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I 30 anni di Dago: intervista a Robin Wood

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Robin-Wood

N.B. Nel trascrivere l'intervista, che è stata condotta in italiano, si è voluto lasciare, il più possibile, quella forma a volte sgrammaticata dovuta alla parlata dell'autore. Tale scelta è stata fatta così da mantenere fedeli le risposte alle nostre domande.

Quanta strada ha fatto Dago dalla sua prima apparizione in Nippur Mágnum Todo Color numero 1 di 30 anni fa? Quanta strada ha invece fatto Robin Wood?

La strada di Dago è appena iniziata. È appena iniziata perché ogni giorno troviamo nuove cose. Vedi… la fantasia è un cane che ti mangia vivo. Dago l’ho cominciato trent’anni fa, oggi io continuo, anzi continuiamo, a sentirlo come nuovo e come se fosse iniziato ieri.
È iniziato ieri? Oggi lo faremo meglio.
Abbiamo una gran passione per il personaggio. Questo è amore e Dago è un figlio. Un figlio un po’ troppo grande e cattivo, ma i figli non sono mai perfetti.
Per quel che riguarda la mia carriera… scrivo, niente di più straordinario di quello.
Lo faccio con piacere, lo faccio tutti i giorni; quando non lavoro per tre o quattro giorni non mi sento bene, devo fare qualche cosa. Sono fortunato, ho trovato un lavoro che mi piace ogni giorno di più, amo il mio pubblico e senza il pubblico non esisto. Il pubblico mi ha fatto, non sono io ad aver fatto il pubblico. Per questo sono dedito a loro e faccio il mio meglio per essere degno di loro.

A distanza di trent'anni dalla nascita Dago continua ad avere numerosi fan in tutto il mondo e soprattutto in Italia; come mai secondo te?

Semplice, Dago è umano. Non è un supereroe, non è un cattivo, è tutto questo insieme. Può essere un eroe e anche cattivo. Dago è un uomo cui piace, la sera, prendere un po’ di vino, prosciutto, pane e guardare il mare. Uno che s’innamora… un poco sì e un poco no; l’amore è una cosa personale di ogni uomo e ogni donna.
Dago fondamentalmente è un uomo buono, ma può essere crudele, crudele contro un uomo crudele, mai contro uno che non si può difendere. Dago è famoso perché è umano, semplice, non c’è una ragione precisa.

Come si riesce a mantenere vivo e attuale un personaggio dopo tanto tempo?

Io non penso mai quando scrivo, non so cosa vado a scrivere, non ne ho idea. Incomincio e penso: “Beh cosa faccio? Boh?!?” Pianificare, non esiste; la prima riga, quella esiste.
“Il sole si è alzato… bla, bla… biondo… fuoco nel cielo…” e tre ore dopo è fatto.
A mano, perché non scrivo con la macchina. Dopo sì, per fare la guida dei disegni e tutto il lavoro tecnico, allora uso il computer, ma la creazione non posso farla altrimenti.
Ho provato con la vecchia macchina per scrivere, anche con il computer, anche con un registratore, ma non posso. Non va, ho bisogno della mano, della penna, della carta e quello è tutto.
Niente di più, niente di straordinario: semplice al 100%.

Un personaggio dalla vita trentennale come Dago, si può ancora considerare di fantasia e non esistente? Se tu smettessi di scriverlo, Dago continuerebbe ad esistere?

Sì, continuerebbe ad esistere. Io morirò un giorno, ma Dago non rischia quello.
Dago è una cultura umana, come ho già detto, lui è un eroe senza essere un supereroe… è un essere umano. La gente può capire quello che pensa, essere d’accordo o no, ma non è una cosa che non si può capire, che non si può giudicare. È un uomo di oggi, un uomo di ieri, un uomo di sempre.

È moderno anche se vive le sue avventure nel mondo di seicento anni fa.

Esatto, io ho letto le memorie di Benvenuto Cellini, amico di Dago e ho pensato: “Questo può essere scritto oggi”.
La sua mentalità era la mentalità di un’epoca, ma era un uomo pensante, era un ribelle.
L’uomo continua a essere uomo; le cose cambiano ma l’uomo è se stesso, non cambia.
Cellini parlava, di donne, della festa, dell’avventura. Quello è un sogno di oggi, un sogno di sempre e qualcuno aveva il coraggio di cercarlo, trovarlo, viverlo.
Dago non è Cellini; ad esempio Dago non cerca l’avventura. È l’avventura che va da lui, lui non è un cacciatore di donne, ma non dice mai no. Se una gli chiede di andare a letto lui risponde ”Se insisti, farò uno sforzo, ma va bene.”

