non nasce da qualche forma di antipatia verso la casa editrice di Superman e Batman, ma piuttosto dalla semplice constatazione che da parecchi anni le due major del fumetto d’oltreoceano (un discorso identico si potrebbe fare anche per la Marvel) non rappresentano più il punto d’arrivo di tanti sceneggiatori e disegnatori affermati. Forse, l’essere stato incluso nel team creativo che si occuperà del nuovo universo cinematografico DC, capitanato da James Gunn, ha giocato un ruolo determinante nelle scelte professionali dello scrittore americano, ma, paradossalmente - Love Everlasting a parte - la sua firma ha cominciato ad apparire su alcuni progetti creator owned (Animal Pound, Helen of Windhorn) solo dopo aver ricevuto quell’incarico. A nostro avviso, invece, è più probabile che il buon Tom abbia deciso di proseguire la sua esperienza presso l’editore californiano, perché ancora sinceramente entusiasta di poter gestire molti dei suoi storici character.

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Non che la cosa ci dispiaccia, comunque, vista l’altissima qualità con cui King continua a impreziosire le sue opere. Una qualità che, neanche a dirlo, ritroviamo nella serie del Pinguino, la quale non solo assolve al compito di riportare nel mondo di Batman (dopo essere stato messo provvisoriamente fuori gioco da Chip Zdarsky nei primi episodi del suo ciclo, sull’omonima testata del personaggio) uno dei suoi iconici nemici, ma prosegue l’egregia azione di approfondimento - e per certi versi di rinnovamento - delle personalità di questi ultimi, che l’autore statunitense ha iniziato con l’Enigmista, nell’ottimo one shot che ha inaugurato la collana Batman: una brutta giornata (ristampata di recente da Panini in edizione cartonata) e continuato con il Joker, in alcuni numeri della nuova incarnazione di The Brave and the Bold, di pochi mesi fa. In ognuno di questi lavori, King scava nel passato dei personaggi, mostrandoci risvolti parzialmente o totalmente inediti, cercando una spiegazione della loro deriva criminale, evitando tuttavia di commettere l’errore di portare i lettori a empatizzare con essi. Con le dovute differenze e sfumature – che dimostrano come lo scrittore abbia ormai una conoscenza così profonda delle nemesi più importanti del Cavaliere Oscuro, da potersi permettere il lusso di introdurre in loro qualche cambiamento, senza che questi ne modifichino in alcun modo l’essenza -  i tre villain vengono rappresentati come irrimediabilmente malvagi e spietati, benché per il Pinguino non sia trascurato il suo forte desiderio di rivalsa verso una società che, a causa dei suoi difetti fisici, lo ha sempre tenuto ai margini. Non è un caso che Stevan Subic, l’artista chiamato a illustrare i due capitoli della saga ambientati nel passato – che ricostruiscono, in una lunga digressione dalla vicenda principale, l’ascesa di Cobblepot da semplice barista dell’Iceberg Lounge a capo della malavita di Gotham City – ritragga l’antagonista di Batman in maniera grottesca, estremizzandone l’aspetto “freak”. Al contrario di Rafael De Latorre, il disegnatore titolare della serie, che, invece, pur non smorzando la figura sgraziata del personaggio, ne limita la deformità, lasciando spazio solo alla sua bassa statura e alla sua obesità. In questo modo, diventa più credibile la trama elaborata da King che vede il Pinguino ricattato dall’agente federale Nuri Espinoza per costringerlo ad abbandonare Metropolis – dove, dopo essere stato “esiliato” dai figli Aiden e Addison, si era rifatto una vita da normale cittadino – e tornare a Gotham City, al fine di reimpossessarsi del suo impero criminale. Primo passo per portare il Crociato Incappucciato davanti alla giustizia, nel piano perverso che la cinica (per usare un eufemismo!) Amanda Waller, superiore diretto dell’agente Espinoza, ha ordito contro tutti i superumani (un anticipo del crossover Absolute Power, che presto vedremo anche in Italia).

