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Infinity Gauntlet – Il Guanto dell'Infinito, recensione: il classico Marvel che ha ispirato Infinity War

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Avengers: Infinity War in sole 3 settimane dalla sua uscita è diventato il maggior cinecomic di sempre, entrando nella top 5 dei film più visti di sempre e in rotta verso i 2 miliardi di dollari.
Sull’abilità dei Marvel Studios di costruire un successo del genere, ci sarebbe da discutere molto, ciò che conta è che la pellicola mostra appieno la sua epicità portando in scena decine di personaggi e avvalendosi di una costruzione pianificata che è durata ben 10 anni.

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La nemesi nell’ombra, uscita allo scoperto finalmente in questo film, è Thanos, il cui piano di recuperare le sei gemme dell’infinito ha fatto da sfondo alle pellicole dei Marvel Studios fino al climax di Avengers: Infinity War.
Il Titano Pazzo, innamorato della morte, è una creazione di Jim Starlin nato nel 1973 sulle pagine della serie di Iron Man ma ripreso con forza dal suo stesso creatore in un lungo ciclo di avventure a inizio anni ’90 dopo una decina di anni d’assenza. È in questo periodo che vede la luce Infinity Gauntlet, ovvero Il Guanto dell’Infinito, saga in 6 albi che rappresenta la principale fonte di ispirazione del film Infinity War.

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Come nel film, anche nel fumetto Thanos recupera le gemme dell’infinito e annienta metà della popolazione con un semplice gesto della mano. Le motivazioni di fondo restano simili, ma nel fumetto queste hanno sfumature diverse - in particolar modo considerando il rapporto Thanos/Morte e Thanos/Gamora - e molteplici. È naturale, comunque, che al cinema si sia dovuto levigare alcuni aspetti rendendo, seppur bene, meno sfaccettata la caratterizzazione del villain. Così come cambia il backgound degli eroi, con anni di storie a fumetti alle spalle, che partecipano a una battaglia all'apparenza senza speranza, e con alcuni personaggi cardini del tutto assenti (vedi Silver Surfer e Adam Warlock e tutti i personaggi cosmici). Se dunque il cinema dà un’interpretazione moderna e riveduta della saga a fumetti, la domanda da porci è quanto questa saga sia ancora oggi valida.

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Pubblicata nella seconda metà del 1991, Infinity Gauntlet è dunque contemporanea a opere come gli X-Men di Jim Lee, la X-Force di Rob Liefeld e lo Spider-Man di Todd McFarlane, ovvero tutta la generazione di autori che di li a poco avrebbe fondato la Image Comics sconvolgendo il mondo del fumetto. Tavole con eroi dalle muscolature improbabili, storie  personaggi cupi e violenti erano la regola in quel periodo. Molta della produzione dell’epoca, non a caso, oggi risulta invecchiata molto male. La peculiarità stilistica de Il Guanto dell’infinito risiede però nella visione artistica degli autori coinvolti. Jim Starlin ai testi e George Pérez alle matite, a cui si affiancherà Ron Lim, sono autori contemporanei dal grande successo ma custodi di uno stile più classico, in alcun modo, però, retrò o “vecchio”. Il loro essere al di sopra delle mode del momento, di approcciarsi al medium fumetto aggiornando la tradizione Marvel Comics consente loro di produrre una storia che regge il confronto del tempo.
È naturale che, soprattutto per alcune situazioni di continuity dei personaggi coinvolti e per scrittura e disegni, la saga mostra tutta la sua collocazione cronologica, ma resta ad oggi un gran classico e una lettura coinvolgente che riesce a emanare intatta la sua epicità. Naturalmente, una prima parte un po’ lenta nel suo incedere e qualche ingenuità narrativa minano leggermente il risultato finale, ma nulla di così grave.

Panini Comics propone Il guanto dell’infinito in un corposo volume cartonato, che non offre particolari extra se non la saga di sei albi. Una lettura solida e importante per chi vuole approfondire il personaggi di Thanos visto al cinema e la storia che ha dato vita al film.

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Criminal Deluxe 1: recensione: l'edizione definitiva della serie noir di Ed Brubraker e Sean Phillips

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In uno dei suoi periodi più interessanti dal punto di vista creativo, la Marvel Comics lancia nel 2004 l’etichetta Icon, una sorta di propria “Vertigo” in cui autori affermati possono creare nuove serie detenendone i diritti. Diverse sono le opere degne di note e dal gran successo che nascono sotto questa linea (Kick-Ass vi dice nulla?) e fra queste c’è da annoverare Criminal di Ed Brubraker e Sean Philips, una serie crime/noir premiatissima dalla critica.

I due autori si incontrano prima sulle pagine di Gotham Noir per poi creare insieme Sleeper, sempre per la DC Comics, ed è qui che affinano la loro sintonia.
Criminal è composto da 4 serie, rispettivamente da 10, 7, 5 e 4 albi ciascuna, pubblicate fra il 2006 e il 2011, e una mini di 2 speciali pubblicati dalla Image nel 2016. Dopo averne proposto i tp singoli, Panini Comics ora ristampa i due deluxe della saga, volumi corposi da oltre 400 pagine, pieni di extra.

