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Intervista a Lorenzo Mò: La realtà non è un gioco

 

Fresco vincitore del Premio Lorenzo Bartoli all'Arf! di Roma, Lorenzo Mò è l'autore di Dogmadrome per Eris Edizioni. Con quest'opera, che segna il suo esordio in libreria, l'artista parte dai giochi di ruolo per dare vita a un mondo fantastico che rimanda alla sua esprienza reale di giocatore. Il divertimento si fonderà con una vene drammatica e critica che rende il graphic novel avvincente e interessante. Suggestive le tavole di Lorenzo Mò che, in un singolare contrasto, crea un mondo fantasy utilizzando uno stile retro' che stringe l'occhio all'animazione degli anni '30 e '40.
Abbiamo incontrato l'autore al Comicon di Napoli per parlare del suo lavoro.

Partiamo, naturalmente, dai giochi di ruolo. Immagino tu ne sia un appassionato.
Assolutamente sì! Purtroppo non ho più modo di giocarci perché la mia vecchia compagnia, che è l'unica con la quale sia riuscito ad andare d'accordo, ed era la migliore, si è un po' disgregata andando in giro per l'Italia e quindi è un po' difficile ricominciare, più che altro per questioni di spazio.

Non esiste una versione dei giochi di ruolo online?
Può essere, non lo so, però per me gran parte del bello dei giochi di ruolo è stare assieme intorno a un tavolo.

E quindi, com’è nato questo progetto?
Avevo voglia di raccontare questo periodo della mia vita in cui giocavo a Dungeons & Dragons con altri tre ragazzi senza farlo in modo del tutto autobiografico, in quanto ne sarebbe venuto fuori una roba noiosissima. Anzi, volevo anche raccontare una storia fantasy che però fosse ancorata a qualcosa di reale. Anche da lì nasce poi tutto il contrasto fra ciò che è vero e ciò che non lo è, come i nomi dei personaggi, che poi sono i nomi veri dei giocatori e non degli avatar. Questo perché mi piaceva molto il cortocircuito che veniva a crearsi sopratutto perché, quando noi giocavamo a Dungeons & Dragons, per fare prima ci si chiamava con i nostri nomi e non con quelli degli avatar. Quindi, avere un mastino della guerra che si chiamava Fede e uno stregone che si chiamava Gianni, che sono nomi formalissimo, mi faceva sorridere e mi piaceva come idea.

Dogmadrome 1

Questo è il tuo primo graphic novel, com’è stato gestire una storia lunga?
Pensare a una storia è facilissimo, perché io ragiono sempre su storie lunghe, che è più divertente, ti permette di sviluppare di più i personaggi e farli interagire fra di loro. Poi sì, nei fatti, nella scrittura, è stato molto complesso, per fortuna ho avuto gli "Eris" che sono professionisti ferratissimi e la cosa è stata quindi molto divertente e più semplice, diciamo. La parte, dunque, più difficile è stata la parte della scrittura e la stesura dello storyboard perché dovevi studiare le inquadrature, vedere quali erano le più efficaci. Quando poi vai a disegnare, se lo storyboard è dettagliato, i giochi sono praticamente già fatti, e quindi per me è stato è stata una fortuna aver perso tempo per uno storyboard così dettagliato perché poi le matite erano già fatte quasi.

La trama ti è venuta strada facendo oppure hai lavorato su una sceneggiatura ben impostata?
L’idea è partita nel gennaio del 2015, avevo iniziato a scrivere delle battute, giusto per visualizzarmi il mondo in cui si ambientava questa storia, e da questo canovaccio ho iniziato a immaginarmi le regole di questo mondo, e quelle al di fuori di questo mondo. Non posso fare spoiler, ma ho cercato di fare le cose a più livelli senza essere incoerente. È stata quella la parte più difficile.

