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Alessandro Del Linz

Alessandro Del Linz

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Il Mostro sulla Collina

Stocker-Al-Colle è una cittadina come tante altre. Immersa in un'Inghilterra fantastica di metà '800 si distingue per il clima tranquillo e sereno che permea ogni singola casa e strada. Un posto ideale per vivere, se non fosse per un piccolo particolare: sono passati ben 563 giorni dall'ultimo attacco del mostro. Per chiunque questa sarebbe una notizia positiva, ma non per gli abitanti di Stocker. Ogni città che si rispetti è terrorizzata da una bestia feroce che ne diventa il simbolo, l'orgoglio cittadino, attirando turisti e facendo girare l'economia. Ovunque... tranne che in questo sfortunato paese.
Il Mostro sulla Collina, realizzato da Rob Harrell ed edito in Italia da Panini Comics, ci racconta la storia di Dorsorosso, un mostro che assomiglia a un drago ma che non vola, nonostante abbia le ali, e che non sputa nemmeno fuoco. In fin dei conti si può dire che non sia molto spaventoso, anzi, a dirla tutta è anche un po' giù di morale.

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Le casse della cittadina sono ormai quasi vuote e gli abitanti sono demoralizzati, bisogna quindi trovare una soluzione, fare qualcosa per far diventare Dorsorosso un mostro temibile e attivo. per riuscire in questa impresa troviamo l'eccentrico dottor Charles Wilkie e lo strillone Timothy. Ma risollevare il morale di Dorsorosso non sarà una missione tanto semplice: depresso, piagnucoloso e per nulla spaventevole, il mostro passa la giornata sospirando e lamentandosi. I primi tentativi non vanno a buon fine, non bastano nemmeno degli allenamenti mostruosi per migliorare la situazione, Dorsorosso si sente incapace, pensa di non aver nessun talento, in pratica sostiene di essere l'antimostro. Quando non sembra esserci più alcuna speranza, un'idea balena in testa a Timothy e a Wilkie: partire per un viaggio e andare a trovare qualche altro mostro per farsi insegnare un paio di trucchi del mestiere. In questa avventura i tre scopriranno quelli che sono i loro punti deboli e i punti di forza e, grazie all'amicizia che si formerà, riusciranno a superare prove che poc'anzi sembravano impossibili. Nel loro viaggiare, alla ricerca della conoscenza e dell'autostima, affronteranno avventure che li faranno maturare fino a quando si sentiranno pronti a tornare a casa.

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I temi che vengono trattati sono evergreen che portano alla riflessione e che consentono una rapida immedesimazione con i protagonisti: la forza dell'amicizia, i deboli che aiutandosi a vicenda trovano nell'unione la forza di superare i propri limiti, il riscatto e la diversità. Tutti questi elementi si ritrovano in Dorsorosso, ma non solo, infatti sono presenti in parte anche negli altri personaggi, consentendo una lettura su più livelli.
La storia di Dorsorosso è adatta a tutte le età. A prima vista, sfogliando il volume e guardando distrattamente i disegni, si percepisce con facilità che il prodotto è adatto a un pubblico giovane, ma le molteplici chiavi di lettura fanno sì che risulti interessante anche per un adulto con una maturità e un'esperienza nel campo del fumetto maggiore rispetto a quella di un ragazzino. La storia prosegue proprio come ci si aspetta che debba andare, seguendo uno schema semplice e ben rodato, ma nonostante questo il modo in cui Harrel racconta le singole vicende risulta appassionante e intriso di un'ironia capace di fare sorridere anche i lettori più smaliziati.

L'idea che sta alla base de Il Mostro sulla Collina è un'idea semplice. È per questo motivo che si rimane ancora più stupiti del buon lavoro dell'autore. Una fantasia disarmante, ma mai esagerata e fuori luogo. Situazioni poco articolate eppure in grado di attirare l'attenzione. Leggere questo volume è come staccare la mente, tornare ragazzi per un po' e lasciare che l'avventura fantastica ti porti in un altro mondo. In fin dei conti questo è quello che dovrebbe fare qualsiasi opera fantasy, il problema è che spesso non è proprio così, Harrell invece ti prende per mano e ci riesce abilmente.
Le sue tavole sono caratterizzate da vignette chiuse in cui risaltano i colori primari. Le luci e le ombre, queste ultime quasi mai rappresentate da neri pieni, vengono create con diverse tonalità di colore o con sfumature. I personaggi e le ambientazioni sono tratteggiati con uno stile cartoonesco che, seppur semplice, rimane attento ai dettagli, focalizzandosi maggiormente sulla trasmissione delle emozioni piuttosto che sulla mera rappresentazione della realtà.

