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In arrivo il crossover fra Black Hammer e Justice League

  • Pubblicato in News

La Justice League della DC Comics e l'universo Black Hammer della Dark Horse si incontreranno in una nuova serie limitata in uscita a luglio intitolata Black Hammer/Justice League: Hammer of Justice. Il co-creatore/scrittore di Black Hammer Jeff Lemire sarà lo sceneggiatore della mini, Michael Walsh si occuperà dei disegni, mentre Dave Stewart dei colori.

Lemire ha dichiarato a IGN che "questa è stata un'eccellente opportunità per raccontare una storia davvero divertente e, si spera, per portare Black Hammer a un sacco di nuovi lettori. Ho troppe storie che voglio ancora raccontare".

Secondo IGN, Hammer of Justice prenderà l’avvio quando un "uomo strano" arriva simultaneamente nella Metropolis di DC e nella fattoria di Black Hammer.
L'evento di cinque numeri vedrà all’opera tanto la “trinità” DC, Batman, Wonder Woman e Superman, quanto il duo di Black Hammer, Golden Gail e il Colonnello Weird.

La volontà di Lemire è comunque di permettere a Black Hammer di “crescere ed evolvere autonomamente, ma questo non significa che sia solo una storia immaginaria usa e getta". Secondo lo sceneggiatore, infatti, "avrà un impatto emotivo su entrambi i gruppi di personaggi, e c'è un altro aspetto che avrà un effetto più duraturo, ma non posso rovinarlo qui".

Il crossover lavorerà per accentuare le differenze dei personaggi di entrambi gli universi narrativi. "Certo, ci sono alcune somiglianze di superficie, come il fatto che sia Martian Manhunter che Barbalien siano eroi marziani, ma quando li metti insieme, consente l'autentica unicità di entrambi i mondi", ha detto Lemire.

Oltre alle cover regular di Walsh, ne sono previste altre ad opera di Andrea Sorrentino, Yanick Paquette, Yuko Shimizu. L'altro co-creatore di Black Hammer, Dean Ormston, non è stato incluso nel progetto.

Black Hammer/Justice League: Hammer of Justice #1 (di 5) uscirà il 10 luglio come coproduzione di DC Comics e Dark Horse Comics.

(Via Newsarama)

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Black Hammer di Jeff Lemire e Dean Ormston opzionata per cinema e tv

  • Pubblicato in Screen

La serie Black Hammer di Jeff Lemire e Dean Ormston è stata opzionata dalla Legendary Entertainment per un futuro sviluppo televisivo e cinematografico. I due autori saranno  produttori esecutivi del franchise.

"Black Hammer è un'epica saga multi-libro con storie intrecciate - passate e presenti - che descrivono in dettaglio le prove e le tribolazioni degli eroi e dei cattivi di Spiral City", recita la descrizione  della serie fatta da Legendary. "È una serie che spinge i limiti di ciò che una storia di supereroi può essere, creando sempre metafore profonde per le esperienze umane. In Black Hammer, i personaggi vengono prima, e gli aspetti di supereroe diventano la tela per raccontare le loro storie. "

Black Hammer ha debuttato per la Dark Horse Comics nel 2015 e ha dato vita a diversi titoli spin-off. In Italia la serie è pubblicata da Bao Publishing.

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Black Hammer 2, recensione: Il tempo perduto e ritrovato di Jeff Lemire

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“Quando mi guardo indietro ora
Quell’estate sembrava durare per sempre
E se avessi potuto scegliere
Si, avrei sempre voluto essere là
Quelli erano i giorni più belli della mia vita”

(Bryan Adams, Summer of ’69)