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Tolta questa premessa – ennesima stoccata dello scrittore verso l’opacità delle agenzie governative americane, che nasce dai suoi trascorsi alla CIA (un’esperienza di cui, evidentemente, non ha ancora smaltito le tossine) – la serie procede inizialmente attraverso l’ingresso di nuovi comprimari a ogni episodio, tutti necessari al Pinguino per restaurare il suo potere a Gotham City. I personaggi coinvolti sono o recenti creazioni dello stesso King (oltre a Nuri Espinoza abbiamo pure il killer “elegante” noto come l’Aiuto) o figure secondarie del sottobosco DC come Lisa St. Claire, la Force of July e Black Spider, che lo sceneggiatore americano, al solito, reinterpreta alla sua maniera. Lisa St. Claire, per esempio, è stata fino agli anni Settanta una delle protagoniste di diversi fumetti rosa, ma nelle mani di King diventa addirittura la ex signora Cobblepot (o meglio, una delle ex, dato che tra mogli decedute, fidanzate e flirt vari, il nostro Ozzy ha sempre avuto una vita amorosa alquanto invidiabile!), affascinante e machiavellica proprietaria di un casinò di Las Vegas, per nulla restia a invischiarsi in affari poco puliti. Oltre a questo, per rendere ancora più palese su quale attore della vicenda puntare i riflettori, la narrazione in terza persona cambia “voce” di continuo, soprattutto nei numeri finali, quando il succedersi degli eventi diventa vorticoso e incalzante, garantendo all’autore statunitense, attraverso poche didascalie, la possibilità di inquadrare tutti i personaggi e di approfondirne le intenzioni. Lo stesso vale per Batman, che, viste le dinamiche in gioco, rimane, però, spesso sullo sfondo. Persino il suo proverbiale fiuto investigativo viene messo in discussione, in particolare nei due episodi ambientati nel passato, accennati sopra, dove un Cavaliere Oscuro ancora alle prime armi, si lascia trarre in inganno da un giovane Oswald già abile doppiogiochista.

Il Pinguino, dal canto suo, oltre che reale motore della serie, è anche il collante che mantiene agganciate le storie personali dei vari comprimari alla vicenda principale. Il risultato è un fumetto scritto benissimo, che spazia brillantemente dal thriller all’action drama, con sprazzi di black comedy e un pizzico di supereroismo (quel tanto che basta a non farci dimenticare che siamo sempre e comunque all’interno del DC Universe). In più, per quanto Oswald Cobblepot abbia smesso da tempo i ridicoli panni del gangster da operetta appassionato di volatili, con cui è stato ritratto per molti anni, King porta a compimento il restyling del personaggio, trasformandolo definitivamente in una sorta di Wilson Fisk in versione DC, di cui, pur non condividendone affatto l’aspetto fisico, ne riprende la scaltrezza e la perspicacia. Così come, inevitabilmente, la brutalità e l’assenza di scrupoli.

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Sul versante grafico, il brasiliano De Latorre asseconda le intenzioni dello scrittore come meglio non si potrebbe. Con il suo tratto essenziale - benché sempre incisivo ed estremamente  rispettoso delle anatomie - e aiutato dalle tonalità volutamente spente del colorista Marcelo Maiolo (che diventano ancora più buie nelle parti disegnate da Subic, per esaltare il carattere parzialmente gotico di quegli intermezzi), l’artista sudamericano gioca efficacemente con le espressioni facciali, scegliendo le inquadrature in modo tale che il lettore possa percepire chiaramente lo stato d’animo dei vari personaggi, quasi come se non ci trovassimo di fronte a figure di carta, ma ad attori in carne e ossa. De Latorre, inoltre, è bravo a limitare gli sfondi o a “eccedere” con essi quando anche i dettagli si rivelano elementi fondamentali del racconto, dimostrando pure di non avere alcuna difficoltà a gestire la gabbia a nove vignette, tanto amata dallo sceneggiatore statunitense, alternandola con sorprendente fluidità a tavole costruite in maniera totalmente differente (fino ad arrivare ad autentiche splash page, all’occorrenza), concorrendo attivamente a imprimere il ritmo narrativo cercato da King e a far sì che il fumetto del Pinguino possa essere considerato l’ennesimo colpo messo a segno dall'autore di Washington DC. Con un unico rammarico: che la testata abbia chiuso dopo soli dodici numeri. È vero che l’attuale scrittore di Wonder Woman dà il meglio di sé su story arc brevi e ben definiti. Non provare, però, a sfruttare il potenziale richiamo derivante dal recente arrivo sul piccolo schermo del serial dedicato al personaggio (reperibile in Italia sulle reti Sky) lascia comunque un po’ stupiti. Pubblico diverso, certo. Mai come in questo caso, tuttavia, tale verità è apparsa così evidente.

