"Dylan Dog è nato dagli zombie di George Romero e dai film di Dario Argento", ha dichiarato una volta Tiziano Sclavi, il padre dell’Indagatore dell’incubo per eccellenza. E, in effetti, i tributi al maestro dell’horror italiano non mancano nella lunga storia editoriale di Dylan Dog, a cominciare da quel numero 3, intitolato Le notti della luna piena, che recupera personaggi e atmosfere del celeberrimo Suspiria. Non c’è da sorprendersi, quindi, che la notizia di affidare la scrittura di un albo di Dylan Dog a Dario Argento abbia scatenato l’entusiasmo di tutti i fan di vecchia data dell’indagatore londinese.
Entusiasmo, peraltro, abbastanza prevedibile e che l’editore Bonelli ha saputo sfruttare a dovere: sin dalla copertina (piccolo capolavoro di Gigi Cavenago per composizione e scelta dei colori), infatti, campeggia, in grande sotto il titolo della testata, la dicitura "scritto da Dario Argento". Se poi si considera che il titolo di questo albo numero 383 è Profondo nero, con un ammiccamento al film più famoso del regista romano, allora non si può negare che l’intera operazione abbia ricevuto la giusta cura.
Ma veniamo al succo della storia, il cui soggetto è in toto di Argento, mentre per la sceneggiatura il regista ha collaborato con Stefano Piani, co-autore della sceneggiatura di Dracula 3D e vecchia conoscenza di casa Bonelli (ha scritto, tra le altre cose, alcune storie di Nathan Never). L’albo vede l’investigatore londinese addentrarsi, attirato da un sogno angosciante e da alcune misteriose coincidenze, nel mondo del BDSM alla ricerca della modella dominatrice Lais, nome mutuato da quello della più nota prostituta dell’antichità. Dalle fruste ai legacci, tuttavia, si passerà agli omicidi e alle più perverse consuetudini dell’aristocrazia inglesi, con alcuni colpi di scena che, sebbene non sorprendano più di tanto, danno i giusti brividi al lettore e confezionano un thriller onirico che gioca più sulle atmosfere che sullo sfoggio compiaciuto della violenza, sul gore: le fustigazioni e le pratiche bondage sono sempre filtrate, estetizzate dal sogno o dalla rappresentazione artistica.
E veniamo al comparto visivo, affidato a Corrado Roi la cui capacità di creare atmosfere ovattate con i suoi chiaroscuri si sposa alla perfezione con la trama e raggiunge i suoi picchi di bravura nella resa della mimica facciale dei personaggi, in particolare in alcuni primi piani davvero notevoli per espressività. Da segnalare, inoltre, sono le piccole libertà che Roi si prende nel gestire la classica griglia bonelliana 3x2: a volte le vignette debordano occupando lo spazio di quelle circostanti, altre volte si opta per un maggior numero di vignette per rendere, attraverso sequenze mute, giochi di sguardi e piccoli snodi narrativi. Molto suggestivo è, inoltre, il gioco di incastri che Roi costruisce inserendo quadri e fotografie a tema BDSM all’interno delle vignette, creando così un sottotesto che contribuisce a caratterizzare l’ambientazione e che raggiunge risultati esteticamente piacevoli.
Giudizio positivo, dunque, per questo Dylan Dog numero 383: sebbene la trama non sia fra le più innovative (ma scardinare del tutto un personaggio collaudato come Dylan Dog è un’impresa rischiosa e forse poco remunerativa), l’avventura fila liscia dalla prima all’ultima pagina, anche grazie all’ottimo lavoro di Roi. Il risultato è un albo che, al di là dell’appeal dietro l’intera operazione di collaborazione, fa delle atmosfere la sua carta vincente.