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Catwoman: città solitaria, recensione: la prova di maturità di Cliff Chiang

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Ecco quella che si dice una sorpresa inaspettata. Che Cliff Chiang fosse un bravissimo disegnatore, lo sapevamo fin dalla sua run di Wonder Woman scritta da Brian Azzarello, o, più di recente, dall’ottimo lavoro fatto nella maxiserie Paper Girls della Image, realizzata in coppia con Brian K. Vaughan. Ma che l’artista possedesse anche notevoli doti da narratore, sin qui tenute nascoste (se si escludono rare storie brevi, di cui pochi conservano memoria), era qualcosa molto difficile da immaginare. Almeno fino all’arrivo in libreria di Catwoman: città solitaria. Anzi, dopo aver letto l’opera in questione, viene persino da chiedersi perché il disegnatore americano non abbia provato a cimentarsi prima con la scrittura per quanto, in questo momento, ci interessi di più capire quando sarà possibile rivedere Chiang nuovamente in azione come autore completo. Sarebbe, infatti, un vero peccato se un simile talento dovesse andare sprecato.

Pubblicata negli USA dalla DC Comics sotto l’etichetta Black Label, Catwoman: città solitaria è una miniserie in quattro parti ambientata in un futuro non troppo lontano in cui Selina Kyle, ormai ultracinquantenne e appena uscita di prigione, torna in una Gotham City decisamente cambiata rispetto al passato. Guidata dal sindaco Harvey Dent, apparentemente libero dalla maledizione di Due Facce (sebbene ancora sfigurato in volto), la metropoli, dove un tempo imperversavano criminali e freak di ogni tipo, è diventata una delle città più sicure d’America, complice soprattutto il drastico giro di vite imposto a seguito della sanguinosa Notte dei Folli di dieci anni prima, risultata fatale non solo per il Joker – la mente dietro il tragico evento – ma anche per Batman, Nightwing e il commissario Gordon. Proprio in punto di morte, il Cavaliere Oscuro aveva chiesto a Catwoman di fare ritorno alla Batcaverna, citando un nome: Orfeo. Selina, però, arrestata subito dopo, non era riuscita a portare a termine l’incarico, con la conseguenza di sentire nascere dentro di lei un forte senso di colpa, acuito dal duro ambiente carcerario. Rimessa in libertà, ma ancora ossessionata da quell’ultima parola pronunciata da Batman, decide di vestire di nuovo i panni del suo alter ego mascherato e di coinvolgere vecchi alleati nella soluzione del mistero di Orfeo.

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Graphic novel dal clima crepuscolare, che omaggia a piene mani Il ritorno del Cavaliere Oscuro (a partire dai cinquantacinque anni dichiarati dalla protagonista, gli stessi di Bruce Wayne nel capolavoro di Frank Miller), Catwoman: città solitaria impiega, tuttavia, poche pagine per dare prova di saper vivere di luce propria. Se infatti il parallelismo tra la Selina Kyle piegata dal tempo trascorso in prigione e da inevitabili limiti fisici dovuti all’età (che le impediscono di apparire come la spericolata antieroina della continuity ufficiale del personaggio) e il disilluso e tormentato Batman di Miller risulta piuttosto evidente, Chiang cerca fin dall’inizio di non far sprofondare la trama nella cupezza e nella paranoia della miniserie culto del 1986. Oltretutto, benché l’artista di origini asiatiche non aggiri in alcun modo la metafora politica (onnipresente ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro), il racconto assume progressivamente altre caratteristiche, con toni da commedia sempre più marcati e uno stile che, mixando brillantemente supereroismo e heist drama, si discosta nettamente dalla disperante distopia immaginata dal creatore di Elektra.

