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Anteprima esclusiva di Roberto Recchioni presenta: I Maestri del Mistero: Il mastino dei Baskerville

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Usciranno in anteprima a Lucca Comics & Games e poi in libreria e fumetteria la collana edita da Star Comics: Roberto Recchioni presenta: I Maestri del Mistero, seguito de I Maestri dell'Orrore e I Maestri dell'Avventura. I 4 adattamenti presentati in questa occasione sono: Il ritratto di Dorian Gray, Il mastino dei Baskerville, Il giro di vite e I delitti della Rue Morgue e altri racconti.

Per l'occasione, vi proponiamo l'anteprima esclusiva de Il Mastino dei Baskerville, dal romanzo di Sir Arthur Conan Doyle, sceneggiato da Giulio Antonio Gualtieri per i disegni di Federico Rossi Edrighi. Trovate le tavole nella gallery in basso. La copertine è realizzata da Roberto Recchioni. Queste le specifiche tecniche del volume: 16x21cm, cartonato, 112 pagine b/n, € 14,00.

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Battaglia: Lo stalliere, recensione: l'incontro tra Pietro e il Cavaliere

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“Io uccido perché posso. Io uccido perché voglio. E tanto vi basti. Il mio nome è Pietro Battaglia. E oggi mi dichiaro nemico di tutti.” Con queste parole si presentava il vampiro siciliano ne La Guerra di Piero, la sua prima avventura. Poche frasi, brevi e secche, per quella che fu un'intuizione geniale. Fin dalla sua prima apparizione infatti Battaglia ha colmato un piccolo (e colpevole) vuoto del fumetto italiano: quello dell'antieroe moderno che si mettesse a calpestare la molle terra paludosa della storia italiana del Novecento senza troppi freni inibitori o retorica. L'Italia è ricca di vicende torbide, misteriose, sommamente ambigue, eppure dopo la stagione del nero italiano degli anni '60, il fumetto italiano ha sempre faticato a dare un volto e un corpo a un personaggio adatto a raccontare le pieghe sinistre della nostra storia recente. Certo non era questione di ricezione: i lettori italiani erano sicuramente pronti a questo genere di letture, per nulla intimoriti, semmai invogliati e abituati dopo che le “colonne d'Ercole” in fatto di certi gusti e tematiche erano state varcate sia dal fumetto USA (Vertigo, per dirne una) sia dai manga seinen.

Ecco Pietro Battaglia quindi: mascella squadrata un po' Dick Fulmine un po' Superman, dente appuntito e impeto bestiale à la Wolverine, già un classico eppure assolutamente al passo coi tempi; arci-italiano fino al midollo: nato una prima volta in Sicilia e una seconda da vampiro nel profondo Nord delle trincee della Grande Guerra; meschino e passionale; terribile ma con un (personalissimo) codice d'onore. Ovvero: un personaggio esatto, caratterizzato nel modo giusto nel momento giusto. E ricchissimo di potenzialità narrative.
La continuità col già citato nero italiano c'era, tanto che le sue successive avventure furono pubblicate, sempre da Cosmo, in formato pocket. Un'iniziativa interessante che ha calato Battaglia in storie intriganti, tanto più riuscite quanto le vicende reali che facevano da cornice e ispirazione hanno potuto sedimentare negli anni attraverso indagini, approfondimenti e studi. Bene quindi Battaglia che si confronta con il fascismo (La figlia del capo), con il terrorismo e la stagione delle stragi (La lunga notte della Repubblica e Muro di Piombo), meno bene quando ha a che fare con realtà più fluide e poco cristallizzate, come la criminalità organizzata (Sodoma) o i crimini del dopoguerra (E le foibe..?), quest'ultime due storie penalizzate anche da disegni non proprio all'altezza.

Poi dalla storia “segreta” d'Italia, Battaglia si è avvicinato sempre di più ai giorni nostri e ne ha esplorato alcuni miti in un'ideale trilogia che recupera il formato bonellide tradizionale e affronta tre livelli della questione morale: quella religiosa-popolare (Il pio padre); quella sessuale (Dentro Moana); quella civile (Ragazzi di morte). Altra bella idea, altri alterni esiti: c'era sempre la naturale ferocia e violenza del protagonista, il gusto senza ritegno per lo sberleffo, l'humor nerissimo, ma troviamo anche la compassione e una sorta di dolcezza, oppure una strana forma di pietà. Oppure ben più inaspettato, timidezza. Come se Battaglia non fosse più a suo agio o vivesse le sue avventure più da testimone che da protagonista, lui così perentorio e oscuro, mentre fuori il nostro paese diventava un luccicante e affollatissimo “supermercato”. Poi, anche qui, non sempre disegni convincenti. C'era in chi scrive, la sensazione che qualcosa, della grande carica eversiva del personaggio, si stesse irrimediabilmente perdendo.

