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Alex Bertani e Marco M. Lupoi dirigeranno Topolino

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Dopo la news dell'addio di Valentina De Poli, scopriamo dal nuovo numero di Topolino, il 3280 ufficialmente in edicola il prossimo mercoledì ma già diffuso agli abbonati, che Alex Bertani sarà il nuovo direttore editoriale di Topolino, mentre Marco Marcello Lupoi sarà il direttore responsabile del settimanale. Le due figure in precedenza erano unite e svolte dalla sola De Poli.

Mentre Lupoi è, e continuerà ad essere, il Direttore Publishing di Panini Comics, Bertani finora ha occpuato l'incarico di Direttore Mercato Italia per l'azienda.

Nell'editoriale di aprtura, Bertai scrive: "Qui in redazione è un momento frenetico; i piani di lavoro dei prossimi numeri si intrecciano con nuove idee, soluzioni e progetti. La voglia di innovare e sperimentare, ma anche di riscoprire non manca e stiamo già lavorando a novità e sorprese per darvi un Topolino sempre più di qualità, sempre più capace di divertire e farci sognare."

In una nota, infine, il comitato di redazione saluta la De Poli, ringraziandola per il lavoro svolto finora, e danno il benvenuto al nuovo direttore Bertani.

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Topolino: Valentina De Poli non è più la direttrice del settimanale

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Nei giorni scorsi si era sparsa la voce del licenziamento di Valentina De Poli, direttrice di Topolino. Anche se non è arrivata ancora una comunicazione ufficiale da parte di Panini Comics, diversi autori Disney e non ne hanno stamattina confermata la notizia.

Non si conoscono le motivazioni di questo cambio, né chi ne prenderà il posto. Per questo dobbiamo attendere comunicazioni ufficiali.

Valentina De Poli inizia la sua collaborazione con Topolino nel 1987, nel 2001 dirige la rivista W.I.T.C.H. Dal 2007 è direttore di Topolino, riportando la testata all'attenzione della critica grazie a una gestione molto amata dagli appassionati.

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Dissolvenza a nero, recensione: il noir cinematografico di Ed Brubaker e Sean Phillips

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Ormai è chiaro quanto il duo Eb Brubaker e Sean Philipps sia il sinonimo per eccellenza di noir a fumetti, a partire dalla loro opera più celebre, ovvero la saga di Criminal, pubblicata inizialmente dall’etichetta Icon della Marvel e passata poi dalla Image.
Con Dissolvenza a nero i due autori ripetono il colpo portandoci in quello che è il loro territorio narrativo preferito. Fade Out (questo il titolo inglese dell’opera), è un termine ben noto agli appassionati di cinema o, nello specifico, ai montatori e si riferisce al passaggio da una scena all’altra che avviene gradualmente a favore di uno sfondo nero. Letteralmente, si chiama Dissolvenza a chiudere. Con questo stratagemma, i due autori danno via ad ogni albo, ovvero con uno sfondo nero e col titolo dell’episodio.

Naturalmente il significato di Fade Out va oltre a quello tecnico e viene utilizzato proprio per il suo riferimento cinematografico, non a caso l’opera si svolge nella Hollywood degli anni ’40. In questo senso, Brubaker eleva alla massima potenza la sua passione per il noir non solo ambientando la vicenda nell’epoca d’oro del genere, ma si muove abilmente fra le pieghe della storia mostrando quello che avviene oltre la finzione ovattata del cinema. Lo sceneggiatore, infatti, pur muovendosi nella pura fiction, prende spunto da avvenimenti reali. Il primo, il lavoro di suo zio, sceneggiatore di Hollywood, che conservava in casa i suoi vecchi copioni e che provava sentimenti contrastanti per quell’epoca. Il secondo riguarda tutto il marciume che girava nel mondo degli studi cinematografici e delle star, e delle conseguenze del maccartismo, ovvero la paura del “pericolo rosso” che portò in rovina diversi uomini sospettati ingiustamente di spionaggio anche a Hollywood.

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La vicenda narrata da Brubaker ha per protagonista Charlie Parish, sceneggiatore di Hollywood con tanto di nomination all’Oscar, ma che ha perso totalmente la voglia di scrivere dopo aver assistito in prima persona agli orrori della guerra in Europa. A scrivere per lui c’è però Gil Mason, suo ex-mentore finito nelle liste del maccartismo e per questo allontanato dal lavoro. La vita di Charlie viene ulteriormente sconvolta quando, dopo una festa, si sveglia nella stanza in cui giace morto il corpo dell’attrice Valeria Sommers, star in ascesa e sua amica. Charlie non ricorda molto della notte prima e più cercherà di andare a fondo nella vicenda più si inabisserà nel marcio del mondo di Hollywood.

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Uno dei principali scopi di Brubaker è quello di raccontare non solo la sua trama, ma l’assurdo e cinico mondo della Hollywood degli anni ’40, ben documentato da racconti, biografie e documenti. In questo circo splendente dal di fuori, ma corrotto e malato dall’interno, lo sceneggiatore non salva nessuno, a partite dallo stesso protagonista, passando dai produttori fino all’ultimo degli attori, nessuno è assolto. Brubaker, abile come al solito, delinea ogni figura donando loro una sfaccettatura in grado di renderli vivi e umani. La vicenda si svolge lentamente e l’autore costruisce il suo mosaico con pazienza e sapienza.

