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Anteprima di Flash/Zagor 0: La scure e il fulmine

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È disponibile da oggi Flash/Zagor 0: La scure e il fulmine, l'albo di 32 pagine scritto da Mauro Uzzeo e Giovanni Masi per i disegni di Davide Gianfelice, che anticipa la miniserie con i due personaggi.

Sul sito Sergio Bonelli Editore sono apparse alcune tavole d'anteprima dell'albo. Nel descrivere il progetto, Uzzeo e Masi dichiarano "(Sono) Due eroi dal cuore grande e dal coraggio infinito, che da oltre sessant'anni intrattengono lettori di ogni età con storie ricche di colpi di scena, disegni mozzafiato e incredibili misteri. E sebbene i loro mondi possano apparentemente sembrare distanti, Zagor e Flash hanno incarnato, forse più di qualunque altro personaggio delle rispettive Case editrici, l'Avventura con la A maiuscola.

Avventura senza confini, come la foresta di Darkwood, crocevia di generi narrativi, che Zagor percorre saltando di liana in liana, e senza limiti di spazio e tempo, come nelle folli corse di Flash attraverso le epoche e le dimensioni. Da lettori appassionati prima ancora che da autori, vi invitiamo a tuffarvi in questo primo assaggio della storia che verrà, sperando che possa emozionarvi e divertirvi almeno quanto ha emozionato e divertito noi nel realizzarla."

Di seguito potete vedere alcune tavole del fumetto e la doppia cover componibile realizzata da Carmine Di Giandomenico ispirata alla storica copertina di The Flash #123 del 1961 ad opera di Carmine Infantino.

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K-11. Volume primo, recensione: il "supersoldato" russo di Casali e Gianfelice

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Intenzionata a proporre opere autoriali dai contenuti decisamente più maturi rispetto al resto delle narrazioni Bonelliane dal taglio tradizionalistico, la linea Audace della casa editrice milanese ha cominciato a pubblicare nel nostro Paese differenti storie a fumetti, tra le quali si annovera anche K-11, serie scritta da Matteo Casali per i disegni di Davide Gianfelice che è stata presentata per la prima volta durante il Lucca Comics & Games del 2017. I due talenti nostrani appena citati sono accomunati non solo da una notevole carriera nel fumetto italiano (basti pensare ai loro distinti lavori presentati su serie di particolare risonanza quali Dylan Dog o Orfani) ma anche nell’industria statunitense. Casali, per esempio, ha prestato la sua penna ai grandi colossi Marvel e DC, scrivendo le gesta di Iron Man e degli X-Men per la prima e Batman e Justice League per la seconda; Gianfelice è invece stato visto, tra gli altri, alle prese con titoli quali Wolverine, Conan the Barbarian e Greek Steet, serie lanciata proprio da lui stesso al fianco dell'acclamato sceneggiatore Peter Milligan.

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Questo stellare team creativo ha quindi unito le forze per una produzione fumettistica senz’altro singolare per la Bonelli, specie se consideriamo il contesto narrativo in cui essa è stata ambientata: attraverso alcuni flashback iniziali, ci ritroviamo fin da subito nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e, nello specifico, nel vivo della battaglia a Stalingrado, dove facciamo la conoscenza del nostro protagonista, il volitivo soldato russo Karl Ruslanovic Tikhonov. Quest'ultimo viene ben presto posto al centro di alcune delle tante atrocità vivibili in una guerra di tali proporzioni: con una forte drammaticità, assistiamo all’infortunio che lo ha colpito rendendolo zoppo nel pieno dell'azione bellica e per questo impossibilitato a prestare nuovamente servizio per la sua patria. Proprio le sue condizioni e la sua incrollabile devozione all’Unione Sovietica, unite al fatto di essere un uomo senza ormai più nulla da perdere, fruttano a Tikhonov l'opportunità di prendere parte a un esperimento governativo potenzialmente rischioso denominato “progetto Zaroff” e supervisionato dal capitano Gavril Yegorovic Voidanov in una fittizia città segreta della Russia chiamata Krasnojarsk-11, da cui il fumetto prende il nome. È innegabile come questo incipit porti subito alla mente il più noto Capitan America ideato da Joe Simon e Jack Kirby ma, a differenziare K-11 dalla genesi del supersoldato a stelle e strisce della Casa delle Idee e agli altri comics di questo stampo, vi è un aspetto fondamentale che rende il volume al centro della nostra recensione particolarmente inusuale rispetto agli stilemi a cui di solito siamo abituati.