Vi capita mai, in questi tempi così incerti, di provare malinconia per il passato? Un passato che appare dorato e privo di imperfezioni, soprattutto se confrontato con un presente ritenuto largamente insoddisfacente, in confronto ai sogni e alle speranze di gioventù? Non fatevi illusioni: se siete persone dotate di questa sensibilità, siete fuori dal tempo come le audiocassette TDK. Nostalgicamente e orgogliosamente analogici in un mondo digitalizzato. Però potete consolarvi pensando ad una cosa: Jeff Lemire è sicuramente uno di voi. Abbiamo aperto questa recensione con la canzone di un compatriota di Lemire, il canadese Bryan Adams, che ci sembrava tematicamente ed emotivamente affine alla produzione dell’autore di Sweet Tooth e Descender. Lo stesso lirismo malinconico che permea opere come Essex County e Niente da perdere. Ma Jeff Lemire è uno di noi anche e soprattutto per un altro motivo: ama profondamente i supereroi. Una passione che lo ha portato a collaborare con le Big Two del settore, Marvel e DC, ma anche con la piccola Valiant, per la quale ha scritto una notevole sequenza di storie di Bloodshot. Finché la predilezione per gli eroi in costume lo ha portato a creare la propria serie a sfondo supereroistico, Black Hammer, di cui Bao Publishing ha da poco pubblicato il secondo volume.

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Ritroviamo il vecchio Abe e la sua strana “famiglia” esattamente dove li avevamo lasciati, alle prese con  la vita di tutti i giorni a Rockwood, il paesino di provincia dove si sono materializzati dieci anni prima, dopo aver sconfitto il malvagio Anti-Dio e aver salvato Spiral City. Si, perché in realtà Abe è Abraham Slam, flagello dei criminali e primo eroe della città, e la sua famiglia è costituita dagli altri eroi scomparsi sotto mentite spoglie: Golden Gail, nelle cui sembianze di adolescente dotata di superforza e volo è bloccata in realtà una donna ormai matura; il marziano Barbalien, l’esploratore Colonnello Weird e il suo robot, Talky Walky, la misteriosa maga Madame Dragonfly. Manca all’appello solo Black Hammer, il più grande campione della città, la cui scomparsa è avvolta nel mistero. Gli eroi avevano scoperto ben presto di non poter fuggire dalla contea, avvolta da una cupola di energia impossibile da superare. Per non sconvolgere la vita tranquilla di Rockwood con la loro presenza, non avevano avuto altra scelta che appendere al chiodo i loro costumi e mescolarsi agli abitanti della cittadina. Così dieci anni erano trascorsi in un battito di ciglia, anni in cui Abe, stanco della vita da supereroe, si era adattato benissimo alla sua nuova esistenza trovando anche l’amore. Agli altri, però, non era andata così bene a partire da Gail, frustrata per il fatto di dover recitare la parte di una ragazzina pur avendo le necessità di una donna matura. Il volume precedente si era chiuso con l’arrivo inaspettato di Lucy, la figlia di Black Hammer, alla fattoria che ospita la “famiglia disfunzionale”. La ragazza era riuscita a seguire la traccia energetica lasciata a Spiral City dopo la scomparsa degli eroi, riuscendo ad arrivare a Rockwood in cerca del padre. Al vecchio Abe non resta che raccontare alla ragazza la verità: Black Hammer era morto subito dopo che il gruppo si era materializzato davanti la fattoria che sarebbe diventata la loro casa, lanciandosi in volo e infrangendosi contro la misteriosa cupola di energia. Una tragedia che aveva ricondotto a più miti consigli il resto del gruppo, subito rassegnatosi circa le possibilità di poter tornare a casa. Ma Lucy non demorde e, da giornalista d’inchiesta quale è, decide di indagare sulla strana natura del luogo che li ospita. Nel frattempo, la vita rurale e provinciale di Abe e degli altri membri della “famiglia” prosegue, tra la frustrazione per l’impossibilità di adattarsi ad un posto che si odia, come nel caso di Gail, e il ricordo della vita che fu, mostrata da una serie di flashbacks che spezzano la narrazione principale.

