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Ci sono peccati, atti compiuti contro una morale comune e condivisa dalla moltitudine, che non possono essere diffusi, che devono restare custoditi. Molto spesso, però, la linea tracciata da questa morale, che separa le azioni buone da quelle cattive, è troppo labile, aleatoria, e risulta difficile poter giustificare agli occhi dei più il proprio operato. Uccidere il proprio nemico in guerra è necessario, ma l’omicidio è un peccato. Ed allora, è meglio tacere, portare dentro questo segreto, evitare le critiche e i giudizi di chi non potrebbe capire.

Nell’universo Marvel, la situazione risulta molto più difficile in quanto ogni umano gesto viene registrato e conservato da Uatu, l’Osservatore, rappresentante di una razza aliena il cui scopo è quello di scrutare gli avvenimenti e custodirne il ricordo senza mai interferire in alcun modo. Ogni volta che Uatu compariva sulla scena, era il chiaro segnale che qualche episodio di estrema rilevanza stava per accadere. A questo punto, per tutelare il proprio operato e tenersi lontano dalla generale incomprensione, la soluzione è una sola, brutale, ma necessaria: eliminare ogni possibile testimone.

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Queste le premesse che portano ad Original Sin, nuovo crossover della Casa delle Idee, realizzato da Jason Aaron (testi) e Mike Deodato Jr. (disegni). Chi ha ucciso l’Osservatore? Chi è in grado di compiere un così efferato delitto? A cosa serviranno le armi sottratte dall'arsenale di Uatu? Ma soprattutto, di quale indicibile peccato si è macchiato il colpevole, tanto da spingerlo ad eliminare una presenza mite, ma così ingombrante?

Con abile scrittura Aaron dipinge un noir dalle forti tinte oscure, che porterà a galla molti “peccati originali”, qualcuno anche in grado di stravolgere le dinamiche dei rapporti interpersonali della comunità superumana. L’indagine parte con Capitan America, Thor, Wolverine, la Vedova Nera e Nick Fury ormai in pensione in cerchio intorno al cadavere di Uatu, con un foro da arma da fuoco al centro della fronte e privato dei suoi occhi. Oltre al nucleo principale degli Avengers, il compito di ricercare l’omicida sarà portato avanti da altre tre squadre di eroi, assemblate da un personaggio misterioso, la cui identità sarà svelata al termine del secondo albo dell’edizione italiana. Moon Knight, il Soldato d’invero e Gamora seguiranno una pista che li condurrà nello spazio; Pantera Nera Emma Frost e Ant-Man sposteranno il loro raggio di azione nel sottosuolo, mentre il Dottor Strange e il Punitore si sposteranno nel piano astrale.

Sin da subito l’agitazione è alta, le ricerche febbrili, troppi sono i misteri custoditi negli occhi sottratti all’Osservatore e c’è bisogno di fare in fretta, per evitare che qualche scheletro custodito da troppo tempo nell’armadio possa venir fuori. Nessuno, infatti, sembra avere la coscienza apposto, e quando sulla scena compare Orb con in mano uno dei due occhi, l’intervento è repentino e il dispiegamento di forze impressionante. Quella che i nostri eroi non sapevano, però, è che l’occhio può essere utilizzato anche come una bomba, e nell’istante stesso in cui viene fatto detonare, una prima ondata di verità travolge alcuni protagonisti tra cui Spider-Man, Hulk, Thor, Luke Cage e Matt Murdock (ciò che hanno scoperto e la maniera nella quale affronteranno questa nuova verità sarà possibile leggerlo nei loro rispettivi antologici). Un nuovo mistero si presenta, quindi, agli eroi che non abbandonano la scena per fare i conti con il loro passato stravolto, capire come abbia fatto Orb ad impossessarsi di un così prezioso oggetto. Chi sta tramando dietro le quinte?