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K-11 non si concentra sugli Stati Uniti, nazione che in questo media ci è stata abbondantemente proposta in salse sempre più differenti, bensì sull'Unione Sovietica, le cui ambientazioni risalgono agli inizi della seconda metà degli anni Quaranta. In questo periodo il secondo conflitto mondiale è finalmente alle spalle, ma a poco a poco si avverte inesorabile il dilagare di un'altra disputa che ha lasciato un marchio indelebile nel mondo intero. Stiamo parlando della famigerata Guerra Fredda tra USA e URSS che ha portato le due più grandi superpotenze mondiali di allora a vivere una vera e propria competizione su più fronti, soprattutto nell'ambito della ricerca sulle armi nucleari. Il background di questo cartonato è ancorato proprio al contesto dell'era atomica, benché l'intera vicenda venga arricchita e plasmata attraverso l'apporto di una buona dose di fantascienza e tecnologie avveniristiche. La trama orchestrata da Casali vede Karl interagire più volte con tutte le persone che hanno a che fare col progetto a cui si è sottoposto e ciò lo porta a scoprire sempre più dettagli che gli fanno apprendere maggiori informazioni su K-11 in principio celate persino ai suoi stessi occhi. Proprio questa componente enigmatica del fumetto va a fortificare costantemente il coinvolgimento di chi legge e, nel mentre, lo storytelling di Casali e Gianfelice si impone con grande impatto grazie a una narrazione cinematica, diretta e - cosa non da poco - intelligibile. I dialoghi sono ben ponderati e quindi fondamentali per la comprensione di questo primo capitolo giacché servono a introdurci al meglio alle personalità di tutti i personaggi coinvolti e al loro ambiente preciso, senza che però rendano la storia verbosa o petulante. Per di più, ogni scena è sublimata dall'evidente nonché piacevole affinità creativa che lega i due autori di questa opera. Meritevole di nota è anche l'efficace ultima parte, la quale conduce a un cliffhanger finale che interrompe la lettura esattamente sul più bello, instillando in chi legge una generosa dose di curiosità nei confronti di ciò che accadrà nel prossimo, atteso capitolo.

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Da un lato si ha quindi una sceneggiatura veramente solida e costellata da spunti narrativi intriganti, invece dall'altro spicca l'impegno al tavolo da disegno da parte di Davide Gianfelice, che gioca molto spesso con le inquadrature concedendosi la libertà di cambiare con frequenza le prospettive (spesso elaborate e ricercate) e le disposizioni delle vignette. Mentre in certi casi l'artista milanese predilige delle impaginazioni dal taglio smaccatamente classico, in altri ancora sceglie di sovrapporre alcune vignette fra loro, sperimentando con delle soluzioni artistiche che riescono a colpire nel segno.
A impreziosire maggiormente l'arte del volume vi sono i colori saturi e luminosi di Stefania Acquaro, la cui palette ha il pregio di sapersi adeguare alle differenti ambientazioni conferendo al contempo un tocco leggermente realistico e ben sfumato. A supervisionare il lavoro della talentuosa Acquaro vi è peraltro l'artista Emiliano Mammuccari, che ha firmato la strepitosa copertina del volume.

