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Nuvole Nere, recensione: i nazisti della porta accanto

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La storia raccontata in Nuvole Nere è ambientata nella immaginaria cittadina tedesca di Wolkendorf, ma i fatti sono tristemente ispirati a vicende reali.
Lontano dal caos delle grandi città vive la famiglia Garver. Il padre, Bernhard, dopo la morte della moglie vive ora con Nadia, pittrice di origini algerine, e con due ragazzi adolescenti, Dennis e Jasmine, rispettivamente figlio dell’uomo e della donna.
La loro vita serena è scossa quando un gruppo di simpatizzanti di un nuovo movimento eco nazista, definito Völkischen, decide di rendere Wolkendorf la loro cittadina, acquistando man mano diverse abitazioni costringendo, di fatto, i vecchi abitanti della cittadina a trasferirsi altrove in cerca di una nuova serenità.
Bernhard, tuttavia, decide di resistere: quella in cui abita è la casa dei suoi genitori, e lui non vuole sottomettersi a un gruppo di neonazisti.

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Le cose, però, iniziano presto a degenerare: il pensiero e le abitudini del movimento Völkischen ormai si diffondono in città fra la gente e nelle istituzioni, e chi la pensa diversamente è malvisto e, spesso, attaccato. Come se non bastasse, la giovane Jasmine è costantemente vittima di bullismo e soprusi a causa del colore della sua pelle mentre Dennis sposa l’ideologia neonazista frequentando amicizie pericolose.

Dicevamo che la vicenda di Nuvole Nere è ispirata a fatti reali, come ad esempio quanto accaduto al villaggio di Jamel in cui, ormai, la maggioranza del paese è in mano ai neonazisti ed è impossibile creare un’alternativa sociale e culturale. Nota alla cronaca è la vicenda dei coniugi antifascisti Birgit e Horst Lohmeyer che decidono di resistere, contro tutto e tutti, in quella che è la loro città.

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Pasquale Ruju e Andrea Cavaletto imbastiscono, così, una vicenda che ha il gusto di un thriller, ma con un sotto-testo politico forte. Le tematiche dell’integrazione, dell’intolleranza e della violenza la fanno quindi da padrone. Nonostante una narrazione molto asciutta e lineare, e senza particolari sorprese, gli avvenimenti si susseguono in un naturale crescendo e i personaggi godono di una buona caratterizzazione psicologica.

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Lo stile grafico di Rossano Piccioni ben si adatta all’atmosfera cupa che la storia emana. Il suo tratto sottile e nervoso si avvale di una colorazione acquerellata dai toni freddi a cavallo fra il blu e il grigio, ma si tinge di rosso nel rappresentare i componenti del gruppo neonazista, creando dunque un contrasto visivo e ideologico d’impatto.

Nuvole Nere viene presentato nell’ottima classica confezione brossurata dei volumi della linea Feltrinelli Comics con copertina lucida e carta ruvida di spessore.

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Ed Gein: la madre di tutti i serial killer, recensione

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“Il miglior amico di un ragazzo è la propria madre” (Psycho)

Quando si parla di icone ci si riferisce a personaggi o figure, sia reali che di finzione, che hanno rivoluzionato un determinato immaginario. Icona di follia nella cinematografia e letteratura è Norman Bates, personaggio creato dalla penna di Robert Bloch e reso celebre dall'attore Anthony Perkins nella trasposizione cinematografica di Psycho diretta da Alfred Hitchcock. Altro caposaldo iconico del genere thriller è Il silenzio degli innocenti, romanzo di Thomas Harris prima e film diretto da Jonathan Demme poi. Divenne icona fondamentalmente per la leggendaria interpretazione di Sir Anthony Hopkins nel ruolo dello psichiatra e omicida seriale Hannibal Lecter. Le vicende ruotano intorno alle indagini di un serial killer chiamato Buffalo Bill, assassino che scuoiava le proprie vittime. La pelle asportata veniva utilizzata per ricreare un vestito dalle forme femminili. Cosa hanno in comune questi due serial killer (ci riferiamo a Bates e Buffalo Bill) dalla ferocia inaudita e dal modus operandi così diverso? La risposta è presto data: Ed Gein.

