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I 30 anni di Dago: intervista a Carlos Gomez

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Carlos-Gomez

N.B. Nel trascrivere l'intervista, che è stata condotta in italiano, si è voluto lasciare, il più possibile, quella forma a volte sgrammaticata dovuta alla parlata dell'autore. Tale scelta è stata fatta così da mantenere fedeli le risposte alle nostre domande.

A distanza di trent'anni dalla nascita, Dago continua ad avere numerosi fan in tutto il mondo e soprattutto in Italia; come mai secondo te?

Io credo che questa attualità che Dago possiede ancora, dopo trent’anni da che è stato creato, è merito dello sceneggiatore Robin Wood e delle storie di Dago più che dei disegni, visto che siamo in molti a disegnarlo ma il personaggio ha lo stesso successo indipendentemente dai disegnatori.
Io ti parlo da lettore di Dago e il lettore ama quelle storie che hanno un fondo di umanità nel quale sa riconoscersi; non è tanto una questione di sviluppo o di storia se il lettore può capire che questi disegni non sono solo macchie sulla carta e che dietro c’è un personaggio quasi vero, con emozioni e debolezze, come il lettore stesso. Se il lettore trova un essere umano sulla carta, allora questa storia può durare per sempre, per tutta la vita.

Un personaggio dalla vita trentennale come Dago, si può ancora considerare di fantasia e non esistente? O si può ritenere Dago reale come una persona vera?

Penso che Dago si possa ritenere un personaggio reale; ci sono persone che lo leggono e si innamorano di questo personaggio e alla fine Dago è diventato più vero delle persone vere; mi sembra, che col tempo, il lettore riesca a capire la sua personalità, la personalità del personaggio creato e, alla fine, lo conoscono più di un essere umano vero, il quale ha dei lati nascosti che ti fanno allontanare. Invece Dago ha un lato interiore ben visibile ed esposto, il lettore riesce a vederlo bene e questo lo rende più vero del vero.

Da quando hai, prima, affiancato e poi sostituito Salinas più di quindici anni fa, fino ad oggi, quanto è cambiato Dago e quanto Gomez in questi anni?

Io come disegnatore sono sempre alla ricerca di fare le cose non tanto brutte come prima, ma meglio. Adesso che vedo i disegni di Dago, non dico 1996 ma del 2000 o del 2008, mi dico: “I ragazzi dell’Aurea sono buoni ad aver pubblicato questi disegni e mi hanno fatto un vero favore”.
Io vedo che Dago non è lo stesso del primo Dago, che i lettori volevano simile a quello di Salinas. Non è facile per un lettore che è abituato, da anni, alla caratterizzazione di un personaggio, vederlo cambiare in un'altra cosa. Io ho cominciato facendo il personaggio più simile che potevo a quello di Salinas, poi, piano piano, la mia personalità è uscita. Dopo qualche anno disegnavo Dago come piaceva a me e, per dire, all’epoca del sacco di Roma, Dago era più mio che di Salinas.
Altre cose che posso dire, di me stesso, è che col tempo ho tentato di trasmettere, con le espressioni, le emozioni di Dago e lo sforzo per fare questo mi ha fatto imparare di più l’anatomia e ho dovuto lavorare molto sulla faccia di Dago. Questa è la ragione che mi ha fatto modificare il viso di Dago in modo da renderlo più efficiente per rendere queste espressioni. Occhi più grandi, sopracciglia più pronunciate etc. Ancora oggi, dopo 8800 tavole, faccio fatica a disegnare la faccia di Dago e devo cancellare molto.

Nell'epoca di Internet e dell'informazione a portata di mano, è cambiata la tua maniera di documentarti e di lavorare?