È, però, la sceneggiatura nel suo complesso a rendere la miniserie di Chiang un’opera capace di soddisfare anche lettori particolarmente esigenti, con dialoghi di gran classe che, nonostante i frequenti cambi di registro, mutano di gradazione con sorprendente naturalezza, passando dalla solarità e dallo scherno degli intermezzi più scanzonati, all’intimismo e alla malinconia di quelli dove invece prevale la riflessione o il dramma. C’è pure spazio per un po’ di romanticismo old style e addirittura per un citazionismo nostalgico che, lontanissimo dal fan service di maniera, tanto di moda negli ultimi anni, testimonia il sincero rispetto dell’autore verso il glorioso passato dei personaggi. Chiang si dimostra anche abilissimo nel saper bilanciare i tempi scenici, non soltanto alternando di continuo i momenti di tensione con altri più giocosi, ma pure impostando la trama in modo che all’inizio siano l’introspezione e i pensieri dei protagonisti a essere privilegiati, con ampi passaggi dedicati ai rimpianti e ai ricordi dolorosi - che, per quanto prevedibili, diventano gli elementi necessari a inquadrare la vicenda e a comprendere gli eventi successivi - per poi schiacciare il piede sull’acceleratore, in un crescendo di intensità lento, ma costante, fino all’attesa resa dei conti finale. Solo l’ingresso di Etrigan ci è sembrato un po’ pretestuoso e, per certi versi, privo di reale utilità all’economia della storia, sebbene, con ogni probabilità, esso rappresenti un ulteriore richiamo a quella mitologia DC assai cara all’artista americano.

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Sempre riguardo alla sceneggiatura, sarebbe imperdonabile non fare il minimo accenno alla magistrale caratterizzazione dei personaggi. A cominciare naturalmente da Selina, che Chiang immagina come una donna indurita dagli anni e dalle pesanti sconfitte morali subite nel corso della vita, ma ancora orgogliosa e indomabile. Un character con cui è impossibile non empatizzare, destinato a restare a lungo nella memoria dei lettori. Tanto quanto i principali comprimari, tra i quali un Killer Croc in versione totalmente inedita (in grado di regalarci sia i passaggi più divertenti della serie, che quelli più melodrammatici) e una determinatissima Poison Ivy, per nulla resa meno riottosa dai chili di troppo accumulati con l’età. Particolarmente riuscita anche l’idea di dipingere l’Enigmista come un simpatico e affascinante mascalzone, che oltre a contrastare nettamente con il perverso e spietato assassino mostratoci recentemente da Tom King (maggiormente in linea con l’ultima incarnazione cinematografica del personaggio), contribuisce attivamente a mantenere la vicenda su binari meno foschi e tenebrosi.

Scontata, infine, in un contesto del genere, la forte voglia di riscatto di gran parte dei protagonisti che, se per alcuni significa trovare una maniera per indirizzare la propria esistenza verso una nuova direzione - a costo di rinnegare un passato eroico, divenuto persino quasi ingombrante –, per altri vuol dire semplicemente recuperare la dignità perduta pur nella consapevolezza delle estreme conseguenze che questo comporterebbe. Sentimenti e fragilità del tutto umani, che l’autore riesce a mettere spesso in evidenza, senza mai contraddire l’impostazione avventurosa del racconto.

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A ogni modo, benché sia molto appagante parlare del Chiang scrittore, non possiamo di sicuro trascurare il Chiang disegnatore, dato che questa miniserie ne certifica ancora una volta le grandi capacità artistiche (il buon Cliff, tra l’altro, si è occupato in prima persona anche dei colori). Il suo segno inconfondibile, che unisce mirabilmente la ligne claire franco-belga all’iconica essenzialità del DC Animated Universe (limitando, però, al minimo le derive cartoonesche) e che riporta la pop art alle sue radici fumettistiche, sfrutta nella maniera migliore possibile la simbiosi con i testi, costruendo tavole con gabbie a variabilità continua (al punto da impiegare le splash page con notevole parsimonia), lavorando diligentemente sull’abbondanza - o sull’assenza - di dettagli nelle vignette e studiando con cura le inquadrature e i primi piani al fine di legare indissolubilmente la narrazione allo scorrere delle immagini. Inoltre, la linearità e la pulizia del tratto o la geometria regolare e solo parzialmente spigolosa delle sue forme, non penalizzano in alcun modo l’espressività dei personaggi né riducono l’energia della storia che, sebbene non raggiunga l’esplosività delle chiassose saghe Image dei primi anni Novanta, non può certo dirsi priva di dinamismo.

