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Prometheus: Fire and stone, l’Alien Universe in espansione: la recensione

Il progetto dell’Alien Universe continua a prendere forma, ad ampliarsi e a legare ancora di più i propri sottoprodotti: l’unione dei brand di Aliens, di Predator e di Prometheus trova compimento nella maxisaga Fire and Stone.

Come già scritto nella recensione di Aliens, tutti i recenti prodotti fumettistici legati allo xenomorfo alieno contribuiscono a ricostruire l’ampia ed articolata saga iniziata nel 1979 col film diretto da Ridley Scott.
Fire and Stone: Prometheus, scritto da Paul Tobin e disegnato da Juan Ferreyra si pone, difatti, subito dopo l’omonima pellicola, sempre diretta da Scott, del 2012. Il film, forse il peggiore della saga, aveva lasciato aperti numerosi interrogativi a cui la serie a fumetti cerca, solo in parte, di dare risposta. Il pianeta che fa da setting al racconto è, infatti, il medesimo del film: LV-223. I protagonisti del fumetto dovranno svelare il mistero legato al fallimento della missione precedente. L’interrogativo più accattivante, e centrale della pellicola come del comic, è quello dell’identità e degli scopi degli Ingegneri: umanoidi giganti che, spinti dalle loro mire creazionistiche, sembrerebbe abbiano non solo contribuito alla nascita del genere umano, ma anche di altre specie aliene, tra cui gli stessi xenomorfi.

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Paul Tobin, dunque, riprende li dove il film di Scott era terminato: gli xenomorfi sono “nati” e hanno popolato l’intero pianeta creando, a loro volta, ibridi animali. L’elemento che, indubbiamente, colpisce durante la lettura è l’atmosfera: sono pressoché assenti cunicoli bui di astronavi o la minaccia del vuoto dello spazio, ma, legando questo franchise a quello di Predator, la foresta che nasconde minacce sembra essere l’elemento di connessione adatto. Simile all’idea del film, la serie a fumetti vede l’azione svolgersi sul suolo del pianeta, permettendo agli autori – e, dunque, ai lettori – di esplorare le possibilità animalesche della fauna locale mostruosamente ibridata con gli xenomorfi: scimmie, tori, squali, solo alcune delle specie che, ora, fanno ufficialmente parte dell’Alien Universe. Come nella saga filmica di Predator la foresta, la natura, è inospitale e nasconde segreti e misteri che, parzialmente, nel corso della lettura verranno svelati. Dopotutto, Prometheus, è solo un capitolo della saga, non tutto può, e deve, essere rivelato.

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Il compito di Paul Tobin è triplice e perfettamente riuscito: recuperare la trama della pellicola cinematografica – che fa, dunque, da prequel non solo alla saga filmica, ma all’intero universo multimediale degli xenomorfi – di arricchire l’Alien Universe di elementi inediti e, contemporaneamente, legarlo nell’atmosfera all’altro brand parallelo, non con solo semplici easter egg, ma livellarlo ad un unicum narrativo che sia coerente. Ulteriore elemento inserito da Tobin per legare il suo racconto a quello filmico, è la scelta di introdurre, specie nella prima parte, un forte richiamo all’utilizzo del mezzo video: in Aliens di James Cameron del 1986, i marine protagonisti portano con loro delle telecamere con cui registrano la missione, così, anche i protagonisti del fumetto, sono spesso mostrati attraverso il filtro – chiaramente simulato dal disegno – di uno schermo o di una telecamera.

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Medesimo discorso lo si può applicare alle scelte visive di Juan Ferreyra: ampie splash page, costruzioni orizzontali a doppia pagina del layout e vertiginose inquadrature, indugiano verso uno sguardo cinematografico che conferisce un grande ritmo alla narrazione, specialmente nelle numerose scene d’azione. Se il disegno, forse, si concede un po' troppo alla deformazione anatomica, riesce ad essere funzionale al racconto e all’intero impianto artistico delle scene. Straordinariamente ripresi ed adattati sono, infatti, gli elementi iconici dell’Alien Universe: xenomorfi ed ingegneri su tutto, ma anche l’interno delle astronavi o le tute spaziali dei protagonisti.