Degna di risalto è anche la postfazione scritta proprio da Casali che non solo va a chiudere questo primo libro ma ci racconta anche retroscena inediti circa la gestazione di questo ambizioso progetto, che certamente saprà appagare i palati di ogni tipo di lettore, incluso quello di chi ricerca quotidianamente prodotti che strizzino l'occhio al mercato statunitense. Non possiamo dunque non sollecitarvi all'acquisto del primo tomo da settantadue pagine di K-11.

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Bonelli, Audace: anteprima di K-11 di Matteo Casali e Davide Gianfelice

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Sul sito della Sergio Bonelli Editore sono state mostrate le prime tavole di K-11, la nuova serie dell'etichetta Audace scritta da Matteo Casali e disegnata da Davide Gianfelice con i colori di Stefania Acquaro. Di seguito trovate le info diffuse del volume che sarà presentato in anteprima a Lucca Comics & Games. Nella gallery n basso, infne, trovate le prime tavole diffuse.

"La guerra di Karl non è ancora finita. Mentre il secondo conflitto mondiale si avvia alla sua conclusione, un giovane soldato sovietico accetta di partecipare a un pericoloso progetto scientifico segreto. Segnato nel corpo e nell'animo dall'assedio di Stalingrado, Karl compie il suo primo, doloroso passo nell'era che segnerà tutto il '900. L'era atomica.

Scritto da Matteo Casali e disegnato da Davide Gianfelice con i colori di Stefania Acquaro, K-11 è forse il più audace dei fumetti che abbiamo proposto dalla nascita dell'etichetta Audace. Un fumetto con un'ambientazione inusuale - la Seconda Guerra Mondiale vista dalla parte dei russi - e una trama che non ha nulla a che spartire con tutto quanto la nostra Casa editrice ha pubblicato finora. Se Audace è nata per forzare gli schemi del fumetto bonelliano, non potevamo trovare progetto migliore per farlo. Non a caso, il titolo era tra i pochi che abbiamo annunciato sin dalla Lucca di due anni fa.

K-11. Volume primo si compone di 72 pagine a colori, stampate in formato 22x29,7 e con copertina cartonata realizzata da Emiliano Mammucari. Al prezzo di 16 euro, è disponibile in libreria, fumetteria e nel nostro Shop online a partire dal 28 novembre".

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Jupiter's Circle, recensione: la Silver Age secondo Mark Millar

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A poche settimane dalla pubblicazione italiana di The Magic Order, Mark Millar è tornato in fumetteria con Jupiter’s Circle, un bel volume cartonato di quasi 300 pagine, dove Panini Comics ha raccolto le due, omonime, miniserie, uscite negli USA tra il 2015 e il 2016, in cui l’autore scozzese ha voluto raccontare la giovinezza di quegli eroi invecchiati e disillusi, che avevamo conosciuto nella precedente Jupiter’s Legacy. Per fare questo, Millar reinterpreta a modo suo la Silver Age dei comics, immaginando l’America di fine anni Cinquanta e primi anni Sessanta, non più come un paese preso a modello per i suoi valori e popolato da infallibili eroi senza macchia e senza paura (che erano tornati a riempire le pagine di gran parte dei fumetti dell’epoca), ma piuttosto come una nazione ancora impreparata a diventare la prima potenza mondiale e, per questo, piena di contraddizioni, dove anche i pochi che possiedono super-poteri, sono tutt’altro che privi di difetti. Ancora una volta, l'autore scozzese ci racconta di esseri semi-divini, che invece di elevarsi al di sopra di tutti gli altri, tradiscono, di continuo, la propria umanità. Essere capaci di volare o poter leggere nelle menti altrui non sono qualità che rendono immuni dalle debolezze delle persone comuni e persino lo stesso Utopian (il cui nome è già una dichiarazione di intenti) fallisce proprio per essere la personificazione della perfezione. Ogni aspetto della sua vita viene pianificato per rendere quella del resto della popolazione mondiale la migliore possibile.