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Animal Pound, nuova serie di Tom King e Peter Gross per BOOM! Studios

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Il sempre prolifico scrittore Tom King, fresco vincitore di Eisner Award, e il co-creatore di American Jesus, Peter Gross, uniscono le loro forze per un inedito progetto per BOOM! Studios dal titolo Animal Pound.

Basata sul romanzo La fattoria degli animali di George Orwell, la serie intende offrire ai lettori una lettura dell’opera in chiave moderna ma comunque fedele all’originale.

King ammette di aver avuto grandi difficoltà nella scrittura dell’opera ma ha anche sottolineato di come, alla fine, sia valsa la pena avventurarsi in un progetto così ambizioso, Gross, invece, di essersi innamorato subito dell'idea e di essersi sentito coinvolto già dalla lettura della presentazione di King.

Ad aiutarli nell’impresa la colorista Tamra Bonvillain e il letterista Clayton Cowles, nonché l’entusiasmo di Eric Harburn, redattore esecutivo dello Studio che senza mezzi termini parla chiaramente di una sfida accettata e ampiamente vinta dal quartetto di autori.

Di seguito la sinossi ufficiale di Animal Pound: “Quando gli animali sono stanchi di essere ingabbiati, uccisi e venduti, è solo questione di tempo prima che ne abbiano abbastanza. A seguito di una rivolta che permette agli animali di controllare un canile, essi si ritrovano rapidamente compagni, uniti contro tutto ciò che cammina su due zampe. Ma da questo nuovo potere nasce una nuova sfida: come gettare le basi per questa nuova democrazia".

Animal Pound #1 sarà disponibile nelle fumetterie a partire dal 20 dicembre 2023.

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Strange Adventures 1 e 2, recensione: la definitiva decostruzione dell'eroe spaziale Adam Strange

Strange Adventures

Apparso per la prima volta nel 1958 sulle pagine dell’antologica Showcase, Adam Strange fu creato dall’editor Julius Schwartz in un periodo in cui la DC stava cercando di allargare sempre di più la sua offerta per i giovani lettori, che erano tornati in massa a leggere fumetti, grazie al profondo rinnovamento nei contenuti che investì il medium a partire dal 1956, anno nel quale Barry Allen divenne il nuovo Flash, dando il via a una seconda età dell’oro per i comics americani, oggi nota come Silver Age.
 
Dopo che Murphy Anderson ne ideò il costume, il personaggio fu lasciato nelle abili mani di Gardner Fox, con Mike Sekowsky a occuparsi dei disegni. Di lì a poco, tuttavia, Adam Strange venne trasferito su un’altra testata, la fantascientifica Mistery in Space, e le matite passarono al grande Carmine Infantino. Lo spostamento su Mistery in Space aveva una sua ragione ben precisa. Il personaggio, infatti, non possedeva le tipiche caratteristiche di un supereroe - sebbene presto entrò a far parte della Justice League - ma sembrava piuttosto appartenere a quel filone letterario generalmente identificato con il nome di planetary romance, divenuto molto popolare agli inizi del Novecento grazie allo scrittore Edgar Rice Burroughs e ai suoi eroi John Carter di Marte e Carson di Venere e che vide successivamente importanti epigoni nei fumetti come Buck Rogers e Flash Gordon.