Per i fan della saga di Alien questo è, indubbiamente, un periodo d’oro: non solo il fruitore ha la possibilità di esplorare su numerose traiettorie l’universo narrativo, ma anche di ricostruire il legame tra i diversi prodotti multimediali che già ha amato e conosciuto. Con l’imminente uscita di Alien Covenant questa parallela saga a fumetti non può che essere il compendium necessario per rivivere a tuttotondo l’affascinate terrore per i sibilanti xenomorfi.

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Gli annunci Saldapress e Radium a Napoli Comicon 2017: torna Agente Allen di Tiziano Sclavi e altre novità

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Durante la manifestazione fumettistica Napoli Comicon 2017, la casa editrice Saldapress ha annunciato diverse novità per questa seconda parte del 2017.

Partiamo subito con uno degli annunci più importanti, ossia il recupero dell'Agente Allen di Tiziano Sclavi e Mario Rossi, a trent'anni dalla sua ultima pubblicazione su Il Giornalino, che verrà rieditato e pubblicato per Lucca Comics & Games 2017.

Per quanto riguarda invece il fumetto d'oltreoceano, Saldapress pubblicherà quest'autunno Ody-C di Matt Fraction e Christian Ward e Rat Queens di Kurtis J. Wiebe, Roc Upchurch e Stjepan Šejić. Verrà pubblicato in nove albi a partire da settembre il Green Valley di Max Landis e Giuseppe Camuncoli, di cui era già disponibile al Comicon il #1.

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Anche l'etichetta editoriale Radium ha avuto la sua parte nella conferenza, in cui è stato annunciato l'adattamento cinematografico di The Shadow Planet di Giovanni Barbieri, Gianluca Pagliarani e Alan D’Amico, e tre nuovi progetti in crowdfunding che debutteranno a breve ma di cui si sa ancora poco: il primo sarà scritto da Casty sui disegni di Ryan Lovelock, il secondo sarà scritto da Joe R. Lansdale sui disegni di un artista ancora non reso noto e infine ci sarà un progetto che coinvolgerà Wu Ming.

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Il ritorno all'horror di Grant Morrison, la recensione di Nameless - Senzanome

Un asteroide proveniente dallo spazio profondo viaggia a gran velocità in rotta di collisione verso la Terra. Sulla sua superficie sono incise delle antiche rune, che annunciano la fine del mondo secondo la lingua dei maya. Chiunque le legga, a partire dagli astronomi degli osservatori, viene posseduto da un’implacabile follia omicida, che si propaga come un virus: massacri di ogni sorta cominciano ad essere compiuti in ogni parte del globo. Un individuo misterioso, un esperto di occulto autoproclamatosi “Senza Nome” per non essere colpito dagli effetti della magia nera, viene reclutato dal milionario Paul Darius per far parte di un composito team di astronauti al quale viene affidata la missione di recarsi sull’asteroide per scoprire il mistero delle rune e distruggere eventualmente il meteorite. Ma l’intera missione potrebbe essere soltanto un’allucinazione dovuta ad una seduta spiritica finita male. O forse è la seduta spiritica un’allucinazione di Senza Nome, alla deriva nello spazio dopo il fallimento della missione e la morte del resto dell’equipaggio? La risposta potrebbe trovarsi nelle trame della Dama Velata, donna misteriosa il cui unico scopo sembra quello di gettare Senza Nome nell’abisso della follia.

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Nameless, il nuovo lavoro di Grant Morrison per Image Comics portato in Italia da Saldapress, segna il ritorno dello scrittore scozzese all’horror puro, attraversato da quelle influenze esoteriche che lo hanno sempre affascinato e che hanno rappresentato spesso il sottotesto delle sue opere. Affiancato da Chris Burnham, già suo complice in Batman Inc., conclusione della sua straordinaria e pluriennale gestione delle serie del Cavaliere Oscuro, Morrison crea un’opera che parla direttamente al subconscio del lettore, infettandolo con mostruosità e carneficine che sebbene facciano pensare al ciclo di Cthulhu di H.P. Lovecraft, sono ispirate in realtà, come ammette Morrison nella post-fazione del volume, alla mitologia maya e polinesiana, alla filosofia nichilista e pessimista del XXI secolo, e all’opera delle scuole di magia tifoniana successive ad Alesteir Crowley, da sempre nume tutelare dello sceneggiatore di The Invisibles.