Opera accolta da critiche entusiastiche negli Stati Uniti e valorizzata qui da noi da un’ottima edizione da parte di Panini Comics (un cartonato con sovracoperta-poster, nel consueto formato maggiorato delle nuove produzioni Black Label), Catwoman: città solitaria è un volume che non può mancare nelle librerie di tutti gli appassionati di Batman, ma neppure in quelle di chi si professa un semplice cultore del fumetto di qualità. Perché - credeteci - nella miniserie di Chiang di qualità ce n’è davvero tanta.

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Anteprima di Catwoman: Lonely City #1 di Cliff Chiang

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DC Comics ha diffuso un'anteprima di Catwoman: Lonely City, miniserie Black Label realizzata interamente da Cliff Chiang.

Lo storia è ambientata 10 anni dopo che Batman, Joker, Nightwing e il commissario Gordon sono stati uccisi in un massacro. Gotham City si è lasciata alle spalle eroi e criminali ed è una città più sicura, ma tutto ha un prezzo. Sotto il sindaco Harvey Dent e il suo esercito di Batcops, la libertà è difficile da trovare. Dopo aver trascorso un decennio in prigione a causa del suo ruolo nel massacro, una Selina "cambiata" torna a Gotham. Lì, visiterà nuovamente la Batcaverna e tenterà di scoprire l'identità del misterioso "Orfeo".

Catwoman: Lonely City sarà pubblicata nel formato prestige tipico della linea Black Label. Il primo numero sarà in vendita dal prossimo 19 ottobre. Di seguito trovate un'anteprima dell'albo e alcuni studi. Le copertine sono ad opera di Chiang e di Jock.

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DC Black Label: in arrivo le miniserie di Catwoman e The Human Target

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DC Comics ha annunciato due nuovi progetti Black Label in arrivo entro fine anno: Catwoman: Lonely City e The Human Target.

Scritta e disegnata da Cliff Chiang, Catwoman: Lonely City è ambientata 10 anni dopo che Batman, Joker, Nightwing e il commissario Gordon sono stati uccisi in un massacro. Gotham City si è lasciata alle spalle eroi e criminali ed è una città più sicura, ma tutto ha un prezzo. Sotto il sindaco Harvey Dent e il suo esercito di Batcops, la libertà è difficile da trovare. Dopo aver trascorso un decennio in prigione a causa del suo ruolo nel massacro, una Selina "cambiata" torna a Gotham. Lì, visiterà nuovamente la Batcaverna e tenterà di scoprire l'identità del misterioso "Orfeo".

L'ex sceneggiatore di Batman Tom King, invece, collaborerà con il disegnatore Greg Smallwood su The Human Target.
Christopher Chance è un mercenario freelance che fa da esca per proteggere potenziali bersagli allo scopo di consegnare alla giustizia i loro aspiranti assassini. Nella nuova serie, Chance dovrà proteggere Lex Luthor ma quando scoprirà di avere meno di due settimane di vita, è costretto a risolvere il proprio omicidio. E in qualche modo, la Justice League International è coinvolta. Il primo numero uscirà il 2 novembre.

Di seguito le cover dei numeri 1 delle due miniserie.

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Non solo nostalgia, la recensione di Paper Girls 2

Brian K. Vaughan, su determinati elementi, è una garanzia di sicurezza per il lettore: nelle opere dello sceneggiatore statunitense l’incontro con elementi familiari, estrapolati dal proprio contesto naturale e adattati alla storia di matrice fantascientifica, è una certezza.
Y – l’ultimo uomo, come Ex Machina e ancora di più Saga, pescando a piene mani nell’immaginario fantascientifico, filmico e fumettistico, operavano sulla ri-contestualizzazione degli elementi quotidiani in situazioni “limite”, che sia un olocausto genetico, una distopia o un pianeta lontano. Paper Girls non è da meno.