In parte hai già risposto ma ti sei mai trovato in difficoltà nel pianificare il viaggio di Dago?

No, ho la difficoltà di non poter fargli fare tutto quello che voglio.
Ad esempio, adesso sto facendo il Verdi, una saga lunghissima.
Mi hanno chiamato dal Teatro Regio di Parma, io non sapevo niente e il colloquio si è svolto, più o meno, così: mi hanno detto: ”Senti Dago è un eroe, tutto il mondo legge Dago. Giuseppe Verdi: tutto il mondo conosce la musica di Verdi, ma della persona di Verdi, cosa si sa? Tu puoi fare qualcosa? Non sappiamo come, ma puoi fare “Dago e Verdi”?”
Ho pensato: “Si può fare? 1500 e 1800, come si può fare?” Ho continuato a pensare e ho detto loro: ”Fatto.”
“Come?” mi hanno risposto
“Ho già capito come farlo”
“Ma come? Hai già capito.”
“È fatto… ho l’idea, tutto chiaro, non abbiamo nessun problema.” Ho detto io.
“ Ah mannaggia… e quando incominciate?” hanno risposto loro.
“Iniziamo oggi.”…ed ho iniziato, abbiamo due già due capitoli della prima parte che si chiamerà "Nabucco".

I disegni di chi saranno?

Disegni di Carlos Gómez. La storia sarà in due parti: la prima parte si concentra su Verdi quando incomincia, giovane fracassato, tutto disperato per la morte della sua signora e dei suoi bambini, il fracasso della sua opera buffa (“Un giorno di Regno” seconda opera di Verdi N.d.R.) e Solera (Temistocle ndr.) che porta il libretto di Nabucco.
Verdi non vuole scrivere, ma prende un libro che Merelli (Bartolomeo ndr.), gli porta dicendogli: “Prendi Giuseppe, puoi leggere questa storia di un monaco che ha fatto una ricompilazione della storia di un rinnegato, schiavo e bandito del 1500.” E così Verdi incomincia a leggere di Dago.
Non è strano?
E incomincia la storia di Dago, di quando era schiavo in Africa; legge di quest’uomo, di come ha deciso di sopravvivere e di come, per la brutalità dei barbareschi ha deciso, di andare ad aiutar gli altri.
Poi passiamo a Verdi; Verdi che pensa: “Guarda, duecento anni fa un italiano, schiavo, che voleva la libertà. Oggi anche io e tutta l’Italia, vogliamo la libertà. Ho un altro italiano, che cerca la stessa cosa che cerco io” e continua a leggere.  Questo è il primo capitolo… e dopo si continua: la battaglia di Dago nel deserto, la battaglia di Verdi con Nabucco... e così via.
E dopo ci saranno Rigoletto, Aida, I Lombardi alla prima Crociata eccetera; tutto fino alla fine, quando Verdi è vecchio e va a morire; si tranquillizza la porta si apre, Dago entra e il ballon dice: “Amico mio ci vediamo, sono pronto. Ciao”. Verdi chiude gli occhi e a tutta pagina: “Va pensiero con l’ali dorate…” e tutto il coro di Nabucco. È iniziato là e va a finire là. La chiusura perfetta, almeno credo.
La mia signora può testimoniarlo (dice indicando la moglie presente nella stanza ndr.) l’idea mi è venuta subita, dopo ho iniziato a mettere i dettagli, ma l’idea centrale mi è venuta subito.

Questo è talento.

Non lo so, io non uso mai questa parola. La gente mi dice se va bene o no, ma io lo faccio per piacere; mi piace, se è buono meglio, ma io prendo l’opinione della gente. Io sono veramente, o almeno credo di esserlo, modesto. Ho avuto la fortuna di avere questa facilità nello scrivere. Ho trovato che scrivere è facile, creare è facile per me e questo è tutto. Niente di straordinario, niente di grande.

Sei famoso per tanti personaggi…

Novantadue.

Esatto… con la stessa facilità affronti Dago, Gilgamesh, Nippur, Savarese, Amanda e altri. Come riesci a giostrare tra tutti questi personaggi?

Ora mi occupo di cinque personaggi, perché non posso avere di più; parliamo di venti episodi al mese.
Io mi pianifico così: oggi faccio un Dago… ho i miei disegnatori di cui sono responsabile; non è che io sono là con gli angeli, io sono lì con i lavoratori.
Loro lavorano, io lavoro.
Allora, oggi lavoro per uno, domani per l’altro, domani per l’altro ancora, domani per l’altro ancora e il week end…c ombattimento con la mia signora che mi dice “Oggi no, finito. Oggi ti occupi di me, del cagnolino, eccetera”.