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È lo stesso Morrison, nella già citata post-fazione, a fornire entusiasticamente le linee guida a chi volesse approfondire questi argomenti: le indagini sull’albero della vita e i tunnel di Set di Linda Falorio e Kenneth Grant, cabala, tarocchi, il linguaggio enochiano o “lingua degli angeli”, portato alla luce nel ‘500 dall’astrologo reale John Dee dopo aver sperimentato alcuni viaggi visionari. E poi ancora Xibalba, l’oltretomba governato dagli spiriti della malattia e della morte secondo la mitologia maya, il mito del Tonal e del Nagual derivato da Carlos Castaneda. In cima a tutto, la rivincita del femminino sacro, l’immagine cabalistica di Binah, archetipo tanto della madre che allatta quanto della madre distruttrice, usata da Morrison per incitare la popolazione femminile a distruggere l’archetipo della cultura maschile dominante ed innescare una salvifica rivoluzione. Argomenti complessi che meritano un approfondimento in altre sedi. Quello che ci interessa sottolineare qui è la struttura della narrazione scelta da Morrison, l’assenza di consequenzialità e il crollo del tempo lineare tipica dei sogni o, in questo caso, degli incubi.

Il collegamento più spontaneo è quello con il surrealismo, altra influenza dello scrittore fin dai tempi di Doom Patrol, e con film sperimentali appartenenti a quella corrente come gli allucinanti Un Chien Andalou e L’Age d’Or, nati dalla collaborazione tra Bunuel e Dalì; il tutto declinato in salsa decisamente horror. La storia sembra un incrocio tra Alien, L’esorcista e Seven, diretto però da David Lynch: un mix da fare accapponare la pelle. Se qualcuno si prendesse la briga di tradurre Nameless su pellicola, ne uscirebbe fuori il film horror definitivo. C’è il sospetto di una certo compiacimento da parte dell’autore ma gli si può facilmente perdonare: Morrison è l’autentica rockstar del fumetto contemporaneo, e il fascino delle sue opere deriva principalmente dal fatto di essere eccessive e provocatorie. Nameless è il flusso di una coscienza sconvolta e infettata da immagini ancestrali ed inquietanti, un viaggio nell’inferno del subconscio a cui ci si approccia prima con titubanza, poi con compiaciuto abbandono.

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Un viaggio che non sarebbe stato ugualmente affascinante senza le illustrazioni di Chris Burnham, a cui è affidato il sostegno grafico all’immaginazione orrorifica dello scrittore scozzese. Il tratto del disegnatore di Officer Down ricorda molto quello di Frank Quitely, altro collaboratore storico dello sceneggiatore di Glasgow, ma tende più al grottesco: straordinariamente a suo agio tra interiora e bulbi oculari strappati, Burnham è bravissimo a suggerire l’orrore senza mostrarlo in primo piano, nascondendolo in campi lunghi agli occhi del lettore distratto, salvo poi farlo balzare sulla sedia facendo esplodere davanti ai suoi occhi immagini di crudeltà e supplizio. Anche grazie al suo apporto Nameless è una scheggia di ansia e terrore che si conficca nel cervello del lettore senza abbandonarlo, e che anzi necessita di più letture per decifrare ulteriori livelli di significato che potrebbero sfuggire ad una prima fruizione.

Ricordiamo che il fumetto è disponibile in edizione brossurata (pp. 168 euro 15.90) e cartonata (pp. 192, euro 24.90).

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Alla ricerca di un canone, la recensione di Aliens 1 di Saldapress

Che lo Xenomorfo ideato esteticamente dall’artista surrealista Hans Ruedi Giger sia parte integrante dell’immaginario collettivo è un dato incontrovertibile: nonostante la poca dimestichezza con la saga fantascientifica inaugurata dal film Alien (1979) diretto da Ridley Scott, chiunque conosce la creatura aliena sibilante e spaventosa capace di generare, da quasi quarant’anni, profonda inquietudine. Il parassita alieno non solo fa preda degli esseri umani, li caccia e li uccide, ma li trasforma in incubatori della propria specie: la paura non è rivolta, dunque, alla sola morte, ma alla contaminazione e alla agonia consapevole e, sopratutto, all’ignoto. Le creature si muovono nell’oscurità, attraverso i cunicoli, alimentano il terrore per ciò che non si conosce e ricordano l’impotenza dell’essere umano.