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Un fantasy appassionante e divertente con protagonisti dalle emozioni umane nonostante l'aspetto mostruoso. A lettura terminata è un dispiacere chiudere l'albo e riporlo in libreria, si vorrebbe continuare a leggere ancora un po' le vicende di Dorsorosso, ma è la fine stessa, il sapere che ciò che si doveva dire è stato detto, a donare qualcosa di speciale a questa storia. È un viaggio nelle debolezze e nei punti di forza dell'essere umano visti attraverso gli occhi di un artista capace di far sognare.

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"All'apice della nostra civiltà per evitare l'estinzione decidemmo di trasferire le nostre menti in corpi androidi, eterni e indistruttibili. Fu una scelta scellerata. Adesso vaghiamo in una terra inospitale e abbandonata. Siamo ancora vivi, ma a quale prezzo?".
In questo incipit è racchiusa l'essenza stessa del primo numero di Robotics, edito da Shockdom, e realizzato dagli artisti Claudio Iemmola, Francesco Polizzo, Giacomo Pilato e Gaetano Matruglio con la collaborazione di Christian G. Marra che ha illustrato la copertina dell'albo. Come si può evincere dalla parole della presentazione si tratta di un fumetto di fantascienza, ma definirlo tale sarebbe limitativo, in quanto l'opera creata dai quattro fumettisti trascende il genere.

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Sono passati centocinquanta anni da quando l'umanità è scomparsa. Ora la Terra è popolata da alcuni milioni di androidi, eredi di quegli esseri umani che hanno abitato il pianeta a lungo e che alla fine hanno dovuto arrendersi di fronte all'avanzare inarrestabile della morte: una terribile epidemia, il "cancro virale". Ma non tutto è andato perduto grazie al "bridge", un processo biomeccanico che ha consentito di trasferire le menti degli uomini in corpi robotici. Si tratta di un'operazione avveniristica e costosa e solo alcuni hanno potuto accedere a una tecnologia simile. Chi ce l'ha fatta ora vaga per il pianeta con sembianze robotiche.
In questo nuovo mondo vive l'androide Dreamer, colui che fa sognare le macchine, una sorta di figura mitologica ricercata dai suoi simili che vogliono assaporare la vita ancora una volta. Anche se si tratta solo di un sogno, il ricordo di sentimenti ed emozioni per alcuni vale un prezzo altissimo, e così in molti vagano alla sua ricerca mettendo in pericolo la propria infinita vita artificiale.

Nonostante l'uomo si sia sottratto dalla catena alimentare, non essendo più composto da sangue e carne e non cibandosi più di esseri vegetali e umani, la sua nuova esistenza di androide non lo esclude dai pericoli quotidiani e il più grande è rappresentato dall'eredità dell'uomo: vizi e virtù di quest'ultimo si sono riversati nei corpi d'acciaio. Un tiranno, Misprizer, controlla l'energia atomica che alimenta i corpi robotici e schiavizza circa quattro milioni di androidi che vivono nell'unica città rimasta sulla Terra: l'Agglomerato. Altri due milioni di androidi, i più fortunati, vagano per il resto del pianeta cercando di sopravvivere.

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La storia è realizzata a quattro mani da Polizzo e da Iemmola, quest'ultimo autore anche dei disegni. Fin dalle prime pagine risalta subito all'occhio il buon lavoro realizzato dagli autori: un incipit breve e secco, che in poche righe cala il lettore nella vasta ambientazione di Robotics, e testi ben costruiti trovano il giusto equilibrio tra mistero e spiegazione degli eventi. Le tavole sono caratterizzate da una griglia libera in cui si susseguono inquadrature, sia sul soggetto che sull'ambiente, tali da veicolare il messaggio narrativo con naturalezza e fluidità. Iemmola fa un largo uso di campiture nere nel realizzare contrasti di luce e ombra e tratteggia i personaggi con linee marcate e decise. I suoi androidi ricordano i robot degli anni '70 - '80 e grazie agli elementi estetici che li contraddistinguono risaltano per una caratterizzazione unica, frutto molto probabilmente di uno studio dei personaggi approfondito.