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Ed Gein è un serial killer che, con le sue azioni, gelò il sangue nelle vene adun America che, fino ad allora, non conosceva dove poteva arrivare la brutalità umana. È il serial killer che ha ispirato più romanzi, racconti e film dell'orrore di chiunque altro. A lui si ispirarono Jeff Gillen e Alan Ormsby per il loro Macellaio di Woodside nel film Deranged.
A livello sociale per l'America fu una batosta. Il mostro era sempre altrove, mai in casa. I paesini di provincia erano considerati posti tranquilli, dove nulla mai poteva accadere. Tutte brave persone, tutto insospettabile, eppure i mostri erano lì, nascosti in bella vista. L'opinione pubblica fu scossa nel profondo e paure arcaiche vennero fuori. Il mostro era uscito allo scoperto, nessuno era più al sicuro ormai. L'efferatezza delle sue azioni erano talmente forti che alcuni lati delle sue vicende furono l'energia vitale che Bloch utilizzò per il suo romanzo Psycho. Fondamentalmente venne sfruttato il rapporto morboso, al limite dell'assurdo, con la madre. Per quanto riguarda Buffalo Bill, invece, il suo scuoiare le persone per indossarne la pelle. Anche Leather face di Non aprite quella porta di Tobe Hooper, richiama il noto serial killer. Possiamo citare anche  Three on a meathook, film del 1973, diretto da William Girdler, dove una fattoria isolata nella campagna americana si rivela una casa dell'orrore: un agricoltore folle e suo figlio rapiscono e uccidono giovani ragazze e le appendono a ganci da macellaio. Ovvero, la stessa scena che vide la polizia quando entrò nella casa di Ed Gein.

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Questo controverso personaggio è il protagonista del terzo albo della collana The Real Cannibal, serie di opere dedicate ai più efferati serial killer della storia. Edizioni Inkiostro, dopo il mostro di Rostov, Andrej Romanovič Čikatilo e Charles Manson, sceglie le gesta di Gein.
La sceneggiatura è di Jacopo Masini che narra le vicende in una struttura non lineare. Salti temporali tra il passato del feroce killer, dove approfondisce il rapporto morboso con la madre e il presente, ovvero quando viene catturato, sfruttando il punto di vista dello sceriffo di Plainfield, Art Schley. Questa modalità permette una maggiore comprensione della follia di Ed, analizzando le ossessioni e la rigida, asfissiante ed estrema educazione cattolica della madre. Vediamo scorrere con taglio cinematografico, la vita di Edward Gein, ripercorrendo i momenti salienti con la figura di Augusta Wilhelmine Gein, ovvero sua madre. Fanatica e con una visione misogina di tutte le altre donne, traumatizzò il piccolo Edward fin dall’infanzia. Non che Ed non abbia dimostrando, fin dalla tenera età, una malsana inclinazione verso il macabro. Nel finale diventa tutto un po’ troppo rapido ma, ovviamente, era impossibile poter raccontare una storia realmente enorme in una foliazione così ridotta, ovvero 44 tavole.

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Il racconto parte dalle fonti e dai documenti storici e questa caratteristica lo rende più definibile come graphic journalism che narrazione pure delle gesta di un maniaco in quanto la ricostruzione essenzialmente fedele. L’aspetto di cronaca è evidente soprattutto nelle tavole di Francesco Paciaroni. Il giovane disegnatore riprende più volte le foto d’archivio scattate dalla polizia durante le indagini. Paciaroni però ristruttura il tutto non soffermandosi sui dettagli in maniera ossessiva, rendendo personale e stilisticamente macabra ogni tavola. L’inchiostrazione sbavata di bianchi e neri pesanti, ma non eccessivi, dona una sensazione di incompiuto che rafforza l'idea di sporco, nell’accezione emotiva del termine. Il tratto realistico è leggermente acerbo ma funziona. I volti dei personaggi hanno un registro grottesco in perfetta linea col mood dell’opera.

L’introduzione della vicenda avviene tramite l’ormai celebre Alfredo Petronio, capostipide della famiglia Petronio, protagonista della celebre saga The Cannibal Family. Queste prime tavole sono illustrate dal boss di casa Inkiostro, Rossano Piccioni. Il cartonato, infine, è ben curato e in un formato 21x28 che amplifica la fruizione della tavole.

