Dopo la guerra del precedente #396, questo Dylan Dog #397 è tutto consacrato ad un altro dei quattro cavalieri dell’apocalisse, ovvero la pestilenza, come il titolo "Morbo M" lascia subito intendere. Si tratta di una consacrazione più suggerita che effettivamente realizzata, sia chiaro: se il precedente numero lasciava spazio ad una buona dose di violenza e di splatter, il numero di questo mese sembra essere più incentrato sulle atmosfere e sui dialoghi che sull’azione vera e propria.
Londra è infatti preda del cosiddetto “morbo della meteora”, una malattia multiforme e inarrestabile che sembra non avere cura: ai contagiati, temuti e odiati dalla popolazione sana, non resta che nascondersi o finire reclusi negli ospedali ormai sovraffollati. È in questa Londra vittima dell’epidemia che troviamo il nostro affezionato indagatore dell’incubo intento ad occuparsi di Billie Matter, una vittima del morbo il cui corpo rischia di consumarsi lentamente fino alla morte. Si tratta del punto di inizio di una storia che vedrà Dylan ed il vecchio ex-ispettore Bloch alla ricerca di una cura portandolo ad indagare sui rari sopravvissuti alla malattia, i figli della meteora e su una serie di esperimenti condotti al centro di ricerche di Stockton.
Come già anticipato, si tratta di un albo in cui l’azione riveste un ruolo quasi irrilevante se rapportato ai dialoghi e alle atmosfere, che oscillano fra il surreale, il perturbante e l’orrido, come nel romanzo (anche questo a tema epidemie) Cecità dello scrittore portoghese José Saramago. Non ci si stupisce, dunque, che questo numero sia opera dello stesso team dell’ottima miniserie Ut di qualche anno fa, con Paola Barbato ai testi (ormai presenza quasi fissa sulla testata) e Corrado Roi alle matite. Nel complesso si tratta di una storia interessante, ricca di spunti di riflessione e la cui ambigua conclusione promette sviluppi interessanti nei numeri futuri. Peccato, tuttavia, per alcune piccole forzature nella trama che potranno far storcere il naso ai lettori meno avvezzi alle atmosfere più surreali e astratte.
Venendo alla questione della continuity della meteora, dobbiamo purtroppo constatare come manchi un effettivo legame con la macrotrama messa in piedi sinora da Recchioni: non è sufficiente modificare leggermente nomi e situazioni ed attribuire la causa scatenante delle vicende ad una lontana (ma ormai non più tanto) meteora malvagia per costruire una buona continuity; non sono neanche sufficienti le poche pagine di raccordo ad inizio e fine albo (per quanto stuzzicanti) a garantire consistenza a una storia più grande che si fa attendere da ormai molti mesi.
Il comparto artistico è anticipato dalla bella copertina, tutta virata sui toni acidi, di Gigi Cavenago ed è affidato, come già detto, a Corrado Roi. Quest'ultimo, senza stravolgere la tradizionale griglia bonelliana, confeziona un buon numero, estremamente funzionale alla narrazione della Barbato: si respira qui l’atmosfera del precedente Ut, specie nella resa dei malati orrendamente deformati dal morbo che contrasta sia con la bellezza dei personaggi femminili, in cui Roi eccelle, sia con l’asetticità e la linearità delle ambientazioni ospedaliere. Unica pecca, la resa del volto di Dylan Dog, a nostro avviso troppo affilato e al limite dell’androgino.