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Il motto “da grandi poteri, derivano grandi responsabilità”, che per Spider-Man è un monito continuo a non usare le sue abilità ragnesche per i propri interessi, per Utopian diventa quasi l’unica ragione della sua esistenza. Essere sempre al servizio degli altri e credere di fare in ogni momento la cosa giusta, sono, tuttavia, due atteggiamenti che non gli permettono di ascoltare punti di vista diversi dal suo, edi comprendere le ragioni di chi non la pensa come lui. E più che i primi dissidi con suo fratello Brainwave (solo un preludio alle terribili conseguenze future, già note da Jupiter’s Legacy), è l’evoluzione di Skyfox a evidenziare in maniera chiara le contraddizioni del suo modo di agire. La decisione di rimanere a tutti i costi neutrale rispetto alle decisioni del governo, confidando che queste vengano sempre prese nell’interesse del popolo, è soltanto l’estrema dimostrazione di fedeltà ai suoi ingenui principi. Un’illusoria visione del mondo che lo condiziona a tal punto, da arrivare a far finta di non vedere gli evidenti errori commessi da tutte le nazioni del pianeta. E non è un caso che sia proprio Skyfox a rappresentare il punto di vista opposto. Il suo essere così insofferente alle regole e il suo carattere impulsivo, lo portano rapidamente a contestare gli ideali del suo leader e, complice anche una cocente delusione d’amore, a riconsiderare la sua vita ,schierandosi al fianco delle persone più deboli o in difesa delle vittime delle azioni più discutibili promosse dal governo americano (anche a costo di diventare un fuorilegge).

Sembra, quasi, di rivivere lo scontro tra Iron Man e Capitan America in Civil War (uno dei più grandi successi creativi ed editoriali di Millar). Anzi, a dirla tutta, già in Jupiter’s Legacy era possibile intravedere qualcosa di simile: in quel caso era Utopian il “Capitan America” della situazione, l’eroe fedele ai propri valori, che soccombeva di fronte alla folle presunzione di Brainwave. Mentre in Jupiter’s Circle si ha un totale ribaltamento delle parti: Utopian diventa “Iron Man”, il paladino del governo pronto a dare la caccia a Skyfox/Capitan America, solo perché quest’ultimo ha deciso di contestare platealmente le scelte più opinabili prese dal suo paese. Ma prima di arrivare a questo, che, se vogliamo, è un po’ l’essenza del Millar-pensiero, all’inizio l’autore scozzese si limita semplicemente a mostrare i tanti vizi e le poche virtù di questi presunti paladini della giustizia. Sebbene i membri dell’Unione siano chiaramente ispirati alla Justice League, infatti, a Millar interessa poco descrivere le loro gesta eroiche (che, per questo motivo, rimangono quasi sempre sullo sfondo), ma piuttosto quello che si nasconde dietro di esse: Skyfox è un ubriacone, Flare tradisce la moglie con una diciannovenne e gli altri sono o, banalmente, troppo irascibili, oppure gelosi del successo altrui. Semplici esseri umani, che devono andare a letto presto, perché i loro bambini non li fanno dormire la notte, o che non riescono neppure a resistere a piccoli vizi come il fumo (mai si sono visti tanti super-eroi con in mano una sigaretta).

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Millar, inoltre, non manca di lanciare le sue consuete stoccate agli aspetti più controversi della società americana: dopo un inizio apparentemente tranquillo, infatti, ci mostra Blue Bolt fare il possibile per apparire come un playboy impenitente, ma solo per celare a tutti la propria omosessualità. Nell’America perbenista di fine anni Cinquanta, una cosa del genere doveva rimanere un segreto e l’autore scozzese è abilissimo ad accomunare la situazione dell’eroe a quella di tanti divi del cinema dell’epoca costretti per anni a nascondere il proprio orientamento sessuale dietro matrimoni di comodo. A Millar, però, non basta trovare un parallelismo con l’ipocrisia di Hollywood per esprimere a chiare lettere il suo messaggio, quindi la vita privata di Blue Bolt diventa anche un escamotage per criticare violentemente un aspetto ancora peggiore degli Stati Uniti di quel periodo: il tentativo di ricatto di Edgar J. Hoover, allora onnipotente direttore dell'FBI, infatti, ricorda tristemente i numerosi tentativi dell’élite al potere di limitare la privacy e la libertà di pensiero dei cittadini americani.