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L’intento perseguito dallo scrittore è quello di imbastire una sceneggiatura corale, focalizzando l’attenzione non sui soliti protagonisti dei grandi eventi ma dando una vetrina a quelle che sono le seconde linee. Questa volontà è evidente anche nella scelta dei “cattivi”, dai Senza Mente (nemici del Dottor Strange) allo stesso Orb (legato all’universo narrativo di Ghost Rider), fino a Exterminatrix, amante ed acerrima nemica di Marvel Boy, certo non capaci di compiere un gesto di tanta portata, che lasciano intuire il loro ruolo di burattini in mano a qualche mente più geniale.

La narrazione, in questi primi quattro capitoli della saga, è molto serrata. Continui, infatti, sono i passaggi compiuti da Aaron da una parte ad un'altra della galassia, che costringono il lettore a mantenere sempre alta la concentrazione sugli avvenimenti, cercando di cogliere ogni minimo indizio che possa offrire la svolta alle indagini. L’attesa del colpo di scena, e il susseguirsi di rivelazioni sconvolgenti (vedi il finale del secondo albo), creano grande attesa e aspettativa per il prosieguo della storia. Quello che però manca, e rende debole lo sviluppo, è la mancanza di un lavoro di approfondimento ed introduzione al personaggio. Ognuno di loro, infatti, si ritrova proiettato in questa ricerca della verità senza una reale motivazione (hanno tutti davvero qualcosa da nascondere?), e l'interazione con gli altri personaggi è quasi pari a zero. Non si crea quella giusta alchimia tra i singolo interpreti, e la cosa risulta ancora più evidente dalla qualità scadente dei dialoghi. La caratterizzazione dei personaggi è carente, per non dire del tutto assente, e questo rappresenta un grosso limite per questo evento.

Anche sul versante grafico le cose non sono diverse. Se la scelta di puntare su Deodato Jr. può sembrare azzeccata, vista la predilezione della artista brasiliano per atmosfere più dark e per la sua abilità nell'utilizzo dei chiaroscuri, la resa finale non è quella sperata in quanto, nella moltitudine dei personaggi coinvolti, molti ne perdono in espressività e le loro figure a tratti semplicemente abbozzate. Se paragoniamo il lavoro qui svolto con quello realizzato in passato, in particolare sulle pagine di Dark Avengers, la differenza è così evidente che ogni altra parola risulta superflua. È indubbiamente difficile saper gestire una moltitudine di personaggi, con i ritmi serrati della pubblicazione mensile, però questo non giustifica le imperfezioni dei volti e delle anatomie e il costante escamotage di figure in penombra.   

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Gli spunti alla base di Original Sin risultano sicuramente interessanti e aprono diverse possibilità narrative che verranno poi sviluppate sui tanti spin-off alla saga, con la totalità delle testate coinvolte. Ci teniamo a ricordare che il nostro giudizio si ferma ai primi due albi pubblicati, quando la saga originale è giunta al giro di boa, ma, con grande dispiacere, dobbiamo constare come la sensazione che forte si avverte è di incompiutezza, di un'occasione persa. Non ci resta che aspettare il prosieguo della pubblicazione e sperare che il finale sappia riscattare la cocente delusione per questa prima parte, troppo confusionaria e inconcludente.

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Da Sins Past a Original Sin: tutti i peccati di Mike Deodato Jr.

Deodato Taumaturgo Borges Filho, meglio conosciuto da tutti gli appassionati di comics con lo pseudonimo di Mike Deodato Jr., è un disegnatore nato il 23 maggio 1963 a Campina Grande, Paraíba, Brasile. A questo ultimo Lucca Comics & Games, Panini Comics presenterà in anteprima la sua ultima fatica, Original Sin, miniserie Marvel Comics in sette numeri realizzata per i testi di Jason Aaron. Noi di Comicus abbiamo avuto la possibilità di parlare con l’artista del suo lavoro in Marvel e della sua longeva carriera.

Intervista a cura di Raffaele Caporaso e Pasquale Gennarelli.

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Partiamo da Original Sin, prossimo grande evento Marvel Comics in arrivo da noi in Italia: cosa puoi anticiparci a riguardo e che sfida lavorativa ha rappresentato per te?
Non si tratta del tipico evento Marvel, perché Original Sin è più piccolo in proporzioni, ma più grande come complessità narrativa: è un mistery, nel quale diversi personaggi dovranno scoprire chi è l’assassino dell’Osservatore. La storia è scritta in maniera più criptica, psicologica e intimista, senza che vi siano battaglie campali fra decine di eroi e villain.

