Dieci anni fa usciva per la Marvel Comics la saga Civil War, scritta da Mark Millar e disegnata da Steve McNiven. Una storia che è stata riadattata (almeno per il concept di base, in quanto poi la trama è differente) nell’imminente colossal Captain America: Civil War dei fratelli Joe e Anthony Russo e che vede un sequel fumettistico nell’altrettanto imminente Civil War II ad opera di Brian Michael Bendis e David Marquez. Sempre in questi giorni, inoltre, la saga originale tornerà disponibile sia in libreria che in edicola, allegata a Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, per Panini Comics.
Se facessimo un sondaggio per decretare qual è la storia Marvel più amata, o comunque più importante di sempre, certamente Civil War sarebbe, se non al primo posto, almeno nella top 3. La domanda a cui cercheremo di rispondere in questo articolo è come mai questa saga sia così importante e fondamentale per la Marvel e per quale motivo sia tanto celebrata e apprezzata. Per farlo, bisogna fare un passo indietro.
Nella prima metà degli anni ’90 il fumetto americano conosce uno dei momenti migliori dal punto di vista commerciale. Al di là dell’effettiva qualità della proposta, i comics arrivano a vendere cifre da capogiro grazie a una nuova generazione di artisti e a strategie commerciali, come l’ampio utilizzo di variant cover, che amplificano all’eccesso la smania collezionistica. Una bolla, però, di effimera durata che avrà come conseguenza una delle peggiori crisi del settore. Nella seconda metà degli anni ’90, così, la Marvel in perdita e vicina al fallimento, decide di rilanciare i suoi eroi, azzerando la numerazione delle sue testate e affidandole ai migliori autori contemporanei. Il risultato si collocava a metà strada fra classicismo e modernità, creando varie serie interessanti e altre decisamente meno. Un rilancio sicuramente valido dopo gli eccessi della prima metà del decennio, tuttavia invertire la tendenza negativa non era semplicissimo. La situazione, però, cambiò totalmente con l’arrivo di Bill Jemas alla direzione della casa editrice.
Jemas, a inizio nuovo millennio, comincia a mettere in pratica un numero di iniziative che furono l’equivalente di una serie di terremoti che ruppero molti tabù: egli, infatti, trovava assurde tutta una serie di cose assolutamente normali per un fan Marvel di vecchia data, prima su tutte la continuity e la connessione forzata fra tutte le varie testate. Dunque, non solo a livello commerciale e strategico Jemas cambiò totalmente le carte in tavole, ma anche nelle regole stesse dei fumetti Marvel. Cosa che attirò le ire dei vecchi fan. Lo scopo di Jemas, comunque, era chiaro: i fumetti dovevano arrivare a un nuovo pubblico e nel farlo bisognava non solo venderli in posti nuovi, ma renderli accessibili e fruibili a tutti. La continuity, così come utilizzata fino a quel momento, era un grosso ostacolo a tutto ciò. Affidando le testate ad autori con gran personalità, che crearono spesso cicli innovativi (basti pensare a Grant Morrison sugli X-Men), vennero praticamente tolte le connessioni fra una serie e l’altra e i richiami alle storie passate alleggeriti. Dunque, se Asgard stava sul cielo di New York, questo accadeva solo in Thor mentre, in passato, questo cambiamento avrebbe avuto ripercussioni su tutte le testate. Ma a Jemas questo non bastava, così ideò una nuova linea editoriale che proponesse una versione moderna degli eroi senza che avessero alle spalle decenni di storie: parliamo, naturalmente, dell’Universo Ultimate affidato a Brian Michael Bendis e a Mark Millar. Il successo fu straordinario, il linguaggio era moderno e fresco e i lettori ne furono conquistati.
Ma Jemas fa un’altra cosa ancora più importante: promuove Joe Quesada a nuovo editor in chief, dopo che insieme a Jimmy Palmiotti aveva diretto l'etichetta Marvel Knight, che aveva rilanciato eroi come Daredevil e Punisher dando una visione più matura dell’universo Marvel classico. Con le sue idee e la sua influenza, Quesada recluta sulle testate Marvel i migliori autori sulla piazza dando vita a un periodo molto florido.
Il successo della linea Ultimate e dell’etichetta Marvel Knight crea due precedenti dai quali non si poteva più tornare indietro. Il modo di raccontare fumetti della linea Ultimate e la maturità delle storie Marvel Knights non potevano restare un caso isolato, bisognava applicare quei modelli all’universo classico Marvel. Non a caso, Millar e Bendis diventano gli architetti Marvel per eccellenza scrivendo, ora, per i “vecchi” eroi. Non solo, complice l’addio di Jemas e l’arrivo di Dan Buckley, si capisce che non era né la continuity né l’interconnessione fra testate il problema della scarsa accessibilità dei fumetti, ma che era un fattore narrativo. Così, dopo anni l’ultimo mega-evento, La Casa delle Idee propone il primo mega-crossover della sua nuova era: House of M, scritto da Bendis. Ma il suo successore, Civil War, diventa la chiave di svolta. È infatti con Civil War che si ha la quadratura del cerchio: la visione Ultimate e quella Marvel Knights si fondono in maniera perfetta nel classico universo Marvel cambiando per sempre le storia dell’editore. Ma questo, da solo, non spiega il successo e l’importanza della saga.