È impossibile lavorare con i tempi stretti che abbiamo senza utilizzare tutti questi mezzi che troviamo adesso. Ora io lavoro molto con internet, ma solo usandolo come approccio al soggetto e dopo, alla fine, finisco comprando su Amazon, o altri siti, i libri che mi servono, o cercando in un altro modo la documentazione che mi serve. Una volta era diverso, la documentazione la potevi trovare solo sui libri che dovevi comprare o potevi trovare in biblioteca. Ad ogni modo, dopo sedici anni di lavoro ho una grossa biblioteca: ora quando devo disegnare, ad esempio un battello, ho già il libro adatto; ho libri riguardanti le mutande usate nel rinascimento e altre riguardanti le armi e le battaglie dell’epoca. C’è comunque, sempre, questa ricerca iniziale; per me è una gioia il fatto che Robin non smetta mai di farsi venire nuove idee che mi fanno impazzire. La ricerca è una fase che mi piace molto, certo potrebbe essere più facile se Robin non fosse una tale fucina di idee, ma sarebbe anche molto più noioso. Internet è un grosso strumento, così come il computer, ed è giusto usarlo; sono strumenti potenti e, se chi li utilizza non ha un’idea precisa di cosa vuole ottenere, allora questo strumento diventa l’autore del fumetto; se invece uno padroneggia lo strumento, allora quel che ne esce è qualcosa di buono. Il fumetto continua a essere fumetto; tu puoi utilizzare il computer e magari nessuno lo nota e, questo salto tecnologico, non si nota, anche se c’è. Questo è il segreto di un lavoro armonioso, non si vede dove finisce il lavoro fatto al computer e dove inizia quello fatto a mano.

Qual è la tua metodologia di lavoro per Dago? Come fai a realizzare così tante tavole ogni settimana?

Con Robin lavoriamo da tanto, lui mi lascia libertà completa ed io posso fare quello che voglio… anche perché quando a lui arrivano le tavole, è troppo tardi e non c’è il tempo di fare modifiche. Non c’è il tempo di inviarle per il controllo, farle ritornare e dopo mandarle in stampa. È come lavorare senza rete di sicurezza e dodici tavole settimanali sono un bel ritmo; ho un ragazzo che mi aiuta che si chiama David Tejada; mi da una mano a inchiostrare e a fare altro. Io faccio le matite di quasi tutto; per gli sfondi creo la scena in 3D, al computer, dopo aver fissato la camera. Stampo il risultato e, sopra di questo, io disegno i personaggi e li chino; lui passa il 3D al tavolo luminoso e lo porta sulla tavola. Questo è un grosso aiuto, perché riusciamo a risparmiare tempo e riusciamo a dare una resa realistica delle scene, visto che, alla fine, è come se il lettore fosse dentro la scena; egli guarda la tavola e, senza rendersi conto, si trova nella scena visto che la camera è sempre piazzata dentro la scena. Quando ci sono dei dialoghi, che durano molte vignette, il movimento della camera ha una logica e non ci sono salti. Cerco di muovere la camera in maniera logica, simulando che il lettore sia lo spettatore della scena.

Ci sono personaggi e luoghi che hai amato disegnare? Chi o quali luoghi hai invece odiato?

Ho paura di essere ingiusto, in quanto non ho una grande memoria e mi dimentico di storie complete. Mi salta alla mente la storia in Sud America, con Dago con gli Indiani in Amazonas che mi è piaciuto molto disegnare. È stato faticoso, perché l’ambientazione selvatica era pesante da fare, ma mi piaceva.
Anche la storia della compagnia della spada che si svolgevano a Padova, con 15-16 spadaccini, tutti personaggi reali, mi è piaciuta; dover disegnare personaggi esistenti, insieme all’architettura di Padova, mi è piaciuto molto.
La storia ambientata a Lucca è stata la prima che ho disegnato dopo essere stato fisicamente sul posto, quindi ho potuto disegnare quello che avevo visto e vissuto. Siamo stati a Lucca in occasione della fiera, insieme con Robin Wood, e lì abbiamo deciso di ambientare una storia in quella città, quindi ho potuto cominciare il lavoro di documentazione direttamente sul posto.
Per quel che riguarda i personaggi che ho amato, questi sono stati tanti: c’e n’era uno che si chiamava Joao, era un portoghese amico di Dago e lo aveva conosciuto all’Amazonas; quello era un bel personaggio.
Le ragazze… ogni una ha una storia particolare; la ragazza a Lucca con i capelli biondi (Lorena ndr.) l’assassina mi è piaciuta, in quanto era un personaggio forte.