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Nella sua prima storia da protagonista, il nostro Adam è un archeologo che – mentre cerca di sfuggire ad alcuni discendenti degli inca, furiosi per averlo sorpreso a trafugare un antico tesoro perduto – viene improvvisamente investito da un’energia misteriosa, che lo trasporta istantaneamente sul pianeta Rann. Qui viene condotto nella città di Ranagar, dove apprende dagli scienziati del luogo che il suo arrivo è stato determinato dal cosiddetto Raggio Zeta, concepito in realtà come un mezzo per comunicare con la Terra, ma poi trasformatosi in un raggio di teletrasporto a causa di interazioni impreviste con radiazioni spaziali sconosciute. Su Rann, Adam vive da subito avventure mirabolanti, che lo vedono spesso contrapposto ad altre razze aliene, sempre intenzionate a conquistare quello che diventerà il suo pianeta adottivo, dove presto – e in maniera alquanto prevedibile - troverà anche l’amore della bella principessa Alanna. L’effetto del Raggio Zeta, tuttavia, tende a esaurirsi e nel momento in cui questo succede, l’eroe viene trasportato indietro sulla Terra, costretto ad aspettare che l’emissione energetica si manifesti un’altra volta, per poter tornare alla sua nuova casa.

Le storie del personaggio vanno avanti fino a metà degli anni Sessanta, ripetendo costantemente lo stesso schema: arrivo su Rann, combattimento contro la minaccia di turno, rientro sulla Terra. Dopodiché, Adam Strange comparirà solo in veste di comprimario, almeno fino ai primi anni Ottanta quando torna a essere protagonista di nuove avventure, che, però, continuano a seguire il canovaccio delle precedenti. Poi, nel 1987, durante la sua celebre gestione di Swamp Thing, Alan Moore decide di offuscare l’alone di purezza di quelle storie, rivelando che il Raggio Zeta aveva avuto fin dall’inizio come scopo il trasporto su Rann dei terrestri, affinché essi potessero sopperire alla quasi totale infertilità della popolazione maschile del pianeta (una sorta di Handmaid’s Tale all’inverso, in altre parole). Tale scomoda verità segna la fine dell’innocenza per Adam Strange, le cui imprese successive verranno di frequente intervallate da avvenimenti più cupi e drammatici. Fino ad arrivare al maggio del 2020, allorché nelle fumetterie americane esce il primo numero della miniserie Strange Adventures (che riprende il nome della collana dove, tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, furono ristampate le apparizioni del personaggio su Showcase e Mistery in Space), in cui la decostruzione dell’eroe spaziale viene portata al suo definitivo compimento.

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Autore dei testi è l’ormai lanciatissimo Tom King, che, come in altri suoi lavori, imbastisce una trama poco lineare sebbene, questa volta, riesca brillantemente a contenerne la complessità narrativa, a dispetto di una vicenda sviluppata su due piani temporali differenti. Più precisamente, nel presente vediamo Adam e Alanna abitare sulla Terra, dopo aver guidato, in una guerra lunga e dolorosa, il popolo di Rann alla vittoria sullo spietato Impero dei Pykkt. Nel passato, invece, assistiamo proprio all’arrivo dei Pykkt sul pianeta e alle fasi più importanti del conflitto. Le due storyline procedono in parallelo, scambiandosi lo scenario di continuo, dando l’impressione, all’inizio, di essere solo due momenti diversi del medesimo racconto. Presto, tuttavia, gli eventi del presente cominciano a prendere una piega del tutto inaspettata e molte certezze, anche le più solide, vengono apertamente messe in discussione.

