Bentornati su Mad Run, la rubrica che vi porta a zonzo tra le storie più bizzarre e scabrose del comicdom a stelle e a strisce! Dopo aver parlato dei segreti oscuri di Gwen Stacy e del porno quasi girato da Superman e Big Barda, oggi torneremo indietro fino all’alba del nuovo millennio per raccontarvi di quella volta che Hulk tentò di accoppiarsi con sua cugina Jennifer Walters, il rispettato membro dei Fantastici Quattro e dei Vendicatori noto anche come She-Hulk! Il tutto accadeva in Incredible Hulk Annual 2000, firmato dai pur capaci Paul Jenkins e Mark Texeira, albo contrassegnato dall’ignominia che sarebbe scivolato facilmente nell’oblio dei miei ricordi personali se non fosse stato per la segnalazione dell’amico e lettore Luca Benedetti di Roma.
Compiamo quindi un balzo temporale fino al 2000, l’anno del paventato Millennium Bug che avrebbe dovuto causare gravi problemi ai sistemi informatici allo scoccare della mezzanotte del 1° gennaio 2000 e che invece si rivelò pressoché una bufala. La strada verso una nuova età della pietra la stiamo tuttora percorrendo orgogliosamente e di questo passo, prima o poi, riusciremo a raggiungerla. Il nuovo millennio venne invece inaugurato da un pessimo tormentone di Jennifer Lopez che invitava il pianeta ad aspettare con ansia il veglione di San Silvestro, che si sarebbe svolto in realtà più o meno come tutti gli altri. In ambito fumettistico si respirava però un’aria di grande rinnovamento: era il tempo della "Nu Marvel" di Bill Jemas e Joe Quesada. L’azienda, che era uscita con le ossa rotte dalla grande implosione di mercato della seconda metà degli anni ’90, attraversava un periodo di splendore creativo quale non aveva più vissuto dai favolosi anni ’80 di John Byrne, Frank Miller e Chris Claremont. La gestione di Jemas, Presidente, e di Quesada, top artist promosso editor in chief, era caratterizzata dalla volontà di rompere i ponti col passato recente, coinvolgendo scrittori ed artisti che non avevano mai lavorato sulle icone Marvel. Energie creative fresche, in grado di contribuire con un punto di vista inedito alla storia di personaggi in giro ormai da quattro decadi e contestualmente, di alzare la posta verso territori narrativi più maturi. L’ascesa di Quesada ai vertici dell’azienda era cominciata nel 1998 quando era stato chiamato da Bob Harras, il suo predecessore, per rilanciare quattro collane minori, alcune in affanno da molti anni come Daredevil e Punisher, altre con personaggi inutilizzati da molto tempo come Black Panther e Inhumans. Le quattro serie vennero affidate in “subappalto” alla Event Comics, etichetta di proprietà dello stesso illustratore e del suo collega e amico Jimmy Palmiotti, e raggruppate nella linea Marvel Knights.
Di quelle prime quattro proposte targate Marvel Knights, la collana che ottenne il maggior successo di critica fu Inhumans, maxiserie di dodici numeri firmata dal britannico Paul Jenkins e disegnata dalla star Jae Lee. Jenkins veniva dal fumetto indipendente e il suo unico contributo fornito ad una serie di una major (se escludiamo un fallito tentativo di rilancio per Werewolf By Night) era un rispettato ciclo di John Costantine, Hellblazer, titolo che non veleggiava certo nei piani alti delle classifiche di vendita. Eppure, questa prova era bastata per convincere Quesada, grazie all’abilità dello sceneggiatore nell’analizzare le pieghe dell’animo umano e per i toni introspettivi della sua scrittura. Inhumans fu un successo inaspettato, una prova d’autore che svettava sul resto della produzione dell’editore, tanto che fu il primo titolo Marvel della storia ad aggiudicarsi l’Eisner Award, l’Oscar del settore. Jenkins divenne ben presto uno dei nomi più “caldi” dell’industria e continuò a mietere riconoscimenti anche con il suo lavoro successivo, sempre per l’etichetta “Marvel Knights” e sempre in coppia con Jae Lee, The Sentry, l’eroe affetto da disturbo della personalità multipla la cui esistenza era stata dimenticata dal mondo e che ora tornava per riprendere il suo posto nel Pantheon Marvel, sempre perseguitato dalla sua nemesi Void che altri non è che un prodotto della sua psiche frammentata. Non passò molto tempo che allo sceneggiatore britannico si aprirono le porte di alcune delle più prestigiose collane storiche dell’editore: sono di quegli anni un apprezzato ciclo intimista di Peter Parker: Spider-Man e una controversa run su The Incredible Hulk. Mentre il suo approccio al mondo del Tessiragnatele incontrò i favori di pubblico e critica, qualche perplessità suscitarono invece le storie che lo scrittore dedicò al Gigante di Giada.
