Jessica Blandy 8
- Scritto da Redazione Comicus
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Jessica Blandy 8 - Euramaster 41 (cartonato, 52 pagine., colore, € 7,50, Eura Editoriale) Testi: Dufaux; Disegni: Renaud VOTO: 6
Esistono nella vita quelli che, con una evocativa definizione anglosassone, si possono definire come "dirty pleasures" ( sozzi piaceri ).
Si tratta di film, dischi, libri, trasmissioni televisive, lavori artistici di vario genere e così via, che, pur apparendo oggettivamente indifendibili dal punto di vista qualitativo, riescono a esercitare una strana malìa attrattiva su alcuni singoli fruitori.
E' un'attitudine crepuscolare, una debolezza decadente che letterati italiani come Guido Gozzano o Dino Buzzati hanno descritto perfettamente. E che non manca di colpire anche me.
Ricordo pellicole tanto affascinanti quanto – per diversi motivi – sbagliate, tipo "Fright Night – Ammazzavampiri" di Tom Holland o "Revenge" di Tony Scott.
Mi tornano all'orecchio le letali ma irresistibili note che navigano in dischi come "Bla-Bla-Bla" di Iggy Pop, "Tango in The Night" dei Fleetwood Mac o "Zenyatta Mondatta" dei Police.
Mi compiaccio della macchinosa erudizione, dei dialoghi saccenti e professorali che contraddistinguono gran parte dei romanzi di Michael Chricton ( da "Sol Levante" a "Punto critico" ).
E godo disperato leggendo i volumi dell'ormai ultra-decennale saga di Jessica Blandy, giornalista e scrittrice sempre scosciatissima e tristemente imbronciata.
Le storie di Jessica Blandy sono paccottiglia noir al limite del sopportabile. Le trame sono esili e pretestuose, i dialoghi sono infarciti di patetiche considerazioni esistenzialiste, il ricorso narrativo alla logica del serial-killer si ripete in maniera improbabile e imbarazzante.
La protagonista è un concentrato di sfighe, afflitta da un male di vivere che – nelle intenzioni degli autori – vorrebbe apparire aristocratico e baudeleriano, ma che in realtà palesa le nevrosi di una tizia alla quale i soldi escono pure dal buco del culo.
Algida, altera, stra-topa, il bel viso incorniciato da una bionda capigliatura ( in pratica un taglio alla Minnie Minoprio leggermente più elettrico ), si concede a poco soddisfacenti scopate, mostrandosi spesso languida e nuda come se stesse posando per un calendario di "Max".
Dufaux, lo sceneggiatore, è poi un artista nel girare a vuoto. Scrittore prolificissimo (di lui qui ricordiamo perlomeno "Giacomo C.", "Beatifica Blues" e Samba Bugatti"), è un esempio di come si imbastiscono plot dalle finalità narrative oscure, i cui fili non portano da nessuna parte. Ogni volta che si chiude un episodio di "Jessica Blandy", viene immancabilmente da chiedersi come la protagonista ci si sia trovata in mezzo e il ruolo effettivo che ha rivestito nella vicenda.
L'ottavo tomo del serial non fa eccezione: anzi, accentua e mette in evidenza tutti gli aspetti negativi dei lavori di Dufaux e del disegnatore Renaud.
In "Senza rimpianti… Senza rimorsi…", Jessica si rivela sempre più cialtrona: stravaccata in un ristorante d'alta classe, discute a cena col suo editore e si fa riconoscere da wannabe qual è dicendo al cameriere che le porge la carta dei dessert: "No… niente dolce… un bicchiere di champagne e basta". Roba che se me lo facesse una mia invitata nel corso di un tète-a-tète culinario, me ne sbarazzerei prendendola a calci nel didietro.
Ma è solo il principio di una trama incrociata in cui – guardacaso – la giornalista deve intervistare un vecchio boss malavitoso che – guardacaso – sta per essere scalzato da un giovane rampante che – guardacaso – per raggiungere il suo scopo incomincia a mietere vittime tra le quali – guardacaso – si trova anche l'ex compagno di un'amica di Jessica.
Gli ingredienti sono i soliti: violenza efferata in salsa glam, sordide motivazioni rivestite di patinature neo-romantiche, un gusto tutto borghese per l'orrido e il morboso che – a voler fare un paragone colto – rimanda alle furbate commerciali di Gabriele D'Annunzio.
Eppure tutto questo è attraente: te ne stai a leggere di Jessica Blandy che se ne va a sedere da sola al bancone di un raffinato club notturno, schiaffando le cosce e le chiappe in faccia ai clienti maschi del locale, e la adori quando afferma di non essere interessata alla compagnia di nessuno. Un'uscita che, in un bar americano, comporterebbe – letteralmente – l'immediata richiesta di un'ambulanza da parte dello stesso gestore e il ricovero a vita in una casa di cura psichiatrica.
E ti ritrovi ad adorare la generale atmosfera dannata e peccaminosa "à la" David Lynch dei poveri. E il gusto per le linee e le architetture post-moderne delle locations, tipico di un telefilm anni Ottanta in stile "Miami Vice".
E la sensibilità, infine per un'America lontana dalle metropoli, per un paesaggio fatto di ampi spazi e di vuoti simboleggianti l'aridità delle anime perse.
E soprassiedi volentieri sulle legnosità anatomiche e le incertezze d'inquadratura manifestate dal disegnatore, lasciandoti pervadere da quello che resta il punto di forza anche per il peggiore dei noir transalpini: il nichilismo esistenziale. La consapevolezza catartica e rassicurante che tutto va a finire male, che tutto è destinato all'entropia.