Oltre a questa storia ne troviamo un'altra, realizzata da Pilato e Matruglio (cover interna dell'albo), che funge come un approfondimento per capire a come si è passati da un mondo popolato da uomini a uno popolato da androidi. Per la cronaca bisogna segnalare che inizialmente la storia era stata scritta da Rita Porretto e Silvia Mericone e poi riadattata da Iemmola in un unico corpo narrativo.
Le vicende narrate si svolgono nel passato, poco prima che l'umanità incontrasse la propria fine, e attraverso gli occhi dei protagonisti umani viviamo la fase di cambiamento da cui il mondo di Robotics ha preso vita in seguito.
Questa storia è una piccola chicca, per nulla fine a sé stessa, anzi da ritenersi parte integrante della narrazione principale. Vengono svelati retroscena importanti che fanno capire a posteriori alcuni eventi, e anche comportamenti dei personaggi, fondamentali per la completa comprensione delle vicende.
La trama imbastita da Pilato è caratterizzata dall'elemento drammatico. Abile nel giocare con i sentimenti dei personaggi e dei lettori stessi, ci trascina all'interno di una disputa familiare che avrà modo di sorprenderci più volte nel giro di poche tavole. I disegni aumentano questa sensazione di giocare con le emozioni grazie all'abilità nel rappresentare graficamente le espressioni, sia facciali che posturali, dei personaggi umani. Le sue tavole sono contraddistinte da un largo uso di pattern per le ombreggiature, caratteristica già presente nella prima storia anche se in modo minore.

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Robotics, oltre ad essere un fumetto di fantascienza, affronta tematiche filosofiche come il senso della vita e della morte. Nella lettura si ritrovano argomenti tipici della letteratura di Isaac Asimov, così troviamo riflessioni su androidi che possono provare sentimenti, o sul dubbio se sia migliore una piatta immortalità o una vita breve ma ricca di emozioni. È l'eterna ricerca di una via per scampare alla morte a qualsiasi prezzo. Un continuo ossimoro in cui a volte vi è più umanità in una macchina che in un corpo fatto di carne e ossa. Una fantascienza che fa riflettere.

Crom - Il segreto dell'acciaio - Comuni Mortali

Sono passati oltre settant'anni da quando Robert Erwin Howard narrò le prime gesta di Conan il Barbaro nell'opera letteraria intitolata La fenice sulla lama. In tutto questo tempo le avventure del Cimmero sono continuate ad apparire in romanzi e racconti, film, fumetti, videogiochi e cartoni animati. Molti sono gli artisti che ne hanno ritratto la fisicità statuaria, ricordiamo fra gli altri Frank Frazetta e John Buscema, ma se Conan e i suoi muscoli sono stati i protagonisti di varie vicende, a cambiare la sorte degli uomini di Hyboria è stato l'acciaio. Un dono divino, il dono di una divinità chiamata Crom, che vive sull'alto d'una montagna osservando e giudicando i mortali e odiandoli per la loro debolezza. Da questo spunto, ripreso dal Conan cinematografico, sono partiti gli autori Marco Cannavò e Sudario Brando per raccontare la loro storia, edita da Play Seven e intitolata Crom, composta da due episodi: Il segreto dell'acciaio e Comuni Mortali.

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Uno degli aspetti interessanti di Crom è che ci viene narrata la vicenda in epoca pre-hyboriana. Siamo quindi catapultati in un mondo preistorico abitato da dinosauri e da altre creature terribili, la natura è spietata e l'uomo non è altro che una debole pedina la cui vita è in pericolo in ogni momento, mentre a sua difesa può brandire solamente armi di legno e pietra. Gli autori calano il lettore in quest'epoca per farci conoscere le origini del mito, l'attimo in cui l'essere umano da semplice comparsa diventa protagonista grazie al dono divino dell'acciaio. La narrazione si dipana quindi tra l'epoca pre-hyboriana e quella hyboriana e se da una parte incontriamo un giovane il cui nome è ancora troppo presto per poter essere svelato, dall'altra assistiamo al giorno in cui Ulcan, figlio del capo-caccia Baatar, vedrà la sua vita cambiare per sempre. Sarà Crom stesso a narrarci le vicende che ci condurranno alle origini della leggenda: "E fu così che il fanciullo divenne uomo. Colpa, rabbia, volontà e vendetta lo crebbero fino a renderlo immortale. Nelle orecchie dei giovani barbari la storia di Ulcan viene narrata e tramandata dalla notte dei tempi, da quel giorno che armai la mano del tagliapietra con l'acciaio e lo dissetai dal desiderio di sangue. Nella mia onnipotente memoria è racchiuso il nostro primo confronto, il racconto preferito dai vecchi cimmeri, un incontro che voglio svelare a voi mortali voltando la pagina del tempo e dello spazio".