La fortuna di Civil War è tutta nel concept di base, semplice e geniale che possiamo riassumere con lo slogan: “Tu da che parte stai?”. Pare che durante una riunione alla Marvel, mentre si discuteva del nuovo mega-evento (che parlava di tutt’altro), Bendis e Millar si scambiavano bigliettini con su scritto “che schifezza”. Così, prendono la parola e lanciano l’idea, è Millar che pronuncia il fatidico slogan. Ebbene, la discussione si accese subito ed è subito chiaro che l’idea era quella giusta.
Nel fumetto di supereroi c’è sempre stato un dualismo buoni/cattivi, ma cosa accadrebbe se lo scontro mettesse eroi contro eroi? E non certo per un banale equivoco, non per una scazzottata e via, ma per motivazioni ideologiche le cui scelte fossero irreversibili.
Il pubblico avrebbe, così, dovuto prendere posizione e l’immedesimazione poteva avvenire (per questioni ideologiche o per simpatia) per un gruppo o per l’altro. C’era una sorta di interattività alla base, si creano dibattiti, schieramenti fra i lettori. L’idea è vincente. Non solo, la contrapposizione ideologica alla base è tutt’altro che banale e legato al discusso Atto di Registrazione.
La proposta di legge governativa (avanzata a grande richiesta popolare) per regolamentare l’attività superumana entra prepotentemente in vigore dopo che il criminale Nitro, attaccato dai New Warriors durante le riprese di un reality show, stermina centinaia di vite innocenti fra cui molti bambini.
A questo punto neanche il diplomatico Tony Stark può mettere un freno a quello che a lui sembra la naturale evoluzione del ruolo dei supereroi. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, direbbe qualcuno, e responsabilità significa rendere conto dei propri poteri allo stato, seguire un addestramento ed entrare a far parte di una forza militare riconosciuta.
Non tutti, però, sono d’accordo. Per Capitan America registrarsi significa violare la propria identità, limitare la libertà individuale. I supereroi operano laddove la legge, lo stato, non arriva, ma con gli eroi divenuti una forza militare, chi garantirà ciò?
Così un gruppo di eroi rifiuta la legge, continuando la propria attività clandestinamente.
I punti di vista di Iron Man e Capitan America sono entrambi legittimi, è il lettore a prendere posizione come accennavamo in precedenza, non ci sono cattivi da sconfiggere ma solo uno scontro ideologico. Le loro posizioni rispettano inoltre due diverse concezioni dei supereroi, quella di Cap, più romantica e classica, che rimanda alla visione degli eroi prima del ciclone avvenuto fra gli anni ’80 e ’90, e quella di Tony Stark, più moderna, che, senza scomodare Alan Moore e rimanendo in ambito Marvel, potremmo definire "Ultimate" per l’appunto, ma che è anche figlia del clima politico post-11 settembre negli States.
C’è da dire, comunque, che per quanto avvincente e riuscita, a conti fatti, Civil War non è certo perfetta in tutto e per tutto.
Innanzitutto, la miniserie principale scritta da Mark Millar è godibile a sé, ma non brilla in coesione narrativa, sembra più un montaggio delle scene migliori provenienti dall’evento complessivo. Il ritmo troppo veloce non consente all’autore di raccontare la vicenda con la giusta cadenza e il lettore, per incollare i vari pezzi del mosaico, è costretto a zig-zagare fra le varie testate. Il che, volendo, potrebbe essere anche un punto di forza se visto come evento collettivo e coesivo di tutto l’Universo Marvel.
È sbagliato, inoltre, asserire che non ci siano cattivi. Gli sceneggiatori ce la mettono tutta per rendere la fazione di Tony Stark e Reed Richards odiosa, tramite azioni sleali e snaturando in varie occasioni i personaggi. A questo punto anche il lettore pro-registrazione non può non seguire la parabola di Peter Parker, figura emblematica dell’intera saga.
Anche la fazione di Cap ha le proprie colpe, certo. Non si capisce come mai un personaggio simbolo come lui non abbia intrapreso una via diversa, legale, per diffondere il proprio messaggio. Il suo mettersi in clandestinità avrebbe senso in una dittatura, non in un Paese democratico dove una legge può essere discussa. Ci si oppone al governo, invece, optando per una via che non propone nulla di costruttivo per cambiare lo stato delle cose. Ed il finale, in questo senso, è eloquente.
Il maggior fallimento si ha però nel mancato sviluppo di quelle premesse ideologiche che avrebbero posto il lettore di fronte ad una scelta etica e morale.
La conclusione di Civil War cambiò l’universo Marvel. L’evento catturò anche l’attenzione dei media, lo smascheramento di Peter Parker divenne una news virale, così come la successiva morte di Capitan America avvenuta dopo la sua carcerazione.
Civil War non solo fece capire che il punto di forza dell’universo Marvel era l’essere un’unica realtà condivisa da tutti gli eroi, ma produsse anche conseguenze interessanti. Non solo nell’immediato, infatti per qualche anno, con la legge in attivo e la divisione degli eroi, il volto del Marvel Universe cambiò (ma poi gli effetti si annullarono e tornò lo status quo originario), ma si creò un modello produttivo basato su eventi e continui rilanci. È da questo momento, infatti, che la Casa delle Idee ha spinto l’acceleratore sui mega-eventi, cercando di proporre stravolgimenti ogni anno o due, rilanciando le sue testate dal numero 1 e alternando brevi cicli ad altri. Una strategia che, al di là delle critiche, ha funzionato dal punto di vista commerciale riportando la Marvel (ormai lontana dal fallimento grazie anche all’acquisizione della Disney e al successo cinematografico dei suoi eroi) a vivere un periodo di rinascita.