Dove ti piacerebbe condurre Dago?

Io abito a Cordoba, che è una provincia ed una città dell’Argentina. Prima che arrivassero gli spagnoli, la regione era abitata da molti popoli differenti, che avevano ciascuno la propria cultura. Tra questi popoli ce n’era uno che faceva dipinti sulla pietra: i primi dipinti sono stati fatti a distanza di mille anni rispetto all’ultimo e ultima figura, che loro hanno dipinto, è un uomo sopra a un cavallo. Poi più nulla, finito. Ciò è molto simbolico, praticamente l’arrivo degli spagnoli ha segnato la fine di una cultura millenaria. Mille anni di cultura di un popolo che, tra le altre cose, disegnava sulla pietra.
Bene… a me sarebbe sempre piaciuto che quest’uomo sul cavallo, da loro dipinto, fosse Dago. Abbiamo già parlato, io e Robin, di questo; abbiamo anche fatto qualche schizzo a riguardo ma ancora nulla all’orizzonte. Sono sicuro che, prima o poi, questa storia si farà.

Quest’anno ci hanno lasciato due importanti figure del mondo del fumetto e delle historietas: Carlos Trillo e Solano López. Questi autori hanno avuto un qualche ruolo, anche simbolico, nella tua vita?

Con Trillo non ho avuto la possibilità di lavorare, ma è stato un idolo per me come lettore. Sono stato anche a casa sua una volta, da ragazzo, tentando di lavorare con lui ma senza riuscirci.
Solano l’ho salutato l’anno scorso a Cordoba durante una fiera del fumetto; lui ha parlato de L’Eternauta e della sua vita, una vita molto dura visto che ha dovuto attraversare molte sofferenze. Ho sempre guardato al suo disegno come basicamente onesto, perché lui disegnava quello che vedeva, senza sofisticazioni, il suo non era un disegno elaborato ma un disegno spontaneo, onesto; metteva sulla carta un disegno diretto e spontaneo, certo dopo ci potevano essere delle correzioni o pulizie, ma sempre di particolari che non erano il vero fulcro della sua opera.
Io penso che, quando questi grandi maestri ci lasciano, ci sentiamo come se si fosse creato un vuoto che non si può riempire e ciò ci si fa sentire tristi; fortunatamente, non sempre è così, visto che oggi ci sono molti giovani che seguono l’esempio dei maestri.
Prima, negli anni ’90, ci fu un tempo, in Argentina, in cui era tutto morto o invisibile; l’attività artistica c’era ed era in evoluzione ma era sotterranea, in quanto non poteva uscire allo scoperto. Oggi ci sono molti talenti che vogliono emergere, questo mi fa venire la speranza che non tutto sia perso, c’è un seme che comincia a crescere.
Sicuramente questi grandi maestri sono morti con questa speranza.

Cosa riserva il futuro a Dago e a Carlos Gomez?

Dago va avanti, certo non per quello che faccio io, ma c’è una gran voglia di continuare. L’Italia ha una buona ricezione e il personaggio ha ancora molte potenzialità. Per quanto riguarda me, io vorrei continuare a disegnare Dago, attualmente sto disegnando un almanacco di Tex, visto che non sono ancora entrato ufficialmente nella scuderia dei disegnatori in quanto non sono ancora riuscito a trovare lo stile di Tex che la Bonelli cerca per la serie regolare; io faccio un Tex ancora troppo artistico e diverso per loro. Ci sono poi progetti per la Francia, per fare qualche libro.

Carlos ti ringraziamo infinitamente per la disponibilità dimostrata.

Grazie a voi.

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