Per questo amo alla follia "Jessica Blandy" nonostante mi faccia davvero schifo.
Alessandro di Nocera
Esistono nella vita quelli che, con una evocativa definizione anglosassone, si possono definire come "dirty pleasures" ( sozzi piaceri ).
Si tratta di film, dischi, libri, trasmissioni televisive, lavori artistici di vario genere e così via, che, pur apparendo oggettivamente indifendibili dal punto di vista qualitativo, riescono a esercitare una strana malìa attrattiva su alcuni singoli fruitori.
E' un'attitudine crepuscolare, una debolezza decadente che letterati italiani come Guido Gozzano o Dino Buzzati hanno descritto perfettamente. E che non manca di colpire anche me.
Ricordo pellicole tanto affascinanti quanto – per diversi motivi – sbagliate, tipo "Fright Night – Ammazzavampiri" di Tom Holland o "Revenge" di Tony Scott.
Mi tornano all'orecchio le letali ma irresistibili note che navigano in dischi come "Bla-Bla-Bla" di Iggy Pop, "Tango in The Night" dei Fleetwood Mac o "Zenyatta Mondatta" dei Police.
Mi compiaccio della macchinosa erudizione, dei dialoghi saccenti e professorali che contraddistinguono gran parte dei romanzi di Michael Chricton ( da "Sol Levante" a "Punto critico" ).
E godo disperato leggendo i volumi dell'ormai ultra-decennale saga di Jessica Blandy, giornalista e scrittrice sempre scosciatissima e tristemente imbronciata.
Le storie di Jessica Blandy sono paccottiglia noir al limite del sopportabile. Le trame sono esili e pretestuose, i dialoghi sono infarciti di patetiche considerazioni esistenzialiste, il ricorso narrativo alla logica del serial-killer si ripete in maniera improbabile e imbarazzante.
La protagonista è un concentrato di sfighe, afflitta da un male di vivere che – nelle intenzioni degli autori – vorrebbe apparire aristocratico e baudeleriano, ma che in realtà palesa le nevrosi di una tizia alla quale i soldi escono pure dal buco del culo.
Algida, altera, stra-topa, il bel viso incorniciato da una bionda capigliatura ( in pratica un taglio alla Minnie Minoprio leggermente più elettrico ), si concede a poco soddisfacenti scopate, mostrandosi spesso languida e nuda come se stesse posando per un calendario di "Max".
Dufaux, lo sceneggiatore, è poi un artista nel girare a vuoto. Scrittore prolificissimo (di lui qui ricordiamo perlomeno "Giacomo C.", "Beatifica Blues" e Samba Bugatti"), è un esempio di come si imbastiscono plot dalle finalità narrative oscure, i cui fili non portano da nessuna parte. Ogni volta che si chiude un episodio di "Jessica Blandy", viene immancabilmente da chiedersi come la protagonista ci si sia trovata in mezzo e il ruolo effettivo che ha rivestito nella vicenda.
L'ottavo tomo del serial non fa eccezione: anzi, accentua e mette in evidenza tutti gli aspetti negativi dei lavori di Dufaux e del disegnatore Renaud.
In "Senza rimpianti… Senza rimorsi…", Jessica si rivela sempre più cialtrona: stravaccata in un ristorante d'alta classe, discute a cena col suo editore e si fa riconoscere da wannabe qual è dicendo al cameriere che le porge la carta dei dessert: "No… niente dolce… un bicchiere di champagne e basta". Roba che se me lo facesse una mia invitata nel corso di un tète-a-tète culinario, me ne sbarazzerei prendendola a calci nel didietro.
Ma è solo il principio di una trama incrociata in cui – guardacaso – la giornalista deve intervistare un vecchio boss malavitoso che – guardacaso – sta per essere scalzato da un giovane rampante che – guardacaso – per raggiungere il suo scopo incomincia a mietere vittime tra le quali – guardacaso – si trova anche l'ex compagno di un'amica di Jessica.
Gli ingredienti sono i soliti: violenza efferata in salsa glam, sordide motivazioni rivestite di patinature neo-romantiche, un gusto tutto borghese per l'orrido e il morboso che – a voler fare un paragone colto – rimanda alle furbate commerciali di Gabriele D'Annunzio.
Eppure tutto questo è attraente: te ne stai a leggere di Jessica Blandy che se ne va a sedere da sola al bancone di un raffinato club notturno, schiaffando le cosce e le chiappe in faccia ai clienti maschi del locale, e la adori quando afferma di non essere interessata alla compagnia di nessuno. Un'uscita che, in un bar americano, comporterebbe – letteralmente – l'immediata richiesta di un'ambulanza da parte dello stesso gestore e il ricovero a vita in una casa di cura psichiatrica.
E ti ritrovi ad adorare la generale atmosfera dannata e peccaminosa "à la" David Lynch dei poveri. E il gusto per le linee e le architetture post-moderne delle locations, tipico di un telefilm anni Ottanta in stile "Miami Vice".
E la sensibilità, infine per un'America lontana dalle metropoli, per un paesaggio fatto di ampi spazi e di vuoti simboleggianti l'aridità delle anime perse.
E soprassiedi volentieri sulle legnosità anatomiche e le incertezze d'inquadratura manifestate dal disegnatore, lasciandoti pervadere da quello che resta il punto di forza anche per il peggiore dei noir transalpini: il nichilismo esistenziale. La consapevolezza catartica e rassicurante che tutto va a finire male, che tutto è destinato all'entropia.
Per questo amo alla follia "Jessica Blandy" nonostante mi faccia davvero schifo.
Alessandro di Nocera