Autore di Original Sin è Jason Aaron, scrittore sempre più importante nelle dinamiche dell’universo Marvel: come è stato lavorare con lui, quanto “spazio di manovra” ti ha concesso?
Avevo già lavorato con Jason in un’occasione, quando mi trovai a disegnare una sua storia breve sul basket. Lui mi ha dato libertà totale, il mio contributo a questa storia è stato un innovativo e sperimentale lavoro sul layout. Ho voluto fare qualcosa di diverso, facendo in modo che le matite sembrassero andare a comporre un puzzle che è la pagina, in sostanza. Il lavoro con il colorista Frank Martin, che è stato entusiasmante, ha reso tutto più visivamente aggressivo. Lui mi ha suggerito di non calcare le linee attorno ai personaggi. Il mio stile inoltre è pieno di ombre e ha reso tutto più dark. Inoltre, mi è stato concesso di disegnare il tutto nella maniera più violenta possibile: ho cercato di far sì che ogni scena sembrasse quella di un film horror, c’è parecchio sangue in Original Sin. Mi sono davvero divertito a lavorarci su, è stato davvero eccitante lavorare finalmente a un evento Marvel Comics, specialmente a uno così originale.

Oltre ad Aaron hai recentemente lavorato con altri due Architetti delle Casa della Idee: Jonathan Hickman e Brian Michael Bendis. Cosa puoi dirci riguardo loro? Quali sono le differenze fra questi nel rapporto scrittore/disegnatore?
Sono anche io un architetto! Magari in senso più piccolo, magari sono quello che porta la carriola in giro per il cantiere! Scherzi a parte, con Brian e Jonathan ho lavorato per più tempo rispetto ad Aaron, e li conosco quindi molto bene. Brian è un mio caro amico, a dire il vero: il modo in cui lui lavora si concentra maggiormente sul dialogo fra personaggi, sulla maniera in cui si relazionano. I personaggi fanno sì che le storie prendano vita attorno a loro. Al contrario Hickman costruisce una struttura narrativa generale, e all’interno di questa mette i personaggi: ha un atteggiamento più analitico. Tutti loro sono grandiosi, è un onore poterci lavorare assieme.

Abbiamo parlato di “peccati” e nel tuo passato alla Marvel ce ne sono altri: mi riferisco a "Sins Past", storico e discusso ciclo narrativo di The Amazing Spider-Man, scritto da J. Michael Straczynski: i fan si sono molto divisi riguardo questa storia, perché gettava una pesante ombra sulla memoria di Gwen Stacy. Tu come la pensi?
Per me non è stato questo grande shock, perché, avendo iniziato a leggere le storie di Spider-Man ai tempi di Steve Ditko, non mi ricordo che Gwen fosse poi una santarellina: trattava Peter in maniera terribile, il suo personaggio era tutto fuorché angelico. Quello che mi è piaciuto del lavorare su questa storia è avere avuto l’occasione di concentrarmi maggiormente sulle espressioni facciali, come se fosse una soap opera. Si tratta di una storia molto intensa, onestamente. Devo però confessare che non ho particolarmente apprezzato la scelta dell’autore di inserire nella storia i due figli di Gwen e Osborn: non c’entravano nulla, sembravano sempre fuori posto, e magari è anche colpa mia, perché non sono riuscito a ritrarli al meglio. Ma il fatto che Gwen abbia tradito Peter trovo sia incredibile, come anche la reazione di quest’ultimo.