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Edizioni Inkiostro: Corrado Mastantuono sul nuovo corto di The Cannibal Family scritto da Piccioni

  • Pubblicato in News

Edizioni Inkiostro ha annunciato la realizzazione di un nuovo book di The Cannibal Family, la serie di corti d'autore basati sul franchise creato da Rossano Piccioni e Stefano Fantelli. Questo nuovo capitolo sarà scritto dallo stesso Piccioni sui disegni di Corrado Mastantuono (Tex, Dylan Dog, Nick Raider, Magico Vento, Elias il Maledetto). Il book arriverà indicativamente per Rimini Comics.

L'artista va quindi ad aggiungersi ai team di spicco che finora hanno lavorato sul franchise composti da Roberto Recchioni e Bill Sienkiewicz, Giorgio Santucci, Ron Marz e Nicola Genzianella, Tito Faraci e Marco Turini, Paola Barbato e Otto Schmidt, Barbara Baraldi e Adriano De Vincentiis, Luca Blengino e Leomacs, Simona Mogavino e Carlos Gomez.

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La recensione di Charles Manson – Figlio dell’uomo: l’estate dell’orrore

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Che Charles Manson sia stato uno dei più feroci criminali della storia americana è un dato di fatto, così come lo è che sia diventata un’icona negativa dell’immaginario culturale: film, serie televisive, musica, sono numerosi i prodotti che lo vedono protagonista, coprotagonista oppure ombra dietro le quinte. Il medium fumetto non ne può rimanere, ovviamente, escluso.
Ci pensa la Edizioni Inkiostro con il volume cartonato della collana The Cannibal Family – The Real Cannibal a trattare del discusso e discutibile personaggio: Charles Manson – Figlio dell’uomo, scritto da Andrea Cavaletto e disegnato da Giuseppe Candita coadiuvato da Rossano Piccioni.

In poco più di novanta tavole viene raccontata l’evoluzione del mostro Manson e della sua family: il piccolo Charles maltrattato in età infantile, è passato da adolescente problematico a leader carismatico, capace di attrarre a sé menti influenzabili e tutt'altro che psicologicamente equilibrate. Il fumetto non vuole raccontare una vera e propria “trama”, e non ha velleità di ricostruzione storica: partendo dall'anno 1969, attraverso i flashback vengono narrati gli eventi principali della vita del guru folle, quelli che hanno determinato o contribuito a renderlo ciò che è stato, tra cui spicca, per l’efferatezza, l’omicidio di Sharon Tate, moglie incinta del regista Roman Polanski.

La sceneggiatura di Cavaletto opera su un registro estremamente crudo: ciò che ha realizzato Manson e la sua "famiglia" ha scioccato l’America e il mondo intero; ha svelato al mondo la malvagità e la progettualità criminosa del "quinto Beatles" (come, follemente, si autodichiarava). Dopotutto era l’America della liberazione sociale, l’abbandono delle pastoie culturali imposte, l’esplosione delle contestazioni giovanili e la nascita del fenomeno degli Hippie. Non si pensava certo, che quella fosse anche l’America degli orrori.

Attraverso poche e ferme parole, Cavaletto descrive quegli anni attraverso la loro declinazione più deviata. E lo fa senza fronzoli o artifici retorici, ma con una lucida brutalità quasi documentaristica. Se Piccioni realizza le prime due tavole introduttive al volume con il suo tratto nervoso e dal grande impatto visivo, Candita tratteggia il racconto attraverso un ottundente uso delle ombre. L’atmosfera dei testi e del racconto vuole opprimere il lettore, farlo precipitare della follia e il disegno si allinea con tale volontà: la notte, momento che dagli albori è popolato dai mostri, è la dimensione temporale che fa da alleata ideale per le nefandezze della Manson’s Family.

La lucida corsa nella follia orchestrata da Cavaletto e Candita, a dispetto dell’immagine pop che ha acquisito Manson negli anni, non fa del protagonista un personaggio con cui empatizzare, ma costantemente riesce a mantenere a distanza il lettore, spettatore discreto ed impotente delle violenze fisiche e piscologiche perpetrare dalla Manson Family.

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