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I testi di Cannavò, soprattutto ne Il segreto dell'acciaio, sono evocativi e adatti a una storia come quella di Crom dove il mito si respira a ogni pagina. Non si corre il rischio d'incappare in un linguaggio troppo aulico tale da sembrare stonato, anzi la giusta contrapposizione di scene mitiche alternate a scene di caccia quotidiana rendono la lettura più verosimile e creano quel netto contrasto tra il sacro e il profano tale da far apprezzare appieno entrambi. I due episodi, della durata complessiva di appena diciassette pagine, risultano ben strutturati, facendo denotare uno studio minuzioso di ogni singolo particolare da parte dell'autore. Seppur in così poco spazio vengono affrontate diverse tematiche come ad esempio il rapporto con il divino, la crescita sia fisica che interiore, la perdita e la consapevolezza di sé stessi. La composizione della tavola risulta variegata con vignette, sia chiuse che aperte, dalle diverse forme che si susseguono assecondando il ritmo della storia. In modo particolare è ben costruito da questo punto di vista l'episodio Il segreto dell'acciaio in cui i continui cambiamenti temporali avvengono in modo naturale e senza confusione alcuna.
A tratteggiare l'ambientazione preistorica e i corpi plastici dei protagonisti troviamo Sudario Brando, a suo agio con le anatomie ipertrofiche caratterizzate da linee pulite e decise; corpi voluminosi la cui tridimensionalità, oltre al contrasto tra bianco e nero, è risaltata delle ombreggiature di grigio. Le scene di combattimento sono dinamiche, chiare e ritmate, aspetto fondamentale per buon un fumetto d'avventura. Non risultano molto particolareggiate le vignette, soprattutto per quanto riguarda sfondi o elementi secondari, ma non sempre questa caratteristica deve essere vista come un aspetto negativo. A volte uno spazio bianco fa risaltare ancor di più un messaggio che si vuole trasmettere, come la solitudine e la disperazione di un ragazzo che cade in ginocchio piangendo, mentre attorno a lui in quel momento non esiste più nulla se non la collana che stringe in mano e quel corpo immobile che giace ai suoi piedi.

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Per un appassionato dell'avventura, in particolar modo per un fan del mondo di Conan o più in generale dell'heroic fantasy (o heroic cave come gli autori definiscono la loro opera), questa lettura può risultare piacevole seppure finalizzata, al momento, a sé stessa. Riprendendo le parole degli autori questi episodi si potrebbero definire come "una scheggia dell'intera storia, una parte fondamentale della struttura narrativa, la presa di coscienza dello stesso Ulcan e del suo ruolo storico nel futuro mondo". A lettura finita le sensazioni sono proprio queste, ovvero quelle di aver appena scalfito il potenziale racchiuso in un'ambientazione come quella di Crom. Scalfito in modo interessante, si intende, ma non molto in profondità. Sarebbe interessante vedere gli autori all'opera in qualcosa di più ampio respiro nella speranza di poter appagare le aspettative positive suscitate in questi due episodi.

La Guardia dei Topi - Autunno 1152 e La Scure Nera

Per leggere l'intervista, clicca qui.

"I topi hanno una cultura tutta loro: troppo piccoli per integrarsi con gli altri animali". Tutto ha avuto inizio da questa breve annotazione di David Petersen su un foglietto di carta. Un'intuizione dalla quale sono partite altre riflessioni, una piccola scintilla che poco alla volta si è trasformata in un grande fuoco che ha acceso la creatività di un giovane autore americano. Questo accadeva più di quindici anni fa, ci è voluto del tempo prima che le idee fantasiose e gli appunti sparsi prendessero vita sulla carta, ma nel 2005 fecero finalmente il loro esordio i tre topolini guerrieri protagonisti delle avventure de La Guardia dei Topi, tre volumi usciti negli USA e in ben tre Premi Eisner. Recentemente Panini Comics ha pubblicato in Italia, sotto l'etichetta 9L, due volumi de La Guardia dei Topi: Autunno 1152 e La Scure Nera.