Strange Adventures rappresenta per lo scrittore americano la nuova tappa di un percorso avviato con Omega Men e proseguito – pur con intenzioni e toni differenti – nell‘ottimo Sheriff of Babylon. L’assunto di base è sempre lo stesso: quando c’è di mezzo la guerra, la realtà non è mai come sembra (un’affermazione apparentemente ovvia, ma – pensando alla triste attualità del conflitto russo-ucraino - spesso minimizzata) e per far sì che questo messaggio non possa essere frainteso, King decide di tornare a impiegare ambientazioni di fantasia, perché consapevole che riferirsi ad accadimenti reali – come è stato per la guerra in Iraq in Sheriff of Babylon – potrebbe in qualche modo limitare la sua libertà di azione, con il rischio di non riuscire a trasmettere fino in fondo, le lezioni indigeste apprese durante i suoi anni trascorsi alla CIA. E, in effetti, far apparire così inadeguata la figura classica del supereroe, aiuta a evidenziare con maggior forza quanto sia difficile, in determinate circostanze, tracciare un confine tra buoni e cattivi o a far risaltare, in tutta la loro sgradevolezza, le controverse decisioni da prendere per ribaltare le sorti di un conflitto. In aggiunta, per portare allo scoperto ogni forma di ambiguità e drammi ancora più laceranti, o per cercare di spiegare come alcune scelte deplorevoli siano, a volte, tragicamente inevitabili, l’autore statunitense non circoscrive questo trattamento ai soli protagonisti – tutte figure di secondo piano dell’Universo DC e, quindi, facili da rimodellare – ma lo estende a comprimari di lusso del livello di Batman, Lanterna Verde e Superman. Emblematici, in proposito, due incontri tra Adam e quest’ultimo: uno nel passato, all’inizio dell’invasione, dove l’Uomo d’Acciaio decide pragmaticamente - ma anche con molto cinismo - di restare sulla Terra, invece che andare in soccorso di Rann. Il secondo nel presente, quando Adam rinfaccia all’amico la sua scelta, che lo ha costretto a compiere atti terribili, pur di non lasciare nelle mani dei Pykkt il pianeta di sua moglie.

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Come era logico attendersi, King non manca di sottolineare quanto la percezione di un determinato avvenimento possa sembrare totalmente diversa in relazione al contesto, ai punti di vista, alle persone coinvolte o alle informazioni fatte circolare, denunciando esplicitamente il processo di semplificazione - se non di vera e propria mistificazione - in atto nei media contemporanei. Nei passaggi maggiormente drammatici, la sua prosa è asciutta, schietta e radicale e si manifesta attraverso dialoghi molto realistici, che – Mr. Terrific a parte, dato il suo ruolo all’interno della vicenda - ci restituiscono personaggi più umani di quello che sarebbe lecito aspettarsi da superuomini in calzamaglia (o in tuta spaziale) abituati a ergersi come difensori di interi pianeti. D’altronde, la capacità di saper descrivere con estrema naturalezza i rapporti interpersonali, arricchendoli di poesia o tragicità a seconda delle situazioni, è una delle qualità più importanti della scrittura di King, che in Strange Adventures trova, forse, la sua massima espressione.

Naturalmente, mentre le differenze tra presente e passato cominciano a farsi evidenti, assistiamo anche a un progressivo cambio di stile nella narrazione. E se la guerra su Rann – benché non ci vengano risparmiate le brutalità di entrambi gli schieramenti - continua a essere dipinta come l’eroica resistenza di un popolo contro la ferocia degli invasori, nel presente veniamo coinvolti in una lenta discesa nell’oscurità, che fa emergere ferite profonde, ancora lontane dal rimarginarsi. Alla fine, la separazione è netta: da un lato abbiamo la vittoria sui Pykkt che, nonostante il suo enorme carico di sacrifici e orrori, pare preannunciare - con spirito quasi hollywoodiano - un futuro pieno di speranza. Dall’altro, abbiamo una realtà segnata dall’ipocrisia e dall’inquietudine, che King decide di raccontare seguendo le regole del thriller investigativo, esattamente come aveva già fatto in Omega Man e in Sheriff of Babylon (o nella recente miniserie dedicata a Rorschach), ottenendo, però, un esito ancora più dirompente, determinato non tanto dal registro mutevole dei salti cronologici, ma piuttosto dalla notevole tensione che si crea non appena la cospirazione comincia a palesarsi. King calibra i tempi scenici alla perfezione e il risultato è un autentico pugno nello stomaco del lettore, totalmente impreparato a gestire la scomoda verità che si apprende negli ultimi capitoli.