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Un personaggio sul quale ti sei trovato a lavorare spesso nel passato è Norman Osborn (The Amazing Spider-Man, Thunderbolts, Dark Avengers): provi un qualche tipo di affezione verso uno dei villain più carismatici della Marvel Comics? Disegnandolo, in maniera molto originale, ti sei ispirato a qualche personaggio reale, magari Tommy Lee Jones?
Sì, hai fatto centro. Mi sono ispirato proprio a Lee Jones, che penso sia assolutamente simile a Osborn. Quando disegno un fumetto io sono il regista e quindi scelgo il mio cast di personaggi! Ma, a dire il vero, la Marvel mi ha fortemente rimproverato per questa scelta, perché, pur trattandosi di un mio omaggio a un grande attore, alcuni di questi sono molto “protettivi” nei confronti della loro immagine pubblica. Non posso dire con certezza che Tommy Lee Jones si sia andato a lamentare con la Marvel, ma quello che so è che tutto questo è cambiato quando Lee Jones ha recitato in Captain America: Il primo vendicatore. Avrei preferito che quel film fosse uscito prima, dato che pochi mesi prima mi fecero rifare da capo 10 pagine con protagonista Norman Osborn!

Osborn ha indossato, nel corso del "Dark Reign", l’armatura di Iron Man, divenendo Iron Patriot. A questo proposito, abbiamo notato come il design che tu proponi della suddetta armatura sia molto originale, poiché molto realistica, anatomicamente parlando, una sorta di seconda pelle. Ci puoi dire qualcosa a riguardo?
A dire il vero, tutto questo avviene perché non riesco a disegnarla diversamente! Amo disegnare i corpi, penso che le anatomie dei personaggi siano uno dei miei punti di forza. Ci ho provato a rendere l’armatura più “rigida”, ma veniva fuori una schifezza! Quindi questa non è una scelta, semplicemente non so come disegnarla in maniera “moderna”, anche perché preferisco di gran lunga l’Iron Man degli anni ’60.

Torniamo alla tua carriera: chi ti ha ispirato maggiormente dei grandi disegnatori del passato? Quando e come hai iniziato a lavorare per Marvel Comics?
Ovviamente, è iniziato tutto con mio padre, il quale era anch’egli un disegnatore. Nel 1963 lui creò un personaggio, chiamato The Flame, uno dei primi supereroi del fumetto brasiliano. Lui è stato la mia più grande ispirazione per diventare un artista. Le mie radici si sono legate saldamente anche a maestri come Neal Adams, Dick Giordano, Frank Frazetta, Jim Steranko, Will Eisner e John Buscema. Ho iniziato a lavorare per la Marvel nel 1995.

A proposito di “peccati”, qual è il più grande peccato, o meglio rimpianto, di Mike Deodato Jr., sotto il profilo strettamente lavorativo?
Tutti mi ricordano sempre che il mio Thor era orribile, per il suo design. Ma erano gli anni ’90, andiamo! Tutti noi eravamo ridicoli in quegli anni! I fumetti erano solo uno specchio della realtà di quel decennio. Il mio più grande rimpianto è l’aver deragliato dal mio binario alla fine degli anni ’90: volevo fare tutto alla perfezione, ero diventato altezzoso e troppo attratto dal denaro. Creai un mio Studio, il che fu un progetto fallimentare. Alla fine di quel periodo nessuno voleva più lavorare con me, perché avevo davvero fatto un casino. Per fortuna, alla fine si è risolto tutto per il meglio.

Domanda secca: qual è il tuo personaggio Marvel preferito da disegnare? E quale il più “odiato”?
Sicuramente Wolverine è il mio personaggio preferito, e il più odiato è proprio Iron Man: non ci riesco proprio a fare quella maledetta armatura! Fatemi disegnare corpi, non armature!

In chiusura, cosa ti aspetta nel futuro? Hai progetti Marvel o personali in cantiere?
Ho da poco finito di disegnare Avengers #37 e #39, e ora sto lavorando a New Avengers #28. Per il futuro proprio non so: penso che la Marvel voglia tenermi sulle testate dei Vendicatori per farmi battere il record di longevità di Buscema. La Marvel ha dei progetti rivoluzionari che sono segreti anche a noi artisti, al momento. Io ho già chiesto di poter lavorare in futuro su Wolverine, tanto sappiamo bene che tornerà prima o poi: voglio fare una serie standalone, perché è più facile concentrarsi su pochi personaggi e lavorare al meglio.

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