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Tali, strutturali, premesse ne hanno decretato il continuo successo. Non stupisce, dunque, che, dopo il discutibile prequel Prometheus (2012), Ridley Scott voglia ancora indagare il mondo degli xenomorfi attraverso il nuovo capitolo Alien: Covenant.
Ma, circa un anno prima, la Dark Horse, aveva già scelto di esplorare il vasto mondo cinematografico di Alien – in precedenza già arricchito da numerose serie a fumetti e serie videoludiche – con una nuova collana dall’inequivocabile titolo di Aliens. Il titolo della serie, difatti, sceglie una ben precisa collocazione temporale all’interno della saga cinematografica e, cioè, tra il primo film di Scott e Aliens – scontro finale (1986) di James Cameron.

Ogni fan delle pellicole conosce il nome di Ellen Ripley, interpretata da Sigourney Weaver, unica sopravvissuta del disastro della nave spaziale Nostromo frutto del primo incontro con le creature degli Xenomorfi, e ha familiarizzato con le mire economiche della Weyland-Yutani Corporation. La nuova serie Dark Horse inizia questo nuovo viaggio, proprio dalle nascoste logiche espansionistiche della multinazionale: il primo albo edito in Italia dalla Saldapress, dunque, raccoglie le prime due uscite americane della miniserie Defiance, scritta da Brian Wood e disegnata da Tristan Jones, che raccontano il tentativo di recupero del relitto di una nave cargo alla deriva, l’Europa, che si rivela essere in realtà una missione per la cattura gli Xenomorfi. Ma quello che può sembrare uno sviluppo narrativo “canonico” per i capitoli della saga di Alien, concede invece un colpo di scena che condizionerà l’intero sviluppo della miniserie.

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Brian Wood cambia la protagonista “storica” e la sostituisce con la marine coloniale Zulla Hendricks, per poter così essere libero di espandere l’universo narrativo della saga, ancorandola contemporaneamente a quello intero multi-mediale di cui si compone: un cameo – che, sicuramente, non rimarrà tale – vede Amanda Ripley, figlia di Ellen, adulta come nel videogame Alien: Isolation (2014), parlare con la protagonista della miniserie. La volontà di Wood, attestata nella perfetta adesione dell’atmosfera narrativa del fumetto a quella dei film, è di far in modo che il suo lavoro vada a comporre un capitolo di quella che è un’epopea fantascientifica che trova completezza attraverso media diversi, che siano cinematografici, fumettistici o videoludici. La sceneggiatura, riesce, dunque, nel proprio compito: l’eroina forte dal conflittuale rapporto con un sintetico, la “missione di recupero”, l’essere intrappolati e costantemente minacciati, i silenzi dello spazio siderale rotti dal sibilo degli Xenomorfi, sono quegli elementi che proiettano il lettore, fin dalle prime vignette, in quello che potrebbe essere un nuovo capitolo cinematografico di Alien.

A restituire tale atmosfera, non poteva non contribuire il disegno di Jones: dettagliato, dai tratti sottili e spesso nervosi, trova grande ricchezza nei dettagli, specie quelli fantascientifici – come le astronavi o gli stessi protagonisti alieni – che legano esteticamente la miniserie a fumetti alla saga cinematografica. Da segnalare, indubbiamente, i colori di Dan Jackson, capaci, nonostante una vaga sensazione di piattezza, di esaltare il tratto di Jones, rimarcando l’angoscia e la paura dei corridoi di una nave spaziale, popolata di angoli bui, sporcizia e metallo.

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Indubbiamente, tale miniserie non può, ma non dovrebbe, essere intesa al di fuori del contesto filmico. Rispetto alle numerose serie a fumetti precedenti, quella di Wood e Jones, vuole essere parte integrante e non spin-off o mero corollario dei capitoli filmici: l’obiettivo è quello, palese, di creare – come sta succedendo con Star Wars – un “canone” coerente e ben strutturato, una vera e propria mitologia degli Xenomorfi, che necessariamente trova sviluppo narrativo attraverso supporti e linguaggi diversi che concorrono verso la definizione di un unico universo.

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