Nel 1998 The Incredible Hulk era rimasta orfana di Peter David, l’autore che aveva sceneggiato la serie per ben 12 anni, scrivendo quello che viene considerato tuttora il ciclo definitivo sul personaggio. David aveva preso una serie che vivacchiava nei bassifondi delle classifiche di vendita, e che si era ormai adagiata da tempo sul concept del mostro incompreso perseguitato dall’esercito, trasformandola in un viaggio nella psiche umana quale mai si era visto in un mensile a fumetti. Lo scrittore fece sua, ampliandola, una felice intuizione di Bill Mantlo (altro nome storico associato alla collana) secondo il quale il dramma umano di Bruce Banner partiva da lontano, e più precisamente dagli abusi subiti da parte del padre quando era bambino. Su questa pietra angolare, David costruì l’architrave del suo lungo ciclo, donando una motivazione psicoanalitica ai conflitti interiori che lacerano Banner. Le trasformazioni dello scienziato cominciarono a subire delle variazioni a seconda del suo stato emotivo: il bruto verde lasciò spazio ad una versione grigia, intelligente e cinica, un bullo di nome Joe Fixit che, vestito in gessato, se ne andò addirittura a fare il buttafuori a Las Vegas in uno dei momenti più folli e geniali della run di David. In seguito le personalità dominanti di Banner si sarebbero stabilizzate in una sintesi perfetta delle incarnazioni precedenti: un culturista in canotta che si faceva chiamare “Il Professore”, di nuovo verde ma con le fattezze di Banner e soprattutto, con la sua intelligenza. Lo sceneggiatore deliziò i lettori per oltre un decennio con storie ricche di verve ed ironia, creando un’identificazione tra scrittore e collana che solo Chris Claremont con i suoi X-Men poteva vantare.
Nel 1998 David fu costretto ad interrompere il suo ciclo in disaccordo con la dirigenza Marvel, che voleva sbarazzarsi dell’elemento psicoanalitico per tornare alle classiche atmosfere da “Hulk Spacca!”. L’ultimo storia sceneggiata dall’autore, Sabbie piatte e solitarie, è al tempo stesso il suo struggente addio e una commovente dichiarazione d’amore ai personaggi che aveva scritto per ben 12 anni, rendendoli suoi.
I lettori sapevano che non avrebbero mai più letto un Hulk tanto bello, e così fu.
La collana venne affidata al veterano John Byrne che, seguendo le indicazioni aziendali, portò i toni della serie verso le atmosfere del telefilm classico. Ma i lettori, che non si erano ancora ripresi dall’addio di Peter David ed erano ormai abituati ad un tipo di narrazione più complessa, rifiutarono il nuovo ciclo. La Marvel corse ai ripari sostituendo Byrne col nuovo “golden boy” Paul Jenkins. Su richiesta esplicita dei fan, Bruce Banner tornava sul lettino dello psicanalista.
Jenkins stabilì da subito una forte continuità col ciclo di David, riportando in auge il discorso delle personalità multiple. Già nel suo primo numero lo scrittore faceva compiere ai lettori un nuovo viaggio nella mente di un sempre più devastato Banner, dove avrebbero potuto ritrovare le sue personalità dominanti: il bruto rabbioso e ottuso, il grigio e cinico Fixit e l’intelligente Professore. Ma Jenkins propone una chiave di lettura nuova e clamorosa: i tre energumeni sono solamente una minima parte della migliaia di personalità che vivono nei recessi più profondi della mente di Banner e che aspettano nell’ombra per uscire. Conscio del pericolo, Bruce stringe un patto con le sue tre personalità classiche per arginare le altre e concede loro di abitare il suo corpo a rotazione. Nel frattempo, nel mondo reale, dovrà affrontare la minaccia del Generale Ryker, un losco figuro associato alle pagine più nere della storia degli Usa che è deciso a fare un uso militare dei raggi gamma che hanno dato vita ad Hulk.
Il ciclo di Jenkins incontrò il favore dei lettori per il ritorno alle tematiche psicanalitiche e per l’innegabile lirismo della sua prosa, anche se era evidente il richiamo alle storie di David e il tutto non brillava esattamente per originalità. Soprattutto, le sue storie erano prive di quell’ironia con cui il suo predecessore bilanciava i momenti più drammatici. Fu comunque un buon periodo per la serie, salvata dalla padronanza di Jenkins alla macchina da scrivere e da un comparto artistico che vedeva all’opera due fuoriclasse come Ron Garney prima e John Romita Jr dopo. Eppure, in una run dominata da toni seri e introspettivi, non mancò una mosca bianca che suscitò parecchie controversie alla sua uscita, l’Annual del 2000 scritto dallo stesso Jenkins per i disegni del mai troppo lodato Mark Texeira. Una storia che, nonostante il prestigio degli autori coinvolti, è un manifesto del ridicolo involontario e merita di essere ospitata in questa rubrica!
La storia si apre nello stesso deserto che è stato teatro dell’incidente nucleare che ha dato origine ad Hulk. Il mostro è nella sua versione selvaggia ed ottusa, e di umore decisamente negativo.
