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Doomsday Machine 1-3, recensione: l'antologia Atompunk a fumetti

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What if…? tuonava la Marvel dal titolo della sua serie di eventi e universi alternativi. “Cosa sarebbe successo se” è un topos tra i più noti per molti generi, fantascienza su tutti, basti pensare alla serie Fallout, dove l’apocalisse nucleare avviene nel bel mezzo di una guerra fredda alternativa.
Da queste premesse prende il via il progetto antologico Doomsday Machine, del collettivo Leviathan Labs, dove l’eco del possibile e dell’Atompunk ci conducono in una serie di avventure e situazioni inquietanti, a tratti divertenti, squisitamente apocalittiche.

Ma che cosa è l’Atompunk? Beh, come spiegano i Leviathan nei quarti di copertina, è il nome dato da Bruce Sterling, il leggendario scrittore cyberpunk che fu anche coautore di Mirrorshades, per definire quelle opere ambientante spesso in un contesto di Guerra Fredda alternativa, dove i computer sono enormi, l’incubo atomico è persistente e i comunisti sono ancora i grandi avversari.

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Tornando a Doomsday Machine, ci troviamo davanti a tre volumi, per altrettante storie ciascuno. Un’antologia che ricorda nei contenuti un po’ L’Eternauta o un Totem. Storie brevi, con colpi di scena qualche volta telefonati ma gradevoli.
Mad Max torna subito in mente, ma c’è anche tanto umorismo nero, nerissimo, che stempera l’orrore di un mondo ormai distrutto e selvaggio, pieno di mutanti e predoni, dove nessun folle Max o un provvidenziale Kenshiro fanno quasi mai capolino.

Ma la Guerra Fredda non era solo paura del mondo postatomico, era anche l’alba della sfida dell’esplorazione spaziale, con tutti i quesiti tecnologici e filosofici che la scienza e la fantascienza si portava dietro. Prendiamo la storia F.E.D.O.R., scritta da Massimo Rosi e disegnata da Alessandro Cosentino, dove le grandi domande dell’uomo vengono affidate a chi uomo non è, proprio perché la fine nucleare è imminente. Una storia che si svolge nel vuoto dello spazio, nella sua solitudine e che potrebbe essere spunto finanche per un racconto decisamente più complesso, ma che funziona anche così, mostrando come il genere si presti a sfaccettature di ispirazione storica molto varie e che consentono più punti di vista, non solo quello di palazzi distrutti e punk in motocicletta.

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Altra piacevole sorpresa, forse proprio perché in questo caso l’ammiccamento a Fallout 3 è, per chi ci ha giocato subito evidente, è Il Dio Atomico di Massimo Rosi e Ignazio Piacenti, che ci delizia con l’uso delle mezze tinte, stile che si vedono sempre di rado e che è invece di grande effetto.
Il rimando a quella particolare missione del gioco di Bethesda è evidente, ma solo come spunto, la storia prende invece le oscure vie del fanatismo e della cecità religiosa.

Un esperimento di fatto questi tre volumi, ci si domanda se magari non sarebbe stato meglio un bel volume monografico, ma la sensazione di divertimento, non solo del lettore ma anche degli autori nel realizzarlo, lo rendono un prodotto più che interessante. Si, è vero, alcune storie soffrono di una certa amatorialità, risultando rigide nei testi e nei disegni, ma nel complesso non esce mai dal tracciato che il progetto si è dato. Un’idea chiara, che sai bene cosa ti riserverà ma non come.

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Nota simpaticissima sono i finti annunci presenti nel terzo volume, dove anche qui i riferimenti a zombie nazi di videoludica origine sono ben presenti, e che ricordano gli annunci, questi reali, qualche volta un po’ truffaldini come i mitologici occhiali a Raggi X, che una volta comparivano alla fine dei volumi di un Diabolik o di un Kriminal.

Magari potevano esserci storie ancora più varie, dove la presenza dei Sovietici si fosse sentita di più e il terrore nucleare degli anni ‘50 poteva essere più marcato. L’Atompunk è un sottogenere che andrebbe sviluppato molto di più, proprio perché i suoi confini possono essere vasti tanto quanto il periodo storico reale al quale si ispira, nonostante questo non possiamo che essere soddisfatti della lettura di questi primi tre albi.

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