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Black Hammer è stata subito inserita fin dal suo apparire nel filone del fumetto “decostruzionista”, e non a torto: Lemire ci mostra tutta la disillusione e il disincanto di eroi che dovrebbero incarnare il “sogno” per eccellenza, ponendosi sulla scia di classici del genere come Miracleman e Watchmen di Alan Moore. Campioni dell’umanità che dovrebbero guadagnarsi la fiducia della gente, quando neanche loro credono più in se stessi. Allo stesso modo, la serie si può inserire a ragione anche nel filone metatestuale, in cui il fumetto ragiona su se stesso, accanto ad opere come il Supreme dello stesso Moore e buona parte della produzione di Grant Morrison. Eppure, per quanto sia divertente spulciare le pagine di Black Hammer per trovare e catalogare tutte gli innumerevoli omaggi, citazioni e riferimenti a decenni di fumetto supereroistico inseriti da Lemire, non ci sembra questa un’operazione capace di cogliere pienamente il senso profondo dell’opera. Cosa ci raccontano le somiglianze tra Abraham Slam e Capitan America, con una spruzzata del Wildcat della Justice Society of America? O l’origine di Black Hammer, che affonda nella sintesi tra due diverse mitologie create dal “Re” Kirby, quella asgardiana del Thor della Marvel e la Saga del Quarto Mondo realizzata per la DC, con la sua corte di Nuovi Dei perennemente in lotta contro il tiranno Darkseid, modello di riferimento, insieme a Galactus, per il terribile Anti-Dio? Cosa ci suggerisce l’ombra di Shazam, il Capitan Marvel originale, nascosta dietro alla tormentata figura di Golden Gail? Il marziano Barbalien, simulacro più malinconico del Martian Manhunter della DC, o il Colonnello Weird, parente stretto di Adam Strange? Per non parlare della tradizione dei fumetti horror della EC Comics che si nasconde dietro le lugubri sembianze di Madame Dragonfly. Tutto questo ci dice che Jeff Lemire ha riavvolto il nastro della sua memoria di lettore, avviluppandoci tutti in un limbo fatto di ricordi di ore di letture giovanili. Possiamo avere sembianze da adulti, ormai, e condurre vite più o meno soddisfacenti, ma dentro siamo ancora i ragazzi che correvano a casa con un numero degli X-Men per divorarlo, avvitati nel nostro vacuum personale di ricordi che non ci lasciano mai, mentre la vita scorre. Un limbo come quello che imprigiona Abe e i suoi compagni, più o meno rassegnati ad una vita dove le giornate scorrono tutte uguali, mentre dentro vengono consumati dall’eco della gloria che fu. È questo il miracolo che Jeff Lemire compie con Black Hammer: scardinare lo scrigno dei ricordi per riconsegnarne il contenuto ai lettori, offrire la sua personale “Madeleine”, come un novello Proust, per restituire alla luce il tempo perduto ed ora ritrovato delle nostre antiche letture in tutta la sua struggente e malinconica bellezza.

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Nonostante i livelli di lettura che le sue opere sono capaci di offrire, Lemire resta un autore fieramente popolare, tanto da potersi permettere un gustoso omaggio a Dan Jurgens e alla sua iconica copertina realizzata per La Morte di Superman, nonché al sempre deriso e sbeffeggiato Rob Liefeld, col quale condivide un amore sincero e fanciullesco verso il fumetto di supereroi, per quanto declinato in maniera più dozzinale dall’autore di Youngblood.

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La riuscita di Black Hammer non potrebbe dirsi completa senza l’apporto di Dean Ormston, che firma le matite anche in questo secondo volume. Autore di scuola “Vertigo” che non aveva mai lavorato prima ad una serie supereroistica pura, Ormston dona alle sue tavole una sensibilità tipicamente indie con uno stile volutamente dimesso, riuscendo a catturare alla perfezione i sentimenti di malinconia e rimpianto che permeano l’opera. Un vero commento per immagini alla sceneggiatura ispirata di Lemire, intervallato solo dalla presenza come guest-star di David Rubín nell’episodio dedicato al Colonnello Weird. Il tratto cartoonistico di Rubín spezza con efficacia l’unità stilistica dell’opera, in una sequenza ambientata nel passato che vuole celebrare l’ingenuità della science-fiction della Silver Age. Da non dimenticare l’apporto prezioso della palette cromatica di Dave Stewart, che oscilla tra i colori spenti del presente rurale e i toni accesi e vivaci di un passato glorioso e sfolgorante.

Bao Publishing prosegue con successo il suo rapporto privilegiato con Jeff Lemire, di cui ha portato in Italia alcuni dei lavori più significativi, proponendo Black Hammer in una serie di pregevoli volumi cartonati che non possono mancare nella libreria di ogni appassionato.