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Il mondo creato da Petersen è simile al nostro medioevo, ma i protagonisti non sono gli esseri umani, bensì i topi e gli altri animali che popolano i boschi, i cieli e i mari. Riuniti in città, in piccoli villaggi, in comunità organizzate secondo le loro tradizioni, questi piccoli esseri cooperano tra di loro per cercare di vivere una vita il più serena possibile sopravvivendo ai pericoli che si celano al di là delle fortificazioni. Affinché ciò avvenga, molti anni addietro, venne creato un ordine il cui compito era quello di difendere il popolo dei topi: la Guardia. Essi sono soldati, ma nei periodi di pace diventano abili sentinelle, battitori ed esploratori.
I due volumi editi da Panini Comics sono fruibili singolarmente seppur per una maggiore comprensione dell'universo narrativo sia consigliabile leggerli entrambi. Anche l'ordine di lettura non cambia, si può leggere prima l'uno o l'altro senza alcun problema: Autunno 1152 è il primo albo realizzato da Petersen, ma la storia narrata si svolge dopo a quanto raccontato in La Scure Nera che funge come una sorta di prequel.
In Autunno 1152 facciamo la conoscenza dei tre topi sopracitati: Lieam, Kenzie e Saxon. Inviati da Gwendolyn, capo della Guardia, sulle tracce di un mercante di grano scomparso, ciò che scopriranno sarà ben peggiore di quanto potessero aspettarsi e dovranno correre ai ripari visto che un pericolo che si insinua tra i propri simili potrà mettere in pericolo l'intera comunità. Ma quando un grande male sorge, un eroe si erge in difesa degli oppressi e il guerriero delle leggende dei topi porta il nome dell'arma che brandisce: la Scure Nera.
Facciamo ora un salto indietro nel tempo agli eventi narrati ne La Scure Nera. Come suggerisce il titolo di questo volume ci imbatteremo in una storia nella storia: la Scure Nera è una leggenda che si tramanda da generazioni, un'arma potente forgiata nel dolore tale da renderla maledetta. Non tutti possono impugnarla, è un fardello troppo pesante da sostenere come un vecchio saggio ci ricorda con le sue accurate parole: "Per divenire la scure, il topo scelto rinuncia a nome, incarichi e affetti. Chi brandisce la scure diviene una leggenda immortale, destinato a una vita solitaria in cui ogni topo e città avranno uguale valore ai suoi occhi".

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Sfogliando La Guardia dei Topi e osservando le tavole si può pensare, a una prima impressione, che si tratti di una storia per soli ragazzi: niente di più sbagliato. La narrazione è contraddistinta da un tono maturo, a volte anche cupo, in cui i personaggi sono messi davanti agli orrori della vita in modo fin troppo reale. È un fumetto ambientato in un medioevo fantastico, con degli animali come protagonisti, ma i problemi o le gioie che essi provano sono fin troppo umani. Risulta semplice affezionarsi a loro, condividerne i sentimenti, esultare o rattristarsi per ciò che accade. Questa caratteristica contraddistingue l'intera opera ed è uno dei suoi punti di forza. Petersen riesce, in modo semplice e pacato, a far legare il lettore con gli abitanti dei boschi, e cosa c'è di meglio che l'impeto di girare pagina per scoprire cosa accadrà al nostro preferito? Un impulso irresistibile che si protrae per tutta la durata del racconto, non lasciandoci il tempo di pensare o di distrarsi: un'immersione in un mondo che ti avvolge per lasciarti solo all'ultima vignetta. Petersen è riuscito a creare un modo fantastico in cui l'epicità fa parte del quotidiano, ma che se vista attraverso gli occhi del lettore prende un'altra forma mutando e divenendo mito.

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Trattandosi di un autore completo Petersen ha avuto modo di lavorare su La Guardia dei Topi con meticolosa perizia per quanto riguardo ogni aspetto. La narrazione procede senza tempi morti in un'ascesa di accadimenti che risucchiano il lettore come un vortice fino al climax della storia. Un inizio lento, una preparazione dei vari elementi narrativi, che poco alla volta si mescolano tra di loro e si sommano fino all'esplosione finale. L'autore, a tratti, fa un uso molto ampio delle didascalie per conferire epicità agli eventi mentre i dialoghi risultano naturali e ben caratterizzano i sentimenti e le caratteristiche di ogni singolo personaggio.
Gli animali, in particolar modo topi e furetti, sono "umanizzati" in maniera più che convincente dal tratto di Petersen: i loro sguardi comunicano i sentimenti al pari dei loro visi espressivi e degli atteggiamenti. Vignette ricche di dettagli vanno a comporre tavole che parlano di onore e di duelli, di battaglie e di viaggi in mondi ignoti. Il tratto, lievemente più acerbo in Autunno 1152, è bilanciato da un uso dei colori che riesce a trasmettere le sensazioni tipiche di quella stagione: l'aria che si fa più pungente in attesa dell'inverno mentre si è circondati dalle gradazioni di giallo e rosso dei boschi, del legno e delle fronde degli alberi.

Una volta entrati nei Territori dei Topi sarà difficile uscirne senza portare con sé qualcosa: una riflessione sull'onore e sul dovere, sull'amicizia, sull'amore o sulla dedizione. Avventure in cui l'eroismo e il coraggio sono presenti senza alcuna ostentazione in una saga che non ha nulla da invidiare ad altri cicli fantastici appartenenti a ogni media.

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