Le vicende di Dago s’intersecano spessissimo con eventi storici reali, eventi che tu a volte modifichi in modo da poter inserire il tuo personaggio nel miglior contesto possibile. Quanto è importante essere storicamente accurati in Dago?

La Storia è una cosa meravigliosa. Io sono fanatico della Storia, essa è straordinaria ma non tutti i fatti, se ben analizzati, risultano veritieri.
Quando ho scritto di San Marino (“La Leggenda di San Marino”, storia scritta in occasione di Uchronia Comics e uscita tra luglio e agosto su Lanciostory ndr.) ho letto tutto a riguardo, ho studiato di documenti, letto libri etc. C’era una cosa che non mi chiudeva: l’ultimo combattimento di San Marino, quando è venuta tutta questa gente armata, che si credeva inviata dal vaticano.
1500 uomini di armi per attaccare San Marino... e San Marino aspettava.
Dopo hanno detto: ”Era una notte di nebbia e gli eserciti non riuscivano a trovarsi tra loro.”
E ho pensato: “Strano… nebbia”.
Prima di tutto cosideriamo la montagna. Quale esercito dell’epoca attaccava una fortezza in cima a una montagna di sera? Certo, può darsi. Ma, senti, la montagna è così (dice Wood mimando con le mani la forma della montagna ndr.); per salire su una montagna... certo può esserci la nebbia ma... no c’era qualcosa di strano. Per quello ho deciso che i Sanmarinesi avevano battuto la gente mandata dal Papa; avevano vinto, e quindi bisognava decidere cosa fare. Ridicolizzare il Vaticano facendo sapere che il loro attacco non aveva avuto successo? No, ho ipotizzato che si fossero messi d’accordo.
Quindi, i Sanmarinesi dissero ai soldati del Vaticano: ”Ti abbiamo dato una lezione, chiudi il becco tu, chiudiamo il becco noi… dite che ci siamo perduti nella nebbia, e non ci siamo affrontati.
Tu puoi partire, noi restiamo e qui non è successo niente.
Tu dimenticherai col tempo, ma noi ce ne ricorderemo.” E così nacque la leggenda dei due eserciti che si sono perduti nella nebbia, in una montagna, eccetera…
Io ho creato questo, può essere la verità o no. Chi lo sa, la Storia è piena di cose strane, lasciate all’immaginazione. La Storia è una cosa meravigliosa.

Dago e stato creato da te e Salinas; c'è ancora qualcosa di Cesare Renzi nel Dago di oggi?

Il personaggio era un playboy di Venezia. Io ho avuto l’idea di Dago quando sono restato a Venezia dopo un viaggio e ho trovato una città di mistero, di silenzio, di oscurità: meravigliosa. Allora… lui era un playboy, arrogante, bello, ricco eccetera. Dopo è diventato uno schiavo, subito dopo ha dovuto imparare a essere servile e intelligente per sopravvivere… è cambiato. Dopo aver visto la sua famiglia ammazzata, assassinata, è diventato amaro, violento, crudele, e dopo… Cesare Renzi è morto, ed è nato il figlio della Daga, per quello lo chiamano Dago; dopo incomincia le sue avventure e, poco a poco, questa amarezza diventa più morbida, tranquilla; continua ad avere il sogno della vendetta, ma lo sfoga con i criminali. Con loro sfoga, la sua amarezza, la sua furia, il suo desiderio di morte, ma allo stesso tempo ha visto troppo della vita, della miseria della gente; ha visto troppo sangue, troppe guerre, e incomincia a essere più umano, diventa umano, ma veramente umano. Prima è stato un figlio ricco, poi un animale di vendetta e poi incomincia a pensare e a guardare ad apprezzare le cose, un amico, una donna.

Cresce in lui il desiderio di fermarsi, cosa che, tempo fa, cercava di non fare mai.

Sì, incomincia a guardare a vedere il mondo, prima era cieco. Non vedeva niente più che la sua vendetta, ora incomincia a vedere il mondo, la gente, le piccole cose. Diventa umano. L’uomo.

Se un giorno dovessi porre termine alle avventure di Dago come sarebbe l'epilogo? Il giannizzero nero troverà la pace solo nella morte o riuscirà a raggiungere un equilibrio in altre maniere?