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Il revisionismo supereroistico di Jeff Lemire, la recensione di Black Hammer 1

Il vecchio Abe si sveglia come sempre di buon mattino, nella sua fattoria nella contea di Black Hammer. Lavora i campi, dà da mangiare agli animali e munge le vacche. Questa è la sua vita da 10 anni, dopo averne passato il resto in città, e non la cambierebbe per nulla al mondo. Peccato che il resto della sua strana famiglia non la pensi così: nulla di anomalo, considerando che si tratta di un gruppo di supereroi sotto mentite spoglie, scomparsi molti anni prima durante una crisi dimensionale e riapparsi in questa isolata contea, nel bel mezzo del nulla. Abe era Abraham Slam, atletico combattente del crimine; sua nipote Gail è in realtà Golden Gail, adulta bloccata nel corpo di una bambina di 9 anni. Ci sono poi il Colonnello Weird, bislacco cosmonauta ormai fuori di senno che va e viene da una sorta di limbo spazio-temporale, la para-zona; Barbalien, marziano mutaforma e Madame Dragonfly, strega che vive in una capanna a breve distanza dalla fattoria. 10 anni prima questo gruppo di eroi si era riunito a Spiral City per scongiurare la minaccia dell’Anti-Dio, un essere quasi onnipotente che con un nome così, nessuno lo vorrebbe come nemico. Scomparso nell’esplosione con cui si era concluso lo scontro, il composito quintetto viene considerato defunto dal resto del mondo salvo riapparire misteriosamente in un contesto di provincia in cui i supereroi non sono mai esistiti. L’unico partecipante alla battaglia di Spiral City di cui non si hanno più notizie è Black Hammer, il più grande eroe della città che si è sacrificato per salvare i suoi compagni. Di lui rimane solamente la sua arma, un martello nero, appunto, e il mistero che aleggia sulla sua sparizione avvolge l’intera vicenda. Constatata l’impossibilità di allontanarsi dalla contea e di fare ritorno a casa, il gruppo non ha altra scelta se non quella di camuffare il proprio aspetto agli occhi degli altri abitanti e di iniziare una nuova vita, come la più singolare e insolita delle famiglie.

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Leggendo Black Hammer di Jeff Lemire e Dean Ormston tornano alla mente classici del revisionismo supereroico come Miracleman e Watchmen, opere la cui influenza arriva fino ad oggi come un’onda lunga. Dal primo apparire di questi lavori seminali, la figura del supereroe è stata decostruita e dissezionata da una schiera di autori più o meno brillanti, che lo hanno eletto a simbolo dei complessi cambiamenti della società nel corso dei decenni. Quello che rende Black Hammer diverso da tutto quello che è stato già visto, nonostante le numerose citazioni e strizzatine d’occhio ai classici del genere di cui è infarcito, è l’ambientazione rurale, assolutamente inedita, filtrata dalla grande capacità da narratore di Lemire: è la lettera d’amore dello scrittore al fumetto di supereroi con cui è cresciuto, condita però della sensibilità tipica della scena indie nella quale si è fatto le ossa. Come ricorda lo stesso autore nella bella postfazione al volume, dichiararsi fan sfegatati di fumetti di supereroi era considerato quanto meno controcorrente, nell’ambiente dei comics indipendenti in cui il fumetto mainstream di Marvel o DC è visto come il fumo agli occhi. Black Hammer era in gestazione nella mente di Lemire fin da quei primi anni della sua carriera, in cui esordiva con piccole storie ambientate nella provincia canadese come Essex County, “racconti di famiglie e paesini”, come li ha definiti lo stesso autore, connotati da un forte sapore autobiografico e malinconico e dalla consapevolezza dell’impossibilità di cambiare il proprio destino.

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Black Hammer è la sintesi brillante delle due anime di Lemire: essenzialmente, è Essex County con i supereroi. L’amore per il genere è evidente fin dalla presentazione dei personaggi, topoi presi a prestito dagli amati albi in quadricromia di Marvel e DC. Abraham Slam, atletico pugile senza poteri che ha modellato il suo fisico alla perfezione per offrire il suo contributo durante la Seconda Guerra Mondiale, è ispirato tanto a Capitan America quanto a Wildcat della Justice Society Of America; Il Colonnello Weird è un omaggio all’eroe dello spazio della DC Adam Strange, mentre i suoi trip nella para-zona sono un tributo alle lisergiche tavole di Steve Ditko per il Doctor Strange della Marvel; il marziano Barbalien è Martian Manhunter, il J’onn J’onnz della Justice League, mentre Golden Gail è una sintesi tra Capitan Marvel e Mary Marvel e, come loro, acquisisce straordinari poteri urlando una parola magica. Ultimo membro della gallery allestita da Lemire è Madame Dragonfly, che richiama tanto la maga Madame Xanadu dei fumetti DC quanto le megere anfitrione dei fumetti horror anni ’50 targati EC Comics, e che consente all’autore di aggiungere un tono soprannaturale alla storia.