La storia parte in maniera allegra e spensierata, ma via via si incupisce. In particolare ho letto una vena critica nel chiudersi in questi mondi.
Sì, hai centrato il punto. L’idea era proprio la fuga dalla realtà prima di tutto, perché alla fin fine i giochi di ruolo, sono proprio l'evasione per antonomasia: si tratta della creazione di un mondo mentale all'interno del quale si muove in modo esclusivo un gruppo di ragazzi, ed è secondo me la fuga per eccellenza. In questo senso, la piega drammatica che prende è un po' la critica a questo tipo di allontanamento, o comunque, la critica verso certe scelte sbagliate che ti impongono delle regole che non fanno parte del tuo sentire.

Dogmadrome 2

Credi che oggi ci sia una sorta di dominio dell’intrattenimento, del mondo irreale rispetto a quello reale?
Una volta l'intrattenimento era marginale nella nostra società, oggi non lo è più.
Sì, è un cambiamento di moda. Sospendi la realtà, la chiudi un attimo per poi riprenderla dopo. Sì, mi trovi d'accordo.

La parte che più colpisce del tuo lavoro sono i tuoi disegni, caratterizzati da questo stile da cartoon anni '30/'40. Come l'hai sviluppato?
Lo stile grafico di qualsiasi disegnatore, secondo me, arriva dopo aver assorbito un sacco di roba durante l'adolescenza e l'infanzia. Specialmente l'infanzia. Tutto quello che assorbi, leggi, guardi. E il primo approccio che hai col mondo del disegno, è probabilmente grazie all'animazione. Quindi, la parte di Walt Disney, quella più demenziale della Warner Bros., l'animazione più povera di Hanna & Barbera, anche l'animazione giapponese, come quella dello Studio Ghibli, io sono rimasto abbastanza influenzato da questa roba e mi è rimasta tantissimo. A questo aggiungici fumettisti del calibro di Kack Kirby, Akira Toriyama e Benito Jacovitti. Naturalmente, non basta assorbire, penso sia necessario rielaborare moltissimo per arrivare ad uno stile personale. Questo, alla fine, è il mio modo di disegnare più sincero, e se vengo apprezzato ben venga!

Riguardo l'aspetto grafico dei personaggi, come sono nati? Come li hai differenziati? Ti sei ispirato a qualcosa in particolare?
Intanto, ho pensato alle varie classi dei giochi di ruolo, per poi cercare di sviluppare qualcosa che andasse in contrasto con il genere che andavo ad affrontare. Io penso che il mio stile vada a stridere notevolmente col fantasy e coi giochi di ruolo, anzi non li richiama minimamente, e questo cortocircuito -­‐ come anche l'uso dei nomi e del linguaggio che è sboccatissimo – ho cercato di spingerlo fin dove riuscivo. E questa è forse la parte più divertente del libro.

Dogmadrome 3

Ho adorato molto la colorazione, immagino sia digitale. Eppur dà una forte sensazione di essere colorato a mano.
Mi fa piacere che tu l’abbia notato, in molti pensano che sia colorato a mano. In effetti sembra la classica colorazione a pantone o a tempere, ma è tutto in digitale. In parte anche per velocità, già lavorare alle matite è stato lungo così...

Che programma hai utilizzato per la colorazione?
Photoshop. Mentre il disegno è ancora su carta a matita.

Con china o inchiostrazione digitale?
No, solo matita, perché l'effetto che volevo era quella dei classici Disney di fine anni '60 e '70 .

Tramite la xerografia, visibile in film come La Carica dei 101, Il Libro della Giungla, Robin Hood...
Esatto! Volevo che si vedesse la freschezza del segno.

Questa storia potrebbe benissimo avere un seguito, ci ha pensato?
Me l'hanno chiesto in molti. Per me la storia è finita, Dogmadrone è un volume unico. Però, se dovessi avere qualcosa di nuovo da raccontare, ma deve essere davvero qualcosa di sostenuto e forte, potrei riprendere in mano i personaggi, ma per me è finito così. In realtà a me piacerebbe che il lettore possa immaginarsi sia il loro mondo prima del gioco, sia quello che andrà a succedere dopo la fine del libro.
 
Ultima domanda: su cosa stai lavorando attualmente?
Adesso sto chiudendo un lavoro collettivo del quale non posso ancora parlare.

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