Non lo so, perché non l’ho scritto. Ti ripeto, io non penso mai a quello che scrivo. Dago pensa, io no. Io incomincio a scrivere ma non penso mai alla fine, la fine è un'altra cosa. Arriverà un giorno, può essere che un giorno dirò: “Qui!”. Come è successo con altri personaggi, capirò che quello è il momento giusto. Una situazione giusta, qualcosa che lasci il lettore, che per me è la cosa più importante, che lasci il lettore commosso, felice, triste, tutto… pieno di cose in un solo colpo che ricorderà per anni.
Alla mia maniera io faccio musica.

Tu sei un autore importantissimo delle Historietas. Cosa ti fa provare sapere della scomparsa di Carlos Trillo e Solano López? Ti trovi spesso con altri autori di fumetti per parlare delle vostre opere?

Trillo e López li ho conosciuti poco, come anche gli altri autori di fumetti.
Io ho incominciato a scrivere i fumetti per caso e ho incominciato a guadagnare bene, pur essendo un ragazzo miserabile con solo cinque anni di scuola; vivevo nella strada, quasi, ma, da subito, devo dire, dalla partenza ho avuto successo.
Nippur è diventato un successo, Jackaroe, Dennis Martin… tutto quello che facevo aveva successo; ho incominciato a guadagnare denaro, molti soldi e ho deciso: “Fino a ora ho passato dieci anni nelle fabbriche; io voglio vedere il mondo, quel mondo di cui ho letto tutto... adesso voglio vederlo.”
Ho comprato un baule da viaggio, una lettera 22 (celebre macchina per scrivere della Olivetti ndr.), un passaggio a Napoli e per venticinque anni ho viaggiato per tutto il mondo.
E non ho pensato mai… non ho mai deciso preventivamente cosa e come vedere il mondo, pensavo: “Sono a Napoli, dopo Napoli? Andiamo in Svizzera…”, e dopo, Turchia e dopo Israele e così via, non ho mai pensato… io sono come Hillary (Sir Edmund Percival Hillary, noto scalatore ndr.) che, quando è andato nell’Himalaya gli hanno chiesto: “Perché fa queste cose? Perché scala le montagne?” E lui ha risposto, “Perché sono là”.
Io ho fatto lo stesso e per anni e anni e anni ho visitato tutto il mondo. Allora non avevo contatti con i disegnatori, artisti eccetera… a volte ho passato anni senza vedere i miei fumetti. Ogni due anni venivo, per tre settimane, a Buenos Aires e guardavo i miei fumetti dicendomi “Scrive bene questo ragazzo”. Non ho avuto molti contatti con autori: amici sì, come Lucho Oliveira (disegnatore di Nippur di Lagash e Gilgamesh N.d.R.) o come Carlos o come Joan Mundet (altro disegnatore di Dago ndr.), ma non sono mai stato un appassionato delle riunioni tra fumettisti… tra fumettisti, di cosa si parla? Di fumetti… io non parlo di fumetti, io li scrivo.
Parliamo d’altro: di donne, di avventure, di boxe, di tennis; ma non parlare di fumetti, di fumetti non si parla, si fanno. Ed io il fumetto lo scrivo, lo vivo, lo amo; niente di più. Semplice, sempre tutto semplice.

Un'ultima domanda: il futuro. Che cosa riserva a Dago l’hai già raccontato… e a te, cosa riserva il futuro?

Il futuro sarà domani.
Senti, la vita… ora vado a diventare, come si dice in spagnolo, “pomposo”, molto intelligente… la vita è il più grande presente che noi abbiamo ricevuto. Avere una vita, tutta una vita, per noi.
Io vivo oggi… domani sarà un'altra cosa, un altro divertimento, un'altra gioia, un altro qualche cosa. Oggi sono felice, la maggior parte del tempo mi sento felice, credo che tu ormai l’abbia cominciato a capire; sono superficiale, in un certo senso, non mi prendo sul serio. Per me Robin Wood è un individuo con cui abito… non è male, è sopportabile, a volte un po’ pesante, certo, ma io devo vivere con lui. Allora è meglio vivere in amicizia, allora gli dico: “Robin Siediti, non essere pesante, tranquillo, parliamo.”
La vita.
La vita è domani, oggi, questo minuto un’ora di più. Semplice.

Grazie mille, è stato veramente un piacere.
Anche per me è stato un piacere.

“Mama è ora di andare a casa” dice Wood rivolgendosi alla sua signora, poi rivolgendosi ancora verso di me conclude: “Questo lo faccio perché ci sei tu qui, sennò sarebbero guai.”

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