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Goldrake, recensione: l'UFO Robot d'oltralpe

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Chissà se è stata veramente la decisione della RAI di trasmettere, a partire dal prossimo gennaio, la nuova serie animata di Goldrake (Grendizer U in originale, un remake dello storico anime degli anni Settanta) a spingere le Edizioni BD/J-Pop a pubblicare in Italia il volume Goldorak (il nome dato in Francia al mitico robot gigante di Gō Nagai)?
Uscito oltralpe nel 2021 sotto le insegne della Kana (la filiale dedicata ai manga del colosso editoriale Dargaud) e accolto in patria da un notevole successo, il libro era ancora inedito da noi, nonostante una popolarità del personaggio rimasta sempre altissima nel Bel Paese, soprattutto tra gli over quaranta.
Forse si temeva una sorta di rifiuto a priori di un’opera che non veniva dal suo creatore, benché, in realtà, sia stato lo stesso Nagai a dare il via libera al progetto (la lettera con cui Xavier Dorison – autore dei testi assieme a Denis Bajram - ha chiesto al maestro giapponese di poter realizzare la nuova avventura di Goldrake compare nei contenuti extra in fondo al volume). Cosa non del tutto scontata, considerando che, invece di limitarsi a un semplice omaggio al mondo di Actarus e soci, i cartoonist francesi hanno dato vita a un vero e proprio seguito della serie animata.

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La storia raccontata nel libro prende il via dieci anni dopo la sconfitta dell’esercito di Vega e il ritorno di Actarus e Maria su Fleed (i nomi dei personaggi nell’edizione BD sono naturalmente quelli utilizzati in Italia), il loro pianeta natale. La guerra contro gli invasori spaziali sembra ormai dimenticata e le strade dei vari protagonisti si sono separate: Venusia è una specializzanda in chirurgia, mentre Alcor ha fondato un’azienda di successo che lo ha reso milionario. Inaspettatamente, però, dopo alcuni misteriosi segnali dalla Luna, un mostro di Vega compare nei cieli di Tokyo, seminando morte e distruzione. Si tratta della terribile arma degli ultimi superstiti del popolo extraterrestre, che, in cambio della pace, chiedono che l’intero Giappone diventi la loro nuova casa.

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Autentico atto d’amore nei confronti di un personaggio che ha segnato indelebilmente l’immaginario di tanti bambini italiani e francesi (Italia e Francia sono le due nazioni  dove - paese nipponico a parte - Goldrake ebbe sicuramente l’impatto maggiore) alla fine degli anni Settanta, quando l’anime sbarcò in Europa e dette origine a una rivoluzione culturale che ha avuto pochi eguali nella storia dell’entertainment, il fumetto transalpino riesce nella difficile impresa di trasportare l’opera di Nagai nel nuovo secolo, mantenendone intatte le suggestioni e molti dei suoi tratti distintivi, a dispetto di un linguaggio che risponde necessariamente a una sensibilità più contemporanea.
I due sceneggiatori scelgono, in particolare, di abbandonare la visione manichea che contraddistingueva in maniera inequivocabile parecchi lavori dell’autore del Sol Levante: la netta separazione tra buoni e cattivi, che in pochi avrebbero messo in discussione all’epoca della diffusione dei primi anime di genere mecha, più di cinquant’anni fa, risulterebbe assolutamente anacronistica al giorno d’oggi, per cui Actarus viene ritratto non come l’eroe tutto d’un pezzo che conoscevamo ma come un uomo tormentato che, dopo anni di battaglie, comincia a dubitare delle proprie azioni e si interroga su quanto l’odio cieco verso il nemico possa spingere a una lotta incessante, che non preveda altre soluzioni se non il totale annientamento dell’avversario. In questo modo Dorison e Bajram inducono il lettore a riflettere sull’insensatezza del ricorso alle armi come metodo per risolvere ogni disputa, attraverso passaggi di trama che suonano addirittura profetici, pensando al caos geopolitico a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi.
Stesso discorso per la caratterizzazione degli altri personaggi, molto più sfaccettata rispetto all’originale. Le divertenti, ma ingenue, scaramucce amorose tra i protagonisti della serie storica, per esempio, per quanto significativamente rimaneggiate (tanto che non saremmo sorpresi se qualche fan hardcore delle opere nagaiane storcesse il naso) vengono messe da parte a favore di sentimenti maturi e maggiormente articolati, e persino un comprimario come Rigel, nato per stemperare i frequenti momenti drammatici della storia con siparietti comici di ogni tipo, diventa un dispensatore di saggezza e un esempio morale da seguire. In aggiunta a tutto ciò, senza arrivare a un ribaltamento dei ruoli, che non avrebbe avuto alcuna giustificazione logica, il lavoro di “revisione” realmente importante viene fatto con gli invasori di Vega, le cui azioni, pur spietate, vengono inquadrate più verosimilmente all’interno degli orrori che ogni conflitto bellico porta con sé.
Tuttavia, è opportuno sottolineare che questo approccio autoriale alla saga di Goldrake a volte si scontra con il comprensibile desiderio dei fumettisti francesi di non voler snaturare troppo i personaggi e gli elementi che contrassegnavano la serie originale, con l’inevitabile risultato, però, di avere alcuni snodi narrativi che si risolvono in maniera un po’ scontata e banale.

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Riguardo ai disegni (opera dello stesso Bajram, in collaborazione con Brice Cossu e Alexis Sentenac) ci preme condividere la scelta degli autori di mantenere, per quanto possibile, l’estetica che il regista Tomoharu Katsumata decise per il Goldrake televisivo degli anni Settanta, smussando le derive cartoonesche (che nell’anime vennero riservate esclusivamente ai personaggi caricaturali, come appunto Rigel) e grottesche tipiche dello stile di Nagai. In questo modo si è ottenuta una certa continuità con la serie per il piccolo schermo - l’unica davvero nel cuore degli appassionati - e non con il manga, che ormai viene preso in considerazione solo per ragioni filologiche.
Da evidenziare che - come precisato in fondo al volume - le tavole del fumetto non sono il frutto di una divisione dei compiti tra Bajram, Cossu e Sentenac, ma del lavoro contemporaneo dei tre disegnatori, ognuno dei quali, dopo lo storyboard iniziale, è intervenuto più volte con suggerimenti e correzioni fino a raggiungere l’esito artistico desiderato.
L’unico appunto per il comparto grafico riguarda, a nostro avviso, i colori di Yoann Guillo che, sebbene tecnicamente ineccepibili, risultano in alcune sequenze un po’ troppo freddi.

Prima di congedarci, oltre a ringraziare la BD per averci permesso di rivivere i magici momenti della nostra infanzia, segnaliamo che la casa editrice milanese ha affiancato al volume in versione regular (già di per sé un ottimo cartonato, confezionato in maniera impeccabile) anche una collector’s edition a tiratura limitata, valorizzata da un formato maggiorato e ulteriori pagine di contenuti extra.

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