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Emil Ferris sarà ospite a Lucca Comics & Games 2019

  • Pubblicato in News

Riceviamo e pubblichiamo:

“La mia cosa preferita sono i mostri” è l’opera prima di Emil Ferris, premiata con il Gran Guinigi 2018 alla miglior graphic novel. Un caso editoriale osannato da pubblico e critica che ha venduto oltre 70.000 copie solo negli Stati Uniti.

Un volume spiazzante sia a livello grafico che narrativo, 400 pagine da assaporare con calma per immergersi nel fantastico mondo di Emil: “Chiunque viva nella paura potrebbe diventare tanto un mostro buono quanto uno cattivo. Ci definiamo quando guardiamo in faccia il mostro che è in noi. Quando agiamo per vergogna e odio nei confronti di ciò che è strano, fiero, passionale e nascosto in noi diventiamo mostri cattivi. Quando scegliamo l'umiltà, la cura, il rispetto, l'empatia, perfino la meraviglia e l'amore per la cosa pelosa, con le zanne, cacciata, indesiderata, selvaggia e unica che c'è in noi, facciamo un passo verso la mostruosità buona”.

Lucca Comics & Games è orgogliosa di esporre i lavori di Emil Ferris nelle splendide sale del Palazzo Ducale.

Chi è EMIL FERRIS

Emil Ferris è cresciuta a Chicago durante i turbolenti anni Sessanta e ci vive ancora. Si è laureata all’Art Institute of Chicago. È palesemente una devota fan di tutto ciò che è mostruoso e terrificante.
In una vita precedente, Emil faceva l’illustratrice e scolpiva giocattoli per un ampio numero di clienti. Nel 2010 ha ricevuto la Fellowship Toby Devan Lewis per le arti visive. “La mia cosa preferita sono i mostri” è il primo, ma non l’ultimo, romanzo grafico di Emil.
A Emil Ferris è dedicata una mostra e sarà ospite a Lucca Comics & Games in collaborazione con Bao Publishing.

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La mia cosa preferita sono i mostri, recensione: il folgorante esordio di Emil Ferris

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I mostri, come il regista Guillermo del Toro insegna, sono metafore. Non sono le squame, i denti aguzzi, le ali ed i tentacoli a renderceli così interessanti ancora oggi, né tanto meno sobbalziamo sulla sedia nel vedere i vecchi film horror con Bela Lugosi nei panni del conte Dracula o Boris Karloff nelle vesti del mostro di Frankenstein.
Eppure, in questi tempi così smaliziati, i mostri ci affascinano ancora, ed affascinano anche Karen Reyes, la bambina protagonista de La mia cosa preferita sono i mostri, graphic novel di Emil Ferris, già illustratrice e designer al suo esordio nel mondo del fumetto.

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Esordio avvenuto tardi e quasi per caso: La mia cosa preferita sono i mostri nasce infatti durante la lunga riabilitazione dell’autrice che, contratto il West Nile virus, sola, con una figli piccoli a cui badare e paralizzata dalla vita in giù (mano destra compresa), decide di iscriversi all’Art Institute of Chicago, dove ottiene un diploma in scrittura creativa. Ne viene fuori un’opera monstre (è proprio il caso di dirlo, dato che il volume edito da Bao Publishing è lungo più di quattrocento pagine, ed è solo la prima parte) personalissima e affascinante che ha riscosso successo in Italia e soprattutto negli Stati Uniti, ricevendo gli elogi di Art Spiegelman e Chris Ware, culminando nel conferimento ad Emil Ferris dell’Eisner Award per il miglior scrittore/disegnatore.

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Il libro parla di crescita, di bullismo, di magia, d’amicizia, dell’olocausto, di donne, di prostituzione, d’amore, di un omicidio, d’arte. E dei mostri, naturalmente, da cui Karen Reyes, una bambina di dieci anni che cresce nella Chicago degli anni Sessanta è ossessionata, al punto da voler essere uno di loro, tanto da rappresentarsi, nel corso del volume, come un piccolo lupo mannaro. Ed è con questo espediente che viene fuori tutta la carica metaforica della figura del mostro: questo non fa paura per il suo aspetto ma, essenzialmente, perché è diverso da tutti gli altri. E Karen si sente diversa da tutti gli altri bambini, che la escludono e la prendono in giro: non parla di ragazzi, ha la testa fra le nuvole, disegna mostri sui quaderni di scuola, legge riviste pulp (le cui copertine scandiscono i vari capitoli del graphic novel) e guarda vecchi film dell’orrore. Gli eventi prendono una strana piega quando Anka Silverberg, una bizzarra signora di origini tedesche che abita nel suo palazzo, viene assassinata: toccherà a Karen vestire i panni dell’investigatore per scoprire il mistero dell’omicidio della donna.
Emil Ferris racconta le vicende di una famiglia, i Reyes, attraverso gli occhi di una bambina con problemi di adattamento, e lo fa con magistrale bravura, intessendo una storia larger than life in cui nessun personaggio resta indietro: ognuno di essi è caratterizzato in maniera credibile, con sottotrame che si intrecciano l’una con l’altra in questa enorme saga familiare.

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Il comparto artistico è curatissimo e, come la storia, davvero originale. Da outsider del fumetto Emil Ferris ha un approccio molto personale nei confronti del medium: l’intero volume è disegnato come se fosse il quaderno di appunti della protagonista, con tanto di righe per scrivere e buchi ai lati del foglio; se a questo si aggiunge che buona parte dei disegni sono stati realizzati con penne a sfera di vari colori, allora si ha davvero l’impressione di star sfogliando il quaderno segreto di una ragazzina. Qui Emil Ferris dà prova delle sue capacità di disegnatrice, realizzando sia bellissimi ritratti femminili (di Anka in particolare) che grottesche caricature di volti umani, inframmezzate da copie di dipinti famosi che la protagonista osserva e ricopia nel corso della storia. Se a questo si aggiunge che spesso la consueta griglia salta a favore di soluzioni apparentemente più libere (quello di Karen è pur sempre un quaderno di appunti), non si può non ammettere l’assoluta originalità del lavoro della Ferris rispetto ad altre produzioni coeve.

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