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Tale contrasto trova una completa corrispondenza anche nei disegni, dove gli stili dissonanti di Mitch Gerards ed Evan Shaner, i due validissimi artisti (entrambi - pur se in misura diversa - già collaboratori dello scrittore americano in altre sue opere) chiamati a dar vita rispettivamente agli eventi ambientati nel presente e a quelli nel passato, esaltano le crescenti divergenze della sceneggiatura. Gerards, rinunciando del tutto a ogni forma di schematizzazione, tarando con precisione le espressioni e facendo un uso magistrale del colore, ci regala personaggi autentici, desiderosi di abbandonarsi alla loro quotidianità, ma pure incapaci di reprimere le ombre che li tormentano o di nascondere il loro vero essere. Shaner, per contro, con il suo tratto pulito e classicheggiante è perfetto nel rappresentare il valore, lo spirito di sacrificio e la determinazione dell’eroe, così come la bellezza di Alanna o le differenze "somatiche" dei vari popoli di Rann. Tutti elementi che, persino nei momenti più intimi, trasportano il lettore all’interno di quell’epopea avventurosa con cui King ha scelto di raccontare il passato.

Anche la costruzione delle tavole rispecchia questa asimmetria: sebbene entrambi i disegnatori utilizzino nella maggior parte dei casi una gabbia a tre vignette orizzontali, Gerards a volte ritorna alla divisione a nove riquadri - che aveva già sperimentato con successo in Mister Miracle – allo scopo di mettere in evidenza i dettagli, di allungare i dialoghi, di raffreddare le emozioni, mentre Shaner fa un largo uso delle splash-page, più idonee per mostrare gli scontri tra gli eserciti, i grandi spazi, la fisicità dei protagonisti o, in generale, per imprimere un ritmo accelerato alla narrazione o per amplificare la drammaticità degli avvenimenti. Il fatto sorprendente, tuttavia, è che spesso la differenza di stile si nota appena perché i due autori sono molto bravi a scambiarsi di ruolo, mantenendo una sorta di continuità nella luminosità e nella gradazione dei colori. È solo la discordanza nei toni a far intuire il mutamento dello scenario, prima che intervenga la trama a darcene una conferma. Il medesimo effetto, benché in forma più estrema, è ampiamente percepibile nelle copertine degli albi, di cui sono state realizzate due versioni – una da Gerards e l’altra da Shaner - per ognuno dei dodici numeri che compongono la serie. Molte ritraggono la stessa scena, ma vista da due prospettive diverse, quasi come uno specchio che riflette un’immagine distorta di quella – almeno in apparenza - reale.

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Affondando le sue radici nel revisionismo che diede un forte scossone al genere supereroistico negli anni Ottanta, Strange Adventures si configura come un’ulteriore evoluzione di quei concetti, oltre a essere una continua fonte di riflessione e un’analisi lucida e spietata dell’incertezza che domina i nostri tempi. Un’opera che si pone ai vertici del fumetto americano contemporaneo, assolutamente imprescindibile per ogni appassionato e che Panini Comics ha degnamente valorizzato con un’elegante edizione in due volumi cartonati.

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Danger Street, la nuova serie Black Label di Tom King e Jorge Fornés

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Il team di Rorschach Tom King e Jorge Fornés si riunirà per una nuova serie DC Comics targata Black Label. Danger Street sarà un crime drama composto da 12 numeri e reinventerà alcuni personaggi secondari della DC.

La serie seguirà Mikaal Tomas/Starman, Metamorpho e Warlord mentre si contendono l'appartenenza alla Justice League. Il loro piano: convocare Darkseid sulla Terra per sconfiggerlo, apparentemente per dimostrare il loro coraggio. Cosa potrebbe andare storto?

La serie è ispirata alla testata anni '70 1st Issue Special e comprenderà altri 21 personaggi storici tra cui i New Gods, gli Outsiders, Doctor Fate, Manhunter, Lady Cop, Creeper e altri.

Di seguito trovate la cover e le prime immagini della serie bimestrale il cui esordio è previsto per il prossimo 3 maggio.

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