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Sean Philipps è la controparte naturale di Brubaker, e la loro intesa artistica rasenta la perfezione. Qui Philipps, coadiuvato da Elizabeth Breitweiser ai colori, lavora per la prima volta in digitale a un fumetto, abbandonando dunque la matita ma senza perdere minimamente il suo tocco. Come ammesso dallo stesso Brubaker, nelle sue sceneggiature per Philipps i dettagli sono minimi e dunque all’artista viene concessa piena liberta di movimento. La sua regia si dimostra, anche in questo caso, impeccabile. Il disegnatore predilige una gabbia composta da tre strisce tendenzialmente composte da 7 vignette, ma le variazioni sono numerose e frequenti, modulate a seconda dell’esigenza.
L’atmosfera della Hollywood degli anni ’40 è resa a pieno, grazie anche all’eccellente lavoro di Breitweiser, capace di donare le diverse sfumature adatte alla varie fasi della storia.

L’edizione Panini Comics in cui viene presentata in Italia l’opera per la prima volta è perfetta in ogni suo aspetto. Non solo l’elegante cartonato raccoglie tutti i 12 albi della miniserie vincitrice anche di un Eisner Awards nel 2016, ma è ricca di contenuti extra davvero interessanti, in particolar modo i dettagliati articoli in cui Brubaker, Phillips e Breitweiser spiegano le fasi del loro lavoro.

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Punisher collection: Zona di guerra, recensione: il Punitore di Dixon e Romita Jr.

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A inizio anni ’90, ancor prima della rivoluzione Image Comics, il pubblico americano mostrò di gradire eroi violenti, oscuri e tormentati con fisici ipertrofici che tutta una generazione di nuovi artisti rappresentava con soluzioni grafiche originali e moderne, spesso con figure smodate e lontane da un realismo e da una compostezza compositiva più classicheggiante. La bomba Image amplificò tutto all’eccesso e per qualche anno l’onda d’urto fu molto forte.

La Marvel, fra nuovi e vecchi character, trovò nel Punitore un ottimo compromesso fra passato e presente. Il personaggio aveva esordito addirittura nel 1974 sulle pagine di The Amazing Spider-Man, creato da un team classico composto da Gerry Conway, Ross Andru e John Romita Sr. Tuttavia, dopo diverse comparsate come comprimario su varie testate, solo nel 1986 ottenne la sua prima miniserie da protagonista, dal cui successo nacque la sua prima serie regolare. La Marvel capì le potenzialità del personaggio e lanciò così nel 1988 The Punisher War Journal, una serie più integrata nel Marvel Universe dove Frank Castle interagiva maggiormente con gli altri eroi. Per battere il ferro finché è caldo, la Casa delle Idee diede vita prima a The Punisher Magazine, durato solo 16 numeri, e poi a una terza testata intitolata The Punisher War Zone. Di quest’ultima, Panini Comics ha da poco raccolto il primo ciclo di 6 numeri nella collana Punisher Collection.

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Dopo l’abbandono da parte del suo socio Micro, Frank Castle decide di infiltrarsi come semplice sgherro, sotto falsa identità, nella famiglia mafiosa dei Carbone alla cui giuda troviamo due fratelli, il maggiore Julius - che detiene il comando - e il minore Sal, che spesso è in disaccordo con i metodi del primo. Frank Castle utilizza la sua posizione per avere informazioni, e il suo doppio gioco (nonché qualche azione avventata) non solo complicano le cose ai Carbone, ma anche ad egli stesso. La situazione si complicherà fino al punto in cui Castle verrà scoperto e mandato a morire, se non fosse per l’intervento esterno del suo ex amico Mitraglia.

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The Punisher War Zone è scritta da Chuck Dixon, all’epoca una promessa del fumetto americano, che già si era fatto notare per alcuni lavori sia per l’Eclipse Comics che per la Marvel. Fu proprio in questo periodo, grazie contemporaneamente all’impegno alla DC su alcune testate della Bat-family, in particolare su Robin, che l’autore ottenne la consacrazione definitiva.
Le sceneggiature di Dixon sono asciutte e dirette e non risentono affatto del passare del tempo. L’intreccio delle trama, un perfetto “action-movie” a fumetti, è credibile e ben reso, seppur non particolarmente intricato. La sua versione del Punisher è perfettamente credibile e trova equilibro nel mostrare sia la parte dura che quella umana del personaggio.

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Alle matite troviamo John Romita Jr., di ritorno su una serie regolare dopo un periodo di due anni. Qui, Romita era in una fase fondamentale della sua carriera, attivo fin dalla fine degli anni ’70, l’artista aveva già realizzato diversi cicli su importanti testate, fra cui Iron Man, Amazing Spider-Man e Uncanny X-Men, tuttavia fu dal suo lavoro su Daredevil, con le chine di Al Williamson, che il fumettista avvia un’evoluzione artistica importante, smarcandosi dall’ombra ingombrante del padre e elaborando uno stile proprio. Su The Punisher War Zone Romita, dunque, è ormai un autore nel pieno della sua maturità, e il suo stile squadrato, i suoi corpi voluminosi, la sua composizione dinamica, che spesso sfocia in spettacolari splash-page, sono non solo in linea con i tempi (Romita, però, rinnega gli eccessi di alcuni suoi colleghi) ma, soprattutto, si sposano alla perfezione con il personaggio di Frank Castle. Il suo Punitore è possente, rude e violento e ritrae alla perfezione tutte le caratteristiche del personaggio e ben si adatta alle sceneggiature di Dixon.

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