Nel frattempo, nella residenza degli Avengers, una pensierosa Jennifer Walters, She-Hulk, confessa a Wasp la sua preoccupazione per il cugino, e per il fardello della solitudine che deve sopportare.
Di recente, in veste di suo avvocato, Jen ha rappresentato Bruce in un tentativo di amnistia dall’esito negativo. La donna non sa che la corte è stata corrotta dal Generale Ryker, la nemesi che ha tormentato Banner negli ultimi mesi. Nel suo peregrinare rabbioso, Il Gigante di Giada raggiunge New York, dove viene rilevato dal computer della base dei Vendicatori. La squadra al completo interviene per affrontarlo. E qui facciamo parlare al posto nostro le splendide tavole di Texeira.
Iron Man è giunto in avanscoperta ma si rende conto che la situazione è grave e chiama in soccorso il resto della squadra, formato da Wasp, Giant-Man, Ms. Marvel, Triathlon, Visione, Scarlet Witch e She-Hulk.
Wanda è il leader tattico sul campo, situazione del tutto inedita nella storia degli Avengers. She-Hulk tenta di parlare col mostro scatenato, cercando di calmarlo e di capire se da qualche parte, dentro di lui, c’è traccia di suo cugino Bruce. Ottiene invece l’effetto contrario: Hulk la carica, ferendola.
Come se non bastasse, il Bruto è attraversato da ricordi dolorosi delle donne che hanno segnato la sua vita e quella di Banner, come la defunta moglie Betty e Jarella.
She-Hulk tenta ancora di avvicinarlo approfittando della trasformazione del Gigante in Banner. Ma l’uomo lascia di nuovo spazio al mostro, che colpisce ancora la cugina.
Visione ha un’intuizione sullo strano comportamento di Hulk e ne trova conferma consultando un sito di antropologia (!). Comportandosi come un primate, il Mostro è in cerca di una compagna e si sta mettendo in mostra! La candidata ideale, ovviamente, è She-Hulk, e il Gigante di Giada l’ha colpita ripetutamente per dimostrarsi superiore ed aumentare le possibilità di sottomissione dell’ “esemplare” femmina. Non proprio un comportamento elegante, da parte dell’alter ego del Dottor Banner, non molto rispettoso del gentil sesso. Senza contare che questo bizzarro tentativo di seduzione animalesca è diretto a sua cugina. Ma come recita il titolo della storia, stiamo parlando di un “basic instinct”.
Dopo aver capito di essere la “pietra dello scandalo”, Jen decide di prendere il toro per le corna ed affrontare di petto la situazione. Il mostro la attacca nuovamente ma la donna non si sposta. Il “tentativo di corteggiamento” finisce male, con un rifiuto. Anche se She-Hulk consola il mostro dicendogli che tutto sommato, se non fossero stati cugini… chissà. Il due di picche viene servito con garbo.
Hulk urla tutta l’ amarezza per la sua solitudine e per il rifiuto della donna, e fugge via. Gli Avengers stanno per lanciarsi al suo inseguimento ma vengono fermati dalla stessa She-Hulk, che nonostante riporti i segni delle percosse ricevute si sente in colpa per la sorte del cugino e chiede ai suoi compagni di squadra di lasciarlo in pace.
Per quanto salvata visivamente dalle ombrose matite di Mark Texeira, il grande artista di Ghost Rider, Wolverine e Black Panther, la storia di Paul Jenkins suscitò reazioni indignate al suo apparire negli Stati Uniti. Narrativamente, il desiderio incestuoso del Gigante di Giada è giustificato dal fatto che la sua versione bruta non sa che She-Hulk è sua cugina. Fecero comunque scalpore le tavole in cui veniva mostrata in maniera piuttosto disinvolta la violenza sulla donna, lividi compresi. Non è difficile pensare che oggi, dopo i recenti scandali a sfondo sessuale verificatisi negli States, una storia come questa non sarebbe mai stata approvata dallo staff editoriale Marvel. In Italia apparve ben cinque anni dopo la sua uscita negli States: Panini Comics preferì concludere il prima possibile la run di Jenkins per far partire subito dopo l'acclamato ciclo del suo successore, Bruce Jones. Basic Instinct venne così inserita come riempitivo su Devil & Hulk 112 e 113 del 2005, tra la fine della run di Jones e il successivo ed effimero ritorno di Peter David sulla collana del Gigante di Giada.
Ricordiamo che esiste un futuro alternativo in cui Hulk sì è effettivamente accoppiato con She-Hulk: è il mondo distopico e desolante di Old Man Logan, in cui un invecchiato Wolverine deve affrontare una pericolosa e violenta gang di teppisti gamma-irradiati, progenie dell’incesto tra un ormai folle Banner e sua cugina. Il tutto offerto dalla folle e iconoclasta penna di Mark Millar.
È tutto per questa puntata di Mad Run, gente! Fate buone letture e distogliate quegli sguardi lussuriosi dalle vostre procaci cugine!
Noi ci risentiamo presto. Fino a quel momento…
HEY, HO, LET’S GO!