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Con il primo ciclo di storie, Vaughan aveva creato un mondo estremamente familiare per l’attuale generazione di trent’enni: lo spirito degli anni ‘80 rivive prepotentemente e si ancora all’universo filmico del periodo – a pellicole come I Goonies o Scuola di Mostri lo sceneggiatore deve tanto – creando un pungete affresco-omaggio a un decennio storico che, attualmente, vede le proprie icone rivivere di nuova e ri-mediata gloria.
Quella che sembra una versione al femminile di Stand by Me si tramuta presto in grande fantascienza – viaggi nel tempo, strumenti e armi ipertecnologiche – fondendola con un immaginario fantasy – i cavalieri a cavallo di quelli che sembrano draghi – in un meltin pot immaginativo che conquista il lettore, alimentando la propria curiosità attraverso ben dosati cliffhanger.
Ed è proprio con un cliffhanger di grande impatto che Vaughan aveva chiuso questo primo ciclo di avventure delle quattro “paper gilrs” –  le dodicenni protagoniste che consegnano i giornali sulle loro biciclette – che, dal 1988, si sono ritrovate nel 2016, in piena notte, nel bel mezzo di una strada, davanti alla versione adulta di una di loro.

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Grazie al lavoro di presentazione tematico e dei personaggi, il lavoro di Vaughan può concentrarsi maggiormente, e con grande intelligenza, sul nucleo concettuale principale e più profondo: la crescita individuale, la propria formazione emotiva e sociale, porta ad accantonare parte del proprio vissuto che, riemergendo, immerge nella nostalgia del tempo passato.
L’incontro della Erin dodicenne con la Erin adulta, centrale in questo secondo ciclo di storie, consente all’autore di creare un divertente, nostalgico, e dal pungente carattere empatico, scontro generazionale, che chiunque, almeno una volta nella vita, ha sognato di sperimentare: poter parlare con il se stesso del passato per metterlo in guardia, o semplicemente per “rivivere” un tempo più innocente o poter sbirciare la vita del se stesso del futuro per avere conferme o dare, forse, un indirizzo diverso alla propria esistenza. Lo scontro è dunque, identitario – la nostra identità cambia e si modula in base all’età – e coinvolge non solo Erin, ma anche le compagne.
Questo fondamentale snodo tematico del fumetto fa da sfondo a un racconto che vira, rispetto al volume precedente, maggiormente verso l’asse fantascientifico, ancora una volta estremamente citazionistico – Godzilla e Ritorno al Futuro su tutti – e accresce il tono drammatico dei vissuti personali delle piccole protagoniste: le ragazze devono fare i conti con i diversi drammi, personali e più universali, che la conoscenza del futuro porta con se.

Ai disegni, ancora una volta Cliff Chiang, artista perfetto per illustrare il racconto messo in piedi da Vaughan. Complice i colori di Matt Wilson – che sceglie campiture molto sature e molto piatte – il disegno si carica di straordinarie capacità narrative espressioniste, dall’approccio sintetico, e viene imbrigliato in una griglia rigida, capace per questo,di dare una coinvolgente cadenza ritmica alla narrazione. L’atmosfera di apparentemente mero revival degli anni ‘80 è data proprio dal disegno e dal colore che concorrono al coinvolgimento del lettore: straordinarie e spericolate splash-page si alternano a primi piani intimisti, vere e proprie carrellate cinematografiche fanno da contrappunto a momenti di quiete, più familiari. Tale approccio grafico non potrebbe essere altrimenti: un disegno troppo ricco, dettagliato o plastico, avrebbe distratto il lettore, dirottandolo verso un grafismo incapace di dare il giusto peso alla narrazione.

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Questo secondo volume conferma lo straordinario lavoro di Vaughan e Chiang senza essere, per questo, prevedibile. Il racconto, portando avanti e indagando le diverse trame e sotto-trame create nel primo tomo, si dirama verso altre tensioni narrative e ulteriori contesti tematici, senza disdegnare una buona dose di action e fantascienza.
Tra i numerosi revival delle atmosfere o delle icone degli anni ‘80, il lavoro di Vaughan e Chiang riesce dove molti invece falliscono: piuttosto che scegliere la semplice strada nostalgica e citazionista, questo fumetto della Image Comics utilizza la “nostalgia” non come semplice aggancio emozionale, ma come ancora di sicurezza, come bussola per orientare il lettore nelle avventure delle “paper girls” e nel proprio, personale, vissuto.

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