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Questa lunga premessa era doverosa per parlare della decima avventura di Battaglia: che è seminale e rappresenta una catarsi sia per la storia in sé, sia per i risvolti meta-narrativi per il personaggio creato da Roberto Recchioni e Leomacs.
Ne Lo stalliere, il vampiro siciliano si confronta direttamente con Silvio Berlusconi e il corredo degli scandali che da sempre accompagnano questa discussa figura di imprenditore, politico e qualsiasi altra cosa sia stato o sia tuttora. L'incontro col Cavaliere è dirompente e senza fronzoli. Dario Sicchio non è minimamente spaventato dal soggetto o da un comprimario così scomodo e racconta una storia avvincente in cui fa sfilare un autentico carnevale delle brutture umane: avidità, tradimento, mafia, sfruttamento del corpo femminile, crudeltà e, ovviamente, morte. Sopravvive Battaglia, anzi rinasce in una caratterizzazione efficace, torna a essere autentico deus ex machina di storie e Storia certo, ma all'usuale ferocia qui unisce (ancora) una purissima intelligenza malvagia e recupera quell'individualismo anarchico che fin da subito ce lo aveva fatto amare.

Grande la cura nella trama anche per l'uso simbolico delle varie ambientazioni. La storia inizia in un teatro (l'Ambra Jovinelli di Roma) che va fuoco nel 1983, il vecchio mondo che brucia e lascia il posto alla nuova società dello spettacolo, plastificata e edonistica, che a sua volta finisce per mangiarsi anche la politica, il mondo delle istituzioni e un paese intero, in un'orgia di bugie, polemiche, affari. Trasversale a tutto questo è il tema della seduzione, in cui potere e sesso hanno un ruolo preminente. Dialoghi azzeccati, molto seri e drammatici, alcuni intrisi di pessimismo, cinismo e intima crudeltà, si alternano a scene di estrema e “spensierata” violenza creando un effetto straniante nella lettura, quasi allucinato, che ben si adatta ad un racconto che parla di inganni, apparenze e illusioni.

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Se tutto è concesso, negli affari e nella politica, ed è concesso mostrare tutto ciò che è superfluo e serve ad abbagliare, allora il miglior modo per rappresentarlo è quello della caricatura e della deformazione cartoonistica: i disegni di Francesco Prenzy Chiappara vanno in questa direzione in modo deciso e maturo.
Tavole costruite con grande equilibrio, molto nere, grazie ad un notevolissimo lavoro di campitura che esalta i contrasti netti fra luce e buio e figure e ombre; un tratto preciso, fresco e dinamico che ricorda in più punti Bruce Timm, Humberto Ramos e Carlos Meglia, ma sviluppato in modo assolutamente originale e gradevolissimo.

E nelle battute finali di un perfetto intreccio a “meccanismo circolare” si torna di nuovo al fuoco, purificatore in un certo senso, dentro il quale sembrano bruciare tutte le incertezze delle ultime storie del vampiro siciliano che, tramite le sue stesse parole, pare quasi rassicurare i futuri lettori: “Io sono l'Italia […] L'Italia tornerà a essere quel posto polveroso, oscuro e pieno di storie segrete che era prima”.
E noi aspettiamo altra belle storie, come questa.

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Caput Mundi 1, recensione: la nascita dell'Universo Cosmo

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Non c’è set maggiormente identificato nel mondo dei fumetti di una città, meglio se una metropoli: New York ospita la quasi maggioranza dei supereroi Marvel, Gotham City e Metropolis, seppur inventate, sono i luoghi privilegiati dove il bene trionfa sul male nell’universo DC Comics. Di città italiane, invece, se ne vedono poche e, sicuramente, non con l’iconica portata narrativa delle sopracitate. Eppure le carte in regola ci sarebbero. Ci prova Roberto Recchioni, che si affida alle sapienti mani Di Giulio Antonio Gualtieri, con questo primo numero (di sei) di Caput Mundi, l’albo d’esordio dell’Universo Cosmo. Se la città è il luogo, spesso, identificativo di un eroe, la serialità fumettistica – quella statunitense ne ha fatto una “scienza” economico-narrativa – consente l’apertura a diversi strumenti narrativi. Quando una casa editrice detiene una folta schiera di eroi di diverse testate, un passo che sembra obbligato è quello di farli incontrare in un crossover.

Sulla copertina di Caput Mundi troneggia Pietro Battaglia, personaggio di successo nato dal sodalizio Recchioni-Leomacs, che immediatamente suggerisce al lettore che l’albo va inserito nella continuity del vampiro italiano. Mentre attendiamo il varo di altre testate, la miniserie ha il compito di far conoscere ai lettori i prossimi antieroi della Cosmo.

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Roma è popolata di mostri. Nulla di metaforico, i mostri che l’Urbe presenta al lettore sono, per ora, Vampiri (nella possente figura di Battaglia) e i Licantropi. Il trio protagonista di questo numero – il Nero, l’Inglese e il Bimbo – è composto da quelli che sembrano essere rapinatori e “mercenari” da poco, alla ricerca di soldi facili, di prostitute e di riscatto economico. Quest’ultimo, potrebbero averlo trovato: con i soldi guadagnati dall’ultimo lavoro, si unisco a un altro gruppo criminale per rapinare il furgone portavalori di un grande capo della malavita romana. La notte scelta per la rapina, non potrà che essere una notte di luna piena.