Se le debolezze degli altri, però, possono solo portare a un danno per sé stessi, per Brainwave la situazione è differente. Millar non prova praticamente mai a giustificarlo. Accecato dal suo evidente complesso di inferiorità nei confronti del fratello, ma anche dalle continue mortificazioni che deve subire dall’immaturo e vanesio Skyfox, il personaggio manifesta più di una volta la sua volontà di ergersi al di sopra degli altri, così come non si fa nessuno scrupolo a manipolare le persone per raggiungere i suoi fini. Inoltre, è così forte il desiderio di Millar di dipingerlo come una persona moralmente discutibile, che, a volte, i dialoghi in cui lo coinvolge sono decisamente forzati (si veda, per esempio, il passaggio in cui gli fa esternare i suoi dubbi sull’avere in squadra un omosessuale). Questo eccesso di manicheismo e qualche rappresentazione un po’ troppo stereotipata di personaggi realmente esistiti (su tutti, gli esponenti della Beat Generation) sono, probabilmente, gli unici difetti attribuibili ai suoi testi, per il resto sempre molto convincenti, sia nel tratteggiare l’estrema fragilità dei vari protagonisti, che nella perfetta ricostruzione storica.

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Non si può dire altrettanto del comparto artistico, soprattutto considerando che Jupiter’s Legacy poteva vantare i disegni di un fuoriclasse come Frank Quitely (qui, purtroppo, autore solo delle belle copertine dei primi sei episodi). Sicuramente un’opera del genere sarebbe stata perfetta per il compianto Darwyn Cooke, il cui tratto ben si sarebbe adattato alla rievocazione dell’America dei primi anni Sessanta (basta sfogliare la sua bellissima The New Frontier, per rendersene conto). Invece, i vari Wilfredo Torres, Davide Gianfelice, Chris Sprouse, Ty Templeton e altri ancora, pur cercando di imprimere nei loro disegni l’atmosfera retro voluta da Millar, raramente riescono nell’impresa. Quello che ha sorpreso maggiormente in negativo è stato Chris Sprouse, che altre volte aveva mostrato di essere proprio l’autore giusto per operazioni di questo tipo (ne è un esempio il Tom Strong di Alan Moore). Forse le chine di Walden Wong sono state determinanti al risultato finale, ma sta di fatto, che si fa veramente fatica a riconoscere lo stile lineare e pulito di Sprouse nelle tavole a lui attribuite. Anche un disegnatore meno quotato come Wilfredo Torres ha fatto di meglio in altre occasioni (recentemente lo si è visto all’opera, con esiti ben diversi, su Quantum Age, spin-off di Black Hammer). Tutti i disegnatori coinvolti, insomma, sembrano quasi più interessati a conservare un’omogeneità nel tratto (probabilmente per non confondere i lettori), che a preservare il loro stile. Quello che alla fine ottengono, però, è un insieme di vignette poco dinamiche e povere di dettagli, con l’aggravante di mostrare spesso personaggi un po’ inespressivi.

A ogni modo, disegni a parte, Jupiter’s Circle resta un ottimo fumetto: Millar riesce a scrivere, per l’ennesima volta, una storia di super-eroi imperfetti e problematici, senza dare quasi mai l’impressione di raccontare cose già viste. Speriamo solo di poter leggere, prima o poi, Jupiter’s Requiem, il più volte annunciato finale della saga, di cui al momento, sembrano essersi perse le tracce.

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