Fra tutti i personaggi che compongono questa strana “famiglia”, Abe è l’unico che si è adattato alla loro nuova vita, anche perché come giustiziere in calzamaglia era ormai datato e prossimo alla pensione, mentre gli altri passano le giornate a rimpiangere quella precedente. È difficile, per chi ha solcato i cieli, adattarsi ad un contesto rurale e retrogrado di cui si è misteriosamente prigionieri, come in una versione aggiornata di The Dome di Stephen King o del Truman Show di Peter Weir. Particolare cura viene data dallo scrittore alla caratterizzazione di Gail, donna adulta intrappolata nelle sembianze di una bambina di 9 anni, attraversata da pulsioni che dovrà sopprimere per salvare le apparenze. Con delicatezza e amore verso questi personaggi e le loro debolezze, Lemire ci accompagna pagina dopo pagina nella vita quotidiana di una famiglia “disfunzionale”, i cui membri sono costretti a convivere loro malgrado. I momenti migliori della serie sono proprio quelli in cui la narrazione del vivere di tutti i giorni prende il sopravvento sulla dimensione prettamente “super”, come nelle scena, raccontata magistralmente dallo scrittore, in cui Abe porta a casa la fidanzata Tammy, la cameriera della Tavola Calda locale, per presentarla alla “famiglia”: la situazione darà luogo ad una serie di equivoci, travestimenti e parapiglia che non hanno nulla da invidiare a produzioni teatrali come Rumori Fuori Scena. Notevole è il cambio di registro che l’autore è capace di imprimere alla serie, passando con disinvoltura da scene di vita campagnola a ricordi della gloria che fu, solcando i cieli della metropoli: ognuno dei sei albi che compongono il volume è incentrato su ciascuno dei personaggi principali, in modo da passare alle atmosfere golden age dei primi supereroi con Abraham Slam e Golden Gail, alle avventure spaziali di Barbalien e Colonnello Weird, fino alle tinte horror dei Racconti della Cripta di Madame Dragonfly.

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Black Hammer non sarebbe stato lo stesso senza l’apporto delle matite di Dean Ormston, scelta singolare eppure perfetta per un autore di “scuola Vertigo” che non aveva praticamente mai lavorato su una serie di supereroi. L’artista di Books Of Magic e Lucifer, con le sue linee sottili e un tratto volutamente non appariscente e dimesso, in particolare nelle scene rurali, conferisce un sapore indie e underground all’opera, riuscendo nell’impresa di fornire un commento metatestuale per immagini al lavoro di Lemire: basti pensare alle splendide e “false” copertine d’epoca che, citando svariati periodi della storia del fumetto, riporteranno la memorie del lettore all’analogo lavoro svolto da Rick Veitch sul Supreme di Alan Moore. Il comparto grafico viene suggellato dall’apporto cromatico dei colori di Dave Stewart, che formano con le matite di Ormston un binomio inscindibile: Stewart fa un uso sapiente del colore per differenziare le varie fasi del racconto di Lemire, scegliendo toni spenti e opachi per le scene di quotidianità provinciale, virando verso tonalità accese e squillanti per le sequenze prettamente supereroistiche ambientate a Spiral City, quasi a rimarcare che ci sono ricordi, in ognuno di noi, che bruciano più vivi delle realtà stessa. E forse è proprio questa la chiave del grande successo di critica e di pubblico di Black Hammer, quella di parlare a tutti quelli che, guardando il cielo, sognano di spezzare le catene che li trattengono a terra. Lemire e Ormston suggeriscono che non bisogna rassegnarsi a considerare il proprio futuro alle spalle, e nel farlo restituiscono freschezza e stupore infantile ad un genere logoro e usurato come il fumetto di supereroi. Per questo bisogna ringraziarli, senza perdersi troppo in analisi critiche o metatestuali che fanno gonfiare di orgoglio autoreferenziale il petto dei critici.

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