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Al timone della sceneggiatura troviamo Michele Monteleone e Dario Sicchio, che scelgono un approccio narrativo pluricodico: l’impianto della storia è quella tipica del noir, con frasi e battute ad effetto, in cui sono disseminati indizi ed elementi in attesa di essere ricostruiti con i numeri seguenti, mentre i dialoghi sono infarciti con lo slang tipicamente romano. L’effetto è un piacevole cortocircuito tra un sentore di familiarità e la riscoperta del sottobosco drammatico tipico del genere poliziesco. Roma, dunque, diventa il credibile set di un noir all’italiana orrorifico che coniuga felicemente i canoni di entrambi i generi di riferimento.

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Pietrantonio Bruno ha l’oneroso compito di aprire le danze grafiche dell’Universo Cosmo e lo fa aderendo all’atmosfera della sceneggiatura: la Città Eterna è cupa, piena di ombre, ma nei pochi scorci mantiene la sua riconoscibilità. È una città popolata di mostri e le spesse chine di Bruno ne certificano l’atmosfera horror. Le figure sono spigolose, caricaturali, e spesso occupano interamente le vignette per agguantare il lettore e porlo nella prospettiva degli antieroi protagonisti. Palese è la grande attenzione rivolta alla costruzione narrativa del layout, che permette a Bruno di creare serrate scene d’azione dalla grande forza cinematografica.

La lunga gestazione di due anni di Caput Mundi porta i suoi frutti: il primo numero, “Città dei lupi”, fa intuire un vasto mondo in divenire che promette storie nere – specialmente grazie al terreno condiviso – dalle innumerevoli potenzialità narrative.

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Orfani: Sam 6, recensione: prima della fine

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Orfani, la space opera ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari, fin dall’inizio si è configurata come una saga fantascientifica che, nella sua evoluzione, continua ad arricchirsi di elementi che in base alla “stagione” vengono di volta in volta svelati. Non a caso il format scelto è quello dei blocchi narrativi televisivi, con tanto di climax finale. Orfani: Sam 6, dunque, è un mid-season, un'interruzione a metà del ciclo narrativo, e –  come il modello televisivo americano insegna – è un momento fondamentale della trama, i cui elementi avranno una ripercussione, se non addirittura saranno determinanti, per l’intera seconda parte.

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La stagione dedicata a Sam ha visto, come motore dell’azione, il machiavellico personaggio della dottoressa Juric, nonostante questi sia morta alla fine di Nuovo Mondo giustiziata dalla stessa Sam ormai “corvo” cybernetico. Il ruolo della Juric è ancora determinante: è proprio la sua assenza ad essere fondamentale per le azioni della folta schiera di personaggi presenti. Nel corso delle stagioni passate e nel corso dei precedenti cinque numeri, le carte in tavola sono cambiate molto spesso ma la solida costruzione dei protagonisti principali ha permesso a questi di rimanere coerenti senza pindarici capovolgimenti identitari e senza, allo stesso tempo, far rinunciare agli sceneggiatori – Roberto Recchioni e Michele Monteleone – la possibilità di costruire l’incastro narrativo attraverso colpi di scena che, in questo numero, vanno a raccordare con più forza la stagione con le precedenti.

Prosegue la fuga nel deserto di Perseo e Andromeda, stavolta accompagnati dal clone di Ringo. Sam, difatti, è ancora in standby e il trio la sta portando dalla Dottoressa Marta Hack, l’unica con le competenze per riparare i danni della cyborg. Contestualmente, non si ferma l’inseguimento dei diversi gruppi che vogliono catturare i due bambini. Il pericolo maggiore si conferma essere il duo composto dal Governatore Garland e dal Generale Petrov, pronti a far resuscitare la nemesi per eccellenza della serie: la Juric.

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In Orfani: Sam 6 trova compiuta espressione la ricerca pluristilistica e plurinarrativa che ha caratterizzato l’intera narrazione fino ad ora: Fabrizio Des Dorides, Simone Di Meo, Andrea Accardi e Luca Casalanguida sono gli attori dello stile pluricodico del numero. L’atmosfera stile western si carica del gusto orrorifico con sterzate verso l’onirico, in un gioco stilistico e narrativo che agguanta il lettore: interessante e citazionista è l’intromissione surreale, in bianco e nero, di contaminazione nipponica alla Go Nagai, nel momento dell’esasperazione del personaggio di Sam. Numerosi sono le splash page che raccolgono l’azione dalla spregiudicata composizione che, spesso, rimedia l’estetica videoludica: continua, così, il felice sposalizio tra il linguaggio fumettistico tipicamente statunitense e il format bonelliano.

Orfani si conferma essere una serie che assume al proprio interno numerosi generi, operando un continuo passaggio tra canoni narrativi. Il mid-season di Sam ha il compito di sancire con forza tale volontà drammaturgica portando la trama verso un risoluzione che tarda ad arrivare, alimentando, così, le attese e le aspettative per l’agognato finale.

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