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Dylan Dog 246

Dylan Dog 246 (Sergio Bonelli Editore, brossurato, 96 pagine in b/n, € 2,50) testi di Michele Masiero, disegni di Giovanni Freghieri

Negli ultimi mesi la serie horror per eccellenza di via Buonarroti ha consolidato una certa tendenza a costruire trame sulla base di storie già note. Ne La locanda alla fine del mondo, l'indagatore dell'incubo vive un'avventura dichiaratamente ispirata a un ciclo di storie partorite dal genio di Neil Gaiman. Gli stessi redazionali si preoccupano di rendere nota la palese citazione, ricordando a ragione come la narrativa, al di là dei generi e dei mezzi espressivi, sia da sempre invischiata in un contorto meccanismo di rimandi e riadattamenti. A destare preoccupazione è l'affermazione secondo cui "tutto è già stato scritto e nulla di nuovo si può più creare", frase che lascia trapelare una consapevole passività artistica, una sorta di colpevole autoinibizione della vena creativa.

Nonostante questo, le recenti storie supervisionate da Tiziano Sclavi riescono a conservare ugualmente un minimo di freschezza. La locanda alla fine del mondo ha una trama godibile e affascinante, in cui il gioco di collegamenti ipertestuali messo in atto, in debito addirittura con autori del calibro di Boccaccio, riesce a non appesantire l'intreccio e, soprattutto, a non rendere il tutto troppo prevedibile. Merito della sceneggiatura di Michele Masiero, forse un po' accademica se si considerano i canoni del genere, ma sicuramente in grado di coinvolgere e appassionare il lettore. Alla buona qualità dei testi si affiancano gli splendidi disegni di Giovanni Freghieri, il quale si dimostra particolarmente abile nel raffigurare i volti umani.

La serie inedita di Dylan Dog pare essersi assestata su un livello qualitativo discreto, seppur penalizzato da una cosciente rinuncia all'originalità. Per quanto riguarda le tematiche trattate, il ritorno di Sclavi alle redini del mensile è stato sinonimo di un sostanziale ritorno alle origini. Dunque, è probabile che il vero problema di una certa condotta non sia da riscontrare tanto nel citazionismo (che in definitiva può risultare gradevole, purché non renda ovvia l'intera struttura narrativa), quanto nell'evidente volontà di autoriciclarsi. Anche se si tratta pur sempre di una lettura piacevole, il fumetto popolare non deve trovare, nel suo essere per sua natura rassicurante, un alibi per rinunciare a osare di più. Se non nello stile, almeno nell'ideazione dei soggetti.



Simone Celli
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