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Il primo deluxe ristampa la serie d’esordio di Criminal composta da 10 numeri e i primi 3 della seconda, proponendo così i cicli Codardo, Lawless e The Dead and The Dying. Codardo e Lawless sono due storie totalmente indipendenti, che sembrano aver in comune solamente il luogo in cui si svolgono e un locale, ovvero Undertow(n) – la “n” dell’insegna è spenta-, sorta di covo neutrale per persone che operano da un lato o dall’altro della legge. In realtà, come si scoprirà sopratutto nella seconda serie, composta da storie auto-conclusive, i legami che Brubraker intesse si fanno a mano mano più stretti e i collegamenti e i punti in comune crescono sempre più. In particolare, spostando in avanti o in dietro le lancette del tempo, Criminal assume contorni da saga familiare, o per meglio dire da saghe familiari visto che coinvolge diversi personaggi, grazie a storie godibilissime se lette a se stanti, ma che traggono maggior valore se inserite nel quadro generale che l’autore delinea.

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Brubraker racconta storie di, appunto, criminali, uomini e donne che tentano di sfuggire al proprio destino che, però, li intrappola come in una ragnatela e da cui non riescono ad uscire. Come Leo, per tutti un codardo, che tenta di reprimere quella che è la propria natura, cercando di evitare gli sbagli commessi dal padre. O come Tracy Lawless, arruolatosi nell’esercito per sfuggire alla vita che il suo quartiere gli avrebbe offerto ma che ritorna per indagare sulla morte del fratello. L’autore utilizza uno stile asciutto, diretto, che esalta la storie e i personaggi senza distrazioni per il lettore.

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Dal canto suo, Sean Philipps è la controparte perfetta di Brubraker, non solo perché il suo stile si adatta perfettamente alle tinte noir del racconto, ma perché le sue linee dure e sporche riescono a conferire umanità ai personaggi. Lo stesso disegnatore, poi, spiega il processo di realizzazione delle tavole in un interessante approfondimento presente fra gli extra del volume.
Fondamentale è anche il lavoro di Val Staples ai colori, in particolar modo per l’atmosfera che crea grazie alle sue tinte che variano a seconda della situazione e del luogo e ai giochi di luce che si sposano con esse.

L’edizione deluxe proposta da Panini Comics, che ricalca quella americana, è il modo perfetto per recuperare il lavoro di Brubraker e Phillips, grazie non solo all’elegante confezione ma anche per i numerosi extra (storie brevi, racconti, e altro materiale) presenti.

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Marvel Legacy, recensione: un lungo teaser trailer

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Negli ultimi 10 anni la caratteristica forse più distintiva della Marvel è stata la gestione editoriale del suo parco testate caratterizzata dal ciclico arrivo quasi annuale di un mega-evento alla cui fine seguiva un nuovo status quo con relativo rilancio delle singole serie fino all’arrivo del nuovo mega-evento, in una sorta di ciclo infinito. Una strategia che, se da un lato ha funzionato dal punto di vista commerciale, non sempre è stata gradita dai fan e che sembra ora giunta al suo fine. Dopo Secret Empire, e dunque con Legacy, la Marvel sembra aver voluto porre un fine (o forse solo una tregua) a questa era e ritornare a metodi più classici di gestione del parco testate.

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Giunge così Marvel Legacy (ovvero "Eredità", tema centrale dell'albo e dei prossimi mesi), albo one-shot scritto da Jason Aaron e disegnato da Esad Ribic e una serie di disegnatori ospiti. La storia è giunta finalmente anche in Italia in due edizioni: una classica brossurata da edicola e una cartonata da libreria con diverso materiale aggiuntivo che analizzeremo in questa sede.
Chiariamo subito che non vi troverete davanti una storia nel senso stretto del termine: Marvel Legacy è in pratica un teaser trailer di ciò che avverrà nei prossimi mesi. Una storia che pone le basi, che getta semi destinati a fiorire in futuro.

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Oltre a riportare in scena Wolverine, creduto morto da diverso tempo, e a mostrare la nuova minaccia rappresentata dai Celestiali, la novità più interessante introdotta dall’albo è un gruppo di Vendicatori preistorici risalente a un milione di anni avanti Cristo, in cui troviamo Odino, Iron Fist, Star Brand, Ghost Rider, Fenice, Agamotto e Pantera Nera. Dunque, una nuova prospettiva che si inserisce nel passato della storia dell’universo Marvel (e a cui si lega fortemente, dunque, il concetto di "Eredità" del titolo). Tuttavia, questa nuova idea appare poco convincente e alquanto forzata, anche se, trattandosi di un teaser in cui nulla altro viene svelato, non possiamo sbilanciarci più di tanto. Seguiranno sviluppi dato che non a caso proprio Jason Aaron sarà il nuovo sceneggiatore degli Avengers per l’iniziativa Fresh Start ed è lì che ne sapremo di più.
Per il resto l’albo è una serie di situazioni sfilacciate fra di loro di cui non ci resta che leggerne gli sviluppi futuri.

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Marvel Legacy è dunque un’importante anticipazione per gli sviluppi futuri del Marvel Universe, ed è questa l’unica ragione per cui vale la pena di leggerlo. Il volume da libreria, in formato  18,3X27,7 - proposto da Panini Comics - presenta ben 200 pagine oltre alla storia presentata nel formato brossurato. Il tomo contiene, infatti, tutte le brevi storie con le origini dei personaggi Marvel, scritte da Robbie Thompson e disegnate da artisti vari, comparse sulle rispettive testate in occasione del rilancio targato Legacy. Ogni avventura è composta da 3 pagine e, per quanto possano essere piacevoli, risultano assolutamente trascurabili a patto di non essere neofiti. Ben più interessante è, invece, la proposta integrale del magazine FOOM #1, che propone una serie di articoli e di interviste ai boss Marvel e agli autori della Casa delle Idee che approfondiscono questo nuovo rilancio. Un volume indicato solo per gli appassionati irriducibili, in pratica. Per gli altri, basta il volumetto da edicola.

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